sabato 18 febbraio 2012

La farfalla delle polemiche

San Remo 2012
 
«Sono la donna delle provocazioni, mi piacciono i contrasti. La prima sera mi sono presentata come una principessa, con i capelli raccolti e il vestito nero; la seconda ho esagerato. Ho fatto, com'è che si dice... L'ammaliatrice. Ma gli slip c'erano». Ad affermarlo è la showgirl Belen Rodriguez all'indomani delle polemiche sollevate dall'estremo spacco del vestito con il quale si è presentata sul palco di Sanremo. Polemiche sulle quali è intervenuto anche il ministro del Lavoro, Elsa Fornero che ha dichiarato di sentirsi offesa da alcuni programmi televisivi.
 «Faccio parte del mondo della tv - replica Belen alle dichiarazioni del ministro - e la tv è show. Non scrivo le leggi. Farebbe clamore se fosse una parlamentare a scendere le scale con quello spacco».

L'Italia non risparmia più

18 febbraio 2012

venerdì 17 febbraio 2012

La scomparsa della parresia

Che il Vaticano sia (anche) un villaggio di lavandaie si sapeva da tempo. Il pettegolezzo, nei sacri palazzi, è pane quotidiano, un grande gioco al quale giocano in tanti, con molteplici obiettivi. Mondo piccolo e chiuso, lo staterello del papa è anche un concentrato di poteri e di interessi: miscela esplosiva.
Inoltre è una monarchia assoluta, il che impedisce al dibattito interno di trovare sfogo attraverso vie istituzionali. Man mano che il sovrano, per età, per condizioni di salute o per entrambe le circostanze, si inoltra nella fase finale del regno, o in quella che i più ritengono tale, il villaggio entra in fibrillazione, le lavandaie danno il peggio di sé e il grande gioco si fa più duro. Alcuni esponenti del piccolo mondo, per ragioni diverse, si mettono a difendere posizioni, a tentare scalate, a cercare di guadagnare terreno.
Ad alcuni fa gola il potere, ad altri il denaro, a molti l’uno e l’altro. Poi ci sono le cordate, i gruppi di pressione, le amicizie e le inimicizie. A volte la linea che separa un vincente da un perdente è sottilissima. La curia vaticana è una corte, e nelle corti basta poco perché gli equilibri siano messi in discussione. Basta una parola avventata, un commento fuori posto, un inchino poco convinto o esagerato, ed ecco che ci si ritrova al centro di voci, di insinuazioni, di malignità o di vere e proprie calunnie. Una palla di neve, così, può diventare rapidamente una valanga. La lingua batte dove il dente duole. Per questo il terreno di gioco molto spesso è quello economico o quello sessuale. E anche sotto questo aspetto niente di nuovo da segnalare.
Gli elementi veramente nuovi, che emergono dalle ultime vicende, sono due: la spiccata propensione delle lavandaie a gettare i panni sporchi in pasto ai mass media e il basso, bassissimo livello denunciato dai giocatori. Un tempo le lavandaie arrivavano a scannarsi, esattamente come ora, per i più diversi motivi, ma il tutto restava all’interno delle sacre mura. Ora invece, nell’epoca dell’informazione, alcuni dei giocatori anno preso gusto a rovesciare i loro veleni nel grande imbuto dei mass media. In questo modo, pensano alcune lavandaie, la potenza dei proiettili è moltiplicata. Un’insinuazione o una calunnia, finché restano dentro le mura, hanno una certa forza: se ne fuoriescono, acquistano molta più incisività. E così i giornalisti vengono sempre più coinvolti nel grande gioco, con la funzione di megafoni.
Le lavandaie tuttavia sembrano non rendersi conto dell’effetto assuefazione e della distrazione del pubblico. Se una lettera anonima fa notizia, una seconda lettera anonima passa quasi inosservata e una terza provoca soltanto noia. Idem per complotti e cospirazioni varie, sia pure targate Vaticano. Circa il basso livello dei giocatori, basta passare in rassegna le ultime vicende (almeno dal caso Boffo in poi) per verificare che il materiale umano è davvero deludente. C’è modo e modo di ordire trame e architettare complotti.
Per dirla con Sciascia, anche nel campo delle macchinazioni ci sono uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraqua. Puoi essere un Borgia o un Castrillon Hoyos. E se una vecchia volpe come il cardinale Re ha soprannominato quest’ultimo “Pasticcion Hoyos”, un motivo ci dev’essere.
Da secoli il Vaticano si porta appresso la fama (più o meno meritata) di luogo incline alla congiura. Ma se una volta, dicendo “congiura”, si pensava a qualcosa di grande e raffinato, adesso si pensa più che altro a liti da comari bisbetiche. Sic transit gloria mundi, verrebbe da dire, ammesso che nello scandalo ci possa essere qualcosa di glorioso. Resta da capire come stia vivendo tutto questo un uomo intelligente, e ottimo conoscitore della curia, come Joseph Ratzinger.
Fu lui, quando era cardinale, a parlare di riforma paragonandola a un‘opera di ablatio (lo disse in latino, perché una volta gli uomini di Chiesa ancora lo parlavano), ovvero di eliminazione di tutte le cose e le persone inutili. Fu sempre lui a usare una parola inequivocabile, “sporcizia”, per dipingere certe degenerazioni all’interno della Chiesa, ed è stato ancora lui a mettere in guardia a più riprese dal carrierismo degli ecclesiastici. Dunque, i problemi li conosce bene, e non potrebbe essere altrimenti visti i decenni trascorsi nella stanza dei bottoni.
Eppure, proprio il pontificato del fine teologo Ratzinger rischia di chiudersi in mezzo agli schiamazzi di lavandaie sempre più sguaiate e alle liti da cortile di eminenze e illustrissimi che non meriterebbero di gestire nemmeno il più infimo degli ordini religiosi. Triste destino per lui e triste situazione per la gerarchia cattolica. Anche perché le voci coraggiose e limpide, dotate di profezia (guardare lontano) e di parresia (libertà di dire tutto) sembrano scomparse

Aldo Maria Valli, Il Vaticano delle lavandaie, Europa 14 febbraio 2012

Isteria da freddo

La neve e il gelo hanno provocato disagi seri e qualche tragedia autentica. Ma ancora più grave dell’ondata di maltempo appare l’ondata di isteria che si è abbattuta sull’intero Paese. La capitale vive uno psicodramma ormai da una settimana. È nevicato un giorno e le scuole sono rimaste chiuse una settimana. La Protezione civile, terrorizzata dalle sfuriate di Gianni Alemanno, si cautela annunciando trenta centimetri per la notte tra oggi e domani, e come in una gara di zelo il sindaco chiude le scuole già stamattina: in totale fanno sei giorni di vacanza contro due di apertura. Roma attende la neve con un’angoscia da armata napoleonica nella steppa: viste code e risse ai supermercati per accaparrarsi generi di prima necessità tipo vigilia di guerra.Ma anche il Nord sta reagendo in modo strano. Ci si chiude in casa. Si attacca il riscaldamento al massimo, prosciugando le scorte di gas. Si reagisce con un misto di isteria e di ignavia, di paura e di rassegnazione: da una parte, l’incapacità di accettare le regole della natura, per cui vengono angosciosamente presentati come emergenza i rigori di stagione; dall’altra, la resa di fronte a disagi concepiti come sciagure ineluttabili. Così il maltempo diventa la grande moratoria, l’alibi collettivo, il pretesto per rinviare visite mediche, viaggi, affari, interventi chirurgici, e ovviamente lezioni in classe e interrogazioni, per la gioia degli studenti romani e non solo.

Intendiamoci: l’Italia in questi giorni deve fronteggiare anche sofferenze reali. I clochard morti di freddo non sono un’invenzione dei giornali. E L’Aquila, già offesa da un’operazione mediatica che la dava per ricostruita quando in realtà il lavoro nei cantieri languiva, si ritrova ora sepolta dalla neve, senza riscaldamento e senza acqua corrente. È giusto dare conto delle emergenze vere e delle tante piccole cose che non funzionano. Ma un Paese serio non reagisce così alle difficoltà.Si è sempre detto, e spesso con ragione, che l’Italia dà il meglio di sé nei momenti duri. I nostri padri e i nostri nonni ne hanno passati di peggiori rispetto alle intemperie del febbraio 2012. La situazione economica non induce certo all’ottimismo e al buonumore. Ma l’isteria da freddo non fa che peggiorare la gelata dei consumi e degli investimenti, e incide negativamente pure su quell’indicatore prezioso che è la fiducia, l’ottimismo, o almeno la serenità.Rispettiamo le regole dettate dalla prudenza, evitiamo i viaggi non necessari quando nevica sul serio, vigiliamo sui nostri bambini con le teste sotto le «spade di ghiaccio» e sui nostri vecchi con i piedi sul marciapiede gelato, come mostrano allarmatissimi servizi televisivi. Ma non perdiamo la misura della reale portata degli eventi. Ne abbiamo visti di più gravi, ne supereremo di più seri. Non possiamo limitarci a tirare su le coperte e aspettare che passi l’inverno.
“Travolti da un’ondata di gelo (e isteria)” di ALDO CAZZULLO dal Corriere della Sera del 10 febbraio 2012

La corruzione dilaga



sabato 11 febbraio 2012

Monti e Berlusconi visti dal Time

Il terziario Scalfaro

L'Ordine Francescano Secolare si unisce profondamente al cordoglio per la morte dell'ex Presidente della Repubblica On. Oscar Luigi Scalfaro che è stato terziario francescano presso la fraternità della Parrocchia del Monserrato di Novara. Illustre uomo cattolico di stato lo ricordiamo con le parole del Papa Benedetto XVI «fedele servitore delle istituzioni e uomo di fede si adoperò per la promozione del bene comune e dei perenni valori etico-religiosi cristiani propri della tradizione storica e civile dell'Italia».

fonte: ofs.it

venerdì 3 febbraio 2012

L'eredità della Margherita

Il clima tra gli ex dirigenti della Margherita diventa sempre più pesante. L’iniziale incredulità per i fatti portati alla luce dalla procura di Roma su indicazione di Bankitalia ha lasciato ormai definitivamente il passo alla consapevolezza che le procedure di verifica interne non hanno funzionato.
Più che alle responsabilità individuali, però, si guarda soprattutto a quelle collettive, di un gruppo dirigente ormai smembrato in più partiti e con gli occhi rivolti a questi più che all’appartenenza precedente. La preoccupazione principale riguarda gli ulteriori sviluppi dell’indagine dei magistrati. Il procuratore aggiunto Alberto Caperna e il pm Stefano Pesci hanno dato infatti mandato di allargare le indagini relative ai conti della Margherita, per accertare eventuali ulteriori appropriazioni indebite, a parte quelle addebitate a Luigi Lusi.
In questo contesto, altri parlamentari ex Dl saranno sentiti nelle prossime ore in qualità di testimoni. L’ex tesoriere rimane infatti l’unico indagato, almeno per il momento. Tra i primi a essere chiamati dai giudici, potrebbero essere Lusetti, Carra e gli altri ex Dl che avevano già presentato a suo tempo un ricorso al tribunale civile per impugnare i bilanci degli anni 2009 e 2010.
Al di là degli accertamenti penali, molti dirigenti si chiedono oggi se dopo la fine dell’attività politica della Margherita siano stati erogati da Lusi fondi per l’attività politica di fondazioni e gruppi politici “eredi” dei Dl, come risulta anche dai rendiconti pubblicati in Gazzetta ufficiale.
In pochi lo negano, nessuno però sembra disposto a dichiarare di averne beneficiato. D’altra parte, un sistema evidentemente poco regolato, com’è emerso anche dall’inchiesta Lusi, e rapporti interni più o meno tesi rendono difficile un chiarimento. Che, a questo punto, sarà svolto dalla procura, per capire se in alcuni casi si è operato al di là della soglia di legittimità, con Lusi disposto a concedere più di quanto rendicontato, in cambio delle mani libere sul resto dei conti. Eventualità che finora non è comunque emersa. «Da parte di Francesco Rutelli e dei vertici della Margherita – garantisce Titti Madia, legale dell’ex leader Dl – c’è il desiderio che si faccia la massima chiarezza sulla vicenda e quindi tutte le indagini che svolgerà l’autorità giudiziaria avranno sicuramente la loro massima collaborazione e troveranno la massima soddisfazione».
In attesa che si riunisca l’assemblea nazionale della Margherita, prevista per la fine del mese (il presidente Enzo Bianco vuole prima avere in mano gli esiti della due diligence commissionata alla Kpmg), in questi giorni gli ex dirigenti Dl si limitano a contatti informali tra loro. Ieri mattina, questi ultimi avrebbero dovuto tenere una riunione del comitato, costituito a suo tempo per avviare la “liquidazione” del partito.
L’incontro, però, è stato annullato: nessuno è al corrente di quanto accertato dai magistrati e chi lo è (Rutelli, l’unico ad essere stato interrogato finora), è tenuto al segreto istruttorio. È stato ritenuto quindi inutile discutere sulla base di quanto pubblicato dai giornali, rischiando per di più un ritorno d’immagine negativo. A vedersi sono stati solo Rutelli, Bianco e Bocci, rimasti al vertice dell’ex partito.
Gli “eredi” della Margherita cominciano a interrogarsi anche su cosa fare del “tesoretto” custodito nelle casse, una volta reintegrato con i soldi sottratti da Lusi (a questo proposito, l’offerta di 5 milioni promessa dall’ex tesoriere non è ritenuta soddisfacente dai vertici Dl). Le ipotesi al vaglio sono tre.
La prima, promossa da Pierluigi Castagnetti, Enrico Letta e Rosy Bindi, è la restituzione allo stato dei rimborsi elettorali ricevuti, per «chiudere anche formalmente e finanziariamente l’esperienza che politicamente è ormai finita», spiega il vicesegretario dem. La seconda, che trova consensi soprattutto nell’area che fa riferimento a Dario Franceschini, privilegia invece la confluenza nelle casse del Pd, con la clausola che i Ds facciano altrettanto.
Ma questo aprirebbe un contenzioso complicato con chi ha scelto altre strade (Api, Udc). La terza proposta, ritenuta meno probabile, è stata avanzata da Luciano Neri, già responsabile della circoscrizione estero dei Dl: distribuire i fondi residui in beneficenza. A sciogliere questo nodo sarà chiamata al più presto l’assemblea nazionale. 

Europa, 3 febbraio 2012

Posto fisso

Chissà perché, ma le parole di Mario Monti sulla monotonia del posto fisso mi ricordano l'uscita del compianto Tommaso Padoa Schioppa sul fatto che pagare le tasse è bellissimo. Sulla carta, magari si può anche essere d'accordo. O al massimo, come nel secondo caso, eccepire sull'uso del superlativo.
Sta di fatto che ci pensa la realtà a ridimensionare l'enfasi di siffatti enunciati.
LAVORARE MANCA. Per apprezzare la monotonia del posto fisso, ammesso che lavorare per lo stesso padrone sia monotono, ma non sempre è così, quel posto bisognerebbe avercelo. Almeno una volta nella vita, in modo da poterne discutere a ragione veduta.
Detta così, come ha fatto il premier durante un'intervista a Canale 5, suona quasi come uno sfottò per quei giovani che della precarietà hanno fatto una necessità e non una scelta.
PROGETTUALITÀ A OSTACOLI. L'idea del posto fisso ha una naturale valenza rassicurante, specie per chi cerca di dare alla sua vita un minimo di progettualità. Invece sta passando la tesi che esso è comunque una ingiusta tutela a lavoratori fannulloni, una copertura a una condizione di generale fancazzismo. Il fatto che in moltissimi casi lo sia non incide sulle aspettative di chi chiede continuità al posto di lavoro.
LE GIOIE DELLA PRECARIETÀ. È poi curioso che, mentre il pensiero dominante esalta le gioie della precarietà, chi vuole comprarsi casa e cerca di ottenere un mutuo si sente chiedere come garanzia dalla propria banca il collaterale del posto fisso.
Per questo, pur apprezzandone il merito, l'uscita di Monti mi pare infelice.
IL PARADOSSO DEL GOVERNO. Ma non è soltanto il fattore estetico che disturba. Il premier smonta la mitologia del posto fisso nel momento in cui, prolungando l'età pensionabile, costringe i lavoratori a tenerselo.
Siccome non siamo un'economia come quella americana, dove il turnover sul mercato del lavoro è altissimo, la mobilità rischia anche qui di essere una costrizione e non il frutto di una libera decisione.
IL NODO DELL'ARTICOLO 18. Per inciso, vista la stringente attualità della riforma del lavoro, è chiaro che si affronterebbe volentieri l'abolizione dell'art. 18 se ci fossero da un lato robusti ammortizzatori, e dall'altro una dinamica occupazionale regolata dalle leggi della domanda e dell'offerta. E non, come purtroppo avviene da noi, da un meccanismo di cooptazione o raccomandazione.
Siamo poi, last but not least, una società gerontocratica, molto più di quanto lo siano le altre nazioni europee.
INCOLLATI ALLA POLTRONA. Da noi c'è gente che il posto non lo molla mai, nemmeno compiuta l'età della pensione. E, in ogni caso, quando lo fa è perché ha avuto la garanzia che ad aspettarla, sempre a tempo indeterminato, c'è un'altra poltrona.
E se poi proprio vogliamo dirla tutta, è curioso che a denunciare la monotonia del posto fisso sia proprio il professor Monti, ovvero uno che è appena stato nominato (che monotonia!) senatore a vita.

Lettera 43, 02 Febbraio 2012

Gli sfigati

ROMA – “Se a 28 anni non ti sei laureato sei uno sfigato” ha sostenuto il giovane vice-ministro  del Welfare Michel Martone, alla “Giornata sull’apprendistato” organizzata dalla Regione Lazio. “Se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo. Essere secchione è bello, almeno hai fatto qualcosa” ha proseguito Martone. Da una parte la stilettata provocatoria contro i soggiorni prolungati all’università, dall’altra un incoraggiamento a chi comunque si impegna e non se ne sta con le mani in mano. Quelli insomma che fanno di tutto pur di non trovarsi nella generazione “Neet” (Not in Education, Employment or Training), tra gli scoraggiati che non studiano e non lavorano.
La giornata dedicata all’apprendistato, forse, non era la più indicata. Le reazioni, prevedibili, non si sono fatte attendere. “E’ opportuno far notare al ministro che non tutti coloro che si iscrivono alle università sono figli di papà” – replica di Pietro De Leo, responsabile dell’associazione Gioventù e Libertà – Anzi, l’ultima indagine eurostudent dimostra che in un periodo di crisi economica come quello attuale sono sempre di più quegli studenti che non possono permettersi il percorso formativo se non affiancandolo ad un lavoro, perchè l’eccessivo aggravio di tasse e spese non può più essere sostenuto dalla sola famiglia. Quindi, se un giovane si laurea in ritardo non è certo uno sfigato, anzi: proprio dalla sua condizione bisognerebbe ripartire per ripensare un sistema che negli anni ha concepito molti delusi e troppi privilegiati”.
Chi ha ragione? Certo, la crisi morde di più chi meno ha, è un fatto e la fatica del doppio impegno andrebbe riconosciuta. Non è altrettanto certo che tutti i parcheggiati di lungo corso siano altrettanti sottoproletari o indigenti. La tentazione di risolvere le questioni con battute o freddure è rivedibile, specie da parte di un rappresentante del governo, in una congiuntura del genere poi. Il giovane Michel Martone è sicuramente agli antipodi dei suoi coetanei perdigiorno. A 37 anni è già vice ministro, è stato consigliere giuridico del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta.
Il suo è un curriculum da urlo e anche lui ne è abbastanza compiaciuto, come si diffonde a rivelare nel suo aggiornatissimo blog. ”Da venti anni mi appassiono di politica, da quindici studio il diritto e da cinque sono professore ordinario di Diritto del Lavoro; il mio habitat è l’Università, dove ho incontrato Maestri, colleghi e studenti; sono un grafomane che sfoga le proprie inquietudini scrivendo sui giornali, da Il Riformista a Il Sole 24 ore, e sulle riviste, da Zero a Formiche e Aspenia; mi interesso di musica, da Jimy Hendrix a Kenny Arkana, cinema, da Elio Petri a Sophia Coppola, e libri, da Il Rosso e il nero a Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond…” eccetera eccetera.
Bene, bravo, bis. Però, anche il perfettamente bilingue nato a Nizza e residente a Roma, ha le sue bucce di banana. Come quando accettò un incarico di consulenza da 40 mila euro dal ministro Brunetta per la digitalizzazione della PA dei paesi terzi. Mentre accettava, il padre, Antonio Martone, ex avvocato generale della Cassazione, veniva scelto dal ministro Brunetta per la presidenza del Civit (Commissione per l’integrità, la valutazione, la trasparenza delle amministrazioni pubbliche). Pietro Ichino, giuslavorista “rivale” prese carta e penna per un’interrogazione parlamentare. Martone scrisse a Ichino dicendo “Non ho pensato di rinunciare all’incarico dopo la nomina di mio padre perché francamente non ne vedevo, e non ne vedo, la ragione”.
Forse l’enfant prodige, tra le tante attività e studi svolti, avrebbe potuto approfondire l’istituto del conflitto di interessi. Scriveva Ivan Scalfarotto sul suo blog: “Il punto non è tanto il costo, nemmeno troppo esoso (ma Ichino pensa il contrario, ndr): il punto è che mentre il padre doveva valutare la pubblica amministrazione, il figlio riceveva una consulenza dal ministro che doveva essere valutato”. E’ chiaro no, lo capisce anche un ventottenne anche se la sfiga non aiuta. Il padre Antonio, per la cronaca, è andato in pensione. Il CSM ne ha deciso il collocamento a riposo, su sua richiesta, dopo che il suo nome era emerso nell’inchiesta romana sugli appalti sull’eolico e la loggia P3. Essere figli di papà, sarà mai da sfigati?

fonte: Blitzquotidiano.it, 24 gennaio 2012

mercoledì 1 febbraio 2012

Una storia dura

La storia di Luigi Lusi è dura da mandar giù. Per la Margherita, che meritava e merita di consegnarsi alla storia come un’esperienza politica pulita, innovativa e levatrice di novità più grandi.
Per il Pd, che ciclicamente si ritrova suo malgrado sbattuto in prima pagina per le vicende oscure di qualche suo dirigente, quasi sempre originate prima che il partito nascesse, col rischio di oscurare la disciplina rigida che il partito ha dato a se stesso.
Per la politica, che evidentemente ha troppe colpe da scontare, compresa una pratica di finanziamento pubblico necessaria ma resa opaca dalla vacanza di normativa nella quale si muovono i partiti: assurdo che coi rimborsi elettorali si possa fare qualsiasi cosa, dalla Tanzania al Canada.
E infine è dura da mandar giù per chi ha avuto a che fare con Luigi Lusi, come è ovvio per Europa visto che questo giornale dalla Margherita è stato promosso e viene tuttora sostenuto: conosciamo abbastanza bene l’ex tesoriere – sempre leale nei rapporti col giornale legati alla sua funzione – per condividere lo sbalordimento dei suoi colleghi, e aggiungervi autentico dolore umano. Del resto però le ammissioni fatte davanti ai pm impongono di fare i conti.
Con che cosa esattamente?
Per quel che si sa finora, col gesto di un fiduciario che si appropria di risorse che avrebbe dovuto custodire o impiegare nelle attività politiche delle frange della diaspora diellina (questa era la principale “istituzionale” attività di Lusi). Margherita come parte tradita e lesa, allora, come ha detto Rutelli.
Ci sarà però da valutare in modo serio il tema dei controlli (che erano comunque previsti), e inevitabilmente si riapre la ferita della gestione del post-scioglimento, che ad alcuni del gruppo dirigente diellino non è mai piaciuta.
Infine: Lusi non ha raccontato tutto? Impossibile saperlo. Se non l’avesse fatto sarebbe sicuramente meglio che lo facesse. E ogni difesa è più convincente se la si tenta liberandosi da ruoli istituzionali e senza coinvolgere un corpo collettivo, il Partito democratico, che non merita di pagare per colpe non sue.
 
Europa, 1 febbraio 2012
 

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...