lunedì 31 ottobre 2011

Codice appalti - art. 46

Art. 46. Documenti e informazioni complementari - Tassatività delle cause di esclusione
(rubrica così modificata dall'art. 4, comma 2, lettera d), legge n. 106 del 2011)
(art. 43, dir. 2004/18; art. 16, d.lgs. n. 157/1995; art. 15, d.lgs. n. 358/1992)
1. Nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati.
1-bis. La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle.
(comma aggiunto dall'art. 4, comma 2, lettera d), legge n. 106 del 2011)

Codice appalti - art. 38

Art. 38. Requisiti di ordine generale (art. 45, dir. 2004/18; art. 75, d.P.R. n. 554/1999; art. 17, d.P.R. n. 34/2000)
1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:
a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni;
b) nei cui confronti è pendente procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (ora art. 6 del decreto legislativo n. 159 del 2011 - n.d.r.) o di una delle cause ostative previste dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (ora art. 67 del decreto legislativo n. 159 del 2011 - n.d.r.); l'esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società;
(lettera così modificata dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci  o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima;
(lettera così modificata dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
d) che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria posto all'articolo 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55; l'esclusione ha durata di un anno decorrente dall'accertamento definitivo della violazione e va comunque disposta se la violazione non è stata rimossa;
(lettera così modificata dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
e) che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio;
f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante;
g) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti;
(lettera così modificata dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
h) nei cui confronti, ai sensi del comma 1-ter, risulta l’iscrizione nel casellario informatico di cui all’articolo 7, comma 10, per aver presentato falsa dichiarazione o falsa documentazione in merito a requisiti e condizioni rilevanti per la partecipazione a procedure di gara e per l’affidamento dei subappalti;
(lettera così sostituita dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)

i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti;
l) che non presentino la certificazione di cui all'articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68, salvo il disposto del comma 2;
m) nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell'8 giugno 2001 n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;
(disposizione abrogata, ora il riferimento è all'articolo 14 del d.lgs. n. 81 del 2008 - n.d.r.)
(lettera così modificata dall'art. 3, comma 1, lettera e), d.lgs. n. 113 del 2007)
m-bis) nei cui confronti, ai sensi dell'articolo 40, comma 9-quater, risulta l'iscrizione nel casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, per aver presentato falsa dichiarazione o falsa documentazione ai fini del rilascio dell'attestazione SOA;
(lettera così sostituita dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
m-ter) di cui alla precedente lettera b) che, pur essendo stati vittime dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risultino aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. La circostanza di cui al primo periodo deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all’Autorità di cui all’articolo 6, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell’Osservatorio;
(lettera aggiunta dall'art. 2, comma 19, legge n. 94 del 2009, poi così modificata dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
m-quater) che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale.
(lettera aggiunta dall'art. 3, comma 1, legge n. 166 del 2009)
1-bis. Le cause di esclusione previste dal presente articolo non si applicano alle aziende o società sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o della legge 31 maggio 1965, n. 575 (ora artt. 20 e 24 del decreto legislativo n. 159 del 2011 - n.d.r.), ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario, limitatamente a quelle riferite al periodo precedente al predetto affidamento, o finanziario
(comma introdotto dall'art. 2, comma 19, legge n. 94 del 2009 poi così modificato dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
1-ter. In caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante ne dà segnalazione all’Autorità che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi del comma 1, lettera h), per un periodo di un anno, decorso il quale l’iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.
(comma introdotto dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
2. Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. Ai fini del comma 1, lettera c), il concorrente non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, né le condanne revocate, né quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione. Ai fini del comma 1, lettera g), si intendono gravi le violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Ai fini del comma 1, lettera i), si intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 266; i soggetti di cui all'articolo 47, comma 1, dimostrano, ai sensi dell' articolo 47, comma 2, il possesso degli stessi requisiti prescritti per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva. Ai fini del comma 1, lettera m-quater), il concorrente allega, alternativamente:
a) la dichiarazione di non trovarsi in alcuna situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile rispetto ad alcun soggetto, e di aver formulato l'offerta autonomamente;
b) la dichiarazione di non essere a conoscenza della partecipazione alla medesima procedura di soggetti che si trovano, rispetto al concorrente, in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile, e di aver formulato l'offerta autonomamente;
c) la dichiarazione di essere a conoscenza della partecipazione alla medesima procedura di soggetti che si trovano, rispetto al concorrente, in situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile, e di aver formulato l'offerta autonomamente.
Nelle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c), la stazione appaltante esclude i concorrenti per i quali accerta che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e l'eventuale esclusione sono disposte dopo l'apertura delle buste contenenti l'offerta economica.
(comma così sostituito dall'art. 4, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
3. Ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione di cui al presente articolo, si applica l'articolo 43 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445; resta fermo, per l'affidatario, l'obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 266 e di cui all'articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 (ora articolo 90, comma 9, del decreto legislativo n. 81 del 2008) e successive modificazioni e integrazioni. In sede di verifica delle dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 le stazioni appaltanti chiedono al competente ufficio del casellario giudiziale, relativamente ai candidati o ai concorrenti, i certificati del casellario giudiziale di cui all'articolo 21 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, oppure le visure di cui all'articolo 33, comma 1, del medesimo decreto n. 313 del 2002.
4. Ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione di cui al presente articolo, nei confronti di candidati o concorrenti non stabiliti in Italia, le stazioni appaltanti chiedono se del caso ai candidati o ai concorrenti di fornire i necessari documenti probatori, e possono altresì chiedere la cooperazione delle autorità competenti.
5. Se nessun documento o certificato è rilasciato da altro Stato dell'Unione europea, costituisce prova sufficiente una dichiarazione giurata, ovvero, negli Stati membri in cui non esiste siffatta dichiarazione, una dichiarazione resa dall'interessato innanzi a un'autorità giudiziaria o amministrativa competente, a un notaio o a un organismo professionale qualificato a riceverla del Paese di origine o di provenienza.

10 Domande e ...risposte sulla PEC

Inviare messaggi e leggere cerificati PEC

sabato 29 ottobre 2011

Abramo e la rete

«La prospettiva che si apre con il trionfo della Rete oggi risuona per tutti come la chiamata che un giorno mosse Abramo a lasciare la sua casa, la sua terra, il suo popolo per diventare il capostipite di una nazione alla quale Dio affida la missione di oltrepassare la morale terrena in nome di una morale più alta che tutto riscatta e tutto valorizza. E' una prospettiva che può fare spavento ma che non può essere elusa. Una sua accettazione critica non comporta che si rinneghino le tecnologie e quindi i linguaggi oggi dominanti, ma comporta piuttosto l'impegno a operare in modo da restituirli al ruolo che più gli appartiene e di farne strumenti per la liberazione dell'uomo da nuove e imprevedibili forme di schiavitù"

Antonio Pieretti (Università di Perugia)

venerdì 28 ottobre 2011

Assisi 2011

Sono passati venticinque anni da quando il beato Papa Giovanni Paolo II invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni del mondo ad Assisi per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenuto da allora? A che punto è oggi la causa della pace? Allora la grande minaccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta in due blocchi contrastanti tra loro. Il simbolo vistoso di questa divisione era il muro di Berlino che, passando in mezzo alla città, tracciava il confine tra due mondi. Nel 1989, tre anni dopo Assisi, il muro cadde – senza spargimento di sangue. All’improvviso, gli enormi arsenali, che stavano dietro al muro, non avevano più alcun significato. Avevano perso la loro capacità di terrorizzare. La volontà dei popoli di essere liberi era più forte degli arsenali della violenza. La questione delle cause di tale rovesciamento è complessa e non può trovare una risposta in semplici formule. Ma accanto ai fattori economici e politici, la causa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale. La volontà di essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenza che non aveva più alcuna copertura spirituale. Siamo riconoscenti per questa vittoria della libertà, che fu soprattutto anche una vittoria della pace. E bisogna aggiungere che in questo contesto si trattava non solamente, e forse neppure primariamente, della libertà di credere, ma anche di essa. Per questo possiamo collegare tutto ciò in qualche modo anche con la preghiera per la pace.

Ma che cosa è avvenuto in seguito? Purtroppo non possiamo dire che da allora la situazione sia caratterizzata da libertà e pace. Anche se la minaccia della grande guerra non è in vista, tuttavia il mondo, purtroppo, è pieno di discordia. Non è soltanto il fatto che qua e là ripetutamente si combattono guerre – la violenza come tale è potenzialmente sempre presente e caratterizza la condizione del nostro mondo. La libertà è un grande bene. Ma il mondo della libertà si è rivelato in gran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene fraintesa anche come libertà per la violenza. La discordia assume nuovi e spaventosi volti e la lotta per la pace deve stimolare in modo nuovo tutti noi.
Cerchiamo di identificare un po’ più da vicino i nuovi volti della violenza e della discordia. A grandi linee – a mio parere – si possono individuare due differenti tipologie di nuove forme di violenza che sono diametralmente opposte nella loro motivazione e manifestano poi nei particolari molte varianti. Anzitutto c’è il terrorismo, nel quale, al posto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devono colpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza alcun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudelmente uccise o ferite. Agli occhi dei responsabili, la grande causa del danneggiamento del nemico giustifica ogni forma di crudeltà. Viene messo fuori gioco tutto ciò che nel diritto internazionale era comunemente riconosciuto e sanzionato come limite alla violenza. Sappiamo che spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il carattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la crudeltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto a motivo del "bene" perseguito. La religione qui non è a servizio della pace, ma della giustificazione della violenza.

La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da dove sapete quale sia la vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dal fatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteranno: ma esiste veramente una natura comune della religione, che si esprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste domande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo realistico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi.

Qui si colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso – un compito che da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato. Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è "Dio dell’amore e della pace" (2 Cor 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo.
Se una tipologia fondamentale di violenza viene oggi motivata religiosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circa la loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una seconda tipologia di violenza dall’aspetto multiforme ha una motivazione esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò. I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa una fonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quindi la scomparsa della religione. Ma il "no" a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio.

Qui non vorrei però soffermarmi sull’ateismo prescritto dallo Stato; vorrei piuttosto parlare della "decadenza" dell’uomo, in conseguenza della quale si realizza in modo silenzioso, e quindi più pericoloso, un cambiamento del clima spirituale. L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l’uomo, ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degenera, ad esempio, in una brama sfrenata e disumana quale si manifesta nel dominio della droga con le sue diverse forme. Vi sono i grandi, che con essa fanno i loro affari, e poi i tanti che da essa vengono sedotti e rovinati sia nel corpo che nell’animo. La violenza diventa una cosa normale e minaccia di distruggere in alcune parti del mondo la nostra gioventù. Poiché la violenza diventa cosa normale, la pace è distrutta e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso.

L’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo. Ma dov’è Dio? Lo conosciamo e possiamo mostrarLo nuovamente all’umanità per fondare una vera pace? Riassumiamo anzitutto brevemente le nostre riflessioni fatte finora. Ho detto che esiste una concezione e un uso della religione attraverso il quale essa diventa fonte di violenza, mentre l’orientamento dell’uomo verso Dio, vissuto rettamente, è una forza di pace. In tale contesto ho rimandato alla necessità del dialogo, e parlato della purificazione, sempre necessaria, della religione vissuta. Dall’altra parte, ho affermato che la negazione di Dio corrompe l’uomo, lo priva di misure e lo conduce alla violenza.

Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: "Non esiste alcun Dio". Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono "pellegrini della verità, pellegrini della pace". Pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo per i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile. Per questo ho appositamente invitato rappresentanti di questo terzo gruppo al nostro incontro ad Assisi, che non raduna solamente rappresentanti di istituzioni religiose. Si tratta piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto. In conclusione, vorrei assicurarvi che la Chiesa cattolica non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegno per la pace nel mondo. Siamo animati dal comune desiderio di essere "pellegrini della verità, pellegrini della pace".

Benedetto XVI, Assisi 27 ottobre 2011

giovedì 27 ottobre 2011

Religione e violenza

ASSISI (PERUGIA) - "Vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri". Ma "questa non è la vera natura della religione", ha affermato Benedetto XVI ad Assisi: "é invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione". "Nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna", ha affermato Benedetto XVI. "Ma è assolutamente chiaro - ha aggiunto - che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana in evidente contrasto con la sua vera natura". "L'adorazione di mammona,dell'avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l'uomo, ma solo il vantaggio personale", ha detto ancora.
Benedetto XVI e' oggi ad Assisi per celebrare, insieme a 300 rappresentanti di tutte le fedi mondiali, il venticinquennale dello storico incontro interreligioso di preghiera per la pace voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottobre del 1986. Il treno con il Papa e tutti i delegati (saranno presenti per la prima volta anche quattro intellettuali non credenti) e' partito dalla stazione Vaticana. Il Pontefice è sceso dal treno, accolto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e dalla presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini. Benedetto XVI, applaudito da numerosi cittadini, si è anche voltato verso giornalisti e teleoperatori ed ha fatto loro un cenno di saluto con la mano. Con il Papa hanno viaggiato anche i capi delle altre delegazioni religiose. Il Pontefice e gli altri rappresentanti religiosi hanno viaggiato a bordo di un treno Frecciargento delle Ferrovie dello Stato. Il convoglio è giunto in perfetto orario nella stazione di Assisi. Lungo il tragitto il Frecciargento ha rallentato fino a dieci chilometri orari nelle stazioni di Terni, Spoleto e Foligno per consentire ai fedeli di salutare il passaggio del Pontefice. All'esterno della stazione di Assisi si è radunata una piccola folla per salutare il Papa. Da uno dei balconi è stato esposto uno striscione di benvenuto scritto in tedesco.
Benedetto XVI è giunto a bordo di un minibus, dalla stazione di Assisi, alla basilica di Santa Maria degli Angeli, dove sulla soglia è stato accolto dal ministro generale dei Frati minori, padre José Rodriguez Carballo, da quello dei Frati minori conventuali, padre Marco Tasca, da quello dei Cappuccini padre Mauro Johri, e da quello del Terz'Ordine regolare francescano padre Michael J. Higgins. Il Papa ha quindi accolto all'ingresso della basilica i delegati di tutte le religioni mondiali che partecipano all'incontro di dialogo e preghiera per la pace da lui convocato oggi a 25 anni da quello voluto da Giovanni Paolo II. Nella basilica ci saranno gli interventi di dieci delegati in rappresentanze delle varie fedi mondiali (per i "non credenti" interverrà la filosofa e psicanalista francese Julia kristeva), cui seguirà il discorso del Pontefice.
CARD.TURKSON,CHIAMATA COMUNE FEDI VIVERE IN PACE - "Siamo qui con la consapevolezza di una chiamata comune a vivere insieme in pace, quale profonda aspirazione che risuona incessantemente nei nostri cuori. L'infaticabile ricerca del conseguimento di questo desiderio ci rende compagni di viaggio". Così il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha salutato il Papa e gli altri 300 rappresentanti delle fedi mondiali convenuti ad Assisi per la Giornata di dialogo e preghiera "Pellegrini della verità, pellegrini della pace", a 25 anni da quella voluta da Wojtyla. "Provenienti da diverse tradizioni religiose e da diverse parto del mondo - ha detto Turkson parlando nella basilica di Santa Maria degli Angeli - rinnoviamo e rafforziamo una ricerca della verità in cui ciascuno di noi, secondo la propria tradizione, si impegna incessantemente". "Siamo venuti qui - ha proseguito - anche per testimoniare la grande forza della religione per il bene, per la costruzione della pace, per la riconciliazione di coloro che sono in conflitto, per riportare l'uomo in armonia con il creato". Il capodicastero vaticano ha auspicato che "l'esperienza di questi venticinque anni possa invitarci, ancor più intensamente e con un grande senso di urgenza, a ri-impegnarci oggi, con la dote della ragione e i doni della fede, a diventare sempre più pellegrini della verità e rendere il nostro mondo un luogo di sempre più grande pace".
BARTOLOMEO I,VIOLENTI DEFORMANO FEDE,OPPONIAMOCI - "Dobbiamo opporci alla deformazione dei messaggi delle religioni e dei loro simboli da parte degli autori di violenza". E' il messaggio lanciato dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I nella sua testimonianza nella basilica di Santa Maria degli Angeli, ad Assisi, per la Giornata interreligiosa di dialogo e preghiera per la pace convocata da Benedetto XVI nel venticinquennale di quella voluta da papa Wojtyla. Per il rappresentante ortodosso, 25 anni dopo l'incontro dell'86, dieci anni dopo l'11 settembre e "nel momento in cui le 'primavere arabe' non hanno messo fine alle tensioni intercomunitarie, il posto delle religioni tra i fermenti in atto nel mondo resta ambiguo". Bartolomeo I ha messo in guardia contro la "cresciuta marginalizzazione delle comunità cristiane nel Medio Oriente". "I responsabili delle religioni - questo il suo appello - devono farsi carico del processo di ristabilimento della pace. Poiché il solo modo di levarci contro la strumentalizzazione bellicista delle religioni è di condannare fermamente la guerra e i conflitti e di porci come mediatori di pace e di riconciliazione". Inoltre contro "l'indifferenza" e i "particolarismi", e contro"l'odio, il conflitto, la violenza" che ne nascono, "solo il dialogo è una soluzione percorribile e a lungo termine".
ANGLICANI,PER FEDI UOMINI NON ESTRANEI TRA LORO - "Tutti gli uomini religiosi hanno in comune la convinzione che noi, in ultima analisi, non siamo estranei gli uni agli altri. E se non siamo estranei, dobbiamo prima o poi trovare il modo di concretizzare tale reciproco riconoscimento in relazioni di amicizia vere e durature". E' quanto ha detto l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, primate della Comunione anglicana, nella basilica do Santa Maria degli Angeli, nell'incontro dei 300 rappresentanti religiosi convenuti con il Papa ad Assisi per la Giornata di dialogo e preghiera per la pace, a 25 anni da quella voluta da Wojtyla. "Noi non siamo qui per affermare un minimo comune denominatore di ciò che crediamo - ha affermato il leader anglicano -, ma per levare la voce dal profondo delle nostre tradizioni, in tutta la loro singolarità, in modo che la famiglia umana possa essere più pienamente consapevole di quanta sapienza vi sia da attingere nella lotta contro la follia di un mondo ancora ossessionato da paura e sospetti, ancora innamorato dell'idea di una sicurezza basata su di una ostilità difensiva, e ancora in grado di tollerare o ignorare le enormi perdite di vite tra i più poveri a causa di guerre e malattie".

fonte: Ansa

lunedì 24 ottobre 2011

Decennale

Il 18 ottobre è stato ricordato il decennale dell'introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale nella nostra Costituzione.
Con la legge costituzionale del 18 ottobre 2001 numero 3 "Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione" è stato formulato l'articolo 118 comma 4:

 “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (art. 118, ultimo comma).

martedì 18 ottobre 2011

Meglio tardi che mai

Meglio tardi che mai. Il mondo cattolico e il termine si sforza di ricondurre un contesto variegato a unità di intenti, risconosce l'inadeguatezza del governo Berlusconi, politica ancor prima che etica. Anche se su quest'ultimo tema si era già espresso il cardinal Bagnasco in un intervento precendente al convegno di Todi del 17 ottobre.
IL DIFFICILE RAPPORTO TRA ETICA E POLITICA. Curiosamente, per le gerarchie ecclesiastiche l'etica dovrebbe valere ben più della politica, non foss'altro che la Chiesa ha rinnegato da un secolo e mezzo il suo potere temporale.
Ma nella pratica il discorso è ben diverso. Ed è difficile dare oggi piena plausibilità al richiamo del presidente della Cei avendo negli occhi le immagini della cordiale familiarità che ha caratterizzato i rapporti tra la segreteria di Stato e il Cav.
E che non è mai mancata, poiché nemmeno nei giorni degli scandali di Ruby e dintorni, il cardinal Bertone si rifiutava di stringere calorosamente la mano a Silvio .
SILVIO PECCATORE IMPENITENTE. È vero, chi è senza peccato scagli la prima pietra, e un prelato non può mai venir meno a uno dei doveri del suo ruolo, quello di redimere i peccatori. Magari sbagliamo, ma non ci pare fosse questa la principale preoccupazione del cardinal Bertone di fronte alle reiterate intemperanze morali dell'inquilino di palazzo Chigi. Il quale per altro, da par suo, è abilissimo a chiamarsi fuori, a sostenere che le bacchettate d'Oltretevere non riguardano mai lui direttamente, ma la politica tutta. Facendo implicitamente capire che da questa deriva si sente estraneo.
LA SPALLATA INESISTENTE. Esattamente la stessa cosa Berlusconi ha fatto commentando gli esiti della riunione di Todi, di cui tutto si può dire meno che la condanna del suo governo non fosse esplicita, visto che sono stati in molti a parlare di «esecutivo inadeguato e fonte di disvalori». Ma per il Cav nessuna spallata, nessuna condanna che lo riguardi in prima persona.
Il quotidiano francese Le Monde, commentando Todi e la possibile rinascita di un partito cattolico ha scritto, banalizzo per comodità la tesi, che la Chiesa si è mossa quando i buoi erano già scappati dal recinto. Insomma, una neanche tanto velata accusa di opportunismo: facile prendere le distanze da Berlusconi quando il premier ha già un piede nella sua tomba politica.
Talmente facile che Bagnasco, tutta un'altra pasta rispetto a quella tutta real politic di Bertone, passa per quello che abbandona la nave quando è del tutto sicuro del suo imminente affondamento. Quando invece, rispetto al collega porporato, aveva anche in tempi non sospetti levato la sua preoccupata voce.
LA CHIESA GUARDA AVANTI. Giocoforza, il risultato di questo ritardo non può che portare a una conclusione obbligata. Se la Chiesa, rinunciando al suo magistero morale, ovvero chiudendo gli occhi di fronte alla catastrofe etica (ed estetica, aggiungiamo noi) del berlusconismo, soltanto adesso ne prende le distanze, vuol dire che è mossa da tutt'altre preoccupazioni che non il risveglio morale delle coscienze. E sembra piuttosto intenta a lucrare una posizione di vantaggio in quello che sarà il futuro quadro politico del paese, cercando tra gli schieramenti che ad essa si ispirano e nella società civile la classe dirigente di un nuovo partito neocattolico. E appare penosa la corsa trasversale di quanti si candidano a farvi parte. Tra cui molti di coloro che hanno sin qui militato con Berlusconi, e pensando di poter calcellare il passato con un colpo di spugna, si dicono pronti alla nuova stagione.
 
Lettera 43, 18 Ottobre 2011

lunedì 17 ottobre 2011

La missione dei cattolici

Il Paese ha bisogno dei cattolici. La ricostruzione civile e morale non sarà possibile senza un loro diverso e rinnovato impegno politico. E senza un dialogo più stretto, fuori dagli schemi storici, con gli eredi delle tradizioni liberale e riformista. Se n'è discusso molto in questi giorni e il Corriere ha ospitato opinioni di orientamento differente stimolate da un articolo di Ernesto Galli della Loggia. Non si tratta di ricostituire il partito dei cattolici, né di far rivivere, sotto altre forme, la Democrazia cristiana, o il Partito popolare, al di là dell'attualità del pensiero di don Sturzo. L'idea del partito unico è stata seppellita con la Prima Repubblica. E non se ne sente la necessità, nonostante qualche fondata nostalgia per la difesa dello Stato laico e delle sue istituzioni che appariva più convinta ed efficace quando vi era un forte partito di diretta ispirazione cristiana. La cosiddetta Seconda Repubblica è apparsa fin da subito affollata di atei devoti e politici senza scrupoli, ai quali le gerarchie ecclesiastiche hanno talvolta frettolosamente concesso ampie aperture di credito.

Nel nostro sofferto bipolarismo, al contrario, testimonianze cattoliche più autentiche sono state ridotte alla pura sussistenza o, come ha scritto Dario Antiseri, alla scomoda condizione di ascari. La diaspora ha trasmesso ai cattolici la falsa sensazione di contare di più. Come oggetti, però. Promesse generose (si pensi solo alla tutela economica della famiglia) mai mantenute. Impegni solenni, e discutibili, sulla bioetica, subito derubricati nell'agenda politica, e dunque ritenuti solo a parole irrinunciabili. Nella triste époque , come la chiama Andrea Riccardi, il ruolo dei cattolici in politica è finito per essere quello degli ostaggi corteggiati a destra e degli invisibili tollerati a sinistra. Condizione che ha impoverito la politica e immiserito una società scivolata nell'egoismo e nella perdita di un comune sentimento civile.

Nell'immaginario collettivo del pur variegato mondo cattolico si è poi creata una frattura tra chi poteva trattare con lo Stato la difesa dei valori e dei principi, e chi ha cercato di ritrovare i segni dell'essere cristiani nella pratica di tutti i giorni. I primi hanno chiuso troppi occhi su modelli di vita e di società non proprio evangelici e mostrato una tendenza al compromesso eccessivamente secolarizzata. Gli altri, i cittadini e i fedeli, si sono sentiti non di rado smarriti. Non hanno perso la speranza solo grazie a uno straordinario tessuto di parrocchie, comunità, reti di volontariato, cui tutti noi italiani, credenti o no, dobbiamo un sentito grazie.
Angelo Bagnasco, il presidente della Conferenza episcopale, ha parlato della necessità di creare un «nuovo soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». L'incontro di oggi a Todi, al quale partecipa lo stesso Bagnasco, forse ne svelerà la forma. Non sarà un partito, dunque, e non è nemmeno necessario che il forum delle associazioni cattoliche del lavoro si ponga il problema di quale veste assumere. Sono stati troppi in questi anni i contenitori senza contenuti.
Che cosa potrebbero fare allora questo forum e altre aggregazioni già in movimento dell'universo cattolico? Sarebbe sufficiente che si ponessero obiettivi assai semplici seppur ambiziosi: ravvivare lo spirito comunitario, la voglia di partecipazione e gettare un seme di impegno per gli altri. «Né indignati, né rassegnati», ha detto Bagnasco: è uno slogan efficace. Nel saggio Geografia dell'Italia cattolica , Roberto Cartocci scrive che «la tradizione cattolica appare come il collante più antico, il tratto più solido di continuità fra le diverse componenti del Paese». Non solo: è portatrice di una cultura inclusiva, che non divide e frantuma la società. Ha il senso del limite all'azione della politica e della presenza dello Stato nella vita dei privati. Sono qualità importanti. Apprezzate da tutti. Anche da noi laici.
Quel che resta, non poco, di quella tradizione ha il compito storico di promuovere un dialogo più proficuo con le altre componenti laiche, liberali e riformiste della società. L'indispensabile opera di pacificazione del dopo Berlusconi passa necessariamente dalla affermazione della centralità della persona e dalla riscoperta delle virtù civili. I cattolici possono intestarsi una nuova missione, esserne protagonisti. Dire quale idea dell'Italia hanno in mente. Riscoprire un tratto più marcatamente conciliare dopo l'era combattiva e di palazzo di Ruini. Una missione sociale, in questi anni, poco valorizzata, mentre si è insistito tanto sulla difesa dei valori cosiddetti non negoziabili, dal diritto alla vita alle questioni bioetiche, al punto di estendere l'incomunicabilità con le posizioni laiche all'insieme delle questioni civili ed economiche. Un dialogo va ripreso su basi differenti, nel rispetto delle libertà di coscienza.
La collocazione politica dei cattolici costituisce un problema secondario, per certi versi irrilevante. Galli della Loggia ha scritto che il centro non è il luogo del loro destino genetico, e tantomeno la sinistra. De Rita si è chiesto chi potrebbe essere il nuovo federatore di tante anime sparse disordinatamente. La politica verrà. Per ora possiamo dire che sarebbe un imperdonabile errore se lo slancio partecipativo dei cattolici, palpabile nel fermento di molte associazioni e componenti, si esaurisse in una sterile discussione di schieramento. Quello che ci si aspetta da loro è un contributo decisivo nella formazione di una classe dirigente di qualità che persegua l'interesse comune. Un esempio di etica pubblica da trasmettere ai giovani frastornati e delusi da una stagione di scialo economico e morale. La costruzione di un futuro che coniughi solidarietà e competitività. L'idea dell'impegno, del sacrificio e dello studio come assi portanti della società. Un maggior rispetto per le istituzioni, a cominciare naturalmente dalla famiglia, sopraffatte da un individualismo dilagante e cinico. Quel cinismo «che va a nozze con l'opportunismo», come ha scritto bene sull' Avvenire di ieri Francesco D'Agostino. I cattolici promuovano un dialogo senza pregiudizi con gli altri, come è accaduto nei momenti più bui della storia del nostro Paese. Il loro apporto sarà decisivo nella misura in cui saranno se stessi, senza mimetizzarsi e perdersi in altre case apparentemente ospitali. Possono essere maggioranza nel dibattito delle idee, pur restando minoranza nel Paese.

17 ottobre 2011 , Corriere della Sera

domenica 16 ottobre 2011

Il forum di Todi

Poco meno di 24 ore, ma vissute, di fatto, alla massima velocità. I "cento di Todi" si ritroveranno nella serata di 16 ottobre per un primo scambio di idee. Il giorno dopo si parte con la prolusione del presidente Cei, cardinale Angelo Bagnasco. A seguire tre sezioni di lavoro. La prima, coordinata da Bernhard Scholz (Cdo) e Andrea Olivero (Acli), si intitola "Ripartire dai valori per fare comunità", e avrà come relatore principale il rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi. Si procede con la seconda sezione moderata da Sergio Marini (Coldiretti) e Giorgio Guerrini (Confartigianato), "Leve per una stagione di sviluppo", con gli interventi di Corrado Passera (Ceo Intesa San Paolo) e di Stefano Zamagni (presidente dell’Agenzia per il terzo settore). Ultimo blocco tematico, "Costruire una politica orientata al futuro": parlano Vittorio Emanuele Parsi (Cattolica) e Giuseppe De Rita, presidente del Censis. Coordinano Luigi Marino (Confcooperative) e Carlo Costalli (Mcl). L’intervento conclusivo è affidato a Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl (il sindacato è tra i membri fondatori del Forum delle associazioni e delle persone di ispirazione cristiana impegnate nel mondo del lavoro). L’appuntamento è a inviti: ci saranno quasi tutte le aggregazioni ecclesiali e le organizzazioni datoriali e sindacali che nello Statuto fanno riferimento al Magistero sociale della Chiesa.

fonte:  Avvenire

Rimani con noi (dal cd "io ti seguirò", rns 2009)

omissione firma autografa

Art. 3 comma 2 D.Lgs. 12 febbraio 1993 n. 39
1. Gli atti amministrativi adottati da tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite i sistemi informativi automatizzati.
2. Nell'ambito delle pubbliche amministrazioni l'immissione, la riproduzione su qualunque supporto e la trasmissione di dati, informazioni e documenti mediante sistemi informatici o telematici, nonché l'emanazione di atti amministrativi attraverso i medesimi sistemi, devono essere accompagnati dall'indicazione della fonte e del responsabile dell'immissione, riproduzione, trasmissione o emanazione. Se per la validità di tali operazioni e degli atti emessi sia prevista l'apposizione di firma autografa, la stessa è sostituita dall'indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile.

La sete

La meraviglia della preghiera si rivela proprio là, presso i pozzi dove andiamo a cercare la nostra acqua: là Cristo viene ad incontrare ogni essere umano; egli ci cerca per primo ed è lui che ci chiede da bere. Gesù ha sete; la sua domanda sale dalle profondità di Dio che ci desidera. Che lo sappiamo o non lo sappiamo, la preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui.
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2560 con citazione di S. Gregorio Nazianzeno, Oratio 40, 25)

mercoledì 12 ottobre 2011

Il diritto all'insolvenza

Diritto all'insolvenza. Insieme con salario minimo garantito, cancellazione dell'art. 8 della finanziaria e dell'accordo tra sindacati e Confindustria del 28 giugno, c'è anche questa tra le richieste messe nero su bianco dagli indignati. E finite in una lettera che la delegazione del Coordinamento milanese che raggruppa diverse associazioni e sigle sindacali - da San Precario a Cub e Usb - ha consegnato il 12 ottobre nelle mani del vicedirettore di Bankitalia Giovanni Mario Alfieri, indirizzata «all'attenzione dei direttori della Banca Centrale italiana e europea Mario Draghi e Jean-Claude Trichet».
CARTEGGIO PROVOCATORIO. Una «risposta provocatoria», hanno spiegato gli attivisti, «al documento che i due banchieri hanno indirizzato lo scorso 5 agosto al governo italiano».
Gli indignati nostrani - che mercoledì hanno inaugurato una quattro giorni di proteste in vista della Giornata contro l'Austerity del 15 ottobre - hanno così sconfessato il dogma del momento: linserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. E chiesto, semplicemente, la cancellazione sia del debito pubblico, sia di quello che grava sulle spalle delle famiglie messe in difficoltà dalla crisi economica. In barba al paventato rischio default.
NO AUSTERITY, SÌ WELFARE. La piattaforma dei 'draghi ribelli' è dunque lontana anni luce da quei suggerimenti 'riservati' giunti al governo italiano dall'Eurotower a inizio agosto. I manifestanti chiedono più spesa e nessun taglio al welfare, investimenti in ricerca e formazione e non flessibilità nei licenziamenti, più presenza (produttiva) dello Stato e regole ferree contro la speculazione internazionale. E la bancarotta? Non è più un problema, almeno non è il più urgente, pare.

Negli ultimi 20 anni diverse nazioni hanno assistito al collasso della propria economia: dal Messico alla Russia, fino all'Argentina. Più di recente, è stata l'Islanda a risvegliarsi, all'indomani del crac Lehman Brothers, con le prime tre banche del Paese che avevano un debito 10 volte superiore all'intero Pil nazionale.
IL CASO ISLANDESE. L'Isola dei ghiacci dichiarò bancarotta: la Borsa di Reykjavik perse l'80% e la corona si svalutò del 70%.
Il piccolo Stato ottenne 2,1 miliardi di prestito dall'Fmi e avviò un lento percorso di risanamento che oggi lo ha portato ad avere una crescita annua che si assesta attorno al 2%.
Certo, vige ancora il blocco dei capitali, l'inflazione è al 4,5% nonostante i recenti progressi e gli islandesi che vanno all'estero non possono portare con sé più di 2.500 euro. Inoltre l'economia dipende tuttora in gran misura dalle importazioni e la moneta rimane svalutata. Malgrado ciò, le prospettive di ripresa sono concrete e in molti sognano addirittura di entrare nel pur traballante euro. Il default dunque non è stato quindi l'apocalisse.
«INSOLVENZA APOCALITTICA». «Sì, ma l'Italia è tutta un'altra storia», ha spiegato a Lettera43.it Fabiano Schivardi, professore straordinario di Economia politica all'Università di Cagliari. «La nostra insolvenza rappresenta uno scenario ancora improbabile e comunque apocalittico».
Il default dello Stato si trasferirebbe immediatamente alle banche che hanno il debito sovrano in portafoglio. Queste, a loro volta, chiuderebbero i rubinetti del credito alle imprese portando a un crollo dell'occupazione, portandosi dietro anche i consumi. «E in tutto questo, lo Stato non riuscirebbe a ottemperare le sue funzioni fondamentali».
A RISCHIO EUROLANDIA. Insomma, in caso di bancarotta, secondo Schivardi, «servirebbe al Paese almeno un decennio per rinascere dalle macerie», inoltre «in queste condizioni, è improbabile che la costruzione europea possa rimanere in piedi».
Certo, non c'è alcuna connessione automatica tra insolvenza e uscita dalla moneta unica, visto che i trattati europei non prendono nemmeno in considerazione l'ipotesi che un Paese membro abbandoni Eurolandia.
«La caduta dell'Italia aprirebbe scenari imprevedibili», ha fatto notare l'economista. «Il problema è che la moneta unica, paradossalmente, è un progetto che non si basa su teorie economiche, bensì sull'idea tutta politica di unificare l'Europa in un regime di pace. Gli economisti hanno sempre saputo», ha aggiunto Schivardi, «che Eurolandia non era un'area sufficientemente omogenea».

Se l'Italia abbandonasse l'euro, potrebbe però tornare a usare la leva monetaria, svalutare, far volare le esportazioni e monetizzare il debito pubblico, riducendolo attraverso l’acquisto sul mercato aperto di grossi quantitativi di titoli.
RISTRUTTURAZIONE BLOCCATA. Tuttavia il porfessore non ha auspicato uno sbocco del genere: «D'impatto ci darebbe una spinta in avanti, ma poi bloccherebbe la ristrutturazione del sistema industriale che ancora va completata e che in passato è stata frenata proprio dalle svalutazioni competitive». Secondo Schivardi si tratta di un meccanismo funzionale per le economie in via di sviluppo, «non per l'Italia che è già pienamente sviluppata esi trova a competere non sul prezzo ma su innovazione e qualità del prodotto».
PAREGGIO DI BILANCIO. L'introduzione del pareggio in bilancio nella Carta costituzionale, osteggiata dagli indignati, è secondo il docente, una misura più simbolica che altro. «Sarebbe inutile nel mondo ideale», ha concluso l'economista, «nel mondo in cui una politica responsabile non scarica sulle generazioni future il peso delle spese, come si è fatto negli Anni 80 e nei primi Anni 90. Anzi, in quel caso sarebbe giusto avere la libertà di bilancio e la possibilità di spendere nei momenti di crisi per poi rientrare quando l'economia torna a tirare».
Però, ha osservato Schivardi, «con questa politica senza briglie che spende più di quanto tassa, la norma del pareggio di bilancio nella Carta non rappresenta una misura concreta, utile solo a rassicurare i mercati».

Lettera 43, 12 Ottobre 2011

domenica 9 ottobre 2011

Diverse interpretazioni del concetto di sussidiarietà

Confesso la mia diffidenza verso una certa retorica bipartisan. Specie in una stagione politica nella quale l'oggettiva esigenza di fronteggiare l'emergenza e di invocare il senso di una responsabilità comune può condurre a offuscare le differenze politiche e a misconoscere la funzione costituzionale dell'opposizione. Alla quale compete sì di non sottrarsi al dovere di cooperare alla fuoriuscita dalla crisi, ma anche di porre le premesse di un'alternativa. La qualità e la forza di una democrazia si misurano anche dalla sua capacità di non rinunciare, pure dentro le emergenze, ai fondamentali della stessa democrazia. 
Tra questi appunto la funzione costituzionale di un'opposizione degna di questo nome. Tanto più diffido della retorica bipartisan in tema di sussidiarietà. Un principio prezioso, sia chiaro, che, con la riforma del titolo quinto, abbiamo messo in Costituzione. Un principio cardine anche dell'insegnamento sociale della Chiesa sin dalla enciclica "Quadragesimo Anno" di Pio XI del 1931. Ma anche una parola decisamente inflazionata e dal significato mobile e spesso equivocato. E' la ragione per la quale non ho mai aderito alla pur affollata associazione parlamentare bipartisan per la sussidiarietà. Associazione sulla quale cercano di mettere il cappello gli uomini di Formigoni, che teorizza e soprattutto pratica una sua visione della sussidiarietà. Si pensi al sistema sanitario lombardo. Una visione legittima, ma che non può essere spacciata come "la" sussidiarietà. Semmai come una interpretazione politica di essa. Dalla quale è lecito dissentire.

La sussidiarietà cosiddetta orizzontale corrisponde a un'idea del rapporto tra società e Stato che riconosce e valorizza tutte le espressioni sane dell'autonomia sociale. Delle comunità naturali, a cominciare dalla famiglia, e dei corpi intermedi (appunto posti in mezzo tra il cittadino singolo e le istituzioni politiche). Di più: come recita il nuovo art. 118, lo Stato favorisce lo stesso esercizio di funzioni pubbliche da parte delle formazioni sociali. Vi sottende una visione dello Stato in senso personalistico e pluralistico. Personalistico in quanto subordinato e servente le persone singole e associate, impegnato verso i loro diritti e sollecito verso i loro bisogni. L'opposto delle visioni statalistiche o addirittura statolatriche. Pluralistico perché riconosce e promuove quella ricca trama di esperienze associative che si dipanano tra la persona e le istituzioni e le responsabilizza nello stesso soddisfacimento delle domande di prestazioni e di servizi pubblici che ad essi fanno capo. Sin qui tutti d'accordo. Ma proprio qui si innesta una distinzione. Il principio di sussidiarietà, che certo incorpora la suddetta visione e le connesse opzioni di valore, si qualifica tuttavia come principio regolativo dei rapporti tra persona-società-Stato che attiene al modo e ai mezzi del soddisfacimento dei bisogni attraverso l'esercizio di funzioni pubbliche. Esso va orientato e subordinato a un fine che lo trascende. Quello fissato solennemente nell'art. 2 della nostra Carta fondamentale che così si esprime: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti fondamentali della persona sia come singolo sia nelle formazioni nella quali si sviluppa la sua personalità. Attenzione ai verbi impegnativi: riconosce la preesistenza di quei diritti rispetto alla stessa comunità politica e soprattutto - ecco il punto - garantisce il soddisfacimento di quei diritti. Questo è il fine, questo è ciò che ultimamente conta sotto il profilo costituzionale. Non è precisazione di poco momento. Pena celebrare enfaticamente la sussidiarietà (che, ripeto, è principio regolativo prezioso e tuttavia servente il fine), magari sottacendo appunto la sua finalizzazione: quella di garantire l’effettività di diritti fondamentali. Qui si fonda il diritto-dovere dello Stato e delle sue articolazioni a un sano, virtuoso interventismo. 
L'opposto di una visione angustamente liberista dello Stato (minimo e residuale) o confederativa della società ove gruppi e comunità, magari omogenei ideologicamente, si organizzano nel segno della separatezza e dell'autosufficienza, pretendendo dalle istituzioni solo provvidenze o beni strumentali. Misconoscendo da un lato il preciso dovere dello Stato di assicurare che tali beni-diritti siano garantiti a tutti i cittadini e dall’altro rapportandosi ad esso solo in termini rivendicavi e particolaristici. In definitiva denegando il valore simbolico ed etico dell'appartenenza alla Repubblica intesa, al modo dei costituenti, come casa comune. Una cosa è rifiutare lo Stato etico, tutt'altra cosa è negare la valenza etica dell'appartenenza alla Repubblica. La quale a sua volta si impegna a garantire effettività e universalità all'esercizio dei diritti di cittadinanza anche quando i privati e le formazioni sociali da se soli non sono in grado di farlo. In sintesi, una visione sociale e solidaristica dello Stato nella quale inscrivere lo stesso principio di sussidiarietà. Il quale non contrasta con un ben inteso primato della politica e del suo compito di regolazione e di indirizzo della dinamica civile.

Come poi in concreto raccordare domanda sociale e risposta istituzionale, con quali mezzi e in quali forme, è questione affidata anche alle legittime e diverse visioni politiche. Ecco perché non si deve esagerare nell'immaginare che il principio di sussidiarietà sortisca una e una sola azione politica. Ci sono modi diversi di interpretarlo e di tradurlo politicamente. Non saranno né il tavolo parlamentare bipartisan, né il meeting di Rimini ad esonerarci dal dovere di elaborare politicamente una nostra idea della sussidiarietà. Che è francamente diversa da quella praticata da Formigoni.
Franco Monaco, Tamtàm

L'alfabeto

Ecco cosa resterà di Silvio Berlusconi. Ecco come ha cambiato la lingua, la grammatica e la politica italiane, dalla a di Arcore alla u di utilizzatore finale, alla z delle zie suore.
ARCORE. Ci si andava per scalare le classi sociali e per risolvere i conflitti politici: «Venite con le signore». Addirittura Matteo Renzi ci andò per far carriera a sinistra. È anche il luogo della iniziale finta felicità familiare alla Mulino Bianco e delle tristi orge finali, il tempio del Berlusconi-Satyricon. Persino certe mamme e certi fratelli erano fieri del “mestieraccio”, purché esercitato ad Arcore. È stata la capitale immorale dell´Italia e della prostituzione di Stato e non tornerà ad essere mai più soltanto un paesino della Brianza. Sicuramente sarà il posto dove più si accanirà la deberlusconizzazione: il sangue e la radici, come Predappio per Mussolini.
BANDANA. La vergogna di avere la pelata, la bandiera del giovanilismo senile.
BARBA. Odiata perché eversiva e spirituale. Ai suoi deputati passava la mano sul viso per controllare che si fossero sbarbati. La più disprezzata è stata quella di Cacciari: la barba della cultura, e per di più galeotta.
BARZELLETTA. Una volta la classe dirigente citava Tacito e Cicerone, le loro “barzellette”, le trovate per sdrammatizzare erano gli aforismi acuti e le intelligenze geniali di Cesare, di Napoleone, di Bismarck… Non è vero che le barzellette di Berlusconi hanno reso disinvolte le istituzioni. La barzelletta infatti è il motto di spirito del poveraccio, è l´intrattenimento spirituale di chi non ha spirito, come la povera patata. D´ora in avanti la barzelletta in politica sarà ricordata come il salvagente del disadattato, l´estremo rifugio dell´inadeguato, proprio come le corna e il cucù, la politica estera apotropaica e tarantolata non di un allegro mattacchione ma di un provinciale primitivo.
BUNGA BUNGA. Indefinibile pratica orgiastica da impotente sostenuto da protesi.
CALZA. Una volta fasciava le gambe delle donne. Con lui è stata usata per velare gli obiettivi delle telecamere e spianargli le rughe del viso.
COMUNISTI. Sono stati i suoi mulini a vento. Quelli veri li ama moltissimo (Putin, Lukascenko, Ferrara).
CONFLITTO DI INTERESSI. Ha una radice nobile nella Ricchezza delle nazioni di Adam Smith e nel nostro Risorgimento quando Cavour lo usò per fare l´Italia. Berlusconi ne ha abusato per disfarla. E´ diventato il cancro della nostra democrazia. E il sospetto è che parte della sinistra lo abbia garantito per riservarsi di usarlo in futuro. In questo senso il nascente Terzo Polo è già berlusconiano.
CRIBBIO. Fu la prima esclamazione di disappunto, da vecchio salotto merletti e rosolio. Ora preferisce la bestemmia e «Paese di merda!».
DOTTORE. Cosi lo chiamano i privilegiati della prima cerchia. Ha mille nomi ,soprannomi e nomi d´arte : Berluskaz (Bossi), il Berlusca, il Silvio, il Cavaliere, l´Amor nostro e il Cav (gli arguti cantori del Foglio), Ciao Pres (le sue ministre) . E poi: Caimano, Cainano, Banano, Ottavo nano, Cavalier Pompetta, Cavalier Patonza, O Buscone, Culo Flaccido (la Minetti arrabbiata).
EDITTO DI SOFIA. Non gli sono riusciti il Ponte di Messina, la Tav, le autostrade del mare, la rivoluzione liberale… Sarà però ricordato per la cacciata di Santoro, Luttazzi e Biagi.
EGEMONIA CULTURALE. Nel 1994 i professori Colletti, Vertone, Melograni, Rebuffa e Pera furono la risposta all´egemonia della sinistra. Hanno ceduto il posto ai nuovi machiavelli patonzolari Lele Mora, Tarantini, Lavitola, Signorini , Santaché e Minzolini.
ESCORT (Vedi VELINE).
FEDE. È il paradosso del nome che si è mutato nel suo contrario. È il servitore che si è servito, l´asino fatto mulo che ha preso a calci il padrone.
FIORI. Le peonie furono la cornice della sua discesa in campo. Si vanta di conoscere i nomi delle piante in latino. E come Imelda Marcos collezionava scarpe lui colleziona cactus (ha la testa sempre là).
FOTO. Un volta si scattavano, adesso si sganciano. Sono stecche, mazzette, bottino.
GNOCCA. Con sarcasmo oltraggioso ha immaginato “Forza Gnocca” come nome della sua Repubblica Sociale, il partito dei duri e puri. Al di là della battuta, ha mestamente ragione: quelli erano i figli dell´aquila e questi i figli della gnocca. L´inno del terribile crepuscolo mussoliniano fu «le donne non ci vogliono più bene…» e l´inno del misero crepuscolo berlusconiano lo ha cantato la Mussolini in radio: «E forza gnocca / perché siamo tantissime». Berlusconi smentisce Marx: non è vero che «la prima volta è tragedia e la seconda è farsa». La seconda è bordello.
IGIENE. Ai suoi deputati ordinava di masticare mentine alla violetta e di pulire il bagno con i fazzoletti detergenti. Lui li aveva usati anche per pulire la tavola della tazza dopo il passaggio di Craxi ammalato alla prostata.
INGLESE. Delle tre I berlusconiane è la lingua maccheronica del cretino cognitivo di Mediaset, da brand a “non fare il randomico”, a “sentirsi in charge” e “flagare”, sino al “briffare” con il quale la Minetti istruiva e dominava le ragazze. La convention sostituì il congresso e il club la sezione, e agli attivisti non vennero più dati colla e manifesti ma il kit. Così il militante divenne employee, staff.
JOGGING. Polo, pantaloncini e scarpette bianche: fu il rito di iniziazione, il cerchio di fuoco staraciano vissuto come americanata alla Sordi. E´ davvero indimenticabile la corsetta degli attempati cummenda. C´erano Letta, Confalonieri, Dell´Utri con gli occhiali, il calvo Galliani e in testa Silvio in versione Attimo fuggente: “o capitano mio capitano”.
LETTONE DI PUTIN. E´ l´inizio della sua seconda vecchiaia, lì sono cominciate le cose turche (saune e gasdotti).
LODO. Ciarrapico, Mondadori, Schifani, Alfano… La parola lodo è il suo abracadabra, la sublimazione del mito nazionalpopolare del condono che agli italiani serve ad aggiustare la cantinetta e la soffitta mentre a lui serve a rendere legittimo un impero illegittimo. Il lodo è la casamatta dell´illegalità.
MARINELLA. E´ l´unica ad avergli detto in faccia la verità su Tarantini. Nel bunker di fine epoca si fida solo di lei e del cuoco Michele che lo protegge dagli effetti nefasti dell´aglio. Hanno persino il diritto di criticarlo e gli mettono pure soggezione.
MI CONSENTA. Fu il suo biglietto da visita, la bandiera della discesa in campo. Fu la sua marcia su Roma.
MONDADORI. Da Thomas Mann a Sandro Bondi.
NAVE. L´ha usata per girare l´Italia in campagna elettorale ed è al piano bar delle navi che lavorava da ragazzo. E´ stata scuola quadri, officina di vita e di eccessi amatori, trincea di guerra. E infatti è il se stesso cantate da nave che ora rivede in Apicella, suo doppio e vero vicepremier. La nave sta al berlusconismo come l´Ecole nationale d´administration sta alla Francia. L´Ena è stata la fucina dei Servitori dello Stato, la nave è stata la fucina dei topi di Stato.
OBAMA ABBRONZATO. E´ la gaffe peggiore ma è anche la più sincera. Verrà ricordata e studiata nei manuali di politica internazionale. E´ la più stupida ma è forse la sola che gli sia scappata in buona fede. Certamente è quella che gli somiglia di più. L´abbronzatura infatti è il valore estetico del berlusconismo. Doppiopetto scuro su camicie scure aperte sul torace: il nero è il colore della casa perché sfila, nasconde le rotondità, attenua i rotoli di grasso. E´ l´estetica da cinema col pop corn. Berlusconi, che si veste come un buttafuori da discoteca, voleva davvero fargli un complimento. E non c´è riuscito.
OPERAIO. Con il casco divenne «il presidente operaio». Con il fazzoletto rosso fu «il presidente partigiano». Dopo Noemi «il presidente in mutande». Alle ragazze del bunga bunga ora dice di essere «presidente a tempo perso».
PAPI. E´ ormai per sempre la versione italiana di “sugar daddy”, il vecchio ricco che allunga le mani sulle bambine.
PARI OPPORTUNITA´. «Come Mara». Farcela «come Mara» è stato il sogno, l´ossessione di tutte le lupe di Arcore.
PATONZA. E´ la buca keynesiana, il contante da far girare.
ROSA. La mamma vantava le spalle del proprio figliolo come se fossero le ali del più splendido aquilotto: «Tutte le donne in spiaggia non avevano occhi che per lui». Mamma Rosa era la destinataria della sua vanità, è la custode della sua virilità.
SANTITA´. L´uomo della Provvidenza dell´immaginario mussoliniano è diventato l´unto del Signore. E l´epifania venne celebrata quando Bruno Vespa si inginocchiò per baciargli la mano e inebriarsi di santità. Come esibizione di ruffianeria e di padrinato il baciamano fu poi perfezionato con lo storico omaggio a Gheddafi. E l´unto divenne l´untuoso.
STALLIERE. Una volta evocava lamante di Lady Chatterley, in Italia sarà per sempre “l´eroe” mafioso del “nenti vitti e nenti sacciu”.
TOMBA. Nel Satyricon, quello di Petronio, il gran cafone cerca una guardia che si impegni a custodirgli il monumento funebre. Trimalcione, almeno, era consapevole che la tomba imperiale sarebbe un giorno diventata bersaglio dell´oltraggio popolare: “ne in monumentum meum populus cacatum currat (affinché il popolo non corra a cacare sul mio monumento funebre)”.
TOPOLANEK. La parte per il tutto. Il nome esotico di un capo di stato designerà in eterno l´organo sessuale maschile.
UTILIZZATORE FINALE. L´apoteosi dell´eufemismo. Non potendo dire rattuso, ricottaro, maniaco, cliente, puttaniere… il genio assoldato dell´ufficio legale Ghedini inventò questo capolavoro di burocratese sessuale. L´immoralità e la malafede hanno prodotto un raffinatissimo, oscuro stilema che invece di nascondere svela la depravazione.
VELINE (Vedi ESCORT).
VESPA. Lo scriba con il quale firmò il contratto con gli italiani, capolavoro dell´imbonimento televisivo.
ZIE. Ne aveva quattro ed erano suore. Erano macchine da preghiera, la sua industria domestica di indulgenze. Gli assicurano la compiacenza dei cieli mentre consuma i suoi tristi peccati.

FRANCESCO MERLO da La Repubblica del 9 ottobre 2011 Cosa resta del berlusconismo. In quaranta voci l´alfabeto di un potere immorale

sabato 8 ottobre 2011

Contro le mode della cultura moderna

«Continuiamo a piegare san Francesco alle mode della cultura moderna, ecco perché viene presentato come contestatore, hippie, ecologista… E come frati francescani non siamo esenti da questa deriva». Già in un libro illuminante Nostro fratello di Assisi (Edizioni Messaggero Padova, pp. 368, euro 20) scritto ormai più di vent’anni fa, padre Ignacio Larrañaga, frate cappuccino spagnolo, aveva messo in guardia da coloro che riducono san Francesco a «una marionetta senza Dio». Un rischio tanto più concreto oggi, secondo il religioso, perché «l’uomo moderno ha sostituito Dio con il proprio ego». Sacerdote francescano, Larrañaga, nel 1984 ha fondato i Laboratori di Preghiera e Vita, un servizio ecclesiale diffuso in più di 40 Paesi del mondo, ed è autore di numerosi best-seller di spiritualità. Da vero innamorato di san Francesco è impegnato da anni a far emergere il volto profondo del Poverello, la novità del carisma francescano che viene fuori per esempio dai lavori imprescindibili del medievista Raoul Manselli (San Francesco d’Assisi e I primi cento anni di storia francescana entrambi pubblicati dalla San Paolo). E l’originalità di un Santo che come ha detto Chesterton in un mirabile ritratto controcorrente (ripubblicato di recente da Lindau) è l’esatto contrario di un sognatore, «un uomo d’azione» che non può certo diventare «un protagonista di storie graziose».

Ecologista, pacifista, contestatore… Quante maschere sono state incollate negli anni a san Francesco?
Purtroppo la cultura moderna continua a presentare la sua figura secondo le mode del momento: ecco perché ce lo ritroviamo come hippie, contestatore, ecologista... È una tendenza che sia pure in forma lieve serpeggia anche tra i frati francescani oggi. Molti libri del resto continuano a offrire agli uomini d’oggi un Francesco senza Dio o un Dio in tono minore.

In che senso?
Nel libro Nostro fratello di Assisi ho voluto approfondire l’interiorità di Francesco, per far risaltare il suo rapporto d’amicizia con Dio. Perché senza il Dio vivo e vero, non si può comprendere il mistero di Francesco e il Santo può essere catalogato soltanto come uno psicopatico. Uno che dichiara il suo amore a Madonna Povertà, che rispetta le pietre e i vermi, che è amico dei lupi e dei lebbrosi, che si presenta a predicare in biancheria intima o che cerca la volontà divina girando su se stesso come a una trottola, lascia pensare solo a una persona squilibrata. Senza Dio, san Francesco può assomigliare soltanto a una bellissima marionetta, capace di prodigiose acrobazie. È invece Dio a rendere solida e integra la sua personalità. È Dio che rende sublime ciò che sembra ridicolo.

Lei ha criticato anche la filmografia sul Santo.

Prendiamo il film di Zeffirelli. È un bel ritratto “periferico” di Francesco. Non ci offre la spiegazione del mistero della sua anima. Tutto ci appare come un magico mondo in cui solo un masochista chimicamente puro può compiere ciò che Francesco ripete in quelle scene: sottomettersi a una vita errabonda offrendo un volto felice a facce acide, usare dolcezza nell’asprezza, trovare gioia nella povertà… Tutto questo presuppone un lungo camminare nel dolore e nella speranza, in pratica il passaggio trasformante di Dio nella vita di un uomo. E questo nel film non si vede.

Il Papa in uno dei numerosi interventi sul Santo d’Assisi (raccolti ora nel volume Benedetto XVI e San Francesco a cura di Gianfranco Grieco per la Libreria Editrice Vaticana) ha parlato di Francesco prima della conversione come di una specie di «play boy». È ancora proponibile la sua svolta ai giovani d’oggi?
È difficile oggi far comprendere a un giovane che la castità è un valore, perché viviamo in una società completamente erotizzata. Si può cominciare a comprendere il valore della castità solo nel momento in cui un giovane si lascia sedurre profondamente da Gesù Cristo.

Il prossimo 27 ottobre sarà la venticinquesima edizione dell’Incontro interreligioso di Assisi voluto da Giovanni Paolo II, sarà ancora l’occasione per riscoprire il messaggio di pace di Francesco, troppo spesso arruolato tra i pacifisti…
Ma la pace promossa da Francesco ha un’unica radice: Dio. E questo spiega anche la fratellanza cosmica: la pace riguarda tutte le creature perché tutte provengono da Dio. Di certo però non si può dire che gli animali valgono più di un embrione umano.

Pensi a san Francesco e subito ti viene in mente una figura gioiosa. Ma qual è il segreto di un uomo che andò incontro alla morte cantando?
La felicità di san Francesco derivava dal fatto che il suo cuore traboccava della presenza vibrante a amorosa di Dio. Lui credeva davvero che la morte non ci chiude le porte della vita, ma al contrario ci apre quelle della vita eterna. Mentre il problema più grande dell’uomo moderno è proprio la mancanza di fede nella vita eterna. Da qui nascono gli egoismi nevrotici, le lotte e la tendenza a buttarsi via.

Lei ha scritto che uno dei più grandi inganni della nostra società è farci credere che si possa essere completamente felici. Spesso viene taciuto che lo stesso san Francesco fronteggiò pene e tribolazioni anche nel fisico.
È una vera utopia moderna quella che ci vuole sempre felici. Bisogna far i conti con la sofferenza che è sempre in agguato. La differenza sta nel soffrire con l’ angoscia o nel soffrire con la pace. Nel primo caso è davvero una disgrazia. Ma l’esperienza di Francesco suggerisce che quando hai la pace dentro puoi sopportare ogni sofferenza. E ciò accade a coloro che hanno Dio vivo nel loro cuore.

A tal proposito lei ha scritto diversi libri sulla preghiera e ha fondato veri e propri laboratori in tutto il mondo. Ma cosa suggerisce a chi non riesce a vedere i frutti delle proprie preghiere?

Il problema non è il fallimento o il successo. Ma nel consegnare i risultati nella mani di Dio e restare in pace anche in caso di avversità. E il giorno dopo ritornare a combattere. Chi ha la pace è una persona indistruttibile, e nonostante i molti fallimenti subiti, alla fine, sarà sempre un vincitore. 

Antonio Giuliano, La Bussola Quotidiana, 4 ottobre 2011

venerdì 7 ottobre 2011

Alla ricerca del nuovo nome

Nuovo nome del Pdl, opposizione "sdegnata". La nuova denominazione del Pdl, ha spiegato  il premier, è necessaria in quanto "il nome del Pdl non è nel cuore della gente". "Si accettano dei suggerimenti, faremo fare dei sondaggi", ha proseguito, lasciandosi poi andare a una battuta: "avrMi dicono che il nome che ebbe maggiore successo è Forza Gnocca".
Sdegnata la reazione delle opposizioni. "E' una cosa desolante - ha commentato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani - Mi viene in mente che in queste ore stanno facendo i funerali delle cinque donne morte a Barletta". "Se dobbiamo rispondere con una battuta si potrebbe dire che è l'unico partito che ha avuto e che non ha bisogno di fondare. Ma non ci possiamo permettere di rispondere con le battute", ha aggiunto la presidente dei democratici Rosy Bindi. Il pensiero ai fatti di Barletta ricorre anche nelle parole del leader Sel, Nichi Vendola: "Nella giornata in cui il nostro Paese celebra il funerale di cinque lavoratrici e il dolore si unisce alla rabbia per questa tragedia ingiusta, il presidente del consiglio si lascia andare in una battuta irripetibile, inaccettabile e assolutamente irrispettosa in un momento così triste".
Il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando chiama in causa le donne del Pdl: "E' grave e imbarazzante il silenzio delle parlamentari del Pdl, soprattutto di quelle che si richiamano ai valori cattolici. Cio' significa che si identificano nel nuovo nome del Pdl dato dal premier?". "Ormai il mondo ci guarda e ride" aggiunge il verde Bonelli. Dura la reazione di monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo: "Avrebbe forse intenzione di suscitare ilarità, ma suscita solo sconcerto...".
fonte: sito de La Repubblica, 7 ottobre 2011

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...