domenica 28 ottobre 2012

Giravolte

Il giornale 25 ottobre 2012


La stampa 25 ottobre 2012

Europa 25 ottobre 2012

La stampa 27 ottobre 2012

Il giornale 27 ottobre 2012

Libero 28 ottobre 2012

Unità, 28 ottobre 2012

Pubblico, 28 ottobre 2012

mercoledì 24 ottobre 2012

Che cosa è la fede?

BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 24 ottobre 2012

 
L'Anno della fede. Che cosa è la fede?

Cari fratelli e sorelle,
mercoledì scorso, con l'inizio dell'Anno della fede, ho cominciato con una nuova serie di catechesi sulla fede. E oggi vorrei riflettere con voi su una questione fondamentale: che cosa è la fede? Ha ancora senso la fede in un mondo in cui scienza e tecnica hanno aperto orizzonti fino a poco tempo fa impensabili? Che cosa significa credere oggi? In effetti, nel nostro tempo è necessaria una rinnovata educazione alla fede, che comprenda certo una conoscenza delle sue verità e degli eventi della salvezza, ma che soprattutto nasca da un vero incontro con Dio in Gesù Cristo, dall’amarlo, dal dare fiducia a Lui, così che tutta la vita ne sia coinvolta.
Oggi, insieme a tanti segni di bene, cresce intorno a noi anche un certo deserto spirituale. A  volte, si ha come la sensazione, da certi avvenimenti di cui abbiamo notizia tutti i giorni, che il mondo non vada verso la costruzione di una comunità più fraterna e più pacifica; le stesse idee di progresso e di benessere mostrano anche le loro ombre. Nonostante la grandezza delle scoperte della scienza e dei successi della tecnica, oggi l’uomo non sembra diventato veramente più libero, più umano; permangono tante forme di sfruttamento, di manipolazione, di violenza, di sopraffazione, di ingiustizia… Un certo tipo di cultura, poi, ha educato a muoversi solo nell’orizzonte delle cose, del fattibile, a credere solo in ciò che si vede e si tocca con le proprie mani. D’altra parte, però, cresce anche il numero di quanti si sentono disorientati e, nella ricerca di andare oltre una visione solo orizzontale della realtà, sono disponibili a credere a tutto e al suo contrario. In questo contesto riemergono alcune domande fondamentali, che sono molto più concrete di quanto appaiano a prima vista: che senso ha vivere? C’è un futuro per l’uomo, per noi e per le nuove generazioni? In che direzione orientare le scelte della nostra libertà per un esito buono e felice della vita? Che cosa ci aspetta oltre la soglia della morte?
Da queste insopprimibili domande emerge come il mondo della pianificazione, del calcolo esatto e della sperimentazione, in una parola il sapere della scienza, pur importante per la vita dell’uomo, da solo non basta. Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani. La fede ci dona proprio questo: è un fiducioso affidarsi a un «Tu», che è Dio, il quale mi dà una certezza diversa, ma non meno solida di quella che mi viene dal calcolo esatto o dalla scienza. La fede non è un semplice assenso intellettuale dell’uomo a delle verità particolari su Dio; è un atto con cui mi affido liberamente a un Dio che è Padre e mi ama; è adesione a un «Tu» che mi dona speranza e fiducia. Certo questa adesione a Dio non è priva di contenuti: con essa siamo consapevoli che Dio stesso si è mostrato a noi in Cristo, ha fatto vedere il suo volto e si è fatto realmente vicino a ciascuno di noi. Anzi, Dio ha rivelato che il suo amore verso l’uomo, verso ciascuno di noi, è senza misura: sulla Croce, Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo, ci mostra nel modo più luminoso a che punto arriva questo amore, fino al dono di se stesso, fino al sacrificio totale. Con il mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, Dio scende fino in fondo nella nostra umanità per riportarla a Lui, per elevarla alla sua altezza. La fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la possibilità della salvezza. Avere fede, allora, è incontrare questo «Tu», Dio, che mi sostiene e mi accorda la promessa di un amore indistruttibile che non solo aspira all’eternità, ma la dona; è affidarmi a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi sono al sicuro nel «tu» della madre. E questa possibilità di salvezza attraverso la fede è un dono che Dio offre a tutti gli uomini. Penso che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche –sul fatto che credere cristianamente significa questo abbandonarmi con fiducia al senso profondo che sostiene me e il mondo, quel senso che noi non siamo in grado di darci, ma solo di ricevere come dono, e che è il fondamento su cui possiamo vivere senza paura. E questa certezza liberante e rassicurante della fede dobbiamo essere capaci di annunciarla con la parola e di mostrarla con la nostra vita di cristiani.
Attorno a noi, però, vediamo ogni giorno che molti rimangono indifferenti o rifiutano di accogliere questo annuncio. Alla fine del Vangelo di Marco, oggi abbiamo parole dure del Risorto che dice : «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16), perde se stesso. Vorrei invitarvi a riflettere su questo. La fiducia nell’azione dello Spirito Santo, ci deve spingere sempre ad andare e predicare il Vangelo, alla coraggiosa testimonianza della fede; ma, oltre alla possibilità di una risposta positiva al dono della fede, vi è anche il rischio del rifiuto del Vangelo, della non accoglienza dell’incontro vitale con Cristo. Già sant’Agostino poneva questo problema in un suo commento alla parabola del seminatore: «Noi parliamo - diceva -, gettiamo il seme, spargiamo il seme. Ci sono quelli che disprezzano, quelli che rimproverano, quelli che irridono. Se noi temiamo costoro, non abbiamo più nulla da seminare e il giorno della mietitura resteremo senza raccolto. Perciò venga il seme della terra buona» (Discorsi sulla disciplina cristiana, 13,14: PL 40, 677-678). Il rifiuto, dunque, non può scoraggiarci. Come cristiani siamo testimonianza di questo terreno fertile: la nostra fede, pur nei nostri limiti, mostra che esiste la terra buona, dove il seme della Parola di Dio produce frutti abbondanti di giustizia, di pace e di amore, di nuova umanità, di salvezza. E tutta la storia della Chiesa, con tutti i problemi, dimostra anche che esiste la terra buona, esiste il seme buono, e porta frutto.
Ma chiediamoci: da dove attinge l’uomo quell’apertura del cuore e della mente per credere nel Dio che si è reso visibile in Gesù Cristo morto e risorto, per accogliere la sua salvezza, così che Lui e il suo Vangelo siano la guida e la luce dell’esistenza? Risposta: noi possiamo credere in Dio perché Egli si avvicina a noi e ci tocca, perché lo Spirito Santo, dono del Risorto, ci rende capaci di accogliere il Dio vivente. La fede allora è anzitutto un dono soprannaturale, un dono di Dio. Il Concilio Vaticano II afferma: «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e sono necessari gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità”» (Cost. dogm. Dei Verbum, 5). Alla base del nostro cammino di fede c’è il Battesimo, il sacramento che ci dona lo Spirito Santo, facendoci diventare figli di Dio in Cristo, e segna l’ingresso nella comunità della fede, nella Chiesa: non si crede da sé, senza il prevenire della grazia dello Spirito; e non si crede da soli, ma insieme ai fratelli. Dal Battesimo in poi ogni credente è chiamato a ri-vivere e fare propria questa confessione di fede, insieme ai fratelli.
La fede è dono di Dio, ma è anche atto profondamente libero e umano. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo dice con chiarezza: «È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo» (n. 154). Anzi, le implica e le esalta, in una scommessa di vita che è come un esodo, cioè un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze, dai propri schemi mentali, per affidarsi all’azione di Dio che ci indica la sua strada per conseguire la vera libertà, la nostra identità umana, la gioia vera del cuore, la pace con tutti. Credere è affidarsi in tutta libertà e con gioia al disegno provvidenziale di Dio sulla storia, come fece il patriarca Abramo, come fece Maria di Nazaret. La fede allora è un assenso con cui la nostra mente e il nostro cuore dicono il loro «sì» a Dio, confessando che Gesù è il Signore. E questo «sì» trasforma la vita, le apre la strada verso una pienezza di significato, la rende così nuova, ricca di gioia e di speranza affidabile.
Cari amici, il nostro tempo richiede cristiani che siano stati afferrati da Cristo, che crescano nella fede grazie alla familiarità con la Sacra Scrittura e i Sacramenti. Persone che siano quasi un libro aperto che narra l’esperienza della vita nuova nello Spirito, la presenza di quel Dio che ci sorregge nel cammino e ci apre alla vita che non avrà mai fine. Grazie.

Dura condanna


23 ottobre 2012


giovedì 18 ottobre 2012

Pacchi viveri

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Piazza San Pietro
Giovedì, 11 ottobre 2012


Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede. Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, in particolare a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, e a Sua Grazia Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. Un pensiero speciale ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali. Per fare memoria del Concilio, che alcuni di noi qui presenti – che saluto con particolare affetto - hanno avuto la grazia di vivere in prima persona, questa celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici: la processione iniziale, che ha voluto richiamare quella memorabile dei Padri conciliari quando entrarono solennemente in questa Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio; la consegna dei sette Messaggi finali del Concilio e quella del Catechismo della Chiesa Cattolica, che farò al termine, prima della Benedizione. Questi segni non ci fanno solo ricordare, ma ci offrono anche la prospettiva per andare oltre la commemorazione. Ci invitano ad entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso. E questo senso è stato ed è tuttora la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo ad ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.

L’Anno della fede che oggi inauguriamo è legato coerentemente a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’è stata una profonda e piena convergenza proprio su Cristo quale centro del cosmo e della storia, e sull’ansia apostolica di annunciarlo al mondo. Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2).

Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Cristo, consacrato dal Padre nello Spirito Santo, è il vero e perenne soggetto dell’evangelizzazione. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Questa missione di Cristo, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti. E’ un movimento che parte dal Padre e, con la forza dello Spirito, va a portare il lieto annuncio ai poveri di ogni tempo – poveri in senso materiale e spirituale. La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Così disse il Risorto ai discepoli, e soffiando su di loro aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). E’ Dio il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli, quello stesso Spirito che si posò su di Lui e rimase in Lui per tutta la vita terrena, dandogli la forza di «proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista», di «rimettere in libertà gli oppressi» e di «proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).

Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (Catechesi nell’Udienza generale dell’8 marzo 1967). Così Paolo VI nel '67.

Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il Beato Giovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito ed insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792). Così Papa Giovanni nell'inaugurazione del Concilio.
Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.

Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all’interno dell’unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità.

Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono.

Venerati e cari Fratelli, l’11 ottobre 1962 si celebrava la festa di Maria Santissima Madre di Dio. A Lei affidiamo l’Anno della fede, come ho fatto una settimana fa recandomi pellegrino a Loreto. La Vergine Maria brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione. Ci aiuti a mettere in pratica l’esortazione dell’apostolo Paolo: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre» (Col 3,16-17). Amen.

mercoledì 17 ottobre 2012

Giudicati sull'amore

«Alla sera della vita, saremo giudicati sull' amore»
 (San Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, l, 57).

domenica 14 ottobre 2012

Il discorso della luna

Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… Noi chiudiamo una grande giornata di pace… Sì, di pace: «Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà«.
Se domandassi, se potessi chiedere ora a ciascuno: voi da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui specialmente rappresentati, risponderebbero: ah, noi siamo i figli più vicini, e voi siete il nostro vescovo. Ebbene, figlioli di Roma, voi sentite veramente di rappresentare la ‘Roma caput mundi’, la capitale del mondo, così come per disegno della Provvidenza è stata chiamata ad essere attraverso i secoli.
La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: «Questa è la carezza del Papa». Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza… E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte.
Giovanni XXIII, Ai pellegrini in piazza san Pietro la sera dell’inizio del Concilio

venerdì 12 ottobre 2012

Primi in Italia


(ANSA) - ANCONA, 9 OTTOBRE - Prima in Italia, l'Assemblea legislativa delle Marche ha approvato oggi a stragrande maggioranza (23 si', 6 no e un astenuto) e con voto trasversale una proposta di deliberazione contenente il testo di una proposta di legge da sottoporre al Parlamento per riconoscere la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati residenti legalmente in Italia da almeno 5 anni, in base allo ius soli.

lunedì 8 ottobre 2012

Il manifesto del movimento 3 L

Siamo in guerra.
Dentro una strana guerra: economica, non violenta, “civile” e per questo diversa da quelle del passato. Soprattutto una guerra economica. Ma pur sempre una guerra!
Possiamo perderla, questa guerra, se per paura accettiamo di farci colonizzare, se nel 2013 votiamo per dare il nostro richiesto consenso al nostro assistito suicidio.
Da quando hanno deciso di “salvarci”, sottomettendoci ad una cura che loro chiamano “distruzione creatrice”, abbiamo infatti in Italia troppe tasse e troppa paura.
Un conto è tassare il reddito prodotto, un conto è impedire con le tasse che il reddito sia prodotto!
Puoi liberalizzare o puoi spaventare, ma non puoi fare tutte e due le cose insieme!
Una volta si falliva per i debiti. Oggi in Italia si fallisce anche per i crediti, perché il denaro – fatto per circolare – non circola.
Nel dopoguerra non c’erano i soldi, ma c’era la vita! Oggi in Italia è l’opposto: non si compra, non si assume, non si investe.
Nelle nostre strade si stanno diffondendo i cartelli “compro oro”. Weimar cominciò così, quando la crisi arrivò al ceto medio.
Tra poco ci diranno che la nostra economia si indebolisce, che il nostro debito pubblico cresce, che così l’Italia non lo può onorare, che perciò dobbiamo chiedere l’“aiuto” europeo, ma che per questo dobbiamo fare “ancora di più!”.
Questo è il presente e questo sarà anche il futuro, se ancora si crede alla propaganda dominante: l’Italia avanza, l’Italia attacca… goal della Germania!
Se continuiamo così, di sicuro vincono solo la speculazione internazionale e l’industria straniera, perché il contagio finanziario si sta già trasmettendo dal bilancio pubblico a quello delle banche, che di riflesso strozzano le nostre imprese, così destinate ad essere chiuse o spiazzate o comprate dalla concorrenza estera.
E’ così che ora, come centocinquanta anni fa, come è scritto nel principio dell’“Inno d’Italia”, siamo noi stessi a voler essere “calpesti e derisi”, via via perdendo la nostra sovranità nazionale, la nostra dignità personale, la nostra democrazia, la nostra libertà, i nostri risparmi.
Oppure possiamo vincerla, questa guerra. Possiamo vincerla, ma solo se vinciamo la paura.
Come è stato detto, in un tempo drammatico come questo, l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa. Perché è la paura, e solo la paura, che fa paura.
L’Italia è (ancora) enormemente ricca, più ricca di quanto si dice agli italiani. E fuori si ammette che è proprio per questo, che ci si vuole colonizzare.
Ed è ancora proprio per questo che, visti da fuori, sembriamo vittime di una truffa o di una beffa, o di tutte e due le cose insieme. In ogni caso, che sia truffa o beffa, ciò che in assoluto dall’estero ed all’estero conviene è fare ruotare, con gli “spread”, la manopola della nostra paura.
Lo si fa perché si sa che è sufficiente far credere che un paese non ha scampo, perché questo davvero non abbia scampo!
Siamo dunque sulla “Linea del Piave” e la prima battaglia da vincere è una battaglia da combattere sul campo della volontà e dello spirito. Le difficoltà esistono infatti soprattutto nella nostra testa!
Siamo noi che dobbiamo scegliere: rassegnati a subire o decisi a cambiare; colonizzati perché presunti debitori verso l’estero o ancora padroni a casa nostra!
Cosa fare, per uscire dalla trappola, per spezzare la catena della nostra sopravvenuta dipendenza dalla speculazione finanziaria internazionale, per farlo senza patrimoniali o prestiti forzosi o svendite disastrose, all’opposto lasciando i soldi nelle tasche degli italiani, è specificamente scritto nello sviluppo di questo “Manifesto”.
Non
è che poi si entra nel “paese di Bengodi”. Serviranno ancora sacrifici, ma questi avranno un fine ed una fine e sarà proprio per questo che gli italiani lo capiranno. Sacrifici, certo, ma non per fare guadagnare gli altri, piuttosto per mettere davvero in sicurezza l’Italia e gli italiani.
Gli altri partiti, i vari movimenti politici, litigano su tutto, litigano sul mobilio o lo rottamano, mentre la casa crolla sotto i colpi della speculazione finanziaria. Altri ancora si mettono in lista per ottenere, dall’estero, l’appalto dei lavori di demolizione.
Messa in sicurezza l’Italia, l’economia italiana può essere fatta ripartire, ed allora potremo smettere di parlare solo di soldi, perché l’uomo non è fatto ad immagine e somiglianza del denaro o delle merci, ma per guadagnarsi il pane con il lavoro e con il sudore della fronte.
Quello che segue è un “testo aperto”, per questo è scritto su di una sola colonna. L’altra, quella lasciata in bianco, la potete scrivere voi, con le vostre idee, con le vostre critiche, con le vostre aggiunte.
Come vedrete leggendo l’allegata Tabella delle proposte, è un testo che non è di destra o di sinistra, ma per l’Italia.
Due ultime cose:
- alle elezioni del 2013 vogliamo candidare una maggioranza di giovani;
- la politica va messa in quarantena. Almeno per un giro, prima di stabilire una media europea, per nessun incarico politico si potrà guadagnare più di un precario.

fonte: www.listalavoroliberta.it

lunedì 1 ottobre 2012

Cambiare le cose


“Signore dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare e la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre.

Dammi Signore, un anima che abbia occhi per la bellezza e la purezza, che non si lasci impaurire dal peccato e che sappia raddrizzare le situazioni.

Dammi un anima che non conosca noie, fastidi, mormorazioni, sospiri, lamenti.

Non permettere che mi preoccupi eccessivamente di quella cosa invadente che chiamo ‘io’.

Dammi il dono di saper ridere di una facezia, di saper cavare qualche gioia dalla vita e anche di farne partecipi gli altri.
Signore dammi il dono dell’umorismo.”

Tommaso Moro, Preghiere della Torre

La difficile attuazione del decreto legge 95

Enrico Bondi tutte le mattine arriva nel suo ufficio al primo piano del ministero dell'Economia alle 8.30 e va via dopo circa 12 ore, ma pochissimi sanno quello che fa. Lo sa ovviamente il presidente del Consiglio, Mario Monti, che a questo anziano manager, che venerdì compirà 78 anni, ha affidato il compito di risanare l'azienda Italia, dopo aver rimesso a posto Montedison e Parmalat.
Monti è stato così contento della prima operazione di revisione della spesa pubblica, la cosiddetta spending review, varata su proposta dello stesso Bondi il 5 luglio, che ha chiesto al supercommissario di andare avanti. Dopo aver tagliato gli sprechi negli acquisti pubblici di beni e servizi, aver disposto la riduzione dei dipendenti pubblici, quella delle Province, il taglio delle auto blu, e quello dei consigli di amministrazione delle società pubbliche, Bondi dovrebbe proseguire a caccia di altri risparmi, dopo i 26 miliardi di euro individuati per il triennio 2012-2014. I nuovi provvedimenti arriveranno, a metà ottobre, con la legge di Stabilità, quella che una volta si chiamava Finanziaria. Intanto però, Monti, Bondi e gli altri ministri interessati sono alle prese con le mille difficoltà che sta attraversando il processo di attuazione del provvedimento di luglio. Difficoltà inevitabili, se si pensa che il decreto legge 95 prevedeva circa cento provvedimenti applicativi fra regolamenti, circolari, direttive, decreti ministeriali e interministeriali. Ma il fatto è che stanno emergendo non solo ostacoli procedurali, ma resistenze di ogni genere.

 
Prendiamo il taglio dei dipendenti pubblici: del 20% per quanto riguarda i dirigenti, del 10% per il restante personale. La norma interessa i ministeri e tutte le altre amministrazioni centrali e gli enti pubblici non economici. La circolare del ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, prevedeva che tutti questi soggetti dovessero inviare le loro proposte di taglio entro il 28 settembre se sono enti o agenzie - cioè avrebbero dovuto farlo al massimo l'altro ieri -, oppure entro giovedì prossimo negli altri casi. Al ministero sono ottimisti, dicono che «i moduli stanno arrivando» ma intanto hanno convocato per domani mattina a Palazzo Vidoni i capi del personale di tutte le amministrazioni interessate. Cercheranno di convincerli non solo a far presto, ma anche che devono proporre tagli superiori alle soglie indicate dalla legge, altrimenti non saranno possibili le «compensazioni» tra un ufficio e l'altro, cioè quegli aggiustamenti (spostamenti e mobilità) finalizzati a evitare tagli lineari e licenziamenti.

 
Ma i desiderata del governo si scontrano già con i problemi sollevati formalmente da alcune amministrazioni di prima grandezza. Per esempio, l'Inps. Il presidente dell'istituto di previdenza, Antonio Mastrapasqua, ha scritto una lettera al ministro Patroni Griffi chiedendogli senza tanti giri di parole di «non ricomprendere l'Inps nell'ambito della riduzione delle dotazioni organiche». Altrimenti verrebbe messa a repentaglio la «tenuta dei servizi e, nel complesso, dell'efficienza del Welfare del Paese». Negli ultimi 15 anni, conclude Mastrapasqua, i dipendenti dell'Inps sono già diminuiti da 42 mila a meno di 27 mila. Ora è vero che con l'incorporazione di Inpdap ed Enpals il SuperInps avrà 34 mila dipendenti ma è pur sempre la metà, dice il presidente, rispetto ai 70 mila del superInps tedesco e un terzo nei confronti dei cugini francesi.

Dal centro alla periferia, le resistenze, se possibile, aumentano. Il caso eclatante è quello delle 107 Province. La legge ne prevede il dimezzamento, ma sono le Regioni, anche qui, a dover proporre l'accorpamento tra gli enti presenti nel loro territorio. E anche qui c'è un termine, che scadrà fra appena tre giorni, mercoledì 3 ottobre, assegnato ai Consigli delle autonomie locali, e uno appena più in là, il 23 ottobre, per le proposte finali delle Regioni. Bene, pure in questo caso, vista l'aria che tira, Patroni Griffi ha dovuto fare la voce grossa e in un doppio incontro che ha avuto con i governatori e con l'Upi, l'unione delle province, ha avvertito tutti che se le proposte non arriveranno, il governo procederà d'ufficio, se necessario anche con un decreto legge. Vedremo.
Monti e Bondi comunque guardano avanti. Il governo ha individuato almeno altri tre campi sui quali intervenire per ridurre ancora la spesa pubblica improduttiva: gli incentivi alle imprese, dove ha chiesto una consulenza all'economista Francesco Giavazzi, i costi della politica, dove si è rivolto all'ex premier Giuliano Amato, la giungla delle agevolazioni fiscali, già censite a suo tempo in oltre 720 per un valore di 260 miliardi dal sottosegretario Vieri Ceriani. Il nuovo pacchetto di misure di riduzione della spesa pubblica ha un obiettivo minimo: trovare circa 6 miliardi e mezzo di euro per evitare che dal primo luglio 2013 le aliquote Iva del 10% e del 21% aumentino di due punti.
L'operazione è complicata su tutti e tre i fronti. Per quanto riguarda gli incentivi alle imprese, i tagli sui quali si lavora non ammontano ai 10 miliardi suggeriti da Giavazzi, ma a 2-2,5 miliardi, ai quali si potrebbero sommare altrettanti risparmi eliminando parte degli incentivi regionali, ma qui il governo non può intervenire direttamente a causa dell'autonomia concessa in materia dal titolo V della Costituzione. Quanto alle agevolazioni fiscali, buona parte sono intoccabili perché si tratta di detrazioni familiari e per spese mediche. Infine, i costi della politica. Qui ci sono ampi margini. Il governo comincerà a intervenire già giovedì con un decreto legge taglia costi e taglia poltrone.
L'importante è che poi vada avanti.

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...