venerdì 25 febbraio 2011

pensieri francescani sull'Eucarestia

 
Badate alla vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo (cf. Lv. 19,2). E come il Signore Iddio vi ha onorato sopra tutti gli uomini, con l’affidarvi questo ministero, così voi amatelo, riveritelo e onoratelo più di ogni altro uomo.



Grande miseria sarebbe, e miseranda meschinità se, avendo lui così presente, vi curaste di qualunque altra cosa che esista in tutto il mondo.



Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, si rende presente Cristo, il Figlio del Dio vivo (Gv. 11,27). O ammirabile altezza e degnazione stupenda!
O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, cosi si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane!

Fonti Francescane, Lettera a tutto l’Ordine, Cap. 2



Pertanto scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con tutto l’amore di cui sono capace, che prestiate, per quanto potete, tutta la riverenza e tutto l’onore al Santissimo Corpo e Sangue del Signore Nostro Gesù Cristo, nel quale tutte le cose che sono, in Cielo e in terra, sono state pacificate e riconciliate a Dio Onnipotente”.

Fonti Francescane, Lettera a tutto l’Ordine, Cap. 1



Chi non mangia la Sua carne e non beve il Suo sangue, non può entrare nel regno di Dio. Lo deve però mangiare e bere degnamente, poiché chi lo riceve indegnamente , mangia e beve la sua condanna, non discernendo il Corpo del Signore, cioè non distinguendolo dagli altri cibi”.

Fonti Francescane, Lettera ai fedeli,
Seconda recensione, Cap. 4°, Par. 189




In ogni predica che fate, ricordate al popolo di fare penitenza e che nessuno può essere salvato se non colui che riceve il Santissimo Corpo e Sangue del Signore, e che quando è sacrificato dal Sacerdote sull’Altare, o viene portato in qualche parte, tutti, in ginocchio, rendano lode, gloria e onore al Signore Iddio vivo e vero”.

Fonti Francescane, Prima Lettera ai custodi, Paragrafo 243

lunedì 21 febbraio 2011

Festa per i Patti Lateranensi

La cerimonia per i Patti Lateranensi di venerdì è stata preceduta da un incontro riservato tra Silvio Berlusconi e Tarcisio Bertone che ha chiesto garanzie su “fine vita” e soldi alle scuole cattoliche.


Rapida approvazione della legge sul testamento biologico, il ddl Calabrò già approvato al Senato in prima lettura ora alla Camera. Soldi, e non pochi, messi a disposizione delle scuole cattoliche o “scuole paritarie”. Rapida risoluzione di uno spiacevole contenzioso tra l’Università Cattolica di Roma, il famoso Policlinico Gemelli, e la Regione Lazio, con il suo pieno coinvolgimento.


Rassicurazioni sul fatto che la nuova giurisprudenza, avallata dalla Corte di Cassazione, sulle adozioni ai single non diventerà mai legge dello Stato e chiarimenti su quella legge sul crocefisso che la Ue vorrebbe approvare e cui l’Italia è contraria. Il retroscena del retroscena dell’incontro – in teoria formale, normalissimo – che si è tenuto l’altro giorno, venerdì 18 febbraio, a Villa Borromeo per la celebrazione dei Patti Lateranensi tra Italia e Santa Sede, sta tutto in un colloquio, breve ma succoso, avvenuto tra le delegazioni di due Stati, quello italiano e quello del Vaticano.


Prima delle foto opportunity e prima, soprattutto, dell’arrivo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - a sua volta ben soddisfatto dal pieno coinvolgimento che la Chiesa ha assicurato ai festeggiamenti del 17 marzo, con tanto di presenza del Papa - la delegazione italiana, che era guidata da Silvio Berlusconi, accompagnato dal sottosegretario Gianni Letta e dai ministri Giulio Tremonti (che gode del massimo dei favori, dentro le mura vaticane) e Angelino Alfano, si è molto cordialmente intrattenuta con quella papalina, formata dal segretario di Stato, Tarciso Bertone, e dal presidente della Cei, Angelo Bagnasco, più alcuni cardinali di peso, in Vaticano.


E se è vero che il cardinale Bagnasco – il quale, fanno notare ambienti vicini alla Cei, «deve tener conto della consistente ala progressista che ha chiesto prese di posizioni molto esplicite, sul caso Ruby, in direzione antiberlusconiana» - era visibilmente imbarazzato, a dover sedere accanto al premier, al punto da aver voluto precisare, ieri, che quello con Berlusconi «è stato un incontro istituzionale, di prassi, nella norma dell’incontro e del rapporto tra le istituzioni», non foss’altro perché il premier aveva subito esultato («l’incontro è andato benissimo») e perché il punctum dolens della vicenda Ruby continua a pesare, eccome, nella Chiesa («la fedeltà è un valore a tutti i livelli, anche in politica», ha sottolineato Bagnasco), resta in piedi la notizia di un fatto non da poco, quello dell’incontro “segreto”, sottaciuto anche dal quotidiano dei vescovi, Avvenire, che ha dedicato all’evento un freddo resoconto, a pagina 10.


«Il Vaticano, inteso come Segreteria di Stato – ragiona, al contrario, un interlocutore costante sia di Bertone che di Bagnasco, nelle cene con i leader del mondo cattolico – bada al sodo e, al momento, alternative a questo governo non ce ne sono. Di certo non lo è Fini, che ha nominato un radicale ateo e anticlericale come Benedetto Della Vedova a capogruppo alla Camera, e non lo è Casini, troppo debole, il quale ci ha comunque fatto sapere di essere stato molto contrariato dalla nomina di Della Vedova. Tantomeno lo è il Pd, che subisce Vendola, un gay, o lancia la Bindi, che è cattolica come lo era Prodi: quei cattolici che la domenica vanno a messa, certo, ma che poi sponsorizzano leggi come i Pacs o i Dico! Per ora, al governo c’è Berlusconi». Morale. Bertone ha preso il coraggio a due mani e ha chiesto (lui, Bertone) al premier rassicurazioni precise sui temi in agenda che più stanno a cuore al Vaticano (e alla Cei): legge sul fine-vita, adozioni dei single, scuole cattoliche, crocefisso. Berlusconi le ha fornite, e subito. Del resto, Gianni Letta aveva preparato con cura l’incontro riservato che ha preceduto quello ufficiale e la presenza di Tremonti, oltre a quella del pupillo del premier, Alfano, e del ministro degli Esteri, Franco Frattini, era lì a testimoniare il massimo impegno e volontà di dialogo, da parte del governo. Sul “fine vita”, dove il dossier e l’iter parlamentare viene e verrà seguito passo passo dalla cattolicissima sottosegretaria Eugenia Roccella, su preciso mandato di Letta, la quale assicurerà che la legge verrà approvata, con piccole modifiche, da parte della Camera, entro il mese di marzo («quella legge s’ha da fare, e rapidamente», dicono in Cei), ma anche sul fronte più scivoloso, quello economico, nei confronti delle scuole cattoliche e del doppio regime fiscale in favore dei dipendenti della Città del Vaticano.


In tema di legge sul biotestamento, oltre al voto, già sicuro, del Pdl come dell’Udc, gli esponenti del mondo cattolico sperano si facciano sentire pure i cattolici del Pd: «Mi auguro – dice il presidente del Mcl Carlo Costalli – che anche popolari come Fioroni e altri votino una legge per noi cruciale su cui serve un’ampia maggioranza».

Ettore Colombo, Il Riformista

 

Vincenzo Gioberti: apostolo del neoguelfismo

Tra i personaggi del Risorgimento italiano la figura dell’abate Vincenzo Gioberti godette di alterne fortune. Filosofo, politico, e scrittore di successo, fu prima di tutto un sostenitore della causa nazionale. Un profeta del riscatto degli italiani per Giovanni Spadolini, il campione dei moderati per Indro Montanelli. Per milioni di studenti Gioberti è ricordato invece come il principale esponente del movimento neoguelfo. Per gli storici un protagonista delle vicende italiane di metà Ottocento.
Eppure, alla sua scomparsa, avvenuta a Parigi, il 26 ottobre 1852, all’età di cinquantuno anni, egli era solo, fatta eccezione per i libri e i giornali di cui si era voluto circondare. Aveva rinunciato a tutto, ma non al piacere della lettura.
Nato a Torino il 5 aprile 1801 da Giuseppe, impiegato, e da Marianna Capra, trascorse un’infanzia travagliata a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia e della prematura morte del padre. Educato nelle scuole dei padri oratoriani, il giovane Vincenzo manifestò spiccati interessi nei confronti della filosofia e della teologia. Allievo di padre G.G. Sineo, fu in realtà un autodidatta, rivelandosi alla lunga un’intellettuale eclettico, in grado di occuparsi di storia, politica, letteratura, filosofia e religione. Tra gli autori studiati predilesse Platone, sant'Agostino, Bacone, Vico, Leibniz, Rousseau e Kant.
Intrapresi gli studi presso l’accademia ecclesiastica di Torino, si addottorò in teologia nel gennaio del 1823. Due anni dopo, nel marzo del 1825, fu ordinato sacerdote e divenne successivamente cappellano di corte con un stipendio annuo di 480 lire.
Intellettuale apprezzato, fu attivo all’interno di vari circoli filosofici e letterari della capitale sabauda, evidenziando una certa insofferenza nei confronti dell’attività intellettuale svolta in città dai gesuiti. Verso la fine degli anni Venti conobbe Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi; con quest’ultimo ebbe anche uno scambio epistolare.
Amico e lettore di Antonio Rosmini, iniziò ad elaborare a partire dai primi anni Trenta l’idea di un possibile rinnovamento degli studi filosofici che avrebbe voluto collegare al risveglio dell’identità nazionale. Entrò poi in contatto con alcuni ambienti della cospirazione piemontese, manifestando inoltre un certo interesse per i principi del panteismo. Ripreso dai superiori, decise di lasciare la carica di cappellano.
Denunciato per attività antimonarchica, fu arrestato ed incarcerato in attesa del processo. Esiliato dal Regno di Sardegna, raggiunse Parigi, dove soggiornò per oltre un anno. Successivamente si trasferì a Bruxelles dove visse fino al 1845.  
Scrittore prolifico, nella primavera del 1843 diede alle stampe la sua opera più celebre, Del primato morale e civile degli Italiani, la cui prima edizione toccò le 1500 copie. I temi sollevati e le proposte avanzate dall’autore ebbero molto successo. Gioberti auspicava una pacifica rinascita della nazione italiana da realizzare attraverso la costituzione di una federazione degli antichi stati, la cui presidenza sarebbe dovuta spettare al pontefice, a motivo della superiorità etica che gli derivava dal suo magistero. Spiegava l’abate: «L’Italia e la Santa Sede sono certo due cose distinte ed essenzialmente diverse, e farebbe opera assurda, anzi empia e sacrilega, chi insieme le confondesse; tuttavia un connubio di diciotto secoli le ha talmente congiunte ed affratellate, che se altri può esser cattolico senza essere Italiano (e sarebbe troppo ridicolo, anche in grammatica, il metterlo in dubbio) non si può essere perfetto Italiano da ogni parte, senza essere cattolico, né godere meritatamente del primo titolo, senza partecipare allo splendore del secondo».   
Accolto con grandi speranze, il testo contribuì in maniera determinante alla formazione dell’opinione nazionale, sottraendo a Mazzini la guida della causa italiana. L’elezione di Pio IX sembrò confermare la validità della tesi neoguelfa suscitando tra i patrioti entusiasmo e speranze.
Nel 1848 Gioberti rientrò in Piemonte usufruendo di un’amnistia politica. Giunto a Torino con grandi onori, rifiutò il titolo di senatore, preferendo candidarsi come deputato alla Camera, della quale divenne presidente. Alla fine dell’anno fu incaricato di formare un nuovo governo. La sconfitta del Piemonte contro l’Austria e l’abdicazione di Carlo Alberto lo portarono alle dimissioni e di nuovo all’estero.
Abbandonato da tutti, rifiutò la pensione offertagli ed ogni incarico, preferendo dedicarsi allo studio. Nel 1851 scrisse una nuova opera, Del rinnovamento civile d’Italia, nella quale sosteneva l’adozione di un programma liberale e riformatore. Dopo la morte, Gioberti fu soggetto a varie interpretazioni. Secondo Spadolini «chi si limitò a registrare le sue contraddizioni e a dissolvere le sue antinomie trascurò forse un aspetto misterioso e insondabile della sua personalità, quel fondo del filosofo riformatore della società che rinverdiva il sogno pitagorico di Vincenzo Cuoco, del “sacerdote capo della nazione e del popolo”».
 
Lorenzo Carlesso
19-02-2011
(La Bussola Quotidiana)

domenica 20 febbraio 2011

Verso il 25^ Congresso Eucaristico Nazionale


18 FEBBRAIO 2011
25 CONGRESSO EUCARISTICO AD ANCONA: RIUNIONE PRELIMINARE IN REGIONE.

Riunione preliminare tecnico-organizzativa questa mattina a Palazzo Raffaello con la Provincia di Ancona e tutti i Comuni interessati dalla 25 edizione del Congresso Eucaristico Nazionale (Ancona, Loreto, Osimo, Falconara, Jesi, Fabriano, Senigallia). All'incontro erano presenti il presidente della Regione Gian Mario Spacca, il responsabile del Dipartimento Protezione Civile Roberto Oreficini, il segretario generale del Congresso Eucaristico nazionale Marcello Bedeschi, la presidente della Provincia di Ancona Patrizia Casagrande, il sindaco di Ancona Fiorello Gramillano e di Falconara Goffredo Brandoni, il vicesindaco di Loreto Paolo Nicoletti e l'assessore Paolo Casali, l'assessore del Comune di Osimo Gilberta Giacchetti e di Fabriano Sonia Ruggeri, il dirigente del Comune di Jesi Mauro Torelli, il referente della Protezione Civile di Senigallia Luciano Carli. Il Congresso Eucaristico si terra` ad Ancona dal 4 all'11 settembre. Sono previste iniziative collaterali di carattere religioso, artistico, culturale nelle principali citta` della Metropolia (la provincia ecclesiastica) di Ancona. 
 
(comunicato stampa Regione Marche)

mercoledì 16 febbraio 2011

Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua

Dal libro del Siràcide (15, 16-21)

Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare.

domenica 13 febbraio 2011

riflessioni sul cattolicesimo democratico

A giu­di­care dal titolo (Al Cat­to­lico per­plesso. Chiesa e poli­tica all’epoca del bipo­la­ri­smo e del plu­ra­li­smo reli­gioso, Borla, 2010), si direbbe che l’autore Ste­fano Cec­canti sconti con­sa­pe­vol­mente di rivol­gersi ad una mino­ranza nella mino­ranza. Mino­ranza è, per quanto qua­li­fi­cata, quella che rico­no­sce una matrice feconda dell’esperienza poli­tica nel per­corso di socia­liz­za­zione pro­pria di un’esperienza eccle­siale e che ha nella con­vin­zione reli­giosa per­so­nale e in una medi­tata teo­lo­gia poli­tica più di una sem­plice radice ispi­ra­trice; ma mino­ranza è, mi pare, anche quella di coloro che si direb­bero per­plessi – per­plessi nel senso di sen­tirsi sco­perti nel momento dell’esaurimento dell’unità poli­tica dei cat­to­lici, e ancora di più orfani di un ruolo ed una col­lo­ca­zione evi­dente nel qua­dro di acce­le­ra­zione dei pro­cessi di riforma della poli­tica ita­liana nell’intervallo 1991–2008 con­fluito, tra con­flitti e ten­sioni, nella sta­bi­liz­za­zione di un modello di alter­nanza di governo basato su uno schema bipolare.
Non si può non notare come pro­prio in cor­ri­spon­denza alla prima metà degli anni ’90 le con­di­zioni poli­ti­che e il clima sociale gene­rale fos­sero mas­si­ma­mente favo­re­voli ad una rifon­da­zione del sistema poli­tico che unisse aspi­ra­zioni popo­lari “dal basso” con i requi­siti tecnico-funzionali che le eli­tes rifor­mi­ste ave­vano ormai acqui­sito. Ma ciò è suc­cesso solo par­zial­mente e con troppi strappi e frat­ture den­tro la com­pa­gine rifor­mi­sta. E invece, nel giro di pochi anni, sono state get­tate le basi per una per­va­siva mag­gio­ranza silen­ziosa costi­tuita con­giun­ta­mente dai mec­ca­ni­smi cor­rut­tivi della demo­cra­zia ple­bi­sci­ta­ria abil­mente sfrut­tata da Ber­lu­sconi unita al blocco di ran­cori e di egoi­smi loca­li­stici ben con­vo­gliati dal con­senso alla Lega. Nono­stante i suc­cessi dell’Ulivo nella sua prima sta­gione di governo, parti qua­li­fi­cate dell’elettorato cat­to­lico e della stessa guida epi­sco­pale ita­liana si sono di fatto are­nati o in un’equidistanza nostal­gica della vec­chia col­lo­ca­zione cen­tri­sta o nell’acquiescenza alle derive neo­guelfe di governi di cen­tro destra mal­de­stra­mente in cerca di bene­di­zioni epi­sco­pali e di titoli di merito verso i valori cat­to­lici da capi­ta­liz­zare nel con­fronto poli­tico con il cen­tro sini­stra. A mio avviso, è nella rispo­sta a que­sta sfida che il libro di Cec­canti dà il meglio di sé.
* * *
Così pos­siamo con­den­sare le tesi di Ceccanti:
1.esiste un con­tri­buto ori­gi­nale e vitale del pen­siero sociale e poli­tico del cat­to­li­ce­simo nove­cen­te­sco alla teo­ria della demo­cra­zia. Tale con­tri­buto emerge per con­fronto “alto” sia con i limiti e le for­za­ture delle ideo­lo­gie domi­nanti in Occi­dente (libe­ra­li­smo e mar­xi­smo clas­sici, ma anche con le teo­rie tardo nove­cen­te­sche radi­cali e della sog­get­ti­vità dei diritti), sia in oppo­si­zione cri­tica all’organicismo poli­tico della dot­trina uffi­ciale eccle­sia­stica – iden­ti­fi­ca­bile come una vul­gata del pen­siero poli­tico con­ser­va­tore e rea­zio­na­rio – che per­viene allo schema demo­cra­tico in ritardo e mal­vo­len­tieri sotto la pres­sione di una sostan­ziale mar­gi­na­liz­za­zione nell’epoca dell’apogeo del tri­no­mio “rivo­lu­zione politica-rivoluzione indu­striale –moder­ni­smo laicista”);
1. merito di que­sto filone – cui ci si può richia­mare come cat­to­li­ce­simo demo­cra­tico – è l’aver posto all’agenda della demo­cra­zia poli­tica il valore della per­sona umana come sog­getto impre­scin­di­bile di senso e come oriz­zonte non tra­va­li­ca­bile dai dise­gni ege­mo­nici della lotta poli­tica; esso ha poi saputo costruire dall’interno della Chiesa cat­to­lica le con­di­zioni essen­ziali per una tran­si­zione felice alle regole del con­fronto demo­cra­tico, sfron­dan­done le pul­sioni sostan­zia­li­sti­che e orga­ni­ci­sti­che pro­prie di una visione tota­li­ta­ria e asto­rica dell’impegno poli­tico e age­vo­lando l’accettazione, almeno pra­tica, della parte vitale del rela­ti­vi­smo impli­cito nella demo­cra­zia: vale a dire il valore del con­fronto empi­rico nella pro­po­sta dei con­tri­buti al bene comune che emer­gono solo da un con­fronto programmatico-elettorale aperto alla con­ta­mi­na­zione e al com­pro­messo fecondo;
1.In tale con­nes­sione esi­ste e va man­te­nuto lo schema che oppone una visione poli­tica di destra ad una di sini­stra: non si tratta tanto di una carat­te­riz­za­zione ideo­lo­gica, quanto di una distin­zione metafisico-politica; nella visione di destra pre­vale una let­tura ispi­rata da una visione di ordine e con­ser­va­zione, almeno in parte tri­bu­ta­ria di una visione pes­si­mi­stica dei limiti crea­tu­rali; per con­tro a sini­stra pre­vale una visione carat­te­riz­zata dalla ricerca inces­sante del cam­bia­mento inteso come spinta a supe­rare il rea­li­smo del “disor­dine costi­tuito” (Mou­nier) con la for­mula di Aldo Moro della pra­tica poli­tica come “prin­ci­pio di non appagamento”;
1.sul piano pra­tico un merito ulte­riore del cat­to­li­ce­simo demo­cra­tico è dato dall’attenzione all’evoluzione delle regole del gioco demo­cra­tico. Essenza della demo­cra­zia fun­zio­nante è la com­pe­ti­zione gui­data tra visioni in com­pe­ti­zione. Il gioco delle regole è prima di tutto regola di sal­va­guar­dia dei valori comuni e fon­danti ma è anche capa­cità di pro­muo­vere inno­va­zione e capa­cità di allar­ga­mento della pro­pria pro­po­sta met­tendo in com­pe­ti­zione effi­cace le alter­na­tive. Per­ché ciò si veri­fi­chi è però neces­sa­rio che la pra­tica della demo­cra­zia trovi un assetto fun­zio­nante. Da qui le inte­res­santi pagine del sag­gio dedi­cate al tema delle riforme isti­tu­zio­nali, che, in con­nes­sione con altri scritti dell’autore (che è pro­fes­sore di diritto costi­tu­zio­nale com­pa­rato oltre che sena­tore nelle file del PD), sot­to­li­neano la por­tata dI riforme all’insegna della demo­cra­zia com­pe­ti­tiva con regole di tipo bipo­lare e mag­gio­ri­ta­rio quale volano intorno al quale acce­le­rare il rin­no­va­mento della demo­cra­zia ita­liana. E’ il tema, già toc­cato altrove da Cec­canti, dell’attuazione della tran­si­zione secondo linee di ricom­po­si­zione che assi­cu­rino l’alternanza poli­tica ripor­tando lo scet­tro nelle mani dell’elettore e model­lando, nel con­tempo, le cul­ture poli­ti­che ad uno schema di accoun­ta­bi­lity verso gli elet­tori e di impe­gno a uti­liz­zare il man­dato di governo come tempo di attua­zione dei pro­grammi che tra­guarda al ver­detto elet­to­rale successivo;
1.esiste per­ciò uno spa­zio, entro cui il poli­tico cat­to­lico dovrebbe sen­tirsi a pro­prio agio: lo spa­zio di un rifor­mi­smo vitale, non mera­mente tec­ni­ci­stico e mediato dalle forze imper­so­nali delle tec­no­cra­zie demo­cra­ti­che, che si esprime in un rea­li­smo capace di visione solida non disgiunta però da una scelta pre­fe­ren­ziale per le classi subal­terne, e che con­si­dera l’inclusione cre­scente una con­di­zione impre­scin­di­bile per il man­te­ni­mento dell’ordine demo­cra­tico anche in pro­spet­tiva inter­na­zio­nale e di solu­zione sopra­na­zio­nale dei pro­blemi pla­ne­tari. (Al riguardo il libro con­tiene pagine con­di­vi­si­bili sia in mate­ria di poli­tica eco­no­mica dove si evince la lezione di Michele Sal­vati, sia sui modelli pos­si­bili di gestione mul­ti­la­te­rale dei con­flitti inter­na­zio­nali su scala glo­bale ispi­rati a let­ture raf­fi­nate di inter­pre­ta­zione della carta dell’ONU e dell’art. 11 della Costi­tu­zione, sia infine sulle pro­spet­tive di un riu­scito inte­gra­zio­ni­smo mul­ti­cul­tu­rale a par­tire da una decli­na­zione costi­tu­zio­nale del prin­ci­pio della libertà religiosa).
In tutto ciò si rica­pi­tola una vicenda che,anche gra­zie alle belle e medi­tate cita­zioni poste in limine a cia­scun capi­tolo, col­lega espli­ci­ta­mente la poli­tica ita­liana agli esempi e agli inse­gna­menti che ci veni­vano nei decenni dall’Europa. Forte di un a sto­ria per­so­nale che lo ha messo a con­fronto con quelle espe­rienze, Cec­canti ci ricorda la fru­stra­zione dei gio­vani intel­let­tuali cat­to­lici negli 70 e 80 di fronte alla demo­cra­zia bloc­cata vigente in Ita­lia. Ad essi a e ai loro mae­stri (anche den­tro il par­tito cat­to­lico) va ascritto il merito di avere man­te­nuto una linea solida di teo­lo­gia poli­tica anche nel momento in cui la spinta pro­pul­siva della Demo­cra­zia Cri­stiana si esau­riva rapi­da­mente sotto le con­trad­di­zioni dell’alternanza impos­si­bile e di una gestione ordi­na­ria e fine a sé stessa del potere. Tale “resi­stenza” ha costi­tuito la base cul­tu­rale delle cam­pa­gne refe­ren­da­rie rifor­mi­ste dei primi anni ’90 e, subito dopo, della sta­gione uli­vi­sta. Ma la Lega e Ber­lu­sconi erano alle porte…
Michele Con­tel

sabato 12 febbraio 2011

Il ritorno

(ANSA) - ANCONA, 11 FEB - Padre Ferdinando Campana e' il nuovo Ministro provinciale dei Frati Minori delle Marche.

Incarico gia' ricoperto dal 1999 al 2008. E' nato a Cingoli nel 1957. Insegna Liturgia all'Istituto teologico di Ancona e attualmente e' responsabile dell'Eremo di Valdisasso di Valleremita a Fabriano. ''Come figli di San Francesco e sull'esempio di San Giacomo della Marca - ha detto dopo la nomina - anche se spesso con molta discrezione e senza far rumore, noi continuiamo a infondere speranza e ad offrire luce e pace a chiunque ci avvicina, ci raggiunge e ci chiede consiglio e aiuto''. (ANSA).

martedì 8 febbraio 2011

multiculturalismo e identità: il pensiero di Cameron Diaz

Oggi voglio fare alcune riflessioni sul terrorismo, ma prima permettetemi di chiarire un punto. Secondo alcuni, rimettendo in discussione i temi della sicurezza e della difesa strategica, la Gran Bretagna sta in qualche modo rinunciando a un ruolo attivo nel mondo. Questa affermazione è esattamente l'opposto della verità: sì, stiamo facendo i conti con un buco nel nostro bilancio, ma ci stiamo anche assicurando che le nostre difese siano forti.

La Gran Bretagna continuerà a rispettare il limite minimo per le spese della Difesa, fissato al 2 per cento dalla Nato. Continueremo ad avere il quarto bilancio militare al mondo per grandezza. Allo stesso tempo, stiamo facendo fruttare meglio i soldi spesi, concentrandoci sulla prevenzione dei conflitti e costruendo un esercito più flessibile. Non è una ritirata, è un atto di realismo. Ogni decisione che prendiamo deve rispettare tre obiettivi: continuare a sostenere la missione Nato in Afghanistan; rinforzare la nostra capacità militare effettiva; assicurarci che la Gran Bretagna sia protetta dalle minacce che dobbiamo fronteggiare, nuove e molteplici.

La minaccia più grave è rappresentata dagli attacchi terroristici, alcuni portati a termine da nostri cittadini. E' importante chiarire come il terrorismo non sia legato esclusivamente a una religione o a un gruppo etnico, ma dobbiamo riconoscere che in Europa questa minaccia viene principalmente da giovani che seguono un'interpretazione dell'islam distorta e perversa, che li rende pronti a farsi esplodere e a uccidere i loro concittadini. Oggi il mio messaggio sulla sicurezza è duro ed essenziale: non sconfiggeremo il terrorismo soltanto con quello che facciamo fuori dai nostri confini.

L'Europa ha bisogno di svegliarsi per quanto riguarda ciò che sta succedendo nei suoi paesi. Dobbiamo andare alla radice del problema, e dobbiamo essere chiari su quale sia l'origine di questi attacchi terroristici: l'esistenza di un'ideologia, l'islamismo radicale. Bisogna essere molto chiari anche su cosa significhi questa espressione, e distinguerla dall'islam, che è una religione professata in maniera pacifica da oltre un miliardo di persone.

L'islamismo radicale è un'ideologia politica portata avanti da una minoranza, ai cui estremi ci sono quelli che si servono del terrorismo per raggiungere il loro obiettivo definitivo: un regno islamico, governato secondo l'interpretazione della sharia. Se ci si muove lungo questo spettro, si trovano persone che in linea di massima sono contrarie alla violenza, ma che accettano buona parte del pensiero degli estremisti, inclusa l'ostilità verso le democrazie occidentali e i valori liberali. La distinzione tra ideologia politica e religione è fondamentale. La gente le mette sullo stesso piano, pensando che quanto più uno è osservante, tanto più sarà estremista. Ma si può benissimo essere un musulmano devoto e non essere un estremista.

Dobbiamo essere chiari: l'estremismo degli islamisti e l'islam non sono la stessa cosa. L'estrema destra, da una parte, ignora la distinzione tra islam e islamisti radicali, e si limita a dire che islam e occidente sono inconciliabili, che c'è uno scontro di civiltà. Da questo ne conclude che dovremmo tagliare i rapporti con questa religione, a costo di ricorrere ai rimpatri forzati o al divieto di costruzione di nuove moschee, come viene suggerito in molte parti d'Europa.

Questa gente diffonde l'islamofobia, e io rigetto completamente le loro ragioni. Se volessero un esempio di come i valori occidentali e l'islam siano compatibili, dovrebbero guardare a cosa sta accadendo nelle ultime settimane nelle strade di Tunisi o del Cairo: centinaia di migliaia di persone che chiedono il diritto universale a elezioni libere e alla democrazia. Il punto è questo: l'ideologia estremista è il problema, l'islam non lo è nella maniera più assoluta. Combattere con quest'ultimo non ci sarà di aiuto per combattere il primo.

Dall'altra parte, anche quelli della sinistra ignorano questa distinzione. Mettono tutti i musulmani insieme, compilando una lista di lagnanze e sostenendo che se solo i governi rispondessero alle loro rivendicazioni, gli attacchi terroristici si fermerebbero. Insistono sulle condizioni di povertà in cui molti musulmani vivono e dicono: "Fatela finita con questa ingiustizia e il terrorismo finirà".

Ma ignorano il fatto che molti di quelli che sono stati condannati per terrorismo in Gran Bretagna e nel resto del mondo sono laureati e spesso appartengono alla classe media. Accusano i leader mediorientali che governano senza essere stati eletti e dicono: "Se la smetterete di appoggiare queste persone non creerete più le condizioni su cui gli estremisti prosperano".

Ma se il problema è la mancanza di democrazia, perché molti di questi estremisti stanno in società libere e tolleranti? Ora, non sto dicendo che le questioni della povertà e del malcontento sulla politica estera non siano importanti. Certo, dobbiamo affrontarle entrambe. Quanto all'Egitto, la nostra posizione deve essere chiara: vogliamo vedere la transizione a un governo a base più ampia, che abbia in sé i presupposti essenziali di una società libera e democratica. Non posso accettare che si ponga una scelta obbligata tra due sole opzioni: o uno stato di sicurezza oppure uno stato islamista.

Ma non dobbiamo illuderci. Anche se riuscissimo a risolvere tutti i problemi che ho menzionato, il terrorismo continuerebbe a esistere. Io credo che la radice del problema stia nella presenza di questa ideologia estremista. E ritengo che uno dei principali motivi per cui così tanti giovani musulmani ne sono attratti sia in sostanza una questione di identità. Nel Regno Unito, alcuni giovani hanno difficoltà a riconoscersi nell'islam tradizionale seguito dai loro genitori nei paesi d'origine. Ma questi giovani hanno altrettante difficoltà a riconoscersi nella Gran Bretagna, perché noi stessi abbiamo permesso che si verificasse un indebolimento della nostra identità collettiva.

Con la dottrina del multiculturalismo abbiamo incoraggiato le diverse culture a vivere in modo separato, sia l'una rispetto all'altra sia rispetto a quella principale. Non siamo stati capaci di offrire una visione della società alla quale possano desiderare di appartenere. Così, quando una persona di razza bianca esprime opinioni inaccettabili, come ad esempio teorie razziste, noi, giustamente, la critichiamo e la condanniamo. Ma quando opinioni altrettanto inaccettabili sono espresse da una persona di razza diversa, siamo estremamente cauti, per non dire timorosi, nel condannarla.

Un esempio concreto? Non aver saputo affrontare in modo concreto la crudeltà del matrimonio coatto. Questa nostra indifferente tolleranza è servita soltanto a rafforzare l'impressione che non ci siano valori realmente condivisi. E questo lascia alcuni giovani musulmani con la sensazione di essere privi di radici. E la ricerca di qualcosa in cui riconoscersi e in cui credere può spingerli ad aderire a questa ideologia estremista. Ora, senza dubbio, non si trasformano automaticamente in terroristi; ma ci troviamo comunque di fronte a un processo di radicalizzazione, come si può facilmente vedere in parecchi paesi europei.

Ora, qualcuno potrebbe dire: "Finché non fanno male a nessuno, qual è il problema?". Ve lo spiego subito. Man mano che si scopre il retroterra culturale delle persone condannate per atti terroristici, appare chiaro che molti di essi sono stati inizialmente influenzati dai cosiddetti "estremisti non violenti" e solo successivamente hanno ulteriormente estremizzato le loro idee fino ad abbracciare la violenza. E io penso che questo sia come un'accusa all'atteggiamento che abbiamo mantenuto in passato su questi problemi.

Perciò, se vogliamo davvero sconfiggere la minaccia terrorista, credo che sia giunto il momento di voltare pagina e abbandonare le infruttuose politiche adottate finora. Per prima cosa, anziché ignorarla, i governi e le società devono affrontare con decisione l'ideologia estremista, in tutte le sue forme. In secondo luogo, invece di incoraggiare le diverse comunità a vivere separate l'una dall'altra, dobbiamo creare un senso di identità nazionale comune che sia aperto a tutti. Consideriamo questi due punti uno per uno.

Primo, affrontare e neutralizzare l'ideologia estremista. Indipendentemente dal fatto se ricorrano a mezzi violenti oppure no, dobbiamo impedire a tutti gli estremisti di realizzare le proprie ambizioni. I governi, naturalmente, hanno a propria disposizione alcuni strumenti per farlo: devono proibire ai predicatori dell'odio di entrare nei loro paesi. Devono bandire le organizzazioni che incitano al terrorismo in patria e all'estero. E devono assumere un atteggiamento più accorto nei confronti di coloro che, sebbene non-violenti, spesso rappresentano una parte essenziale del problema.

Alcune organizzazioni che cercano di presentarsi come un ponte di accesso alle comunità musulmane sono riempite di denaro pubblico anche se non fanno nulla di concreto per combattere l'estremismo. Dobbiamo valutare in modo adeguato queste organizzazioni: credono nel principio dei diritti umani universali (comprese le donne e le popolazioni di fede diversa)? Credono nell'uguaglianza di tutti di fronte alla legge? Credono nella democrazia e nel diritto dei popoli di eleggere il proprio governo? Promuovono l'integrazione o incoraggiano la separazione?
Sono queste le domande che dobbiamo porre. E se non otteniamo risposte positive non dobbiamo intrattenere alcun rapporto con tali organizzazioni. Dobbiamo anche impedire a queste organizzazioni di penetrare e fare adepti in istituzioni pubbliche come le università o persino, come nel caso britannico, le carceri. Ora, secondo alcuni, questo non sarebbe compatile con il principio della libertà di parola e di ricerca intellettuale. Ebbene, rispondo io a costoro: sareste della stessa opinione anche se fossero degli estremisti di destra a fare nuovi adepti nei campus? Predichereste il non-intervento anche se nelle nostre prigioni fossero i fondamentalisti cristiani a guidare gruppi di preghiera nei quali si proclami che i musulmani sono nostri nemici?
Dobbiamo dire chiaramente che il terrorismo è sbagliato in qualsiasi circostanza. E dobbiamo dire con altrettanta chiarezza che le profezie su una globale guerra di religione dei musulmani contro il resto del mondo sono una totale assurdità. Ma i governi non sono in grado di fare questo da soli. L'estremismo che dobbiamo affrontare è una distorsione dell'islam; perciò la battaglia deve essere combattuta e guidata da coloro che sono all'interno dell'islam. Insomma, dobbiamo dare voce ai musulmani presenti nei nostri paesi che detestano gli estremisti e la loro visione del mondo.
Dobbiamo coinvolgere le organizzazioni che condividono le nostre stesse aspirazioni. 

In secondo luogo, dobbiamo costruire nella nostra stessa patria una società più solida è un senso di identità più forte. Per dirlo in termini schietti, dobbiamo abbandonare la tolleranza passiva degli ultimi anni e assumere un atteggiamento di più attivo ed energico liberalismo. Una società passivamente tollerante ai propri cittadini dice: finché obbedite alla legge vi lasciamo fare ciò che volete. Mantiene una posizione neutrale di fronte a tutti i diversi valori. Io invece penso che una società realmente liberale deve fare molto di più: poiché crede in certi valori, si adopera attivamente per promuoverli.

La libertà di parola, la libertà di culto, la democrazia, lo stato di diritto, la parità dei diritti indipendentemente dalla razza, il sesso o l'orientamento sessuale. Una società di questo tipo ai propri cittadini dice: questi sono i valori che ci definiscono come società; per appartenervi bisogna credere in essi. Ognuno di noi, nel proprio paese, deve mantenere un atteggiamento chiaro e deciso su questa difesa della nostra libertà. Ci sono anche alcune cose pratiche che possiamo fare. Tra queste, impegnarci affinché tutti gli immigrati parlino la lingua della loro nuova patria e che siano istruiti secondo gli elementi di una cultura comune e nei termini di un medesimo percorso di studi.

In Gran Bretagna stiamo lanciando il National Citizen Service: un programma in cui giovani sedicenni provenienti da diversi retroterra culturali vivono e lavorano insieme per un periodo di due mesi. Credo che dobbiamo anche incoraggiare una partecipazione più attiva alla vita della società sottraendo parte dei poteri allo stato e riaffidandoli nelle mani della gente. Se, all'interno dei propri quartieri, la gente si riunisce e collabora si può creare un obiettivo comune. Servirà anche a rafforzare l'orgoglio per la propria identità locale, appunto perché ognuno si sentirà libero di dire: "Sì, sono un musulmano - oppure un indù o un cristiano - ma anche un londinese - o un berlinese".

E' questo senso di identità, il sentimento di appartenenza al proprio paese, la chiave per ottenere una autentica integrazione e coesione. Perciò, voglio terminare con le seguenti parole. Ci è piovuto addosso un terrorismo indiscriminato. Non può essere ignorato o contenuto. Dobbiamo affrontarlo con fiducia e decisione. Combattere l'ideologia che lo guida e che deforma le menti di così tanti giovani; e risolvere il deficit di identità che la sostiene offrendo una più ampia e generosa visione di cosa significhi essere un cittadino dei nostri paesi.

Abbiamo bisogno di forza, pazienza e capacità di sopportazione, e non ci riusciremo mai se agiremo da soli. In gioco non è soltanto la nostra vita, ma il nostro stesso modo di vivere. Proprio per questo si tratta di una minaccia che non possiamo ignorare o evitare. Dobbiamo invece combatterla e sconfiggerla. Grazie.

Discorso del premier britannico David Cameron alla conferenza di Monaco sulla sicurezza (sabato 5 febbraio 2011)


La peggior forma di governo

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