domenica 31 luglio 2011

Egitto: a sei mesi dalla rivoluzione

Piazza Tahrir invasa da migliaia di manifestanti per la sharia

«L’Islam è l’identità dell’Egitto, il suo passato e il suo futuro» , si leggeva su un enorme manifesto in Piazza Tahrir al Cairo. «Gli Stati secolari e socialisti hanno fallito in Turchia e in Russia. Vogliamo uno Stato islamico che applichi la legge di Dio» , diceva un manifestante, mentre un altro gridava: «Dio ha fatto la rivoluzione» . 

Sei mesi dopo l’insurrezione popolare che ha rovesciato il presidente Hosni Mubarak, il 29 luglio la piazza simbolo della rivolta è stata inondata da una delle più grandi manifestazioni islamiche nella storia dell’Egitto: decine di migliaia di manifestanti con lunghe barbe e abiti conservatori — poche le donne, per lo più velate dal niqab, che lascia liberi solo gli occhi — sono giunte da tutto il Paese, molti in autobus dalle zone rurali. Al centro della piazza, accampati, c’erano i giovani— molti dei quali laici— che l’ 8 luglio sono tornati in piazza Tahrir accusando la giunta militare al potere di tradire gli ideali della rivoluzione. Si guardavano intorno: «Quante barbe...» . 

Alcuni che tentavano di gridare «vogliamo essere un Paese civile» hanno detto d’essere stati costretti a tacere.
La manifestazione, denominata «venerdì dell’unità» , è stata in realtà una evidente conferma delle divisioni crescenti nell’Egitto post-Mubarak, nonché una prova di forza da parte degli islamici. Ventotto gruppi liberali e di sinistra unitisi alla marcia dopo avere, per giorni, discusso con i partiti islamici al fine di evitare slogan che mostrassero divisioni, arrabbiati per «il tono» della protesta hanno abbandonato la piazza. C’erano i membri e simpatizzanti di vari gruppi islamici banditi sotto Mubarak, che negli ultimi mesi, hanno formato i loro partiti: dai più moderati agli ultraconservatori, dalla Fratellanza musulmana ai salafiti.

L’ascesa di questi ultimi, che seguono una interpretazione letterale del Corano e predicano il ritorno all’Islam praticato da Maometto, ha sorpreso e preoccupato molti laici. C’erano anche sostenitori del «Gruppo islamico» , responsabile di attentati contro i turisti negli anni 90, che ha
abbandonato la violenza e formato un partito politico. È stata una prova della forza degli islamici in vista delle elezioni, prima previste a settembre ma rimandate a novembre dal Consiglio supremo delle forze armate che governa il Paese dalla caduta di Mubarak l’11 febbraio.

La Fratellanza è il gruppo più organizzato in vista del voto, benché sia stato marginale durante la rivoluzione, mentre i partiti liberali e di sinistra restano divisi e deboli. E’ proprio il Partito «Libertà e Giustizia» dei Fratelli musulmani a guadagnarci di più dal 29 luglio, secondo Rania Al Malky, direttore del quotidiano Egypt Daily News: «Da una parte mostrano ai critici d’essere più moderati rispetto ai salafiti, incoraggiando così le alleanze. Dall’altra, hanno sottolineato di considerare i salafiti come potenziali partner se vengono snobbati dai liberali» . 

Al centro del braccio di ferro tra forze diverse c’è la nuova Costituzione. Ogni gruppo politico vuole influenzarne i contenuti. Poiché verrà scritta da un’assemblea costituente nominata dal nuovo parlamento (lo ha deciso un referendum popolare a marzo), i liberali temono un’alleanza tra Fratellanza e altri gruppi islamici per una Costituzione in linea con la sharia

Nella Carta precedente, i principi della legge islamica venivano citati come principale fonte del diritto egiziano. La giunta militare ha nominato un comitato per formulare principi «sopracostituzionali» tesi a proteggere le libertà religiose e i diritti delle minoranze ma gli islamici accusano i liberali di sottrarre al popolo il diritto di decidere, e di voler introdurre norme
«occidentali» . Sulle linee guida, comunque, sono divisi anche i laici: il timore è che l’esercito voglia assumere un ruolo di garante della laicità simile a quello dei militari in Turchia negli anni
80 (che gli permetta anche di proteggere i propri interessi economici). Negli ultimi mesi, lo slogan della rivoluzione «l’esercito e il popolo sono una mano sola» ha ceduto il campo a proteste per la lentezza delle riforme e dei processi per punire i responsabili della repressione che fece 850 morti; per la permanenza al potere di uomini dell’era Mubarak, anche nel governo provvisorio; per i processi militari cui, nel «nuovo» Egitto, sono stati sottoposti tra i 5.000 e i 10.000 civili; e per le torture denunciate dai manifestanti anche dopo la caduta del presidente.

I problemi di povertà e disuguaglianza, che sono stati tra le ragioni della sollevazione popolare sono tutti da risolvere. Ed emergono timori sulla sicurezza del Paese. L’altro ieri, nel Sinai, un gruppo di miliziani islamici, gridando «Allah è l’unico vero Dio» , ha attaccato una stazione di polizia: sono morte 6 persone (3 agenti e 3 civili, tra cui un 13enne). Ieri, nel Nord del Sinai, un commando armato di granate ha assaltato un gasdotto che rifornisce Israele, il quinto attacco da febbraio. Si avvicina il 3 agosto, la data del processo di Mubarak, dei suoi figli e di altri funzionari del regime.

Dall’ospedale di Sharm el-Sheikh dove l’ex raìs è ricoverato da aprile, giungono notizie sulla sua cagionevole salute. Una settimana fa pareva non mangiasse più. Ora è «stabile ma depresso» . Intanto il futuro del nuovo Egitto resta avvolto nell’incertezza.

Corriere della Sera, 31 luglio 2011

martedì 26 luglio 2011

due facce della stessa medaglia

Milano, 23 luglio 2011 –  Il movimento politico Io amo l’Italia, fondato e presieduto dall’europarlamentare Magdi Cristiano Allam, condanna fermamente e totalmente la duplice strage di Oslo e Utoya che ha provocato il massacro di oltre 90 cittadini norvegesi e ha fatto precipitare in un devastante lutto l’intera nazione della Norvegia.

Io amo l’Italia si stringe in un abbraccio fraterno al popolo norvegese chiarendo che non vi può essere nessuna giustificazione e nessuna attenuante per il terrorismo di qualsivoglia risma che viola la sacralità della vita di tutti, perseguendo l’imposizione del proprio potere attraverso l’uso della violenza.
Io amo l’Italia condanna pertanto sia il terrorismo islamico sia quello neonazista che si fondano sulla supremazia della religione o della razza. Evidenziando tuttavia che il cristianesimo come fede non ha nulla a che spartire con l’ideologia dell’odio, della violenza e della morte. Mentre gli islamici che uccidono gli “infedeli” sono legittimati da ciò che ha ordinato loro Allah nel Corano e da quanto ha fatto Maometto, i cristiani che uccidono per qualsivoglia ragione lo fanno in flagrante contrasto con ciò che è scritto nei Vangeli e ciò che ha predicato Gesù.
Io amo l’Italia mette in guardia dalla deriva del multiculturalismo. La Norvegia, al pari della Svezia, Gran Bretagna, Olanda e Germania, predica e pratica l’ideologia del multiculturalismo, concependo che l’accoglienza degli immigrati e più in generale il rapporto con il mondo della globalizzazione debbano portare ad un cambiamento radicale della nostra civiltà, fino a vergognarci delle nostre radici giudaico-cristiane, a negare i valori non negoziabili, a tradire la nostra identità cristiana, ad anteporre l’amore per il prossimo alla salvaguardia dei legittimi interessi nazionali della popolazione autoctona, al punto da elargire a piene mani agli stranieri diritti e libertà senza chiedere loro l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole.
Io amo l’Italia pertanto, nel condannare totalmente, senza riconoscere alcuna giustificazione e senza concedere alcuna attenuante a qualsiasi forma di terrorismo, compreso il terrorismo neonazista, ammonisce che il multiculturalismo è il terreno di coltura di un’ideologia razzista che fa proseliti tra quanti hanno la sensazione di non risiedere più a casa loro, che presto si ridurranno ad essere minoranza e forse ad esserne allontanati.
Io amo l’Italia denuncia il fatto che multiculturalismo e razzismo sono due facce della stessa medaglia e lancia un appello alla mobilitazione per sconfiggere questo razzismo ponendo fine alla fallimentare esperienza dell’ideologia del multiculturalismo.
Ufficio stampa Movimento "Io amo l'Italia"

La nostra condanna è netta e totale della doppia strage che ha massacrato oltre 90 norvegesi e ha fatto sprofondare in un devastante lutto un’intera nazione. Nessuna giustificazione e nessuna attenuante per il terrorismo di qualsivoglia risma che viola la sacralità della vita di tutti, perseguendo l’imposizione del proprio potere attraverso l’uso della violenza.
Nell’attesa che le indagini degli inquirenti norvegesi facciano emergere le ragioni che hanno mosso le menti crudeli degli autori degli efferati crimini, sin d’ora possiamo confrontarci ed eventualmente condividere due riflessioni sulla matrice e sulla causa di fondo di questi barbari attentati.
Non sappiamo ancora se entrambi gli attentati di Oslo e Utoya abbiano la stessa matrice, se siano stati entrambi perpetrati dagli stessi terroristi. L’unica certezza è l’arresto di un trentaduenne norvegese, Anders Behrin Breivik, qualificato come un “fondamentalista cristiano”, che travestito da poliziotto ha commesso lo sconvolgente massacro di oltre 80 persone sull’isola di Utoya. In precedenza la potente esplosione che ha devastato il quartiere governativo nel centro di Oslo era stata rivendicata dai sedicenti Ansar al Jihad al Alami (Seguaci della Guerra santa islamica globale).
Ammettiamolo: in un primo tempo quando la pista islamica sembrava avvalorata, tutti ci sentivamo come rincuorati, probabilmente perché condividiamo la consapevolezza che questo genere di odiosi crimini contro l’umanità appartiene quasi naturalmente a dei fanatici votati ad imporre con la forza ovunque nel mondo la sottomissione ad Allah e la devozione a Maometto. Mentre quando è stato arrestato e abbiamo visto il volto di un norvegese che sulla propria pagina di Facebook si presenta come “conservatore, di fede cristiana, ama la musica classica e i videogiochi di guerra”, siamo stati come colti dal panico. Perché per noi il cristianesimo che s’ispira a Gesù, il Dio che si è fatto uomo e ha donato la propria vita per redimere l’umanità dal peccato, è inconciliabile con la pratica della violenza finalizzata ad uccidere il prossimo, indipendentemente dalla diversità di etnia, fede, ideologia o cultura.
La verità è che sia il terrorismo islamico sia quello neonazista, si fondano sulla supremazia della razza o della religione, nel caso di Anders Behrin Breivik indicata come “cristiana”, si equivalgono nella loro divisione faziosa dell’umanità dove loro, detentori di una verità assoluta che deve essere imposta con la forza, condividono sia il principio che chi non la pensa come loro non ha diritto ad esistere sia la pratica della violenza per la realizzazione dei loro obiettivi. La differenza sostanziale è che mentre gli islamici che uccidono gli “infedeli” sono legittimati da ciò che ha ordinato loro Allah nel Corano e da quanto ha fatto Maometto, i cristiani che uccidono per qualsivoglia ragione lo fanno in flagrante contrasto con ciò che è scritto nei Vangeli e ciò che ha predicato Gesù.
Quanto alla causa di fondo di questi barbari attentati, essa risiede nell’ideologia del razzismo che, nel caso specifico dell’Occidente che s’ispira alla fede cristiana, è l’altra faccia della medaglia del multiculturalismo. Razzismo e multiculturalismo commettono l’errore di sovrapporre la dimensione della religione o delle idee con la dimensione della persona. L’ideologia del razzismo si fonda sulla tesi che dalla condanna della religione o delle idee altrui si debba procedere alla condanna di tutti coloro che a vario titolo fanno riferimento a quella religione o a quelle idee. Viceversa l’ideologia del multiculturalismo è la trasposizione in ambito sociale del relativismo che si fonda sulla tesi che per amare il prossimo si debba sposare la sua religione o le sue idee, mettendo sullo stesso piano tutte le religioni, culture, valori, e culminando appunto nel multiculturalismo, ossia nell’immaginare che la civile convivenza possa realizzarsi senza un comune collante valoriale e identitario.
La Norvegia, al pari della Svezia, Gran Bretagna, Olanda e Germania, predicano e praticano l’ideologia del multiculturalismo, concependo che l’accoglienza degli immigrati e più in generale il rapporto con il mondo della globalizzazione debbano portare ad un cambiamento radicale della nostra civiltà, fino a vergognarci delle nostre radici giudaico-cristiane, a negare i valori non negoziabili, a tradire la nostra identità cristiana, ad anteporre l’amore per il prossimo alla salvaguardia dei legittimi interessi nazionali della popolazione autoctona, al punto da elargire a piene mani agli stranieri diritti e libertà senza chiedere loro l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole.
Il razzismo che esplode nel contesto del multiculturalismo procede in senso letteralmente opposto, emergendo come una brutale e irrazionale reazione, assolutamente ingiustificabile e inaccettabile, da parte di chi arriva a legittimare il massacro di tutti coloro che vengono condannati in quanto responsabili della perdita della nostra civiltà che, piaccia o meno, si fonda sulla fede, identità, valori, cultura e tradizione cristiana.
Noi condanniamo totalmente, non riconosciamo alcuna giustificazione e non concediamo alcuna attenuante a qualsiasi forma di terrorismo, compreso il terrorismo neonazista che si fonda sulla negazione del diritto alla vita del prossimo e sulla legittimazione del massacro di coloro che non la pensano come loro. Al tempo stesso ammoniamo che il multiculturalismo è il terreno di coltura di un’ideologia razzista che fa proseliti tra quanti hanno la sensazione di non risiedere più a casa loro, che presto si ridurranno ad essere minoranza e forse ad esserne allontanati. Ecco perché multiculturalismo e razzismo sono di fatto due facce della stessa medaglia. La mia conclusione? Se vogliamo sconfiggere questo razzismo dobbiamo porre fine al multiculturalismo.
Magdi Cristiano Allam

Borghezio sulle stragi di Oslo e Utoya

L'europarlamentare euroscettico ha scavato nel suo passato di estrema destra, neofascista e xenofobo e ha tirato fuori questa dichiarazione: «Molte idee di Anders Behring Breivik sono buone, alcune ottime. È stato strumentalizzato. È per colpa dell'invasione degli immigrati se poi sono sfociate nella violenza».
È quanto è riuscito a dire il leghista Mario Borghezio, che il 25 luglio durante la trasmissione La zanzara di Radio24 ha provato a giustificare l'assassino terrorista norvegese delle stragi di Oslo e Utoya, ritenuto dal suo stesso legale «un folle che non mostra segni di pietà».
Per l'esponente padano «è la nemesi storica del buonismo assurdo e demenziale di certa sinistra e non solo. Questi sono i capolavori della società aperta che fa girare la polizia senza armi e poi condanna uno stragista a 21 anni. Le strade del buonismo portano all'inferno».

L'UMANITÀ DI MARIO. Quindi le vittime se la sarebbero cercata? «Se l'è cercata quella parte dei norvegesi... ora non è il caso di parlare dei socialisti, perché ne hanno ammazzati 90 e trattandosi di giovani, per di più pacifici, è particolarmente doloroso, ci vuole un minimo di umanità». Anche Borghezio è umano, quindi.

«IN TANTI LA PENSANO COSÌ». Però le idee di Breivik non sono da buttare perché la società aperta «non è il Paradiso terrestre». Borghezio ha spiegato: «Ho ritrovato nelle posizioni espresse da Breivik molti temi che sono comuni a movimenti che ormai vincono le elezioni ogni volta che si vota e prendono il 20% il che vuol dire che 100 milioni di europei la pensano così».
Insomma «alcune delle idee espresse da Breivik, al netto della violenza, sono in qualche caso ottime. Io penso che la difesa dell'Europa cristiana, anche in termini di crociata contro l'islamismo e il terrorismo, contro il progetto del Califfato in Europa, è sacrosanta», ha aggiunto ricordando le posizioni della Fallaci.
Boom, bufera politica scatenata all'istante.

La giustificazione: «Bisogna difendere i cristiani, questo il mio messaggio»



A polverone già sollevato, è stato lo stesso Borghezio a tornare sull'argomento il 26 luglio parlando alla romana Radio Ies: «Sono intervenuto perché ho avuto come l'impressione che questa strage sia servita a qualcosa. Io non penso che lo squilibrato abbia agito con queste finalità, ma chiediamoci: come è possibile che uno così noto alla autorità possa girare così? Se noi facciamo due più due e capiamo che questa strage viene utilizzata per condannare posizioni come quelle di Oriana Fallaci, io non ci sto».

IN DIFESA DEI CRISTIANI. Borghezio ha poi detto: «Non sono nella testa nello squilibrato di Oslo, ma i cristiani non devono essere bestie da sacrificare. Dobbiamo difenderli, questo è il mio messaggio. Ovviamente non con le modalità dallo squilibrato di Oslo, ma vanno difesi», ha aggiunto.

LO SFOGO CONTRO ROMA. Il leghista ha poi spiegato il suo rapporto con Roma e con l'Italia: «Io rappresento la Padania in Europa, non rappresento l'Italia. Sono secessionista, sono sempre stato votato solo da padani e in liste padane. Mi sento italiano? Mi sento padano, ma ho la carta d'identità italiana e rispettoso delle leggi della Repubblica italiana. Io sono contro quelli che magnano a Roma. Io a Roma ce magno? Io a Roma ce magno molto poco perché ci vado poco e malvolentieri. Le poche volte che ci vado cerco di starci poco. Ma tanta gente di Roma mi chiede di creare sezioni padane a Roma! Mi hanno candidato a Roma, ho cercato di nasconderlo. Senza distribuire un santino ho preso 1100 voti. Io non odio i romani, che sono bravissima gente, odio la politica romana!».

Donadi (Idv): «Bossi condanni i deliri di Borghezio»


Il presidente del gruppo Italia dei valori alla Camera Massimo Donadi ha commentato indignato: «Se c'è qualcuno di buon senso nella Lega ha il dovere di intervenire per fermare i deliri carichi di violenza, d'odio e di fondamentalismo di Borghezio. Parole che non meritano alcun commento, solo una ferma e unanime condanna».

«PAROLE IGNOBILI». Per Donadi «il leader della Lega Umberto Bossi ed il ministro dell'Interno Roberto Maroni hanno il dovere di condannare immediatamente le sconcertanti dichiarazioni dell'europarlamentare leghista. Di fronte al massacro di Oslo il silenzio verso parole così ignobili è colpevole, indegno di una forza che siede nel parlamento italiano e al governo del Paese».

PDCI: «È DA RICOVERO». Alessandro Pignatiello, coordinatore della segreteria nazionale del Pdci-Federazione della sinistra, non ha usato mezzi termini per commentare: «Borghezio? Da ricovero. Le sue sono intollerabili affermazioni. Un personaggio del genere, che fa simili dichiarazioni andrebbe perseguito, come minimo, per 'istigazione alla violenza' da mezzo mondo. D'altronde basta andare su Wikipedia per capire chi è Borghezio e quante ne ha fatte 'l'onorevole'...».
Quindi una domanda: «Borghezio alimenta odio e provoca disgusto. Ci chiediamo ancora una volta come può un partito che ospita simili personaggi governare il nostro Paese?».

Pd e Idv: «Oltrepassato il limite, ora dimissioni»



Di fronte a certe frasi la prima reazione è stata quella di prendere subito le distanze: «Le dichiarazioni dell'eurodeputato Mario Borghezio sono il segno che si sta oltrepassando la linea rossa non solo della democrazia, ma anche della civiltà. Esse sono anche il sigillo di una politica che da anni calpesta i valori fondamentali della nostra società, con conseguenze sempre più imprevedibili». Così hanno commentato, in una nota, i capidelegazione al Parlamento europeo David Sassoli (Pd) e Niccolò Rinaldi (Idv).
POPOLO NORVEGESE OFFESO. Nella nota si legge: «Borghezio è un'esponente della maggioranza, si esponga con tali dichiarazioni apologetiche di uno dei più crudeli atti di terrorismo è una vergogna per tutti noi. Inoltre il ruolo europeo di Borghezio costituisce un'onta per le istituzioni Ue, con parole e pensieri che rappresentano una profonda offesa alla sofferenza e alla dignità del popolo norvegese. Una maggioranza e un partito che si rispettino non dovrebbero esitare un attimo per chiedere a Borghezio le sue dimissioni».

Persino la Lega lo scarica: «Solo farneticazioni»


Nemmeno dal suo stesso partito Borghezio ha trovato solidarietà: «Le considerazioni espresse dall'onorevole Mario Borghezio rispetto alle idee del folle criminale responsabile della terribile strage di Oslo sono da ritenersi assolutamente espresse a titolo personale e da valutare come delle farneticazioni», ha affermato seccamente in una nota il ministro per la Semplificazione normativa e coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord, Roberto Calderoli.

LE SCUSE UFFICIALI. Di più: «La Lega Nord ha ufficialmente chiesto scusa alla Norvegia, già così duramente colpita dai folli attentati di venerdì scorso, e soprattutto ai familiari delle vittime, per le terribili e inqualificabili considerazioni espresse a titolo personale dall'onorevole Mario Borghezio, considerazioni che ho già definito come farneticazioni e che ribadisco essere tali», ha aggiunto Calderoli.
MARONI SOTTOSCRIVE. Identico parere per il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che un'audizione presso il Comitato d'indagine sull'antisemitismo della Camera ha detto, lapidario: «Condivido in pieno il commento del ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli».
I LEGHISTI VENETI SI DISSOCIANO. Anche i deputati della Lega Nord Veneto hanno preso le distanze con una secca comunicazione: «Ci dissociamo dalle dichiarazioni fatte dall'Eurodeputato Mario Borghezio riguardanti la strage di Oslo».
I SENATORI LEGA: «LASCI STARE LA FALLACI». Sulla stessa lunghezza i senatori padani Alberto Filippi, Sergio Divina, Massimo Garavaglia, Fazio Rizzi, Gianvittore Vaccari ed Enrico Montani: «Quello che è successo ad Oslo è agghiacciante. Riteniamo le farneticanti dichiarazioni di Mario Borghezio assolutamente da respingere al mittente», è quanto si legge in una nota congiunta, che così prosegue: «Borghezio lasci in pace la Fallaci che si sta rivoltando nella tomba. Un conto è, come affermava la scrittrice, fermare l'invasione islamica, altro è appoggiare le idee di un pazzo criminale che ha provocato questa strage. La Fallaci, che Bossi quando fondò la Lega non si sognò di chiamare al tavolo intervistò Pol Pot, ma condannò il genocidio dei Khmer Rossi».

GIOVANARDI (PDL): «BOSSI LO CACCI». Pure Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è intervenuto sull'argomento: «Nella vana speranza di vedere Mario Borghezio dimettersi da parlamentare europeo e vergognarsi delle sue deliranti affermazioni, è troppo chiedere agli amici della Lega la sua espulsione dal movimento per indegnità?».
Quindi, «All'amico Bossi, conoscendone la lealtà e il senso di umanità che lo hanno sempre contraddistinto, rivolgo una sincera preghiera perché non distrugga quello che ha costruito facendo credere al mondo intero che la Lega tolleri al suo interno la presenza di personaggi come Borghezio».


Lettera 43, 26 Luglio 2011


Il diario di Anders Breivik

Ecco come il killer di Oslo si è preparato alla strage
Gli stralci dalle 1500 pagine requisite dalla polizia

La base economica
Ho bisogno di accumulare un capitale di base. Il piano A è raggiungere i 3 milioni di euro, così da stabilire una piattaforma organizzativa paneuropea... Ho venduto alcuni oggetti di valore che possedevo nella mia vita precedente. Si tratta di un servizio da cena completo (formato da 40 pezzi) Versace-Rosenthal, del valore approssimativo di 5.000 euro... So che dovrei vendere il mio Breitling Crosswind (orologio di lusso, ndr): vale 7.000 euro, ma il valore affettivo mi ha impedito di farlo fino ad ora. Ho ancora un’ampia collezione di vini, raccolti nel corso degli anni. Diverse bottiglie sono di vino rosso del 1979 e potrebbero valere una fortuna. Ho venduto agli amici alcuni dei miei quadri.
Vino ed escort di lusso
Ho in riserva 3 bottiglie di Château Kirwan 1979, un vino rosso francese, che ho comprato 10 anni fa a un’asta per stapparle in un’occasione davvero speciale. Ho deciso di riservare l’ultima bottiglia alla celebrazione del mio martirio, e gustarla con due prostitute di alta classe che ingaggerò prima della missione. La mia interpretazione di come essere un «perfetto cavaliere» non include il celibato, anche se alcuni cavalieri templari potrebbero non essere d’accordo... I maschi sono imperfetti per via dei loro bisogni fisiologici, e tuttavia spassarsela al di fuori del matrimonio è un peccato relativamente piccolo se confrontato con l’immensa quantità di grazia che io sto per generare con la mia missione di martire.

                      
Lampade e make up
Il Cavaliere della Giustizia entrerà nella storia come uno degli individui più importanti della sua epoca. È necessario, quindi, presentarsi nelle migliori condizioni possibili e produrre materiale comunicativo di alta qualità prima dell’operazione. La preparazione di una sessione fotografica non può prescindere dalla cura dell’aspetto fin nei minimi dettagli. Consiglio di tagliare barba e capelli, sottoporsi a diverse sedute di lampade solari e a un intenso allenamento per (almeno) i sette giorni precedenti le foto. Sarebbe utile recarsi in un salone di bellezza per uomo e applicare un leggero make up, oltre che indossare gli abiti migliori. Anche se ciò sembra assurdo per grandi guerrieri come noi, dobbiamo essere al meglio.
Steroidi ed efedrina
Non riesco a immaginare quale sarà il mio stato d’animo durante l’operazione. Probabilmente scatterà durante un ciclo di steroidi e, per di più, sotto l’effetto di efedrina. In questo modo cresceranno di almeno il 50-60% (forse il 100%) aggressività, prestazioni fisiche e concentrazione mentale. L’iPod al massimo volume mi aiuterà a sopprimere la paura, se necessario... Ho un corpo più o meno perfetto. Sono felice, il mio morale è al massimo per come le cose procedono. Ho iniziato un nuovo ciclo di steroidi per accrescere la massa muscolare: spero di superare gli attuali 90 kg e arrivare a 100, o almeno a 95. La mia psiche è estremamente forte, più forte di chiunque io abbia mai conosciuto.
Proiettili alla nicotina
Ho ordinato 50 ml di nicotina pura al 99% da un fornitore cinese online: 3-4 gocce iniettate in un proiettile lo trasformeranno in un’arma chimica letale. Sono molto preoccupato per eventuali problemi doganali, visto che la nicotina pura è considerata una sostanza illegale. Nel peggiore dei casi, un doganiere apre il pacchetto, versa poche gocce della sostanza sulla sua pelle e muore. Il giorno dopo mi troverò una squadra Swat al gran completo che mi serve panini alla porta... Comunque, ho dato specifiche istruzioni al fornitore cinese affinché spedisca il pacchetto tramite corriere a nome della mia società, con precauzioni particolari e classificandolo come sostanza chimica.
Prego Dio per la missione
Oggi, per la prima volta, ho pregato molto. Ho spiegato a Dio che, a meno che non voglia vedere l’alleanza marxista islamica e alcuni islamici d’Europa distruggere la cristianità europea nei prossimi cento anni, deve far sì che i guerrieri in lotta per la cristianità europea prevalgano. Deve assicurare il successo della mia missione; ispirare centinaia di rivoluzionari conservatori/nazionalisti anticomunisti e anti-islamici in tutta l’Europa... Noi conservatori rivoluzionari, in realtà, stiamo vivendo un sogno o compiendo un sacrificio? Se sentissi che qualcun altro potesse svolgere questo compito non lo farei certo io. In quel caso mi piacerebbe crearmi una famiglia e concentrarmi sulla carriera.

Corriere della Sera, 26 luglio 2011

Discorso di Benedetto XVI all'Università di Ratisbona. 12 settembre 2006.

Illustri Signori, gentili Signore!

È per me un momento emozionante stare ancora una volta sulla cattedra dell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all’università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile una vera esperienza di universitas: il fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.

Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. Fu poi probabilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non le risposte dell'erudito persiano. Il dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le "tre Leggi": Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano. Vorrei toccare in questa lezione solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura del dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.

Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād (guerra santa). Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione (σὺν λόγω) è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".

L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazn si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.

Qui si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.

In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso. Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sono soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero ellenistico fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.

Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazn e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio (cfr Lat IV). Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-logos, per cui il culto cristiano è λογικὴ λατρεία – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).

Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.
   Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della dis-ellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della dis-ellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra.

La dis-ellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati fondamentali della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà.

La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della dis-ellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento. Non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di dis-ellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di ciò è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell'università: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell'insieme dell'università. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall'una o più dall'altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico o cartesiano.

Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.
Torneremo ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina "scientifica", del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.

Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della dis-ellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.

Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l’opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell’illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L’ethos della scientificità, del resto, è volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte della decisione di fondo dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze.

Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: "Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno". L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così può subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione (con il logos) è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.

sabato 23 luglio 2011

Non ci sono balene all'orizzonte

Non ci sono “balene” all’orizzonte, ma il mare si muove.
Da diversi mesi si susseguono incontri, dibattiti e iniziative all’interno del mondo cattolico italiano, che denunciano un rinnovato fermento ed una nuova attenzione al contesto politico. A tutto ciò si accompagna ovviamente lo stanco ritornello “si sta costruendo la nuova Dc”, che da molti anni si ascolta – come auspicio o come minaccia – ogni qual volta tre cattolici si incontrano fuori da una chiesa. 
Ma la realtà è più complessa e ben più interessante: associazioni, movimenti, organizzazioni sociali, economiche e sindacali di ispirazione cristiana sono davvero in movimento e fortemente interessate a dare un contributo ad uscire dalla drammatica situazione politico sociale attuale, ma le forme di questo rinnovato impegno non sono ancora compiutamente precisate.
Se, da un lato, l’invito di papa Benedetto XVI a costruire una «nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico » risuona come un appello cogente, dall’altro si scorge in questa fase uno spazio nuovo dato dalla fine ormai prossima del berlusconismo, che manifesta la crisi di un modello politico prima ancora che di una leadership.
La drammaticità del contesto sociale ed economico rende ancora più evidente la necessità che il lungo travaglio italiano abbia presto termine e che si renda disponibile una nuova proposta culturale – prima ancora che politica – capace di ridare speranza e saldo governo al paese.
Iniziative prettamente culturali ed educative – come quella promossa da Mons. Toso – danno il segno di una volontà di incidere nel futuro della politica italiana riproponendo innanzitutto la forza del pensiero e dell’elaborazione dei cattolici, secondo il tradizionale schema che vede le organizzazioni laicali luogo formativo “prepolitico”.
Passaggio importante, senza dubbio, ma che non credo sia da solo sufficiente. Altre iniziative – è il caso del i Forum dei cattolici del mondo del lavoro, che vede unite sette organizzazioni sociali cattoliche, dalla Cisl alle Acli, dalla Compagnia delle Opere a Confcooperative – propongono un manifesto “per la buona politica e per il bene comune”, evidenziando la necessità di stare dentro le grandi questioni del paese con un approccio innovativo e con spirito di unità.
Segnale di grande rilievo, senza dubbio, soprattutto se si tiene conto che i soggetti che vi contribuiscono appartengono a mondi assai diversi, dalla società all’economia e al mondo del lavoro. Infine vi sono le attività “ordinarie” della Chiesa, che hanno però manifestato nuova vitalità.
Retinopera, casa comune di tutte le associazioni e i movimenti ecclesiali, promuove convegni e confronti e sta preparando iniziative formative per l’autunno, sulla scorta delle conclusioni delle Settimane Sociali di Reggio Calabria che, passate in sordina per l’evidente disallineamento degli umori dei delegati con la politica governativa, hanno evidenziato una grande dinamicità della base cattolica. Questa si è confermata, nei mesi scorsi, nel grande movimento referendario che, per la prima volta dopo molti anni, ha visto coinvolte associazioni, parrocchie ed intere diocesi. Da qui, ritengo, si debba partire per cercare di comprendere quali sbocchi potrà avere questo fermento del laicato cattolico.
Lasciati da parte inutili e velleitari tentativi di ricostruire la Dc, ci si deve invece impegnare per rinnovare le modalità di fare politica, di partecipazione dei cittadini. Questo comporta nuove regole, a partire dalla riforma dei partiti e da una nuova legge elettorale – non è un caso che proprio su questo tema si siano pronunciate le Settimane Sociali e recentemente vi siano stati momenti di studio comune tra Acli, Azione cattolica e Agesci – ma anche un nuovo riformismo cattolico. Esauritasi la stagione politica del cattolicesimo democratico e sociale, i cattolici debbono rinnovare programmi e linguaggi, senza tradire i valori.
Associazioni e movimenti, radicati profondamente nella società, possono dare un contributo decisivo a questo tentativo. Ma i contenuti devono essere netti: partecipazione, legalità, solidarietà, sussidiarietà quattro parole cancellate nei fatti dal berlusconismo – debbono tornare al centro, senza moderatismi incomprensibili.
Solo così i cattolici potranno essere nuovamente protagonisti, non stampelle o paraventi di nessuno.

giovedì 21 luglio 2011

Manifesto per la Buona politica e per il Bene comune


ROMA, mercoledì, 20 luglio 2011 (ZENIT.org).- Martedì il Forum delle persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro ha presentato a Roma il “Manifesto per la buona politica e per il bene comune”.
Con questa iniziativa le Organizzazioni che compongono il Forum – Cisl, Confartigianato, Compagnia delle Opere, Acli, Confcooperative, Coldiretti, MCL – intendono sollecitare il mondo politico ad affrontare le questioni decisive per il Paese: porre innanzitutto la persona al centro della politica, puntare su produttività, competitività ed efficienza, sostegno alle famiglie, welfare moderno con spazio alla sussidiarietà, rinnovamento delle classi dirigenti.
Alla presentazione del Manifesto hanno preso parte il Portavoce del Forum, Natale Forlani, il Segretario della CISL Raffaele Bonanni, i Presidenti del MCL Carlo Costalli, delle ACLI Andrea Olivero, della Confcooperative Luigi Marino, della Confartigianato Giorgio Guerrini, della Compagnia delle Opere Bernhard Scholz, della Coldiretti Sergio Marini.
Natale Forlani, portavoce del Forum, ha spiegato così le ragioni del Manifesto: “Il Forum è nato due anni fa, rispondendo all’appello del Papa e dei vescovi di impegnarsi di più per il bene della nostra nazione. Ci ispiriamo ai valori della dottrina sociale della Chiesa. Siamo convinti che abbiamo davanti anni difficili, di trasformazioni radicali che ci porteranno a ripensare non solo stili di vita e di sviluppo: dobbiamo rimuovere gli ostacoli strutturali che impediscono uno sviluppo generazionale. E bisogna ricostruire partendo dal basso, contribuendo alla riforma della classe politica e dirigente”.
“Ripartire dai valori è uno dei punti cardine del Manifesto: è il tempo del fare e del partecipare, più che del protestare”, ha insistito Forlani, affrontando anche il tema dello sviluppo e del debito: in questo senso occorre “limitare i costi della politica, se pensiamo a uno Stato meno invadente e che orienti le capacità vitali del Paese. Occorre liberare risorse per sostenere giovani e famiglia: questa è la bussola che ci guida, perché siamo in una nazione vecchia. Chiediamo anche di riconoscere il ruolo sociale delle imprese, del lavoro”.
Forlani ha parlato anche dell’urgenza di “dare un’offerta formativa agli immigrati”. La prospettiva del welfare italiano, ha insistito, “è la sussidiarietà: dobbiamo mobilitare le energie sociali e noi ci mettiamo in campo per questo”. “Meno statalismo e più società non è uno slogan, ma una necessità” ha concluso Forlani, dichiarando che il Forum è favorevole “a una legge elettorale su base proporzionale”. Ed ha chiarito: “Non stiamo costruendo un partito, ma siamo un’alleanza sociale decisa a fare la sua parte e a ristrutturare la politica, profondamente scollata dalla società civile. Constatiamo che le attuali maggioranze di governo e opposizione non rappresentino le esigenze della gente; riteniamo che le rappresentanze del mondo cattolico possano mettersi in campo”.
Il percorso avviato con il Manifesto proseguirà in autunno con un seminario “per studiare insieme programmi da veicolare sulla politica; seguirà un confronto con i politici disposti a sostenere le nostre proposte”.
Da parte sua, il Presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini, ha sottolineato: “Noi non ci rassegniamo a vivere in un paese che da vent’anni non cresce e non dà prospettive ai giovani. La nostra classe politica ha dimostrato di non essere in grado di saper rimuovere gli ostacoli alla crescita con il risultato che abbiamo costi e sovrapposizioni che non hanno eguali al mondo”.
“Vogliamo che si facciano con coraggio le cose che servono – ha concluso –. Oggi c’è una scollatura totale tra gli interessi del Paese e la rappresentanza politica. Serve quindi un’assunzione di responsabilità individuale per cambiare le regole”.



 

lunedì 18 luglio 2011

Il Regno di Dio

Mons. Gerardo Rocconi commenta il Vangelo di domenica 17 luglio

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole,proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».


IL REGNO DI DIO

Cos’è il Regno di Dio, come si manifesta, come lo si accoglie? Domande alle quali Gesù sta rispondendo con le parabole raccolte in Mt 13.
Gesù ha detto che con la sua persona è arrivato il Regno di Dio. Il Regno di Dio è tutto l’amore di Dio che si riversa sugli uomini, è la misericordia sconfinata di Gesù che offre la sua vita, è la vittoria di Dio sul potere distruttivo di Satana. E allora vorremmo vedere, concretamente, tutto questo. L’opera del maligno è più che mai intensa... e allora dov’è il Regno di Dio? Ecco la prima risposta. Il Regno di Dio è già presente.

IL REGNO DI GIO E’ GIA’ PRESENTE

Sì, il Regno di Dio è già presente. L’amore del Padre e la misericordia di Gesù è fuori discussione. Solo che il Regno è presente come un seme. Si manifesta nella sua fase iniziale. Dio ha già vinto, Satana di fatto è sconfitto... ma oggi è tutto umile, tutto piccolo. Alla fine, solo alla fine, il Regno si manifesterà in tutto il suo splendore, al momento della resurrezione, quando vedremo Dio faccia a faccia e saremo per sempre nella sua beatitudine.
Paolo spiega che siamo salvati nella speranza. Siamo nell’attesa che tutto si manifesti. Oggi è il tempo della vigilanza, della supplica, della scelta, della decisione. Ma questo seme è già stato seminato e fruttificherà sicuramente.

I SEGNI DELLA PRESENZA DEL REGNO DI DIO

L’umiltà degli inizi non significa che l’opera di Dio sia totalmente nascosta. Come il lievito agisce sulla massa, così l’amore di Dio agisce nella storia degli uomini. Dio è all’opera. E chi ha fede ne vede i segni!
* Ci sono i segni grandiosi e straordinari: sono i miracoli. E di tanto in tanto il Signore ne concede.
* Ci sono situazioni in cui il maligno, con tutta la sua carica distruttiva, viene vinto e cacciato
* Ma soprattutto l’opera di Dio si manifesta nella vita quotidiana dei credenti, fatta di carità, di perdono, di fiducia, di servizio. Il segno che il Regno è arrivato è la vita santa dei credenti.
Questa è la nostra vocazione: manifestare che il Regno è in mezzo a noi. Rifiutare lo spirito del mondo, vivere da Figli di Dio. Offrire il perdono, offrire la vita, vivere nella gratuità, rifiutare sempre il male anche se questo sembrasse vantaggioso o significasse un po’ morire...,è il segno che il Regno è in azione.

ATTESA CHE IL REGNO SI MANIFESTI PIENAMENTE

Certo, ora è il tempo in cui i Figli del Regno devono convivere con l’opera di Satana. Per questo Gesù invita alla pazienza. Se Dio non interviene subito a fare pulizia è perchè vuole dare a tutti il tempo di convertirsi. E’ perchè vuole rafforzare le scelte dei credenti. E’ perchè vuole rinvigorire la nostra attesa. E’ perchè vuole fra crescere il desiderio di incontrare lui, vuole aiutarci a gridare Venga il tuo Regno, e vuole insegnarci a desiderarlo con tutto il cuore.
La parabola del buon grano e della zizzania insegna che alla fine l’unico vincitore sarà Dio e il Regno splenderà in tutta la sua luce, ma insegna anche che non tutti vi entreranno. E allora che il tempo in cui siamo su questa terra è tempo di scelte, tempo in cui noi dobbiamo decidere se vogliamo essere buon grano o zizzania, e non a chiacchiere, ma con i fatti.

TEMPO DI SCELTA E DECISIONE PER IL REGNO

Sì, questo è il tempo della scelta, il tempo in cui dobbiamo decidere se dar fiducia al Signore e vivere per lui o vivere secondo lo spirito del mondo. Gesù ci chiede di scommettere su di Lui e sul Regno, nella certezza e nell’attesa che l’opera di salvezza del Signore si manifesti pienamente.
 
 Mons. Gerardo Rocconi

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