sabato 28 aprile 2012

Patto di stabilità o Patto di stupidità?

Firenze, 27 aprile 2012 - Il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha annunciato oggi: "Sono pronto a violare il patto di stabilità, pur in presenza di alcuni gravi rischi per le conseguenze''. "Io sono pronto - ha detto Renzi -, insieme ad altri sindaci, a metterci la faccia e non solo la faccia. Quello che deve essere chiaro è che il Governo non può non rendersi conto che se vuole una misura per la crescita, ha la prima già a portata di mano: sblocchi il patto di stabilità almeno per le infrastrutture''. Renzi, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha spiegato che una delle conseguenze in caso di violazione del patto di stabilità è la riduzione, come sanzione, di un terzo dello stipendio del sindaco, aggiungendo comunque di essere "pronto a tagliare 15mila euro del mio stipendio, che pesano sui 50mila annui, purché la mia città possa vedere le aziende che finalmente riscuotono dal comune".
A chi gli ha fatto presente che una delle conseguenze negative è che al Comune verrebbe impedito di accendere mutui per il 2013, Renzi rispode: "potremmo già  organizzarci", ricordando che il Comune di Firenze ''ha in cassa 92 milioni, ha fatture già pronte per essere liquidate per almeno 25 milioni, ma secondo il patto di stabilità del Governo potrebbe spenderne solo 9 milioni''.
Per il primo cittadino di Firenze ''in un momento in cui non ci soldi a giro nell'economia, non c'è modo di iniettare liquidità nel mercato, in un momento nel quale le aziende sono in crisi, le famiglie soffrono perché i lavoratori non riscuotono o comunque riscuotono poco, io giudico stupido che non si sblocchi il patto di stabilità, almeno per gli investimenti''. ''Cioè - ha proseguito - sulla spesa corrente, se vogliamo essere duri, rigidi, rigorosi, io sono d'accordo, perché non si può buttare via i soldi nel pubblico; ma sugli investimenti che hanno un ritorno immediato, importante e significativo, non chiudere questo patto di stabilità, che è un pacco di stupidità, è allucinante''. ''Noi - ha aggiunto Renzi - ci vedremo il 24 maggio a Venezia, con tutti i comuni italiani, convocati da Graziano Del Rio, ma già da adesso annuncio che sono pronto a violare il patto di stabilità".
Lo sfogo ancora più acceso su Facebook: "Roba da pazzi! Abbiamo 90 milioni di euro in cassa. E abbiamo da pagare centinaia di aziende, per le quali i soldi sono già pronti. Eppure non possiamo farlo per questo maledetto patto di stupidità. Così le aziende falliscono, i soldi rimangono nelle banche e l'economia non riparte con le famiglie che soffrono. Una misura per la crescita? Ma sbloccate questo patto, almeno per gli investimenti! Sulla spesa corrente rigidi, rigidissimi. Ma bloccare gli investimenti è assurdo, specie in un momento come questo..."
 
fonte:La Nazione on line

sabato 21 aprile 2012

La più grossa novità della politica italiana

Milano, 20 apr. (TMNews) - Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha annunciato che dopo le elezioni amministrative annuncerà insieme a Silvio Berlusconi "la più grossa novità della politica italiana, che ne cambierà il corso nei prossimi anni".

Al termine di una visita tra i padiglioni del Salone del mobile, Alfano ha aggiunto che l'iniziativa "sarà accompagnata dalla più innovativa campagna elettorale che la politica italiana abbia mai conosciuto dalla discesa in campo di Berlusconi del 1994".

Il preannuncio di Alfano, accompagnato da un "non posso dire di più, non chiedetemi di più", è stato fatto rispondendo a una domanda sull'iniziativa del senatore Beppe Pisanu che ha raccolto 29 parlamentari per andare "oltre il Pdl". E intanto proseguono i movimenti all'interno dello scenario politico. Dopo l'uscita di Pier Ferdinando Casini sul nuovo partito della Nazione, di cui farebbero parte anche alcuni tecnici del suo governo, il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa ha annunciato di aver azzerato i vertici del partito durante i lavori della costituente di centro.

Cesa ha chiesto "un atto di generosità per un'impresa nuova per il bene del paese". L'assemblea costituente che ha sancito l'azzeramento dei vertici dell'Udc è stata aperta dal suo presidente Savino Pezzotta, secondo il quale "nulla sarà più come prima".

La risposta di Formigoni

Cari amici, 
nessuno come questo giornale ha trovato le giuste parole per definire la montagna di diffamazioni che si stanno riversando sulla mia persona, il mio ufficio di rappresentante del popolo lombardo, i miei amici del movimento di Comunione e Liberazione.
Non ho niente da rimproverare ai magistrati, chiedo soltanto di fare bene e presto il loro mestiere.
La carcerazione preventiva quando è ingiustificata e i processi mass mediatici sono una barbarie italiana, da cui non riusciamo a liberarci, tant’è che, diversamente da quello che è successo molte volte nei tribunali, nei processi mass mediatici non ci sono mai innocenti: sono sempre tutti colpevoli, difetti e debolezze sono sempre reati.
Oltre ad annunciare agli amici e lettori di Tempi che il mio avvocato sta per depositare una serie di querele per diffamazione, colgo l’occasione per dirvi cosa c’è di reale in tutta la montagna di fango che mi è stata riversata addosso e che, cara Carla Vites, dovrebbe a tuo avviso provocare a Cl “un sussulto di gelosia per la propria identità”.

C’eri talvolta anche tu, in quelle vacanze al mare, in quelle cene e lo sai e l’hai anche detto tra le righe dei tuoi sfoghi alla stampa.
Nessun festino, nessuna occasione per tramare ai danni di chicchessia, nessuna riunione di affari.
Mi rimproveri di essere stato trascinato mio malgrado in vacanze spendaccione, nel lusso e nello sfarzo.
Scusate, plotone di esecuzione della stampa politicamente avversaria, non è un reato. Le spese delle carte di credito di Daccò sono elevate perché si riferiscono a conti collettivi. E se ci sono biglietti aerei e una settimana di vacanza alle Antille con cifre importanti, scusate tanto, non sono Brad Pitt ma me le posso pagare, me le sono pagate col mio stipendio.

Le ricevute dei rimborsi delle spese anticipate da Daccò? Non le ho tenute, le ho buttate; scusate, è un reato?
Scusate, esiste una legge che fa obbligo di tenere gli scontrini dei viaggi se questi viaggi non sono per lavoro, non vengono scaricati sulla Regione e, giustamente, rientrano negli affari del privato cittadino?
Carla, l’hai confessato tu, pur nella tua rabbia furibonda nei miei riguardi: niente stupidaggini lussuriose, niente combutte alle spalle del cittadino contribuente. Cara Carla, perché a scatenare la tua ira è bastata quella fotografia del Governatore “mollemente adagiato su un letto megagalattico del salone del Mobile”?
Faccio un brutto mestiere, lo sai, un po’ come il chirurgo che deve entrare in sala operatoria e andare avanti a operare anche la mattina in cui avesse saputo che un amico ha perso il lavoro, ha avuto un lutto o, come mi hai severamente richiamato tu, è stato arrestato.
Ti assicuro, quella foto al Salone del Mobile rende ragione al dovere che io ho, specie in questo frangente in cui le fabbriche chiudono e la disoccupazione brucia la vita di tante, troppe persone, di dare supporto, partecipazione e, diciamolo, anche immagine all’Italia che tira la carretta, che cerca di ripartire, che lotta per ricreare posti di lavoro.

E’ un delitto, secondo te, secondo voi, amici, che un Governatore accetti di farsi riprendere positivo e sorridente a simbolico sostegno in un salone dove si espone e si cerca di promuovere il lavoro delle nostre imprese in un momento in cui le imprese sono in crisi, l’esportazione langue e gli imprenditori suicidi non si contano più?
E’ un delitto che un Governatore accetti di mettersi in posa, anche per fotografie che sulle prime possono apparire ridicole, ma che servono a promuovere il lavoro dei nostri imprenditori, operai, la nostra gente che oggi fa fatica a produrre e a mantenere le fabbriche aperte?

Lo so che in un’altra dimensione, quella personale e prossima della nostra vita, la vicenda di Simone è importante almeno quanto il mio dovere istituzionale. E dunque, se anche nel mio tentativo di questi giorni - di fronte ad un bombardamento di domande in diretta con la redazione del Corriere della Sera e altrove - di difendere il buon operato e il buon nome della Regione Lombardia, trovi qualcosa di superficiale e affettato, mi scuso con te e con tutti gli amici.

E’ vero, Simone è mio grande amico da 40 anni. Come mio amico - da meno tempo - è Piero Daccò, sia pure, e su questo Piero so che ne converrà, in una dimensione che non è, non può essere quella con chi, come Antonio, ha condotto le battaglie umane, politiche e culturali di una vita.
Non ti voglio Carla, non vi voglio amici, star qui ad annoiare con la rievocazione degli anni Settanta, quando con Antonio si resisteva in università contro quelli che ci sprangavano (e guarda caso oggi sono qui a darci lezioni di buona educazione civica). Né rievocare i primi passi in politica, quando Antonio entrava in Consiglio regionale in Lombardia sostenuto dall’entusiasmo di decine di migliaia di compagni di università, ciellini e non. Quando io stesso, entravo al parlamento di Strasburgo con quasi mezzo milione di preferenze, evidentemente di popolo e non soltanto della gente del movimento.

E’ così, a un certo punto le nostre strade si sono divise perché Antonio fu spazzato via ingiustamente e ingiustamente recluso da inchieste che poi lo dichiararono innocente. Io salivo ai vertici della Regione Lombardia e ci sono rimasto in questi quasi vent’anni, non perché sono stato attaccato alla poltrona o a un ruolo, ma perché così, liberamente e democraticamente, la volontà popolare espressa a larghissima maggioranza degli elettori lombardi ha voluto che fosse.
In questi anni Antonio ha lavorato soprattutto all’estero e, come hai raccontato tu, ci si è incontrati talvolta durante le vacanze o a tavola, in quel posto dove ogni persona umana ritrova la convivialità.
Può qualcuno dire che in questa amicizia Antonio abbia approfittato, nella professione che poi ha svolto all’estero e nelle società che ha condotto con Piero, della mia posizione di potere?
Qualcuno lo ha detto, certi giornali scrivono che se uno fa il Governatore e i suoi amici si occupano anche di sanità, certo ci sarà del losco tra loro. Affarismo e familismo amorale, scrivono. Ebbene, la pensino come vogliono: se si trovasse quel che non c’è, e cioè che sono stato corrotto, con soldi o quant’altro; se si documentasse con una sentenza, non con le illazioni e le sole ipotesi d’accusa, che io ho fatto una sola cosa di ciò che mi addebitano aver fatto per distrarre uffici e denaro pubblico solo per fare un favore ad amici incapaci e incompetenti, ne pagherò tutte le conseguenze del caso. 

Ma c’è un’altra e non meno importante dimensione della realtà, mia personale ma, soprattutto, sociale, comunitaria, civile, a cui devo anche qui ritornare e accennare, rimandando evidentemente altrove, in sede politica e di giudizio popolare, tutta questa vicenda. E la vicenda è questa regione italiana che, con tutti i nostri limiti e, mi auguro, la perfettibilità che noi o altri dopo di noi realizzeranno, è sotto tutti i profili una delle regioni, se non la regione come suggeriscono i dati complessivi, meglio amministrata in Italia.
Non voglio qui rinnovare l’elenco di quanto abbiamo fatto e volto in vento favorevole alla costruzione di più solidarietà, più uguaglianza, più progresso per i cittadini lombardi.
Però non voglio neppure sminuirla.

Guardate i saldi positivi e gli encomi internazionali della nostra sanità. Analizzate l’immenso sforzo profuso dagli amministratori di questa parte d’Italia per dare al proprio popolo libertà di scelta, di educazione e di cura, servizi più che decenti, costi contenuti dell’amministrazione, battaglie per il lavoro.
Ecco, cercate di analizzare punto per punto quanto è stato fatto dalla regione Lombardia in questi diciassette anni e provate a domandarvi se, in tutta onestà, non dovremmo andare più che orgogliosi, ripeto, dentro tutti i nostri limiti e perfettibilità, di quel pezzo di civiltà e di promozione umana e civile che abbiamo realizzato dentro uno stato che non raramente ci ha remato e ci rema contro, impedendoci la libertà di agire in comparti decisivi della società, sottraendoci risorse che in tante altre regioni sono invece state elargite a larghe mani, impedendoci di reinvestire in Lombardia il frutto dei sacrifici e del lavoro dei cittadini lombardi.
Esaminate con quanta generosità, come anche è stato ricordato su questo giornale, la Lombardia si è messa a disposizione e ha offerto una concretissima solidarietà alle regioni italiane più disagiate: ha fatto più la Lombardia, in termini di risorse e fondi attivati per il sud, che tutte le altre regioni d’Italia messe insieme.
Ripeto, non voglio qui ribadire quello che ogni cittadino informato e osservatore onesto sa e, spesso, troppo spesso, viene dimenticato o escluso dai riflettori per ragioni che ovviamente posso immaginare e che fanno riferimento alla barbarie con cui è condotta la lotta politica in questo paese.

Sfido i presunti puri che credono di sapere e promettere di fare meglio della Lombardia, a offrire ai propri occhi e a quelli dei loro eventuali seguaci, la radiografia scientifica di quanto è stato fatto in questi miei diciassette anni di governo di questa Regione.
Sfido a pubblicare i dati degli organismi indipendenti. I dati delle authority italiane e delle istituzioni internazionali al riguardo della Lombardia.
Sfido chiunque a comparare questi dati con la situazione del resto dell’Italia e a contestare la nostra eccellenza.
Sono a volte caduto e cado in qualche eccesso di narcisismo o di personalismo? E’ così. E allora?

C’entra qualcosa il mio personale modo di atteggiarmi, i miei limiti personali, i miei gusti o non gusti, con l’oggetto proprio della valutazione di un buono o cattivo amministratore?
Che cosa si deve giudicare: le mie camicie o i miei atti di governo?
Le mie giacche o le mie leggi?
I miei limiti di uomo o la mia concreta attività al servizio dei cittadini e il fatto che abbiamo reso questa Regione la più avanzata, moderna, efficiente in Italia?

Non vi fate accecare dal buono o cattivo gusto delle mie cravatte sgargianti, o dall’antipatia, o simpatia che un Presidente della Lombardia il cui temperamento e carattere può destare sentimenti quali che siano.
Giudicatemi sui fatti, soltanto sui fatti di quanto è stato realizzato in questa nostra terra lombarda.

E non soltanto da Formigoni, ma da una compagine di governo, dal Pdl alla Lega che, con tutti i difetti e i problemi giudiziari che adesso hanno alcuni dei suoi uomini, è lì, squadernata, osservabile, valutabile serenamente e spassionatamente da tutti coloro che sono realmente interessati a giudicare le cose per quelle che sono e non per quelle che vengono oggi rappresentate distorcendo, mistificando, cancellando i dati elementari della Lombardia motore economico, civile e di regione rinomata in tutto il mondo.
Naturalmente i tanti e vistosi risultati conseguiti sono anche frutto di uno straordinario coinvolgimento e collaborazione di migliaia di dirigenti e funzionari della Regione e del sistema regionale. 

E riflettete serenamente sul perché, per quattro volte di seguito, il popolo lombardo ci ha riportato sugli scudi al governo di questa grande, grandissima regione.
Non sono inebriato dal successo.
Non sono avido di chissà quale altro potere.
Non ho fatto il Governatore per andare a Roma e preparare chissà quali altri trampolini di lancio.
Sono qui, al mio posto e alle mie responsabilità da quasi vent’anni, a sessantacinque anni.
Cosa credete che mi preoccupi alla mia età e dopo questa lunga cavalcata al servizio della gente?

Dice un salmo biblico, «gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, passano presto e noi ci dileguiamo». Non coltivo deliri di onnipotenza o di immortalità. Conto soltanto di aver servito il mio popolo con la coscienza di un incontro, di una educazione, di un affetto per Cristo, dentro l’umiliazione di tutti i miei tanti e tanti peccati.
Non sono un uomo perfetto, non sono un uomo sempre all’altezza dei miei amici e degli insegnamenti che ho ricevuto. Mi perdonerete, ma non direte mai che non è vero.

E così, debbo anche dirvi, che alla modesta menzogna di chi scrive e dice che nella sanità come nel mondo dell’impresa generica io avrei favorito i miei amici, rispondo: andate e guardate se i Rotelli, i Veronesi, i Rocca, i Garattini hanno ricevuto da noi un trattamento diverso.
Andate e verificate se anche personalmente questo Governatore non si è speso per ciascuno e per tutti gli imprenditori e i lavoratori della sua terra.
Andate e chiedete se non ho battuto questa Regione palmo a palmo cercando di rispondere alle attese e domande di tutte indistintamente le opere di solidarietà e di carità sociale.
Andate e parlate col popolo che mi ha conosciuto, la gente per la quale mi sono battuto, le fabbriche in crisi dove ho cercato e cerco di dare risposte all’altezza del bisogno. In verità abbiamo cercato di fare tutto per il bene di tutti, qualunque fosse il colore politico o la fede o la cultura che professasse.
Lo abbiamo fatto avendo come unico criterio la buona salute, la buona impresa, la buona amministrazione.
Abbiamo commesso errori? Sì.
Tutto quello che abbiamo fatto è riformabile? Sì.
Bisognerà prendere atto puntualmente dei limiti di questo nostro amministrare? Sì.
Ma questo dovrà deciderlo il popolo elettore, non i tribunali, né tantomeno le campagne denigratorie e diffamatorie .

Ma ribadisco: l’amicizia non è un reato, anzi è il segreto della vita buona, la normalità del nostro essere nel mondo e per il mondo, il posto dove ogni uomo e donna desiderano ardentemente abitare e dove ciascuno di noi, qualunque professione svolga e responsabilità abbia nella vita, può trovare il necessario paragone e la prima correzione per essere quello che deve essere nella professione e responsabilità che è chiamato a svolgere.

Per il resto, faccio tanti auguri, a te Carla e a tutti gli amici di continuare a combattere insieme la buona battaglia. E ai legittimi avversari e persino a coloro che mi considerano un nemico, anche a loro auguro un rapporto, nei miei confronti e nei confronti dell’amministrazione che rappresento, che sia da uomini e perciò all’altezza della ragione e delle ragioni e non del pregiudizio, dell’ipocrisia e dei fanatismi che troppe volte abbiamo visto finire in intolleranza e violenza. 
Roberto Formigoni

Ps. Inutile dire che non mi dimetterò: sarebbe da irresponsabili piegarsi al ricatto dei calunniatori e dare soddisfazione a lobby a cui sembra non importare niente del dramma della crisi che sta devastando l’Italia e a cui interessa soltanto la mia poltrona per i loro affari di potere.

 fonte: tempi.it, 20 aprile 2012

Come un cagnolino al guinzaglio

Caro direttore,
ho letto l'intervista pubblicata dal suo giornale a Roberto Formigoni (pagina 9 del «Corriere della Sera»). Da privata cittadina e soprattutto da militante ciellina della prima ora non ho potuto trattenermi dal pormi una serie di domande, anche perché, pur essendo una persona qualunque, la sorte mi ha riservato una conoscenza ravvicinata con l'attuale Governatore della Regione Lombardia. 
Vede, conosco lui, Antonio Simone ed altri da circa trent'anni. In questa cerchia di relazioni ho avuto modo di condividere molte occasioni di vita di queste persone. Bene, Formigoni non può affermare che «conoscevo Daccò da molti anni, ma non ha mai avuto rapporti direttamente con me, ma con l'assessorato». 
E sorvoliamo sull'inaccettabile spiegazione riguardo la presenza della Minetti nella sua lista: «Me l'ha detto don Verzé»
Scarica il barile sul prossimo, quando a lui sarebbe bastato domandarsi: «Ma questa qui, l'ha mai fatta in vita sua, non dico una riunione di partito, ma almeno di condominio?». E passiamo al fatto che possa serenamente dire che non ha mai avuto rapporti direttamente con Daccò. Ebbene lo spettacolo dei suoi «rapporti» con Daccò è sotto gli occhi dei molti chef d'alto bordo dove regolarmente veniva nutrito a spese di Daccò stesso, vuoi Sadler, vuoi Cracco, vuoi Santin, vuoi Aimo e Nadia, per non parlare dei locali «à la page» della Costa Smeralda dove a chi, come me, accadeva di passare per motivi vari, era possibilissimo ammirare il nostro Governatore seguire come un cagnolino al guinzaglio Daccò, lo stesso con cui non aveva rapporti diretti. Vederli insieme era una gioia degli occhi: soprattutto per una come me che assieme a tanti altri meravigliosi amici di Cl ha militato per lui volantinando, incontrando gente, garantendo sulla sua persona. Era una gioia degli occhi perché - e qui secondo me è la vera tragedia, cioè non tanto se e come egli abbia intascato soldi - Robertino con Daccò e tutta la sua famigliola, si divertiva e tanto! Eccolo con la sua «24 ore»: me lo vedo sul molo di Portisco arrivare diritto da Milano pronto ad imbarcarsi sullo yacht di Daccò dove le sue figliole (guarda caso, non sono depositarie del diritto a usare del Pirellone come mega location per eventi da migliaia di euro a botta?) lo attendevano con ansia pronte a togliersi il pezzo di sopra del bikini appena il capitano avesse tirato su l'ancora, perché così il sole si prende meglio, chiaramente. Era una gioia degli occhi, ma anche delle orecchie sentire Erika Daccò dire a chiare e forti lettere, me presente, nel giugno 2011, durante una cena - con il suo compagno allora assessore alla Cultura della Regione Lombardia, il quale, interrogato dalla sottoscritta su cosa avrebbe parlato ad un prossimo convegno, ovviamente rispose: «Ma di cultura!». E io a dirmi: «Che stupida sei: un assessore alla Cultura di cosa vuoi che parli? Ma di cultura! E se fosse stato all'agricoltura? Di agricoltura» -: «Pensa noi Daccò siamo i migliori amici di Formigoni e non riusciamo a dirgli di non indossare quelle orrende camicie a fiori»! Ma certo, ci credo anch'io che Robertino non abbia mai raccolto soldi od altri effetti dalle frequentazioni col faccendiere Daccò: a lui bastava l'onore di essere al centro di feste e banchetti, yacht e ville. Che se ne dovrebbe fare dei soldi uno così narcisista? I soldi a lui non servivano. Tranne per qualche camicia a fiori o per una giacca orrendamente gialla. Cl, a mio avviso, deve avere un sussulto di gelosia per la propria identità, per quello che Giussani pensava al momento della fondazione. A questo punto, bisogna domandarsi, con Benedetto XVI: «Perché facciamo quello che facciamo?» Per finire, credo che il travaso di bile di cui questa mia è segno non sarebbe forse avvenuto se, dopo avere letto sul «Corriere», a pagina 9, le falsità dette da Roberto, non avessi visto, nella Cronaca di Milano, il Governatore a tutto campo mollemente adagiato su un letto megagalattico del Salone del Mobile, che se la ride soddisfatto. Vede, oggi (ieri, ndr) è il 58° compleanno del suo migliore amico Antonio Simone, detenuto nelle patrie galere di San Vittore da venerdì alle 16.
Mi risulta che il suo migliore amico, mentre lui si adagia mollemente a beneficio dei giornalisti esibendo quel che resta di un fisico a suo tempo quasi prestante, deve discutere su chi oggi avrà il diritto di allungare le proprie di gambe all'interno di una cella che ospita altri 5 detenuti.
Ecco, allora io vorrei approfittare per dire, davanti a tutti: «Auguri Antonio!».
 
Corriere della sera, Carla Vites, 19 aprile 2012

Un voto per Passera

Telefono a Passera e gli dico: “Ti amo!”
Sono restato affascinato da quel che dice il ministro.
E se fosse vero?

Ho ascoltato due interventi che Passera ha fatto in due diversi convegni. Ero in auto e andavo e poi tornavo dalla stazione di Foligno e, su Rai Parlamento, sento parlare entrambe le volte il ministro. Due viaggi, di 45 minuti, domenica e lunedì, due interventi di 45 minuti. Sembrava che ci fossimo messi d’accordo. Un caso? Un segno divino?

La cosa in sé l’ho trovata strana. E ancor più strano il fatto che mentre ascoltavo il primo intervento non avevo capito chi parlasse, e più ascoltavo più ero d’accordo con l’oratore. Alla fine ho scoperto che era Passera e mi è preso un colpo. Cioé: di famiglia siamo socialisti e comunisti da tre generazioni… Certe cose non dovrebbero succedere.

Passera ha detto addirittura che l’efficienza energetica è una delle 4 colonne del programma del governo. Ha parlato non solo di corruzione ma anche di burocrazia folle, tassa occulta per le aziende. Insomma, sembrava che stesse citando un mio articolo… Come potevo non essere d’accordo?
Se Passera riesce a fare metà di quel che dice, mi dispiace ma lo voto!

E ti avviso anche che di fronte al nullismo dei partiti e l’assenza per lieve indisposizione di una qualsiasi forza credibile alternativa al sistema, rischiamo che alle prossime elezioni Monti e Passera decidano di mandare tutti al diavolo. Se si presentano con un loro partito (solo tecnici astemi) prendono il 52% dei voti. E sinceramente sospetto che sarebbe la cosa migliore che ci potrebbe capitare…


Jacopo Fo 19 aprile

Nel 2050



Quali caratteristiche presenterà quella parte geografica del mondo che corrisponde all'Europa, in particolare all'Europa d'Occidente, verso la metà del 2000? Si può affermare con quasi assoluta certezza che la cultura che oggi siamo soliti indicare con il nome di «occidentale» e che la caratterizza, sarà quasi del tutto scomparsa. Si può anche presumere che il processo di estinzione avverrà molto rapidamente. Il motivo è evidente: le culture vivono attraverso gli uomini che ne sono portatori.
Verso il 2050 l'Europa sarà abitata da un gran numero di Africani insieme a gruppi di media consistenza di Cinesi e di Mediorientali, a causa della continua e massiccia immigrazione dall'Africa e dall'Oriente e dell'altissima prolificità di queste popolazioni, superiore in genere di almeno cinque volte a quella degli Europei. [...] La morte dell'Italia è già in atto soprattutto per questo: perché nessuno combatte per farla vivere; persino perché nessuno la piange.
È contro natura, contro la realtà dei sentimenti umani, ma è così: stiamo morendo, nel tripudio generale, con una specie di «suicidio felicemente assistito» dai nostri stessi leader, governanti e giornalisti. Non per nulla l'idea del suicidio assistito è nata in Occidente.
Le cifre sull'incremento demografico europeo sono abbastanza diverse passando da una Nazione all'altra (di solito più alte in Francia, in Svezia e negli altri Paesi del Nord), ma le previsioni sulla fine della società europea rimangono più o meno le stesse. I gruppi che popolano l'estremo Nord europeo, anche se più prolifici degli Italiani, sono però poco numerosi e di conseguenza non incidono in modo significativo sull'incremento totale; ma soprattutto quello che conta è la particolare dinamica dei singoli fattori culturali che sostengono la civiltà europea e che influiscono in modo diverso nelle varie Nazioni. La conclusione, in ogni caso, è chiara: i «portatori», i soggetti agenti della cultura occidentale, saranno sempre più in minoranza.
Per«minoranza»non si deve intendere, infatti, esclusivamente quella numerica in quanto gli Europei continueranno anche oltre il 2050 a essere, almeno in alcune zone, più numerosi degli Africani - ma quella psicologica: essere invasi e sopraffatti senza aver combattuto induce all'estinzione.
Si tratta della situazione opposta a quella dei popoli conquistati con le guerre. Questi covano anche per secoli la propria resurrezione, resistendo alle imposizioni del nemico proprio perché è «nemico», e impegnano tutte le energie nel conservare la propria lingua, i propri costumi, la propria religione. In Europa uno degli esempi forse più famosi da questo punto di vista sono i Polacchi e gli Ungheresi che hanno resistito sotto il dominio straniero, russo e tedesco, con la consapevolezza orgogliosa della propria storia, del proprio coraggio, delle proprie virtù.
Malgrado fossero costretti all'uso della lingua straniera, i Polacchi si sono rifugiati nella propria come nella più forte arma di difesa, convinti che lì si trovasse il principale strumento di salvaguardia della loro identità. [...] Si tratta di una convinzione istintiva, anche se sono moltissimi gli scrittori che l'hanno affermato con assoluta sicurezza.
Fra quelli italiani, volendoli citare, ci sarebbe solamente l'imbarazzo della scelta,visto che non c'è stato nessuno,a partire da Dante via via attraverso i secoli fino all'unità d'Italia, da Petrarca a Galileo a Leonardo a Machiavelli a Vico a Cesarotti a Leopardi a Carducci a Pascoli a D'Annunzio a Croce, che non abbia difeso con tutte le sue forze la lingua italiana affermandone, oltre alla supremazia espressiva e alla ricchezza melodica in confronto a tutte le altre lingue, proprio la funzione di linfa vitale per l'identità del popolo che la parla: la lingua «sostituto della patria», come dice Luigi Settembrini.
Compariamo questo comportamento con l'invasione ricercata e voluta degli orridi anglo-americanismi nella lingua italiana in uso oggi, e sapremo perché stiamo andando verso l'estinzione.


Ida Magli ‘'Dopo l'Occidente'' Il Giornale 18 aprile 2012

venerdì 20 aprile 2012

Agende di lusso

I rischi dell'antipolitica

I partiti "non sono il regno del male, del calcolo particolaristico e della corruzione". Lo sottolinea il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricordando la figura di Benigno Zaccagnini. "Guai a fare di tutte le erbe un fascio - aggiunge - a demonizzare i partiti, a rifiutare la politica". I partiti - scrive il Capo dello Stato in un messaggio per la commemorazione di Benigno Zaccagnini - "Non sono il regno del male, del calcolo particolaristico e della corruzione. Il marcio ha sempre potuto manifestarsi, e sempre si deve estirpare : ma anche quando sembra diffondersi e farsi soffocante, non dimentichiamo tutti gli esempi passati e presenti di onestà e serietà politica, di personale disinteresse, di applicazione appassionata ai problemi della comunità. Guai a fare di tutte le erbe un fascio, a demonizzare i partiti, a rifiutare la politica". Ha concluso il Capo dello Stato: "E per cambiare quel che va cambiato, per riformare quel che va riformato oggi qui, senza ulteriore indugio, per trasmettere ai giovani la 'vocazione alla politica', è il momento di trarre respiro e fiducia dall'esempio - tra i più alti e limpidi che possiamo ricordare - di Benigno Zaccagnini".

Ansa 18 aprile 2012

La piccola Norimberga di Grillo

«Li accuso di aver portato il paese alla fame. Per questo dobbiamo fare un processo pubblico per fare in modo che riportino tutti i soldi che si sono mangiati, fino all'ultima lira». Lo ha detto, riferendosi ai partiti italiani e ai loro leader, Beppe Grillo durante un comizio elettorale a Borgomanero, nel Novarese. «Dobbiamo fare una piccola Norimberga - ha aggiunto facendo riferimento ai processi ai criminali nazisti che si tennero nella città tedesca dopo la seconda guerra mondiale  al cui termine vedremo quale lavoro socialmente utile fargli fare».

«PROCESSO PUBBLICO» - Più tardi, rispondendo a una domanda dei giornalisti, il leader del movimento 5 stelle, ha precisato di parlare seriamente. «Ci vuole - ha spiegato - un processo pubblico. Si tirerà a sorte una giuria di cittadini incensurati e determineremo come farci ridare tutti i soldi che hanno rubato e come indirizzarli a qualche lavoro sociale».

LA «RESA DEI CONTI» - «Siamo - ha spiegato il leader del Movimento 5Stelle - alla resa dei conti. Loro non si rendono conto di questo. Mi guardano, parlano di un affabulatore che convince le folle, ma abbiamo 800mila persone su Facebook che hanno 100 amici a testa: sono 43 milioni di persone che ci seguono. Loro non hanno queste cose, non riescono nemmeno a concepirle. Usiamo i social network da 5 o 6 anni e non sono io che ho le idee, ma le mettiamo insieme in rete, con i work in progress con le più belle menti del mondo. Perchè la rete è il mondo, ci scrive Stiglitz che è un premio Nobel e ci scrivono l'elettricista e l'idraulico: cittadini che entreranno nei Comuni, nelle Regioni e spazzeranno questo Parlamento che non serve a nulla».

14 aprile 2012

Sondaggi

“Noi abbiamo già perso, è questa la nostra fortuna”. Così parlò Beppe Grillo ad Ancona a fianco del ‘suo’ candidato sindaco. Era il dicembre 2008. Un secolo fa. L’ex comico, come non di rado gli accade, ha cambiato idea: “Il 10-12 per cento che sembrava il nostro punto d’arrivo – ha detto il 12 aprile – oramai non basta più. Se non spostano la data delle elezioni e il Movimento riuscirà a intercettare anche quel 40 per cento che non va più a votare, prenderemo il 25-30 per cento e andremo al governo”. Al governo.

Forse Grillo esagera, ma sondaggi alla mano (dopo “il comitato d’affari Pdl-Pdmenoelle”, come amano dire) l’obiettivo terza forza del Paese – sondaggi alla mano, per quel che valgono – sembra alla portata: secondo l’ultima rilevazione Swg il Movimento 5 Stelle supera il 7 per cento delle intenzioni di voto. Poco, pochissimo per le schiere di sostenitori appassionati che ingolfano le bacheche di Facebook (l’autentica agorà del grillismo) con numeri in doppia cifra. Anche loro forse ottimisti, ma in fondo è già successo. Il Movimento è già stato terzo alle regionali dell’Emilia Romagna del 2010 (7 per cento), in Piemonte (4 per cento), e alle amministrative del 2011 a Bologna (9,5 per cento) e Torino (5,4 per cento). In alcune città come Rimini la soglia della doppia cifra è già stata superata. Facile dunque, salvo cataclismi, prevedere un’infornata di consiglieri alle prossime amministrative e qualche decina di parlamentari nel 2013.

Sarà il battesimo del fuoco per un movimento pieno di buone energie ‘dal basso’ però dominato da un leader incontrastato (nonostante il mantra dell’uno vale uno) la cui cifra politica si misura su un linguaggio che a molti ricorda un certo leghismo della prima ora. Ad altri anche peggio. I ‘grillini’ sono forse già milioni. Un popolo che, se saprà anche superare l’accusa che taluni gli rivolgono di una certa ‘supponenza’ nel sentirsi il solo puro in un mondo di infetti, potrà essere credibile. Ecco un breve abbecedario del ‘Movimento-pensiero’.

Ambiente. E’ la stella polare del Movimento. Acqua pubblica, energia pulita, rifiuti zero, mobilità sostenibile, lotta alla cementificazione sono i temi centrali. Un tempo li avrebbero classificati ‘Verdi’. Oggi sono qualcosa di diverso.

Bene comune. La cifra ideale (per qualcuno ideologica) del grillismo. Per l’idea di comunità, un tempo, li avrebbero classificati ‘di sinistra’. Ecco perché il Pd è il nemico numero uno.

Carriera. Il grillismo è figlio (anche) della decadenza della casta. Nel Movimento – dicono – non si fa carriera. Due mandati e poi a casa.

Denaro. I soldi sono una specie di ossessione. Non all’accumulo, ma al risparmio. Popolare in tempi di crisi.

Europa. Dei banchieri e non dei Popoli. I politici sono ‘marionette delle banche’, in Italia la responsabilità è del trio ‘Prodi-Draghi-Monti’. Un tempo sarebbero stati di destra.

Finanziamento pubblico. Da sopprimere senza se e senza ma. Per i partiti e per la stampa. All’informazione basta la Rete.

Giornalisti. Mai fidarsi. La stampa è sempre contro, l’informazione sempre inquinata e dominata dai gruppi editoriali. All’informazione basta la Rete, i giornali sono roba vecchia. Eppure sono sempre nel mirino.

Leader. ‘Il cancro della democrazia’. Ma non manca chi pensa che “Beppe ha sempre ragione”.

Monti. Nell’agosto 2011 Grillo vedeva di buon occhio un governo tecnico. Oggi il professore è ‘Rigor Montis’, consulente di Goldman Sachs messo da Napolitano al governo “in combutta” con le banche europee. E tanto basta.

Nemici. Tutti e nessuno: “Non ce l’abbiamo con qualcuno in particolare – dice Davide Bono, capogruppo M5S in Piemonte – sono anche loro, a loro insaputa, vittime del sistema.

Organizzazione. Nessuna sede, niente sezioni. L’agorà del Movimento è la Rete. Ognuno può dire la sua. E nei limiti del possibile viene ascoltato.

Partiti. Vedi alla voce leader. Devono essere annientati e restituire ai cittadini i miliardi di euro drenati grazie alle leggi sui rimborsi elettorali.

Rimborsi elettorali. Il Movimento rifiuta i rimborsi elettorali, considerati ‘refurtiva’. I consiglieri regionali e comunali eletti trattengono per sé una quota di stipendio (2.500 euro al mese in Piemonte), il resto confluisce in un conto corrente separato.

Sinistra. In Piemonte nel 2010 Mercedes Bresso perse le elezioni per poco più di 9 mila voti, un decimo dei voti del M5S. Idem in Molise un anno dopo. In entrambi i casi si disse che Grillo aveva regalato le regioni alla destra. Fumo negli occhi per il Movimento.

Tav. Il palazzo d’inverno. Sempre in prima fila in Val di Susa contro l’opera inutile. E contro la magistratura se si mette di traverso.

Umorismo. (senso del). Sanno ridere degli altri. Ancora poco di se stessi. C’è tanta passione, ma anche conformismo. Su certi temi è vietato sgarrare. Altrimenti sei fuori.

Vaffanculo. Catartico e per tutti. “Un consiglio turistico – dice Grillo – non un insulto”.

da Il Fatto Quotidiano del 15 aprile 2012

L'antipolitica

Intervenendo sulla vicenda dei finanziamenti ai partiti il presidente della Repubblica ha ammonito che ciò che rischiamo è «la fine della democrazia e della libertà». Ad alcuni, quella di Napolitano, sarà parsa una forzatura retorica. Ma non lo è. Gli scricchiolii sono sempre più numerosi, il rischio c'è. Si consideri la contestuale presenza di tre elementi. In primo luogo, una crisi economica destinata a durare a lungo, per anni probabilmente, con tanti giovani disoccupati e l'impoverimento di molte famiglie. In secondo luogo, una condizione di generale discredito dei partiti e della classe politica professionale. Infine, l'incapacità di quella medesima classe politica di trovare rimedi adeguati per la crisi di legittimità che l'ha investita. È la sinergia fra questi tre fatti che può provocare conseguenze devastanti.
Sbaglia chi crede che la crisi della Lega tolga semplicemente di mezzo uno dei principali strumenti di canalizzazione di umori antipolitici, che quella crisi sia un colpo all'antipolitica. Semmai, contribuisce a esasperarla. L'antipolitica è il convitato di pietra della politica italiana, si nutre del suo discredito, ne succhia il sangue, e può, in qualunque momento, esplodere in forme imprevedibili. Quando i sentimenti antipolitici diventano dominanti, e certamente lo sono oggi in Italia, aspiranti demagoghi di ogni genere si fanno avanti per intercettarli e assicurarsi un lauto bottino. Chi pensa che alle prossime elezioni politiche il gioco, e il pallino, resteranno interamente nelle mani delle vecchie oligarchie forse si illude. È possibile che la combinazione dei tre elementi suddetti (crisi economica, discredito della politica, inadeguatezza delle risposte al discredito) favorisca il successo di movimenti di protesta a vocazione autoritaria, già esistenti o in via di costituzione, non importa di quale colore politico. Con effetti di condizionamento sull'intera politica italiana.
Soffermiamoci sulla inadeguatezza delle risposte della classe politica al discredito. Si prenda il caso dei rimborsi pubblici ai partiti. L'andazzo durava da anni. Quando finalmente è esplosa la vicenda Lusi i politici hanno solo finto di scandalizzarsi. Adesso che è scoppiato il caso della Lega sembrano decisi a muoversi. Per fare cosa? A quanto pare, per «riformare» il sistema dei rimborsi, stabilire controlli, regole, eccetera. Senza tener conto di due fatti che pesano come macigni: il primo è che il finanziamento pubblico che vogliono mantenere, sia pure riformandolo, ha un non emendabile vizio d'origine, è figlio di un grave vulnus alle regole democratiche. È stato messo in piedi aggirando, e annullando di fatto, i risultati di un referendum popolare che imponeva la fine del finanziamento pubblico (i radicali di Pannella, che lo hanno sempre denunciato, hanno ragione). Se il sistema viene solo «riformato», il vulnus e la connessa illegittimità restano intatti. Il secondo macigno è dato dal fatto che, essendo i partiti giunti a questo livello di impopolarità, è l'idea stessa di finanziamento pubblico (camuffato o meno da rimborso) che è diventato inaccettabile per il grosso dei cittadini-contribuenti, i quali, per giunta, sono soggetti a una pressione fiscale altissima.
Occorrerebbe una rivoluzione, il coraggio di rinunciare ai soldi pubblici e di puntare sui finanziamenti privati (con tutti i paletti, i tetti, i limiti e i controlli che si vuole). Sulla base del principio: il cittadino, se vuole, «si paga» il partito che preferisce. Sarebbe un modo per assicurare che vivano (o si ricostituiscano) i partiti veri, capaci di mobilitare cuori e portafogli, e che muoiano invece le camarille oligarchiche in grado di sopravvivere solo come strutture parastatali, grazie ai soldi pubblici. Non si può fare? Sarebbe una cosa troppo «americana»? E allora tenetevi tutto il pacchetto: i soldi pubblici assieme al disgusto dell'opinione pubblica.
Oppure prendiamo il caso delle riforme istituzionali su cui si è realizzato un accordo di massima fra Pdl, Pd e Udc. Luciano Violante, autore di quella bozza, non me ne voglia se dico che quello schema mi sembra, anche al di là delle sue personali intenzioni, un «Manuale di autodifesa per oligarchie partitiche in pericolo». Un manuale, aggiungo, che non può dare ciò che promette. È surreale, nelle attuali condizioni, puntare su una legge elettorale i cui scopi sono quelli di assicurare (come nella legge che si vuole sostituire) il controllo di pochi dirigenti sulle candidature e di ritornare all'epoca in cui i governi si facevano e si disfacevano in Parlamento, senza riguardo per la governabilità. In Italia, dal 1948 al 1992, in 44 anni, si succedettero 45 governi. Non c'è più nessun Muro di Berlino in grado di tenere in piedi un sistema politico così inefficiente.
Se non fosse perché troppo preoccupati della propria sopravvivenza politica a breve termine, i politici italiani comprenderebbero che la sola strada rimasta per rimettere in sicurezza la democrazia consiste in un vero ampliamento dei poteri del governo (Cancellierato) o in un ampliamento dei poteri unito alla elezione diretta (Presidenzialismo). E in una legge elettorale coerente con lo scopo. Per iniettare più capacità decisionale nella democrazia e dare alle cariche di governo quel prestigio e quella forza perduti dai partiti e che questi ultimi potrebbero recuperare solo dopo anni di buon lavoro.
Le democrazie muoiono di solito per eccesso di frammentazione, instabilità, incapacità decisionale, e per il discredito che, in certe fasi, colpisce i loro partiti. Oggi i partiti italiani vengono percepiti da tanti come un problema anziché una soluzione (ciò spiega la popolarità di Monti). Ai loro dirigenti converrebbe uscire dall'angolo mediante qualche risposta adeguata. Altrimenti, la democrazia potrebbe in breve tempo vacillare sotto l'urto di ondate di protesta sempre più impetuose e pericolose.


fonte: Corriere della Sera, Panebianco, 10 aprile 2012

Il francescano

ROMA - «Farò una vita da francescano».
Addirittura.
«Avevo già restituito quattro miliardi».
Vecchie lirette.
«Mica le prendevo per me».
No?
«No. Solo per il mio partito, il Pli».
Non come questi di adesso, chessò, i Lusi e i Belsito, magari con qualche famigliola politica da sfamare...
«Eh, ora c'è chi scambia il Parlamento per un benefit».
Pure prima esageravate.
«Lo ammetto, ma era diverso. Le spiegherò come».
Sospira Francesco De Lorenzo, un tempo Sua Sanità, ed è difficile dire se per nostalgia d'una stagione morta o per il sollievo d'esserle sopravvissuto. Settantatré anni portati alla grande, come uno che prima è passato sotto le forche caudine di Tangentopoli, poi attraverso Poggioreale e un tumore con chemioterapia devastante, ed è infine risorto, lavorando coi drogati di don Gelmini (grande foto del controverso sacerdote dietro la scrivania), e inventandosi infine l'Aimac, che raccoglie cinquecento associazioni di volontari nella lotta contro il cancro: «E tutto senza un euro delle case farmaceutiche, lo scriva, lo scriva». Marmi, assistenti, gran sede in via Barberini, c'è chi resta in piedi anche quando cade...
«Si chiudono dei cicli, io ho cambiato vita».
Già, però il tarlo è quello vecchio. Averci marciato, sui malati, quand'era ministro della Salute, governo Amato, primi anni Novanta.
«Non ho alterato i prezzi dei farmaci, i giudici me l'hanno riconosciuto infine! Non ho danneggiato l'erario, guardi qua».
(Tira fuori faldoni, sentenze, pandette, carte da bollo in perenne lotta tra loro: come molti a lungo strizzati dai magistrati, è ormai il migliore avvocato di se stesso). Comunque sia, deve pagare cinque milioni di euro per danno all'immagine del nostro povero Stato, sentenza definitiva.
Dove li trova?
«Metà li restituii a suo tempo, gliel'ho detto prima. Per il resto, venderò la casa, ho qualche bene al sole. Potrei vendere anche i pastori».
I famosi pastori del Settecento napoletano...
«Quelli: una settantina, raccolti in trent'anni. Valgono duecentomila euro, ma non facciamolo sapere ai ladri».
Ci mancherebbe. Parliamo di altri furti. Una sua foto sotto l'insegna del ristorante «Due Ladroni» è rimasta nella storia.
«Mai intascato un soldo, per me».
Dunque si dichiara innocente?
«No. Il finanziamento illecito è stata la mia colpa. Mandavo dagli imprenditori il mio segretario, Marone, perché non si pensasse che me li tenevo io. Adesso lo fanno per loro tasche. Ma allora tutti sapevano. Anche Zanone che poi ha fatto tanto il moralista».
Pochi sono stati tanto detestati dagli italiani quanto lei.
«Colpa di una lunga campagna di stampa».
Lei era uno dei viceré di Napoli, con Pomicino e Di Donato.
«Un viceré senza truppe, mi creda. Napoli è una città plebea, mia moglie non poteva nemmeno più andare a giocare a bridge. I miei amici liberali si misero con Bassolino. Io per la sanità ho dato il sangue, l'ho detto varie volte».
Sangue infetto, quello dello scandalo...
«Non ero nemmeno testimone, in quell'inchiesta, sia serio. Mi hanno spedito all'inferno e non so perché. Ero benestante, ero un tecnico, avevo il settanta per cento di consensi».
Meglio di Berlusconi...
«Non scherzi. La gente si è sentita tradita. Ma io ho avuto giudici etici, mi hanno condannato per associazione per delinquere da solo, tutti i miei coimputati erano assolti. Il mio processo è stato ingiusto, l'ha detto la Corte costituzionale quattro mesi dopo la mia condanna definitiva. E mi hanno fatto andare in udienza mentre facevo la chemio!».
Lei, nessuna colpa?
«Non insista. Gliel'ho detto: avrei dovuto rinunciare alla poltrona di ministro, è vero. Se la volevi, dovevi finanziare il partito. Funzionava così. Per assicurare il quoziente al partito servivano consiglieri comunali, sezioni, giornali, cose che costavano».
E nani, ballerine, terrazze...
«Cose che ho letto, non c'ero su quelle terrazze».
Mi dica dei finanziamenti.
«Il finanziamento illecito c'è sempre stato. Malagodi prendeva soldi da Confindustria, Moro si alzò per difendere Gui. Solo che quelli avevano... gli attributi. Noi ci lasciammo sbranare, portare via l'immunità parlamentare».
Molti imprenditori si sentirono sbranati, in verità.
«Se agli imprenditori chiedevi di darti i soldi in chiaro, rifiutavano: avrebbero dovuto dare cento a noi liberali, ottocento ai socialisti, mille alla Dc».
Ci furono ruberie grosse.
«Ci furono. Ma io non appartenevo a quella classe politica. Comunque gente come Citaristi o Balzamo non prendeva soldi per sé. E, lo sa?, nemmeno Craxi, dico io».
Dice lei. E di Tonino Di Pietro che mi dice?
«Nulla. E' stato mio pm, non sarebbe elegante».
Di Berlusconi?
«La magistratura ha abusato anche con lui. Poi lui avrebbe dovuto fare attenzione al suo ruolo, l'ultima variante non mi piace. Ma ha aiutato molto la nostra associazione contro il cancro, gli sono grato».
Vent'anni dopo. Si ruba in proprio rispetto a ieri?
«Oggi è tutto abnorme».
Ormai è saltato anche lo schermo del partito, no?
«Mi invitarono nel casertano all'ultima campagna elettorale. Non c'era un comizio, non c'era un manifesto. E allora dove stanno i costi della politica?».
Già. E dove vanno i soldi della politica?
«Questa legge elettorale è tremenda, tutti stanno appesi al leader».
Pure Belsito e Lusi?
«Cosa mi sta chiedendo?».
Un leader può avere un tesoriere simile e non saperlo?
«Ai miei tempi, no».
E adesso?
«E' diverso. Non si coprono spese reali periferiche, il finanziamento viene dato al centro, il tesoriere ha un ruolo fondamentale. Certo, se poi un partito non ha nessuna attività...».
Cosa fa, allude a un caso specifico? Manda messaggi?
«Prossima domanda».
Ultima. Cosa fa domani l'ex viceré di Napoli?
«Cerca di salvare San Giuseppe».
Chi?
«Il mio pastore preferito, un viso splendido. Quello non lo vendo. A costo di smettere di mangiare». 

fonte: Corriere della Sera, Goffredo Buccini 14 aprile 2012 

venerdì 13 aprile 2012

la versione croata

La Croazia deve «affermare l'intangibilità della vita umana dal concepimento fino alla sua morte naturale», ricordava lo scorso giugno Benedetto XVI mettendo in guardia dal pericolo della riduzione della coscienza all'«ambito del soggettivo». In realtà la coscienza è una, ricordava, luogo «dell'ascolto della verità e del bene». Se non torna a una visione come questa, «l'Europa è destinata all'involuzione».

L'allarme allora sembrava esagerato e irrealistico, oggi meno. Eletta a dicembre, la sinistra croata sta cercando di varare una legge a dir poco controversa bypassando il processo democratico. Come riportato dal Foglio, il nuovo governo ha invocato la procedura d'urgenza per imporre una norma che apra alla fecondazione assistita senza limiti di età, alla procreazione eterologa, che comprende la selezione in base al sesso, e all'adozione degli embrioni da parte di coppie omosessuali. I diritti del concepito vengono ridotti al minimo, dato che la vita umana ha inizio «a seconda della visione del mondo di ciascuno», come ha dichiarato il ministro della Salute croato.

Secondo il primo ministro, poi, coloro che sono contrari a questo provvedimento sono definibili come «scarti». Insomma, o con noi o contro di noi: non c'è molto spazio per il dibattito. Ma i movimenti cattolici e pro life hanno deciso di opporsi al provvedimento, chiamando anche in causa il capo dei vescovi cattolici e sperando di riuscire ad aprire almeno un dibattito pubblico

La storia di Bella

Abbiamo preso la decisione nel fine settimana: la campagna per me è finita. La sospendo da oggi». Il 10 aprile il candidato alle primarie repubblicane Rick Santorum ha deciso di ritirarsi dalla corsa, lasciando a Mitt Romney il compito di sfidare Barack Obama alle prossime presidenziali. Fra le motivazioni che l'hanno spinto alla decisione, l'outsider italoamericano ha citato anche le condizioni della figlia Bella, la cui situazione di salute si è complicata. Non è la prima volta che una vicenda intima influisce sulla carriera politica di Santorum. Anzi. Tutta la sua storia è un continuo intrecciarsi tra privato e pubblico, tra affetti e impegno civile.

Era la metà degli anni Novanta e un allora semisconosciuto Santorum si segnalava per alcune importanti battaglie contro l'aborto a nascita parziale. Una pratica assai cruenta, allora permessa negli Usa e che consiste nell'estrazione parziale del feto dall'utero attraverso l'uso di una pinza; il cranio del bambino è svuotato attraverso una cannula, che ne risucchia il contenuto fino a provocarne la morte. Santorum era uno dei più fieri oppositori a tale prassi e, col passare dei mesi, era diventato la bandiera del mondo pro life. Fu proprio allora che la moglie, Karen Garver, scoprì di essere incinta del quarto figlio, Gabriel, cui i medici diagnosticarono una grave malformazione. La famiglia Santorum si ritrovò quindi nella particolare situazione di attendere proprio uno di quei bambini che, secondo i pro choice, non avrebbero meritato di vivere. La loro battaglia personale divenne un formidabile esempio di come le ragioni della vita potessero essere sostenute anche nelle situazioni più avverse. Fu in quei mesi che Karen iniziò a redigere un diario (poi pubblicato col titolo Letters to Gabriel) la cui eco giunse fino a Madre Teresa di Calcutta che inviò ai coniugi una lettera poi posta a
prefazione del testo.

È quello di Karen un testo ricco di fatti e coincidenze singolari. Come scrisse l'autrice, nella loro vicenda accadevano fatti difficilmente spiegabili con il solo riferimento al caso: «“Perché noi? Perché adesso?”, a nessuno di noi è passata inosservata la coincidenza del fatto che, una settimana dopo il dibattito al Senato, ci siamo trovati di fronte a una gravidanza come quelle che erano state citate a difesa di quella procedura». Gabriel nacque a 22 settimane e sopravvisse solo poche ore, morendo fra le braccia dei suoi genitori.
«Non erano tessuti, era un bambino», disse Santorum dopo quella triste esperienza, testimoniando di aver cullato un bimbo che per la legge sarebbe stato possibile abortire. In diversi interventi pubblici Santorum ritornò ad affermare le sue convinzioni, esprimendo la certezza che «la vita ha sempre un senso» e che nell'esistenza di ciascuno di noi «c'è un piano. Ognuno deve saperlo e dare il suo contributo». Fu a causa di questa sua battagliera posizione che sulla stampa liberal si iniziò a definirlo il «cattolico masochista», cercando in ogni modo di stopparne l'ascesa e la popolarità. Come ha detto in una recente intervista Karen: «Hanno cercato di distorcere le cose, dicendo che avevamo portato a casa un feto. Spero non soffrano mai una perdita simile. Quello era mio figlio. L'ho portato a casa per fargli il funerale. Nessuno può dirmi come seppellire mio figlio».

Nel maggio 2008 un nuovo evento. A casa Santorum s'affacciò il viso paffuto e simpatico di Isabella Maria, detta Bella. La piccola è affetta da una rara sindrome genetica. Per un altro strano scherzo del destino, ancora nel libro di Karen si ritrovano parole profetiche su questa nuova nascita: «Io non potrò mai dire: accetterò e amerò un bambino sano e non uno ammalato. Qualunque bimbo Dio ci donerà noi lo ameremo e lo cureremo con totale dedizione».
Le condizioni di Bella, solo dieci giorni dopo la venuta alla luce, si aggravarono. «I medici ci dissero di lasciarla morire, perché non sarebbe mai stata una bambina come le altre», ha rivelato Santorum durante un dibattito nel novembre scorso. «Chiesi l'ossigeno perché aveva una crisi respiratoria. Ci risposero ancora che dovevamo imparare a mollare!».
I coniugi Santorum portano Bella a casa. La piccola alterna fasi di buona e cattiva salute. nei primi mesi, in Rick qualcosa si incrinò e iniziò a trattare freddamente la piccola, con un distacco poco paterno. È stato sempre lui a narrarlo in recenti interviste: «Mi comportavo esattamente come chi sponsorizza l'aborto: trattavo mia figlia come se la sua vita avesse meno valore delle altre. Avevo deciso di non amarla. Perché così avrei sofferto meno se l'avessi persa». Fu allora che il cattolico Santorum si decise: «Supplicai Dio di salvare Bella. In cambio mi sarei battuto per amare e proteggere non solo lei ma tutti i bambini malati. Cominciai a pregare per capire come».

A far riscattare qualcosa in Santorum è stata la riforma sanitaria del governo Obama, «che è tutto il contrario di quella protezione che promisi». Vinta l'ostilità di Karen, restia a rituffarsi in un'avventura che inevitabilmente avrebbe scombussolato la tranquillità familiare, e quella del suo stesso partito, Santorum decise di iniziare l'avventura, con una motivazione dal sapore molto americano: «Non si fa una cosa del genere se non ci si sente chiamati». Per un anno ha consumato le suole delle scarpe e battuto alle porte degli americani. Pochi fondi, una generale diffidenza nelle sue idee troppo politicamente scorrette, ma anche una serie di vittorie inaspettate che rivelano agli occhi del bel mondo che esiste ancora un'America che crede nella lotta contro l'aborto, la famiglia naturale, il sostegno alla piccola-media impresa. Tematiche care a Santorum e inizialmente ai margini del dibattito, ma che, grazie al suo exploit, sono ritornate nell'agenda dell'establishment a stelle e strisce.

E siamo ai giorni nostri. Il 6 aprile Bella è stata ricoverata. «Come allora capii di essere chiamato in prima linea per essere un buon padre, ora capisco che devo stare vicino a mia figlia», ha dichiarato Santorum il 10 aprile, mentre annunciava lo stop. Cosa succederà ora, è presto per dirlo. Ma come nel caso di Gabriel, anche la fragile vita di Bella ha già interrogato milioni di americani, sbaragliando i piani di un intero partito
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La verità di Luisa

«Ho lavorato con artisti come Gabriele Salvatores in ‘Nirvana', ho partecipato a Sanremo con Fausto Leali, recitato nell' ‘Odissea' con Giorgio Albertazzi, Renato Zero ha scritto canzoni per me, ma questa di "Pirates" è una sfida, una vera rinascita: dopo tanta televisione ho scoperto il teatro, i tour. Ma ho passato anche momenti durissimi, culminati con la morte di mio padre». Luisa Corna è fino al 27 novembre al Teatro Nuovo di Milano con il musical sui Pirati.
Luisa, prima si parlava di lei soprattutto per il suo privato, la sua storia con Aldo Serena...
«Siamo stati insieme dieci anni, un grande amore, ma ora lui è sposato, ha figli, lasciamolo tranquillo».
...poi con Alex Britti.
«Uomo stupendo e grande artista, ma siamo stati insieme solo un anno».
E oggi ha una storia?
«Sono ormai da anni felicemente single».
Luisa Corna
Bugiarda?
«Sincera: non ho nessuno, per questo sono sparita da certe notizie».

Sparita, ma mai dimenticata da "certe notizie": quando i miei amici hanno saputo che l'avrei incontrata mi hanno subito detto: «Avrai il coraggio di chiederle della storia con Umberto Bossi?».
«Vedo che il coraggio ce l'ha».
Si dice che la mattina dell' 11 marzo 2004, quando Bossi è stato ricoverato, fosse con lei. Un ex amico del senatur, Leonardo Facco, ha scritto nel libro Umberto Magno (Aliberti): «Luisa Corna non ha chiamato subito un' ambulanza... ma ha avvertito alcuni leghisti molto vicini a Bossi, che gli hanno detto di non fare niente perché sarebbero arrivati loro a gestire la faccenda. Ciò ha provocato il peggioramento dell'emorragia».
«Guardi, questa storia mi ha rovinato l'esistenza. Per la prima volta in questi termini, voglio chiarire una volta per tutte. Poi basta».
Chiariamo. D' altra parte, tra lei e Bossi ci sarebbe potuta essere anche un'affinità: lei cantante, lui con un passato da cantante. Con il nome d'arte di Donato Bossi arrivò in semifinale al Festival di Castrocaro nel 1961, ma fu giudicato «troppo triste». Dove lo ha incontrato la prima volta?
«La prima e ultima, a un concorso di Miss Padania. Ma più che conosciuto, l'ho intravisto».
Nessuna storia quindi?
«Per carità».

Come nasce una voce così persistente? Per tutti lei era la compagna segreta di Umberto Bossi.«Non so come sia successo, né chi abbia messo in giro questa voce. Guarda caso partita proprio nel momento d' oro della mia carriera e che mi ha penalizzato non poco. Un periodo d' oro e anche il più brutto».
Perché il più brutto?
«È quando si è ammalato mio padre, e ho deciso di ritirarmi per stare con lui, una scelta faticosa, ma che ho fatto senza rimpianti. Poi è arrivato questo pettegolezzo infamante».
Molti uomini politici sono attratti da belle donne dello spettacolo, che in genere vengono molto avvantaggiate nel lavoro.
«Non nel mio caso ed è la storia a parlare. Certe voci danneggiano il lavoro non di un singolo, ma di tutti. Se parliamo di Pirates, per esempio, ci lavorano 20 artisti, i tecnici, le maestranze del teatro, i maestri delle luci e suoni esterni. Non è giusto».
Secondo lei c' è stata una regia di questo pettegolezzo su quel terribile giorno?
«Non lo so, non ho fatto indagini, come non ho voluto fare smentite. Ora che sono passati anni, però, è il momento di dire basta».
È stato un danno grosso da un punto di vista professionale?
«Anche. Più che per la cantante Luisa Corna, per l'immagine che mi dava, una sorta di maga Circe, un gioco orrendo. Questa storia mi ha ferita come donna. Io non sono una persona che fa certe cose per calcolo. Non è quella la mia natura, non ci penserei nemmeno».
Come ha reagito quando le hanno riferito questa voce?
«Sono passata attraverso vari stati d' animo: dall' indifferenza alla risata, dal dire: "È terribile", Vno alle lacrime. Mi rivolgo a chi legge: non credete a questa voce, è falsa. Chi lo dice? Chi lo prova? Non c'è mai stato niente, mai una foto, mai perché credere ancora a una stupidaggine?».
Vox populi, vox Dei: a volte la voce del popolo è più forte di qualsiasi verità provata.
«È pazzesco. È un passaparola che non ti risparmia. Il fatto è che certi ambienti, anche il mio, a volte sono davvero faticosi. E cattivi».
È una storia che ha penalizzato anche Umberto Bossi, vi siete mai sentiti su questo punto?
«No, mai».

martedì 10 aprile 2012

Scheda Legge 40

La legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (pma), approvata nel 2004, prevede una serie di divieti e obblighi, tra cui il no alla fecondazione eterologa, il no a qualsiasi tecnica utile a predeterminare o alterare il patrimonio genetico dell’embrione (dunque anche la diagnosi pre-impianto), il no alla produzione di più di tre embrioni per volta e il no alla loro crioconservazione. A poter effettuare gli interventi di procreazione sono solo le strutture pubbliche o private autorizzate dalle Regioni e iscritte in un apposito registro istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità.

Tuttavia, dal 2004 a oggi, varie sentenze della Corte Costituzionale e dei tribunali civili hanno smontato pezzo per pezzo i divieti imposti dalla legge, come quelli della creazione di soli tre embrioni e loro contemporaneo impianto, di crioconservarli, della diagnosi genetica pre-impianto.

I centri di procreazione medicalmente assistita offrono diversi servizi e tecniche, che variano a seconda della struttura, dei macchinari e del personale di cui dispongono. Non tutti hanno gli stessi servizi, dunque. Le tecniche di pma si possono suddividere in tecniche di base o I livello, semplici e poco invasive, e tecniche avanzate di II e III livello, complesse e più invasive.

Tra quelle di I livello c’è l’inseminazione intrauterina, con cui il liquido seminale viene introdotto all’interno della cavità uterina, e il congelamento dello sperma. In quelle di II e III livello ci sono la fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione (fivet), con cui ovociti e spermatozoi si incontrano all’esterno del corpo della donna e dopo la fecondazione e la produzione di uno o più embrioni vengono trasferiti nell’utero; l’icsi, o microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo; il trasferimento intratubarico di gameti (gift), ormai di raro utilizzo, e il trasferimento intratubarico di zigoti od embrioni (zift-tet), ormai quasi inutilizzato. In Italia ci sono 350 centri di procreazione assistita, di cui 130 pubblici, 27 privati convenzionati e 193 privati, e sono circa 150 quelli che offrono tecniche di I livello.


lunedì 9 aprile 2012

I trenta-quarantenni sulla storia dell'arte

La demeritocrazia che da decenni governa il destino, e il declino, di un' Italia assai distratta ha regole di ferro. Fra queste: avanti i mediocri, quelli bravi si arrangeranno all' estero; meglio rifriggere banalità condivise, pensare è noioso; largo ai vecchi, i giovani possono aspettare. Perciò leggendo il manifesto TQ "sul patrimonio storico-artistico della nazione italiana" (da oggi disponibile integralmente sul loro sito, n.d.r.) c' è di che stupirsi. Giovani di trenta-quarant' anni che hanno scelto per parlare d' Italia la prospettiva della loro generazione; anzi, i «non pochi storici dell' arte che hanno deciso di aderire a TQ» che convincono gli altri a firmare un manifesto come questo; addirittura, un testo che non ricicla sciocchezze sui "beni culturali" come "petrolio d' Italia", da "sfruttare" fino ad esaurirlo come fosse un combustibile, ma proclama che «il fine del nostro patrimonio non è di produrre reddito», ma di esercitare un' alta funzione civile, di «rappresentare e strutturare, non meno della lingua», la comunità nazionale. Si sente vibrare molta indignazione e non poca speranza, nelle parole dei TQ. Indignazione (altra singolarità) rivolta in primo luogo verso la corporazione stessa degli storici dell' arte, corresponsabili dell' «inesorabile degrado del ruolo della storia dell' arte nel discorso pubblico italiano», di aver trasformato la loro disciplina in «un fiorente settore dell' industria dell' intrattenimento» prestandosi alla «mutazione mediatica del dibattito culturale in marketing occulto» di mostre ed eventi, anzi dei loro sponsor. Speranza, invece, nella nascosta forza di una disciplina ancora capace di trovare in se stessa le ragioni di un forte ruolo civile, la dignità di una disciplina umanistica, lo status di «sapere critico, strumento di riscatto morale, di liberazione culturale e di crescita umana». Quello degli storici dell' arte, suggerisce il "manifesto TQ", non è il silenzio degli innocenti. Infatti essi non tacciono, anzi sono impegnati in un vano chiacchiericcio intorno a mostre spesso inutilio dannose, ad attribuzioni implausibili, a "scoperte" mediatiche che rallegrano sindaci e assessori, ma reggono lo spazio di un mattino. Stanno alla larga invece (con pochissime eccezioni) da temi scottanti come il degrado della tutela, la prevaricazione dell' effimero (le mostre) sul permanente (musei e monumenti), la morte annunciata del Ministero dei Beni culturali per mancanza di fondi e di turn over, ma anche per l' espediente, già troppe volte ripetuto, di una sede vacante non di nome, ma di fatto. Il decalogo che conclude il "manifesto TQ" parte da affermazioni di principio, ma contiene anche importanti proposte. 
Sua stella polare è l' art. 9 della Costituzione, che congiunge la promozione della cultura e della ricerca con la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Ma dobbiamo constatare, scrive amaramente il manifesto, che oggi «la Repubblica né promuove né tutela». Per invertire la rotta, occorre che gli storici dell' arte si impegnino a rilanciare il ruolo della disciplina nella società. Occorre che «la funzione civile e costituzionale del patrimonio» diventi, come in passato, cardine della cultura e della vita della polis: poiché il patrimonio italiano, «coesteso e fuso all' ambiente» e al paesaggio, ne costituisce la più alta cifra simbolica, deposito di memorie e laboratorio del futuro. Occorre rafforzare e non smantellare il sistema pubblico della tutela, mantenendolo in capo allo Stato per assicurare, secondo Costituzione, identità di criteri in tutto il territorio nazionale. Occorre agire sulla scuola, «ampliando l' asfittico spazio concesso a quella storia dell' arte che ogni italiano dovrebbe imparar da bambino come una lingua viva, se vuole avere coscienza intera della propria nazione», come scrisse Roberto Longhi. Occorre «mettere radicalmente in discussione i corsi di Beni Culturali», che hanno provocato un pericoloso divorzio della storia dell' arte da altre discipline umanistiche. 
Occorre, i n s o m m a , p o r r e r i m e d i o all' «analfabetismo figurativo che ha afflitto le generazioni precedenti e ha sempre reso cieca la classe dirigente della Repubblica». E' importante che siano i giovani di TQ a rimettere con determinazione sul tavolo temi come questi. Per chi ha orecchi da intendere, essi dovrebbero servire da contraltare al banale economicismo che considera sinonimi "valorizzazione" e "sfruttamento", e nel patrimonio vede non una risorsa etica e civile, ma un salvadanaio da svuotare. Discorso contrario non solo alla Costituzione e a una secolare tradizione civile e giuridica, ma anche a una concezione meno stantia dei meccanismi socioeconomici. Dalle elaborate misurazioni di due economisti americani, David Throsby e Arjo Klamer, risulta che il patrimonio culturale ha due componenti: una è il valore monetario, ma assai più importante è la componente immateriale o valoriale, per definizione fuori mercato. Dalla conservazione del patrimonio e dalla sua conoscenza derivano benefici stabili per la società nel suo complesso, che accrescendo la coscienza civica e il senso di coesione dei cittadini finiscono col tradursi anche in sviluppo economico. 
In senso a n a l o g o h a a r g o m e n t a t o Amartya Sen, pensando alla sua India dove il recupero di storia e arte è andato di pari passo con l' eccezionale rilancio economico. Ma queste idee di innovativi economisti del sec. XXI mostrano, come meglio non si potrebbe, quanto fosse lungimirante la nostra Costituzione del 1948: l' art. 9, infatti, sancisce «la primarietà del valore estetico-culturale», che non può essere «subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici», e pertanto dev' essere «capace di influire profondamente sull' ordine economico-sociale», come ha ripetutamente affermato la Corte Costituzionale. Toccherà ai trenta-quarantenni, ma anche a quelli ancor più giovani, mostrare che i Costituenti avevano ragione. - 
SALVATORE SETTIS, La Repubblica, 5 aprile 2012

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