giovedì 30 giugno 2011

Il saluto del Cardinale Scola alla Diocesi di Milano


Al carissimo confratello nell’episcopato Card. Dionigi,
a tutti i fedeli della Chiesa ambrosiana,
a tutti gli abitanti dell’Arcidiocesi di Milano,

mi preme accompagnare la decisione del Santo Padre di nominarmi Arcivescovo di Milano con un primo affettuoso saluto.
Voi comprenderete quanto la notizia, che mi è stata comunicata qualche giorno fa, trovi il mio cuore ancora oggi in un certo travaglio. Lasciare Venezia dopo quasi dieci anni domanda sacrificio. D’altro canto la Chiesa di Milano è la mia Chiesa madre. In essa sono nato e sono stato simultaneamente svezzato alla vita e alla fede.
L’obbedienza è l’appiglio sicuro per la serena certezza di questo passo a cui sono chiamato. Attraverso il Papa Benedetto XVI l’obbedienza mia e Vostra è a Cristo Gesù. Per Lui e solo per Lui io sono mandato a Voi. E comunicare la bellezza, la verità e la bontà di Gesù Risorto è l’unico scopo dell’esistenza della Chiesa e del ministero dei suoi pastori. Infatti, la ragion d’essere della Chiesa, popolo di Dio in cammino, è lasciar risplendere sul suo volto Gesù Cristo, Luce delle genti. Quel Volto crocifisso che, secondo la profonda espressione di San Carlo, «faceva trasparire l’immensa luminosità della divina bontà, l’abbagliante splendore della giustizia, l’indicibile bellezza della misericordia, l’amore ardentissimo per gli uomini tutti» (Omelia del 16 marzo 1584). Gesù Risorto accompagna veramente il cristiano nella vita di ogni giorno e il Crocifisso è oggettivamente speranza affidabile per ogni uomo e ogni donna.
In questo momento chiedo a Voi tutti, ai Vescovi ausiliari, ai presbiteri, ai diaconi, ai consacrati e alle consacrate, ai fedeli laici l’accoglienza della fede e la carità della preghiera. Lo chiedo in particolare alle famiglie, anche in vista del VII Incontro mondiale.
Vi assicuro che il mio cuore ha già fatto spazio a tutti e a ciascuno.
Sono preso a servizio di una Chiesa che lo Spirito ha arricchito di preziosi e variegati tesori di vita cristiana dall’origine fino ai nostri giorni. Lo abbiamo visto, pieni di gratitudine, anche nelle beatificazioni di domenica scorsa. Mi impegno a svolgere questo servizio favorendo la pluriformità nell’unità. Sono consapevole dell’importanza della Chiesa ambrosiana per gli sviluppi dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso.
Questo mio saluto si rivolge anche a tutti gli uomini e le donne che vivono le molte realtà civili della Diocesi di Milano, ed in modo particolare alle Autorità costituite di ogni ordine e grado: «L’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo» (Benedetto XVI, Omelia nella beatificazione di Giovanni Paolo II, 1.05.2011).
Vengo a Voi con animo aperto e sentimenti di simpatia e oso sperare da parte Vostra atteggiamenti analoghi verso di me.
Chiedo al Signore di potermi inserire, con umile e realistica fiducia, nella lunga catena degli Arcivescovi che si sono spesi per la nostra Chiesa. Come non citarne qui almeno taluni che ci hanno preceduto all’altra riva? Ambrogio, Carlo, Federigo, il card. Ferrari, Pio XI, il card. Tosi, il card. Schüster, Paolo VI e il card. Colombo.
Ho bisogno di Voi, di tutti Voi, del Vostro aiuto, ma soprattutto, in questo momento, del Vostro affetto.
Chiedo in particolare la preghiera dei bambini, degli anziani, degli ammalati, dei più poveri ed emarginati. Lo scambio d’amore con loro, ne sono certo, è ancor oggi prezioso alimento per l’operosità dei mondi che hanno fatto e fanno grande Milano: dalla scuola all’università, dal lavoro all’economia, alla politica, al mondo della comunicazione e dell’editoria, alla cultura, all’arte, alla magnanima condivisione sociale…
Un augurio particolare voglio rivolgere alle migliaia e migliaia di persone che sono impegnate negli oratori feriali, nei campi-scuola, nelle vacanze guidate, e in special modo ai giovani che si preparano alla Giornata mondiale della Gioventù di Madrid.
Domando una preghiera speciale alle comunità monastiche.
Nel porgere a Voi tutti questo primo saluto, voglio dire il mio intenso affetto collegiale ai Cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi.
Non voglio concludere queste righe senza esprimere fin da ora la mia gratitudine a tutti i sacerdoti, primi collaboratori del Vescovo, di cui ben conosco l’ambrosiana, diuturna dedizione ecclesiale e la capillare disponibilità verso gli uomini e le donne del vasto territorio diocesano.
Mi affido all’intercessione della Madonnina che, dall’alto del Duomo, protegge il popolo ambrosiano.
In attesa di incontrarVi, nel Signore Vi benedico.



Angelo Card. Scola
Venezia, 28 giugno 2011

lunedì 20 giugno 2011

La macchina delle sberle

Che cos’hanno in comune Antonio Socci, Luigi Amicone e Maurizio Crippa? Diverse cose, tra cui l’essere - tutti e tre - cresciuti sulle orme di Don Giussani e formati al giornalismo all’interno di quell’esperienza unica nel panorama dell’informazione italiana che fu Il Sabato.
Ma tutti e tre - nel post elezioni - manifestano diverse sensibilità sul significato delle recenti votazioni, prima le amministrative poi i referendum.
La “macchina delle sberle”, come l’ha chiamata efficacemente il direttore di Avvenire Marco Tarquinio in un suo editoriale, ha fatto male non solo al duo Popolo della libertà (Pdl) e Lega ma anche a quanti - con più o meno convinzione - hanno appoggiato il centrodestra e i suoi candidati (in particolare a Milano).

UNA RIFLESSIONE SUL POST ELEZIONI. All’interno di Comunione e liberazione (Cl), il movimento ecclesiastico più esposto nelle elezioni a favore del centrodestra (anche attraverso propri candidati al Consiglio comunale) ha elaborato un documento, una riflessione sul post elezioni letto tra l’altro al termine dell’ultima scuola di comunità guidata da Don Julian Carron, il successore di Don Luigi Giussani.
Preso atto del risultato e di quanto emerso dagli incontri (non estremamente positivi) in occasione del ballottaggio, quando gli aderenti al movimento cercavano di distribuire volantini che mettevano in luce i pregi dell’ex sindaco Letizia Moratti e i difetti del candidato Giuliano Pisapia, Cl rivendica il desiderio di aver voluto anche questa volta verificare se la fede ha qualcosa da dire anche in occasione delle elezioni.

LA LIBERTÁ, UN BENE DI TUTTI. Ne è emersa la constatazione di una delusione nel riporre speranza «in una cosa inconsistente come le utopie» e a essere «meno ingenui» sul potere salvifico della politica. Perché «solo la fede rende più umana la vita ora». In ultimo, la domanda a chi è stato chiamato a governare: il desiderio di libertà che deve essere difeso come un bene per tutti. È difficile pensare che una forza politica, di qualsiasi colore, si senta di andare contro questa richiesta.
Ma tornando al trio, per il direttore di Tempi Amicone, la vittoria dei sì ai referendum «mortifica la stessa dottrina sociale della Chiesa». Il tutto in un pezzo a tutta pagina ospitato su Il Foglio. Chiarito che per Amicone è sempre importante entrare nel merito delle questioni che si trattano (anche se lo stesso Tempi aveva invitato all’astensione) motiva il perché dei suoi quattro no prendendo come alleati di pensiero - tra gli altri - Nicola Rossi e Franco Bassanini, sostenitori delle liberalizzazioni.

L'ABBAGLIO DELLE ASSOCIAZIONI. Ma dove viene l’abbaglio preso da tante associazioni religiose, da Azione cattolica alle Acli, che non hanno riconosciuto nel loro agire un fare negativo rispetto a quanto insegnato dalla dottrina sociale cattolica? Per Amicone, riguardo all’acqua in particolare, stabilire che tutto diventi pubblico è far torto al principio di sussidiarietà. Un concetto troppo abusato, buono spesso anche per condire l’insalata visto l’uso (e anche l’abuso) che se ne fa.
Ne viene una citazione delle encicliche base del magistero pontificio in ambito sociale dalla Rerum novarum alla Quadragesimo anno. Ne viene che i cattolici stessi che hanno votato con forza quattro sì si sono dati da soli una «sberla» a meno che - per Amicone - non sia «in sonno» (linguaggio massonico…) un «partito di cattolici» (così definiva lo stesso don Luigi Sturzo il Partito popolare da lui fondato, ndr) che «con l’avallo delle gerarchie ha partecipato al referendum col consapevole ma inespresso intento di dare una spallata al governo di centrodestra».

IL PERICOLO DI UN RUINISMO AL CONTRARIO. Ed ecco - riprendendo un concetto già espresso da Giuliano Ferrara in uno dei suoi editoriali su Il Foglio - il pericolo di un “ruinismo” al contrario che sembra dare vincenti «le posizioni espresse da quel variegato e per molti versi confuso, secolarizzato e protestantizzato mondo cattolico afferente al cosiddetto “cattolicesimo democratico”».
Qualche nome? Famiglia cristiana, Noi siamo Chiesa, Don Zanotelli, Vito Mancuso, Rosy Bindi, il giansenista Gustavo Zagrebelsky. Un’autentica macedonia in cui non manca, tra le altre la già citata Azione Cattolica caduta nell’errore.
La risposta, per Amicone, è che i cattolici devono darsi una scossa domandandosi se la risposta può essere quel Movimento popolare rivangato da Antonio Socci (ed eccolo giungere sul palco) e che ebbe quale esponente, come il governatore lombardo Roberto Formigoni.

Da ciellino a ciellino risponde per le righe - sulle stesse pagine - il condirettore de Il Foglio Maurizio Crippa che, pur non avendo votato ai referendum, non vede tutto il dramma agitato da Amicone.
Rispedito al mittente l’invito a un brivido d’inquietudine che mortifica cattolici e dottrina sociale della Chiesa, Crippa si dice sorpreso nell’apprendere che le aziende pubbliche (e pensa a quelle efficienti lombarde) diventino ora «sentine di satana».
Pungente, Crippa ricorda ad Amicone e ai nostalgici del Movimento popolare che non li ha mai sentiti stracciarsi le vesti per la palese contraddizione con la Dottrina sociale della Chiesa o non ha mai registrato dimissioni in massa dai consigli d'amministrazione per la mancanza di sussidiarietà. E via con l’altro affondo: sono sussidiarie le ferrovie di Luca Cordero di Montezemolo concorrenti con quelle dello Stato oppure una centrale nucleare?

NON USARE DOTTRINA PER INTERESSI PRIVATI. L’invito è a lasciare stare e non usare la dottrina sociale per difendere interessi privati perché - Crippa docet - «non essendo materie non negoziabili, chiunque può pensarla e votare un po’ come cavolo gli pare».
Crippa riconosce ad Amicone che il voto è stato caricato di una valenza contro Silvio Berlusconi ma pur essendo opinabile è più che accettabile. Altro che oltraggio alla dottrina.
Ed ecco l’ulteriore carico in risposta ad Amicone: «Forse ti converrebbe guardare le performance grottesche, a essere generosi, di questo governo sul testamento biologico, il quoziente familiare o i familismi giovanardiani per capire a questo punto che persino qualche cattolico può legittimamente, e laicamente, domandarsi perché continuare a votarli.

LA STOCCATA A FERRARA. Boom. Colpo secco che tocca la piaga purulenta. E colpo finale con stoccata al suo stesso direttore, Giuliano Ferrara, primo apostolo del cardinale Camillo Ruini: «Quanto bene ha davvero fatto, a quella che chiami “personalità cristiana” in campo pubblico un ventennio di ruinismo a trazione berlusconiana?». Citando Lenin: che fare? Anche nulla per Crippa. Lasciamo i fantasmi del passato (vedi Movimento popolare) ai ricordi di qualche incanutito politico o ex politico.

Ma Socci su Libero non ci sta e si domanda se sia in vista una Democrazia cristiana (Dc) di ricambio rivangando un’unità politica dei cattolici anche sulla scia del neoguelfismo invocato dal rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi. Ed ecco uno sfavillio di citazioni tra Fëdor Michajlovič Dostoevskij, sant'Agostino, sino al sommo cardinale John Henry Newman, per dire che la Chiesa torni ad annunciare il fatto cristiano nella sua verità e integralità e che si torni a viverlo in ogni suo ambiente non lasciando alla sola Radio Maria l’aiuto per un giudizio cristiano sulla realtà (a dire il vero i commenti politici del celebre direttore Padre Livio Fanzaga non si sa se fanno più o meno bene a Santa Madre Chiesa. Non sono certo dottrina e tavole della legge).

LA FORZA DEI SINGOLI. Come si vede anche all’interno del mondo di Cl, le idee sul futuro politico dei cattolici non sono chiare. Quello che è certo è che la stagione d’oro dei credenti in politica fu la somma di autentiche individualità (Alcide De Gasperi, Guido Gonella, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani, Ezio Vanoni solo per ricordare qualche nome) senza movimenti alle spalle. Perché i singoli sono più forti di ogni movimento la cui preoccupazione sembra più la difesa di una rendita di posizione che la volontà di educare autenticamente alla testimonianza cristiana in politica.

fonte: Lettera 43, 20 Giugno 2011

Attorno alla nomina del nuovo Arcivescovo di Milano

“Per la Chiesa ambrosiana sarà un trauma. Se davvero Angelo Scola sarà scelto come prossimo arcivescovo di Milano, sulla diocesi più grande del mondo, l’arcidiocesi di Giovanni Battista Montini e di Carlo Maria Martini, piomberà un macigno. Non riesco a crederlo possibile: sarebbe, anche per il clero ambrosiano, uno strappo culturale e pastorale lancinante”.

Chi manifesta queste preoccupazioni, a condizione di aver garantito l’anonimato, è un personaggio che ha avuto un ruolo nella storia della diocesi di Milano. Con lui, sono molti i preti e i laici impegnati nelle strutture ecclesiali che sono seriamente allarmati per il possibile arrivo di monsignor Scola nella curia di piazza Fontana. Sarebbe la grande rivincita: fu cacciato dalla diocesi di Milano nel 1970, tanto che dovette andare a farsi ordinare sacerdote a Teramo, e ora tornerebbe nella Chiesa di Ambrogio da trionfatore.L’attuale arcivescovo, Dionigi Tettamanzi, a settembre si ritirerà in pensione. Il candidato favorito a sostituirlo è il patriarca di Venezia Angelo Scola, che gode della fiducia di papa Benedetto XVI.

Angelo Scola nasce a Malgrate, non distante da Lecco, nel 1941. Maturità al liceo classico Manzoni di Lecco, poi laurea in filosofia all’Università Cattolica di Milano. Intanto però Angelo ha fatto l’incontro che gli cambia la vita: quello con “il Gius”, don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione. Decide, adulto, di diventare prete. Entra nel seminario diocesano milanese: un anno a Saronno, poi a Venegono, dove si compiono gli studi teologici. Ma alla vigilia dell’ordinazione, il rettore Attilio Nicora decide di “fermare” il giovane Scola.
Il seminario milanese ha una tradizione antica e prestigiosa, che risale a San Carlo Borromeo: non può tollerare che alcuni seminaristi vivano tra i chiostri silenziosi di Venegono come fossero un corpo separato, senza riconoscere davvero l’autorità dei superiori, dei professori, dei teologi, del padre spirituale, perché hanno i loro maestri, i loro superiori, i loro teologi, i loro padri spirituali. Monsignor Nicora spiega ai ciellini che non possono usare il seminario ambrosiano come fosse un taxi. Così viene bloccato Angelo Scola, ma hanno qualche difficoltà anche Massimo Camisasca, Luigi Negri, Marco Barbetta, altri pupilli di “don Gius” che obbediscono a lui e solo a lui. Cl s’incarica di trovare altre strade per far diventare prete Scola e anche gli altri faranno poi comunque carriera nella Chiesa. Il ventinovenne Angelo di Malgrate viene ordinato sacerdote il 18 luglio 1970 dal vescovo di Teramo, monsignor Abele Conigli, e poi parte per Friburgo, dove completa gli studi di teologia. Come gli altri preti ciellini vive in una sorta di extraterritorialità, fuori dalla diocesi, tanto che nel 1976, quando partecipa al primo convegno ecclesiale organizzato dalla Cei su “Evangelizzazione e promozione umana”, nel programma viene indicato come proveniente da Caserta. Per capire la sua espulsione di fatto dal seminario maggiore ambrosiano, bisogna ricordare che cosa stava succedendo in quegli anni a Milano. Il gruppo di Giussani aveva occupato il settore giovanile dell’Azione cattolica ambrosiana, con grande imbarazzo del presidente, Livio Zambrini. Negli anni Sessanta, “il Gius” conquista Gioventù studentesca, “movimento d’ambiente” dell’Azione cattolica nelle scuole, trasformandola nel nucleo da cui nasce prima Undicesima ora, poi Comunione e liberazione. Con sapiente “entrismo”, colonizza il Settore giovani dell’Azione cattolica ambrosiana, ai cui vertici impone i ciellini Massimo Camisasca e Piera Bagattini. Angelo Scola era intanto diventato presidente della Fuci, l’organizzazione degli universitari cattolici. La campagna di conquista s’interrompe nel 1972.

L’assistente diocesano di Azione cattolica, don Antonio Barone, fiancheggiato dai giovani don Giovanni Giudici e don Erminio De Scalzi, va dal cardinale arcivescovo, monsignor Giovanni Colombo, e fa presente che la situazione non è più tollerabile. Si è insediata a Milano una Chiesa “parallela”, che risponde non al vescovo e ai preti e laici che hanno cariche formali, ma soltanto alla gerarchia invisibile di don Giussani. Il cardinale, dopo qualche tentennamento, interviene. Camisasca e Bagattini sono costretti a dare le dimissioni, sostituiti da Giorgio Vecchio e Antonietta Carniel. Ma “Don Gius” e i suoi non si danno per vinti. Spostano la guerra a Roma. Ottenendo importanti riconoscimenti prima da Giovanni Paolo II e ora da papa Ratzinger. Una sorte beffarda ha già voluto che Scola diventasse cardinale nel concistoro del 21 ottobre 2003, lo stesso che ha concesso la porpora anche ad Attilio Nicora, il rettore che lo cacciò da Milano. Ora, se arriverà nella diocesi ambrosiana come arcivescovo, la sua rivincita sarà completa.

Il fatto quotidiano, 19 giugno 2011

domenica 12 giugno 2011

L'emozione della libertà

E' quella che sta sorgendo nel Paese, nonostante lo strapotere delle oligarchie e gli eccessi di arroganza dei cosiddetti "moderati"


E questa emozione non resta effimera, fine a se stessa. Perche' invece e' l'impulso del risveglio che porta a scoprire la passione per la democrazia. Precisamente quella passione che moltissimi - ormai la maggioranza dei cittadini oggi in Italia - vogliono esprimere affermando il loro "si'" all'abrogazione delle norme che hanno stabilito il ritorno all'energia nucleare, la privatizzazione dell'acqua e il 'legittimo impedimento' per i governanti a partecipare ai processi che li vedono imputati.

A suo modo il governo Berlusconi ha colto quanto sia pericolosa questa emozione, ammettendo apertamente che il provvedimento emanato apposta per "sospendere" la decisione sul nucleare serve, dopo la catastrofe di Fukushima, per impedire ai cittadini di votare. Il loro infatti, secondo il governo, sarebbe solo un "voto emotivo". In un certo senso, molto diverso da quello inteso dalla destra al potere.

E' vero: i referendum hanno finalmente diffuso nel Paese la sensazione che si possa cambiare, che i cittadini possano contare intanto per fermare i progetti piu' deliranti. Questa percezione e' decisiva: l'iniquita', che sembra vincente e insuperabile, in verita' non e' necessaria, puo' essere sconfitta.

Sorge da qui l'emozione della liberta', che si dispiega divenendo passione, ma anche esercizio di intelligenza e di creativita' civile.

Se proviamo a chiederci quale sia lo stesso filo che lega chi - in rapporto al nucleare, all' acqua e all'eguaglianza di tutti dinanzi alla legge - si colloca sul versante opposto alla tutela del bene comune su questioni cosi' essenziali, non e' difficile capire che questo unico filo di collegamento e' dato dall'avidita'.

Il gelo del cuore chiuso dall'avidita' e' infatti riconoscibile chiaramente alla radice del desiderio perverso di fare affari gettando il Paese contemporaneamente nella trappola del nucleare, nell'assurda privatizzazione di un bene naturale e universale come l'acqua, nonche' nella pretesa di monopolizzare il potere esecutivo del governo ponendolo al di sopra di ogni legge.

Se la democrazia fosse immaginabile come un albero, provvedimenti del genere somiglierebbero a letali colpi di scure.

Basta pensare all'entita' della posta in gioco per comprendere che non si tratta affatto di questioni settoriali.
Sono invece nodi cruciali per la qualita' della convivenza civile, per poter stabilire se essa e' fondata sulla prepotenza oppure sulla giustizia, sulla passione per il bene comune o sul bisogno patologico di accaparrarsi ogni possibile profitto in termini di denaro e di potere. Il paternalismo in malafede di chi denuncia con disprezzo l'eventualita' del "voto emotivo", facendo di tutto per sabotare la consultazione democratica dei referendum, non ha dalla sua uno straccio di argomentazione razionale su nessuno dei quesiti referendari.

Il ricorso all'energia nucleare e' inaffidabile, pericoloso, incontrollabile, inadeguato da ogni punto di vista: ambientale, sanitario, tecnologico, economico, come anche sul piano della sicurezza. Li' dove governanti e amministratori locali in diverse regioni del Paese non sanno minimamente fare fronte al problema dei rifiuti, si vorrebbe far credere che invece il problema delle scorie nucleari e' facilmente risolvibile.

La trovata di privatizzare l'acqua, a sua volta, e' cosi' palesemente contraria al buon senso e alla giustizia che persino i sostenitori di questa sciagurata politica di mercificazione di ogni cosa cercano di camuffare la loro scelta, dicendo per esempio che saranno privatizzati gli acquedotti e non l'acqua. Siamo di fronte alla barbarie tipica della logica secondo cui il profitto va cercato a tutti i costi. La pretesa di impunita' e di immunita' nei confronti della legge e' il tassello che si incastra perfettamente nel quadro di questa mentalita' ostile alla democrazia.

In risposta a questo tentativo di saccheggiare l'Italia e di sottrarle definitivamente la democrazia, il voto emotivo, passionale, lucido e razionale che dice "si'" all'abrogazione delle norme sottoposte al referendum e' il primo grande atto di civilta', prima ancora che di azione politica, che puo' generare una globale inversione di tendenza.

Si tratta della svolta che portera' a isolare e sconfiggere democraticamente chi confida nella rovina della comunita' e nella passivita' dei cittadini.


Emergency: Il mondo che vogliamo

Crediamo nella eguaglianza di tutti gli esseri umani a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dalla appartenenza etnica, politica, religiosa, dalla loro condizione sociale ed economica.
 
Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati. Vogliamo un mondo basato sulla giustizia sociale, sulla solidarietà, sul rispetto reciproco, sul dialogo, su un'equa distribuzione delle risorse.
 
Vogliamo un mondo in cui i governi garantiscano l'eguaglianza di base di tutti i membri della società, il diritto a cure mediche di elevata qualità e gratuite, il diritto a una istruzione pubblica che sviluppi la persona umana e ne arricchisca le conoscenze, il diritto a una libera informazione.
 
Nel nostro Paese assistiamo invece, da molti anni, alla progressiva e sistematica demolizione di ogni principio di convivenza civile. Una gravissima deriva di barbarie è davanti ai nostri occhi.
 
In nome delle "alleanze internazionali", la classe politica italiana ha scelto la guerra e l'aggressione di altri Paesi.
 
In nome della "libertà", la classe politica italiana ha scelto la guerra contro i propri cittadini costruendo un sistema di privilegi, basato sull'esclusione e sulla discriminazione, un sistema di arrogante prevaricazione, di ordinaria corruzione.
 
In nome della "sicurezza", la classe politica italiana ha scelto la guerra contro chi è venuto in Italia per sopravvivere, incitando all'odio e al razzismo.
 
È questa una democrazia? Solo perché include tecniche elettorali di rappresentatività? Basta che in un Paese si voti perché lo si possa definire "democratico"?
 
Noi consideriamo democratico un sistema politico che lavori per il bene comune privilegiando nel proprio agire i bisogni dei meno abbienti e dei gruppi sociali più deboli, per migliorarne le condizioni di vita, perché si possa essere una società di cittadini.
 
È questo il mondo che vogliamo. Per noi, per tutti noi. Un mondo di eguaglianza.

manifesto approvato nel settembre 2010

lunedì 6 giugno 2011

In ricordo di Bob Kennedy a 43 anni dalla morte

In questo giorno, 43 anni fa, nel mezzo della lotta nazionale per realizzare le promesse di giustizia e uguaglianza, abbiamo perso Robert F. Kennedy.

Oggi onoriamo la sua memoria sostenendo gli eroi che dedicano le proprie vite alla ricerca di giustizia mettendole a grande rischio per gli altri.

Abel Barrera Hernández, vincitore del Premio RFK per i Diritti Umani, è sotto costante minaccia di morte perché osa opporsi alla polizia, all’esercito e agli agenti governativi per conto delle popolazioni indigene nello Stato messicano di Guerrero.

Nonostante le differenze di epoca storica, di paese e di lingua, questi due uomini sono uniti dal comune, profondo impegno per il progresso della giustizia e della tutela dei diritti umani.

Come Attorney general (ministro della Giustizia), Robert Kennedy si adoperò affinché il governo federale sostenesse il Movimento per i diritti civili. Inviò agenti federali a protezione dei Freedom Riders e truppe federali all’università del Mississipi per garantire l’integrazione degli studenti afro-americani. Inviò la Guardia Nazionale quando una banda di 3.000 suprematisti bianchi circondò la First Baptist Church, urlando epiteti razzisti e minacciando di bruciare la chiesa mentre 1.000 uomini, donne e bambini afro-americani vi pregavano dentro.

Non lo fece perché era conveniente politicamente. John Kennedy aveva vinto le elezioni con un margine minimo, e RFK sapeva che il sostegno ai diritti civili poteva costare al fratello la ri-elezione.

Non lo fece perché c’era un precedente sostegno del governo federale al Movimento per i diritti civili. Era dai tempi della Guerra Civile che un Attorney general non si allineava con i neri che reclamavano i loro diritti.

Lo fece perché era la cosa giusta da fare.
A quanto ne so, non c’è mai stato un ministro della Giustizia che ha preso una posizione di principio in un caso di tale portata sociale, mettendo a rischio la ri-elezione di un presidente in carica. Nonostante il pericolo, disse la verità al potere (spoke truth to power), e trasformò il paese.

Oggi, il Messico affronta la propria crisi sociale, con le comunità indigene, affette da estrema povertà, assediate dai narco-trafficanti e dalla grande ingerenza dell’esercito, che reclamano i propri diritti.

Abel e la sua organizzazione, il Tlachinollan Center for Human Rights in the Montaña (Tlachinollan), sono alla guida di un movimento dinamico, indigeno, civile e a sostegno dei diritti umani nella città di Ayutla de los Libres.

Lo Stato di Guerrero potrebbe essere l’Alabama del Messico, e la città di Ayutla la sua Birmingham – il centro della battaglia. Persone delle comunità indigene Eleven Na Savi e Me’phaa sono state assassinate dall’esercito messicano tredici anni fa domani, il 7 giugno.

Nel 2002, le forze militari messicane hanno stuprato Ines e Valentina, due donne indigene. Quando due coraggiosi leader indigeni, Raul Lucas e Manuel Ponce, hanno documentato e riferito dei sequestri, sono stati uccisi nel 2009. Abel e i suoi colleghi al Tlachinollan hanno chiuso il loro ufficio in seguito agli omicidi.

Ora, due anni dopo, il 16 giugno, Abel e i suoi colleghi si sono impegnati a riaprire l’ufficio del Tlachinollan ad Ayutla, con una cerimonia per dare maggiore rilevanza all’evento.

Quando ufficiali statali e locali hanno sfidato la Costituzione, Robert Kennedy portò il potere del governo federale in aiuto agli attivisti dei diritti civili. Oggi, noi nella comunità internazionale abbiamo il dovere di portare il potere della legge internazionale in soccorso di Abel e del Tlachinollan. Dobbiamo fare pressioni sul Messico affinché si adegui ai requisiti base per i diritti umani previsti dagli accordi di assistenza, come la Merida Initiative, e porre termine al flusso di aiuti, se necessario. Dobbiamo premere affinché il Messico sottostia agli ordini della Corte Inter-Americana per i Diritti Umani, che richiedono l’implementazione delle misure protettive per Abel e altri difensori indigeni dei diritti umani nel Guerrero, e il trasferimento dei casi di abuso da parte dell’esercito al di fuori della giurisdizione militare.

Tutto lo staff del Tlachinollan e i difensori indigeni dei diritti umani della regione Costa-Montaña mettono a repentaglio la propria vita perché chiunque possa riportare un abuso, denunciare crimini e trovare giustizia. Senza questi difensori dei diritti umani e il loro accompagnamento di vittime e sopravvissuti, la giustizia nello stato del Guerrero non avrebbe alcuna possibilità. Per noi negli Stati Uniti, dobbiamo essere consapevoli del fatto che tutte le riforme nazionali in Messico e tutta l’assistenza degli Usa sarebbero futili se non sosteniamo i movimenti sul campo per i diritti civili e umani.

Come disse Robert Kennedy: “Dobbiamo riconoscere la piena eguaglianza di tutte le persone – davanti a Dio, davanti alla legge, e per i governi. Non dobbiamo fare questo perché è economicamente vantaggioso – sebbene lo sia; non perché la legge di Dio e degli uomini lo comanda – sebbene lo facciano; non perché popoli di altri paesi se lo augurano. Dobbiamo farlo per la semplice e fondamentale ragione che questa è la cosa giusta da fare”.

di Kerry Kennedy
Presidente del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights
Presidente Onorario della Robert F. Kennedy Foundation of Europe

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...