martedì 31 maggio 2011

Lieti nella speranza

Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani (Rm 12,1-2.9-18)

Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.
Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.
La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda.
Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità.
Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi.
Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti.

venerdì 27 maggio 2011

Berlusconi e Obama

Silvio Berlusconi ha utilizzato anche il palcoscenico internazionale del vertice dei G8 di Deauville, in Francia, per portare avanti la sua crociata contro i magistrati italiani.
Tradendo un certo nervosismo per l'esito delle elezioni amministrative e per i conflitti esplosi all'interno della maggioranza, il Cav si è sfogato anche con il presidente Usa. Parlando con Barack Obama, al meeting dei Grandi, il 26 maggio, il premier ha chiosato: «Noi abbiamo presentato la riforma della giustizia e per noi è fondamentale, perché in questo momento abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra».

IL LABIALE: IN ITALIA DITTATURA DEI GIUDICI DI SINISTRA. La frase è stata colta dal labiale di un colloquio tra il premier italiano e l'inquilino della Casa Bianca, trasmesso dal circuito chiuso prima dell'inizio dei lavori di una sessione del G8. Tra Berlusconi e Obama non era previsto alcun incontro bilaterale, ma il premier ha approfittato di una pausa prima dell'inizio per summit per esprimere al presidente Usa le sue preoccupazioni per i giudici comunisti.
Parole alle quali, il presidente americano, non ha dato alcuna risposta, ma che non sono affatto piaciute al presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara: «È molto grave», ha detto a conclusione di una cerimonia in Cassazione, «che questo sia accaduto all'estero, e che una fondamentale istituzione dello Stato venga denigrata anche agli occhi di uno dei più potenti capi di Stato al mondo».

L'exploit di Berlusconi con Obama ha suscitato una valanga di critiche da parte dell'opposizione. «Oggi Berlusconi è riuscito a togliere due minuti del G8 a Obama per dire che il problema degli italiani sono i giudici rossi. È da un pò che glielo dico: quanto dovranno governare prima di dire che i problemi sono colpa loro?», ha ironizzato il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani. Che ha aggiunto: «Non so se Berlusconi chiederà ad Obama l'intervento della Nato».
Il fatto, interviene il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, è che ormai «stiamo perdendo il senso delle dimensioni».
L'unica cosa che mi auguro, ha ironizzato il leader Idv Antonio Di Pietro, è che almeno Obama gli abbia «risposto a dovere spiegando come si comportano negli Usa» per casi come quello di Strauss-Kahn.
La cosa «incredibile», ha rincarato la dose il governatore della Puglia, Nichi Vendola, è che il premier arrivi «a infastidire i leader mondiali con le proprie ossessioni».

PD: UN'ALTRA BRUTTA FIGURA. Ancora più duro il vicepresidente dei deputati del Pd, Alessandro Maran: «Le agenzie riferiscono che Berlusconi ha avuto un colloquio di ben due minuti, 120 secondi con il presidente degli Stati Uniti. E, indovinate su cosa il nostro presidente del Consiglio ha intrattenuto Barack Obama ritardando l'apertura del summit e indispettendo Nicolas Sarkozy e Angela Merkel? Sulla quasi 'dittatura dei giudici di sinistra' in Italia». Certo, ha proseguito Maran, «gli argomenti all'ordine del giorno dei 'grandi' riuniti a Deauville in Francia sono la primavera araba, la decisione su un eventuale sostegno finanziario ai paesi nordafricani in transizione verso la democrazia, la situazione in Medio Oriente, la successione alla guida del Fmi. Ma Berlusconi ha una sola ossessione e noi, di fronte al mondo, facciamo un'altra brutta figura».

IDV: DISCREDITO PER IL PAESE. Dello stesso tenore Leoluca Orlando, portavoce dell'Idv: «Berlusconi continua a gettare discredito sul nostro Paese. Le dichiarazioni rese a Obama al vertice del G8 sono solo la conferma di quanto poco rispetto abbia per gli italiani, la Costituzione e per l'equilibrio fra i tre poteri che sono alla base del nostro sistema  democratico».

GRANATA: INFANGA LA MEMORIA DI FALCONE E BORSELLINO. Durissimo anche il commento di Fabio Granata: «L'ossessione di Berlusconi nei confronti della magistratura arriva persino ad infangare la patria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, offendendola anche di fronte della più grande Nazione occidentale, dove peraltro la memoria dei nostri magistrati è, da sempre, onorata e rispettata», ha detto l'esponente di Fli. «Berlusconi, ancora una volta, ha trovato un motivo per doversi vergognare. È chiaro che il suo nervosismo denota ormai un cupio dissolvi ormai irreversibile, che riguarda lui, il PdL e la sua maggioranza». 

Lettera 43,  26 Maggio 2011

Un cattolico scomodo



"Un cattolico scomodo": questa definizione ha dato il titolo a un convegno in memoria di Carlo Donat Cattin, svoltosi a Torino e organizzato dalla Fondazione omonima cittadina, per ricordare il politico democristiano scomparso il 17 marzo 1991. La manifestazione è stata collegata alle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario della proclamazione del Regno d'Italia e, pertanto, inaugurata da un dibattito sul ruolo dei cattolici nel processo di unificazione nazionale, a cui hanno preso parte gli storici Ernesto Galli della Loggia, Francesco Traniello e Roberto Morozzo della Rocca. Anche Carlo Donat Cattin, infatti, può, a ragione, essere annoverato tra quelle figure di rilievo del mondo cattolico italiano, che hanno apportato un contributo non trascurabile al consolidarsi delle istituzioni democratiche nella storia repubblicana del Paese.
 Per riassumere la biografia politica di Carlo Donat Cattin, potrebbe sembrare, a prima vista, ingeneroso e riduttivo il giudizio riportato in apertura, con il quale Luigi Gedda, alla vigilia delle elezioni politiche del 1953, liquidò l'allora giovane sindacalista, opponendosi alla sua candidatura nelle liste elettorali della Democrazia cristiana: "È un militante scomodo - affermò in quella circostanza il presidente dell'Azione cattolica - che difficilmente si adatta, con disciplina, alla linea politica decisa dal vertice del partito".
Invece Gedda, che aveva legami di antica conoscenza con la famiglia Donat Cattin - rivolgendosi, in alcune lettere ancora inedite, al cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano - riservava parole di stima al padre di Carlo, Attilio Donat Cattin, esponente di punta del Partito popolare torinese, che aveva ricoperto alcuni incarichi all'interno dell'Azione cattolica e nella gestione dei Comitati civici. E tuttavia, alla luce della successiva esperienza pubblica compiuta dal cattolico piemontese, le parole di Gedda riescono a esprimere l'arguta vivacità intellettuale, l'indipendenza di giudizio, l'intensa passione civile e la coraggiosa intraprendenza politica che resero Donat Cattin protagonista in molte vicende politiche del secondo dopoguerra.
Le radici profonde dell'impegno politico di Donat Cattin trovarono alimento nel fecondo ambiente cattolico torinese del primo dopoguerra. Nato nel 1919 in Liguria, da madre ligure e padre piemontese, frequentò a Torino l'oratorio salesiano della Crocetta e in seguito aderì alla Gioventù italiana di Azione cattolica (Giac), entrando in contatto con alcuni esponenti del movimento cattolico italiano, tra cui il futuro presidente della Giac (in frequente contrasto con Gedda) Carlo Carretto. Negli stessi anni, assecondò la passione per il giornalismo (coltivata per tutta la vita) collaborando con varie testate, tra cui "L'Italia" di Milano e "L'Avvenire d'Italia" di Bologna (dalla cui fusione sarebbe nato, nel 1968, il quotidiano cattolico nazionale "Avvenire"). Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, Donat Cattin scelse di aderire alla guerra partigiana, partecipando alla Resistenza nel Canavese e rappresentando la Democrazia cristiana - di cui fu tra i fondatori in Piemonte - nel Comitato di liberazione nazionale di Ivrea. Ma la sua vocazione politica nacque e maturò prevalentemente nell'ambito del sindacalismo cristiano: dapprima segretario dell'Unione provinciale dei sindacati liberi di Torino, nel 1949 il giovane piemontese divenne membro del consiglio generale del sindacato unitario, la Libera Cgil, per seguire infine Giulio Pastore nella scissione della corrente cristiana, contribuendo così alla fondazione della Cisl.
In questo contesto Donat Cattin si batté perché il sindacalismo cattolico fosse ispirato e strettamente collegato alla dottrina sociale della Chiesa. La militanza politica nella locale Democrazia cristiana (negli anni Cinquanta fu anche consigliere comunale e provinciale a Torino) sfociò nell'elezione in Parlamento alle politiche del 1958. All'interno della Dc, Donat Cattin sarà pertanto il protagonista e l'anima principale della cosiddetta "sinistra sociale", che si differenziava dalla "sinistra politica" del partito (rappresentata invece dalla corrente della "Base") proprio per il legame con il mondo del sindacalismo cristiano e dell'associazionismo aclista, per l'attenzione prestata alle questioni di carattere economico e sociale e per un netto atteggiamento anticomunista.
Il magistero sociale della Chiesa infatti sembrava agli esponenti di Forze Nuove (questo fu il nome definitivo della corrente sindacale della Dc), più che sufficiente per determinare una seria politica di riforme, scevra di cedimenti e subalternità nei confronti delle organizzazioni politiche e sindacali d'ispirazione marxista. Fu Aldo Moro - definito con sagacia da Donat Cattin un "cavallo di razza" della Dc, insieme ad Amintore Fanfani - a sollecitare l'affidamento di rilevanti incarichi di governo all'uomo politico piemontese. Legato al leader di Forze Nuove da un leale rapporto di reciproca stima e amicizia, Moro individuava nella sinistra sociale di Donat Cattin un elemento determinante per caratterizzare in senso popolare l'identità politica del partito.
Sarà dunque Donat Cattin a guidare il Ministero del Lavoro durante l'incandescente stagione dell'autunno caldo, quando il Paese venne scosso da frequenti agitazioni operaie e sindacali. Con caparbietà, mediante l'ascolto e il dialogo con tutte le parti sociali, il ministro democristiano riuscì a superare fortissime opposizioni e a giungere alla positiva soluzione di delicate vertenze contrattuali, legando infine il suo nome all'approvazione dello Statuto dei lavoratori, una tra le più importanti conquiste sociali dell'Italia repubblicana, approvato, dopo lunghe trattative, nel maggio 1970: Donat Cattin ne scrisse il testo definitivo, guadagnandosi il grato appellativo di "Ministro dei lavoratori". Nella veste di Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, pur schierandosi contro la costruzione di cattedrali nel deserto, si adoperò per favorire l'affermarsi, anche nel sud Italia, di un concreto spirito di imprenditorialità, tentando così di correggere le deleterie forme di un assistenzialismo divenuto ormai parassitario. In merito, lo studioso meridionalista Francesco Compagna riconobbe che Donat Cattin, "ligure-piemontese, è stato il migliore ministro dei meridionali".
L'antica passione per il giornalismo spinse inoltre il leader della sinistra sociale democristiana a sostenere la diffusione di alcune riviste che contribuirono a vivacizzare il dibattito culturale e politico negli anni del post-concilio. Ispirando, nel 1967, la pubblicazione del settimanale "Settegiorni", Donat Cattin si proponeva di sensibilizzare soprattutto i giovani e i lavoratori cattolici alle grandi tematiche sollevate dalla recente esperienza conciliare.
Aperto al dialogo col mondo laico e socialista, vicino al movimento sindacale e alle Acli, il nuovo giornale fu diretto da Ruggero Orfei, proveniente dalla redazione de "L'Italia", affiancato da Piero Pratesi, ex vice direttore de "L'Avvenire d'Italia". Ma il settimanale cessò le sue pubblicazioni il 7 luglio 1974, dopo la lacerante esperienza del referendum sul divorzio quando, in totale autonomia ed in contrasto con le direttive della Chiesa e con la linea assunta dalla Democrazia cristiana, la rivista si schierò contro l'abrogazione della legge. L'impegno culturale di Carlo Donat Cattin continuò sia attraverso la realizzazione di convegni annuali tenuti a Saint Vincent e resi ambìti momenti di confronto e riflessione collettiva, aperti a tutte le forze democratiche, sia mediante l'edizione di una nuova rivista, il mensile "Terza Fase", al quale collaborarono intellettuali ed esperti di diverse discipline.
Donat Cattin fu sempre contrario a ogni formula politica che mirasse ad un'alleanza organica tra la DC e il Partito comunista: per sottolineare l'incompatibilità ideologica, oltre che politica, tra i due partiti, nel 1980 ideò un preambolo - approvato in congresso dalla maggioranza dello scudo crociato - che escludeva definitivamente ogni forma di collaborazione governativa. E proprio dalla sinistra comunista giungeranno i più aspri attacchi a Donat Cattin quando, alla metà anni Ottanta, in qualità di Ministro della Sanità dovette affrontare il dilagante fenomeno dell'Aids.
Fedele a quei valori cristiani che aveva posto a fondamento della sua vita, pur consapevole dell'impopolarità delle sue opinioni, Donat Cattin inviò una lettera alle famiglie italiane, ove, illustrando le insidie della nuova malattia, metteva in guardia dall'illusione che l'uso del preservativo garantisse "l'assoluta sicurezza" di non contrarre e trasmettere il virus. Pertanto consigliava "di condurre un'esistenza normale nei rapporti affettivi e sessuali". Le sue parole furono oggetto di feroci critiche, ed egli venne violentemente contestato dai movimenti e dalla stampa d'orientamento laicista. "Si può fare dell'ironia sulla castità - rispose allora Donat Cattin, sfidando consapevolmente la generale impopolarità - essa è però indicata dalla Organizzazione mondiale della sanità come prima scelta di comportamento dei sieropositivi, delle persone non malate di Aids ma portatrici di virus, che, se hanno senso di responsabilità, devono fare in modo di non trasmettere l'infezione".
 Con la stessa tenacia, ed in profonda coerenza con una fede vissuta in modo rigoroso e autentico, Donat Cattin si schierò a tutela della vita umana sin dal suo concepimento. Riflettendo sui rapporti indissolubili tra scienza, politica, morale e fede, il politico democristiano intervenne a sostegno delle posizioni espresse dalla Chiesa sul controllo delle nascite, contestando le politiche di regolamentazione forzata della procreazione, intese come rimedio ai problemi dei Paesi sottosviluppati e praticate in violazione della libertà della persona.
L'interesse suscitato dalle imprevedibili evoluzioni dell'ingegneria genetica convinse l'allora Ministro della sanità ad appoggiare la proposta dello scienziato laico francese Jacques Testart che, già nel 1986, aveva suggerito una pausa di riflessione per meditare sulle pericolose conseguenze insite nelle manipolazioni genetiche. Alle degenerazioni dell'ingegneria genetica, dedicò l'ultimo dei convegni di Saint Vincent. Concordando con lo scienziato francese, riteneva illusorio credere nella neutralità della ricerca scientifica; era "a monte della scoperta" che si era chiamati a compiere le necessarie scelte etiche.
Difendendo con indomita passione la vita umana, Donat Cattin, con una impressionante antiveggenza, oltre vent'anni fa, fu tra i primi a indicare rischi e pericoli che una irrefrenabile crisi della natalità in Italia avrebbe determinato, non solo sul piano morale, ma soprattutto per le conseguenze negative che l'intero Paese avrebbe potuto pagare in un prossimo futuro (che è oggi il nostro presente) dal punto di vista economico e finanziario.
Congedandosi dai militanti del suo partito, in uno degli ultimi interventi pubblici, Donat Cattin lanciò perciò un accorato invito "a fare figli". Nonostante le incomprensioni e le riluttanze con cui il mondo laico accoglieva sempre più spesso le sue parole, scelse quindi di andare controcorrente fino all'ultimo. "Anche se - aggiunse davanti a una platea silenziosa e commossa, per il toccante riferimento al drammatico destino del suo figlio minore - qualche volta i figli fanno sanguinare il cuore".
ELIANA VERSACE

domenica 15 maggio 2011

REGINA COELI LAETARE

giovedì 5 maggio 2011

Dirottare le risorse verso lo sviluppo

È più che comprensibile l’esultanza del Presidente e del popolo americano per la fine di bin Laden. La tragedia delle Torri Gemelle  non solo ha gettato in tutto il mondo lutto e paura ma ha radicalmente cambiato la politica americana dell’intero decennio che abbiamo alle spalle, spingendo gli Stati Uniti al grande errore della guerra in Iraq e obbligando la Nato ad un prolungatosforzo in Afghanistan per distruggere per sempre quello che appariva a tutti la grande base del terrorismo internazionale.
La fine di bin Laden non è perciò solo un’attesa resa dei conti per una indimenticabile tragedia, ma è l’occasione per entrare in una nuova fase della lotta contro il terrorismo e, soprattutto, in una nuova fase delle relazioni con tutto il mondo islamico. Con questo non voglio assolutamente affermare che il terrorismo sia stato sconfitto o che sia entrato in una crisi irreversibile: oggi è ancora più necessario vigilare contro i colpi di coda che saranno certamente tentati per dimostrarne la permanente forza.
La scomparsa di bin Laden, iniettando una nuova fiducia nel popolo americano, rende tuttavia più facile la messa in atto della politica enunciata al Cairo nel giugno del 2009 ma ancora non giunta ad una fase operativa. Una politica di apertura che distingue nettamente fra il terrorismo e gli stati islamici. Verso questi Obama ha compiuto non solo un’ apertura politica ma ha assunto un impegno concreto per il loro sviluppo e per un loro attivo reinserimento nella comunità internazionale.
Il discorso del Cairo non ha avuto seguito  a causa delle tensioni quotidianamente sollevate dalla guerra in Afghanistan, dai residui della guerra irakena e, soprattutto dalla permanenza di regimi autoritari con i quali gli Stati Uniti avevano spesso rapporti di collaborazione ma che non potevano certo essere partner di una strategia di rinascita economica ed insieme democratica di questi paesi.
Le conseguenze della scomparsa di bin Laden debbono perciò essere strettamente collegate alle rivoluzioni avvenute nei mesi scorsi nel Golfo e nel Mediterraneo. Il combinato disposto di questi eventi ci pone di fronte a nuovi possibili scenari, purchè li si voglia davvero percorrere.
Da un lato si potrà  pensare a sforzi più costruttivi per l’alleggerimento e la fine della guerra in Afghanistan mentre, dall’altro, si apre un maggior spazio politico per aiutare in modo concreto coloro che hanno, senza l’aiuto dei fondamentalisti, cambiato il quadro politico di Tunisia, Egitto, Libia, Siria,Barhain e Yemen. Si apre cioè una prospettiva nuova, che è quella di potere progressivamente spostare in modo condiviso attenzioni e risorse da obiettivi militari a obiettivi civili quali i diritti umani e la crescita economica e sociale. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno cioè la possibilità di mettere in atto una politica coerente con gli obiettivi e i principi da loro proclamati.
Non mi illudo che questo cambiamento di politica sia facile e nemmeno penso che possa essere rapido. Non posso infatti nascondere il mio disappunto nel vedere come di fatto i ragazzi del Cairo e di Tunisi siano stati abbandonati a se stessi e si trovino oggi in condizioni ancora più disperate di quelle che li spinsero in piazza a protestare  contro la corruzione e l’oppressione dei regimi ma, soprattutto, contro le drammatiche condizioni di vita di una generazione ormai fornita di un elevato livello di istruzione ma senza alcuna prospettiva di trovare un lavoro.
Su questa linea non abbiamo fatto nulla. Si sono indirizzate risorse enormi verso gli sforzi militari in Afghanistan, Iraq e, più recentemente, in Libia ma non si è convocata alcuna conferenza internazionale per offrire un futuro a coloro che, seguendo i nostri insegnamenti, hanno cercato di cambiare le cose nei loro paesi. Almeno noi italiani dovremmo riflettere sul fatto che prima della “nuova primavera” quasi nessun tunisino era così disperato da cercare una rischiosa fuga nel nostro paese e che se questo avviene oggi è perché la miseria e la disoccupazione sono ulteriormente aumentate fino a spingere a gesti disperati.
Mi auguro solo che la conclusione della vicenda di bin Laden sia lo stimolo perché gli americani possano permettersi di pensare al futuro e non al passato dei loro rapporti col mondo islamico e mi auguro che, anche in questa nuova fase, possano trascinare in questa direzione i riluttanti e divisi paesi europei. Con un poco di esagerazione (ma non tantissima) è stato autorevolmente affermato che i conflitti del passato hanno procurato all’Occidente l’ostilità di un miliardo di mussulmani e che questo è per noi un peso politico ed economico insopportabile.
Ebbene è venuto il momento di dirottare una parte crescente delle risorse finora dedicate alla guerra verso lo sviluppo di coloro che hanno faticosamente iniziato il cammino della democrazia e che saranno presto obbligati ad abbandonarlo a causa delle crescenti condizioni di miseria e disperazione in cui si trovano. E’ l’unico modo per non parlare a vanvera di democrazia e per diminuire il numero dei disperati che sbarcano sulle nostre coste. La fine di bin Laden ci può davvero aiutare a cambiare in meglio la direzione della nostra politica. Attenzione però che fra pochi mesi potrebbe essere troppo tardi.

Romano Prodi (Il Messaggero, 5 maggio 2011)

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...