domenica 24 febbraio 2013

Saliva elettorale

BOLOGNA - Alla faccia di un boom quasi scontato, nel Movimento Cinque Stelle c'è qualcosa che rovina queste ore di attesa. Così in rete, luogo d'elezione del M5S, stanno impazzando i consigli più disparati per evitare brogli, sconfiggere complotti e vincere le elezioni. In questo caso a dare il via alla discussione è Matteo Dall'Osso, candidato a Cinque Stelle per la Camera dei Deputati. Il futuro parlamentare (è in lista in terza posizione) suggerisce, sulla sua pagina Facebook, un singolare stratagemma. «Prima del voto - scrive il candidato - bagnatevi la mano con la saliva, umettate la matita e poi votate, solo così il vostro voto sarà indelebile...M5S e vinciamo noi...». Dall'Osso poi si fa prendere la mano e verga: «Il voto è valido solo se la matita è stata umettata». Citando una sentenza del Consiglio di Stato conclude: «In ogni modo le inventeranno tutte per annullarci il voto e se fate il segno con la matita in modo leggero poi si cancella».  
PIAZZA - Dall'altra parte della barricata c'è il consigliere comunale bolognese, Marco Piazza. L'uomo che lungo la via Emilia ha organizzato le Parlamentarie e seguito la composizione delle liste 5 Stelle. Piazza sulla saliva la pensa diversamente dal suo collega di Movimento. Niente bavetta sulle schede, è il suo diktat. «Per avere la certezza assoluta che la matita sia davvero copiativa e il segno effettivamente indelebile, alcuni votanti “ciucciano la matita” (la bagnano/umettano con la saliva)», scrive (sempre su Facebook) Piazza. «Le matite indelebili (che devono essere usate nei seggi), - aggiunge il consigliere grillino - se bagnate, lasciano un caratteristico tratto tendente al violaceo con delle piccole sbavature. Ho concreti motivi di ritenere che molti elettori a questo giro faranno questa verifica». Da lì il consiglio agli elettori: «Attenzione!! le schede macchiate o con segni di riconoscimento sono invalide. Se pertanto vi capitasse di macchiare involontariamente la vostra scheda fatevene dare un'altra».
LA CONFERMA - Sta di fatto che il panico della matita ciucciata si è già diffuso in rete. E chissà quanti elettori 5 Stelle nel segreto della cabina metteranno un po' di saliva sulla scheda. Dall'Osso dal canto suo conferma la sua (umida) versione dei fatti: «La matita copiativa in dotazione alle urne elettorali è completamente cancellabile (provato su carta semplice) a meno che non sia umettata, si sbiadisce leggermente, ma rimane». Mah.

fonte: Corriere.it

sabato 23 febbraio 2013

Arrendetevi, siete circondati!

"Non fate così che è tutta la notte che mi esercito per non commuovermi....» Beppe Grillo inizia così il suo comizio finale in piazza San Giovanni, a Roma, accolto dal boato della folla. «Non è possibile, voi siete fatti con il Photoshop. Non è possibile che siate 800 mila persone in piazza e 150 mila collegate in streaming» dice a chi lo ha atteso per ore. «Quello che ci aspetta sarà un periodo molto difficile. C'è , però, una nuova Italia da costruire e sarà bellissimo farne parte. Da qui inizia qualcosa che non c'è mai stato in questo Paese». Poi si interrompe: «Mi commuovo...».

Dopo il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, Grillo ha chiamato sul palco «una persona perbene», Gianroberto Casaleggio (il co-fondatore del Movimento 5 stelle più volte attaccato da chi è uscito dal movimento) in una delle sue rare apparizioni in pubblico. «Mi ricordo un famoso slogan del 1968 si parlava di fantasia al potere - ha detto tra gli applausi, ma anche da qualche fischio - Noi abbiamo bisogno di fantasia, però oltre alla fantasia e alla creatività, abbiamo bisogno di trasparenza, di onestà, di competenza. Così cambieremo l'Italia».

 «Ci chiamavano pazzi, ma ora li abbiamo spiazzati. Se ne eleggeremo 100, apriremo il Parlamento come una scatola di tonno. Siamo la terza, la seconda, anzi la prima forza politica del Paese. Io ho dato solo fuoco alla miccia: il resto lo abbiamo fatto insieme» ha detto Grillo. E poi rivolto alle persone: «A Roma li vedete tutti i giorni, sulle loro auto blu sono sconnessi da qualunque cosa. Non hanno capito che cosa gli sta capitando. Noi siamo qui e loro nei loro teatrini, nei loro loft a mentire per la loro ultima volta. Arrendevi, ormai siete circondati». E su Berlusconi: «Ha la congiuntivite? No ha visto bene che in piazza non ci sarebbe più andato nessuno....».

«Potevo fare il miliardario come dice Gargamella - dice Grillo riferendosi all'attacco Bersani - Lui è un figlio di un benzinaio e io sono un miliardario. No, non è così : io non sono un parassita come lui perchè i soldi me li sono guadagnati. E mi sono sentito in dovere di dare qualcosa in cambio agli altri, a voi: è questo il grande messaggio del movimento. È così che cambiamo il Paese». E poi: «Gargamella dice che non ci sono soldi. Iniziamo a prendere un miliardo retroattivo di rimborsi elettorali. Noi non li abbiamo presi».

 «Mi aspettavo che su Monte dei Paschi il presidente della Repubblica battesse i pugni sul tavolo e invece lui cosa ha fatto? Ha chiesto la privacy» è l'accusa di Grillo che in piazza è tornato a chiedere nazionalizzazione della banca toscana e di «mettere sotto processo tutti i vertici del Pdl degli ultimi 25 anni». Ma non è questo l'unico passaggio che Grillo riserva al Capo dello Stato: «Invece di andarsene in Germania per quattro giorni sotto elezioni, cominciamo a capire quanto ci costa...».
Non è stato l'unico attacco ai politici attuali. «Che ci vadano i figli della Fornero a fare un lavoro come quello dei call center» ha detto ancora Grillo chiedendo ad alta voce il «reddito minimo di cittadinanza perchè nessuno deve rimanere indietro. In questi mesi ho conosciuto la disperazione del nostro Paese. Io voglio un Paese che protegga tutti».

Beppe Grillo, Comizio in Piazza S. Giovanni, 22 febbraio 2013

martedì 12 febbraio 2013

Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza


domenica 10 febbraio 2013

A capo del popolarismo europeo in Italia

“Monti è in politica per unire”. L’allusione è cauta, democristiana com’è democristiano l’uomo che la pronuncia, ma Andrea Riccardi, pur felpato e mediorientale, in realtà ci pensa eccome. E infatti quando gli si suggeriscono le parole “grande” e “coalizione” lui sorride e dice che “è una possibilità che non escludo affatto”.
La verità è che la grande coalizione è proprio l’obiettivo auspicato dai montiani che si figurano un rapporto col Pd (depurato da Nichi Vendola) e con il Pdl (depurato dalla Lega e dagli ultrà berlusconiani). Non a caso l’immagine di un taglio delle estreme fa brillare gli occhi del ministro Riccardi: “Mi piace molto”, confessa. Ma poi arretra, e fa esercizio di modestia: “Adesso dobbiamo prendere i voti e occuparci della campagna elettorale. Saranno i numeri a darci la base per decidere cosa fare. Senza orientamenti precostituiti”. Il che potrebbe significare una cosa molto importante. Qualora i montiani fossero decisivi per la costituzione della prossima maggioranza e del prossimo governo, il professore potrebbe porre una condizione decisiva: l’allargamento della maggioranza alle forze responsabili del Pdl.
“L’Italia ha bisogno di riforme incisive”, dice Riccardi mentre viaggia in macchina verso Latina, dove terrà un incontro pubblico con i sostenitori della lista Monti. “Ma per fare delle riforme incisive come quella elettorale – spiega – sono necessarie larghe intese tra le forze politiche. Noi lavoriamo per costruire unità”. Anche nel Pd guardano al centro montiano con attenzione, malgrado i battibecchi e le baruffe episodiche. Nella carta degli intenti, il documento fondativo della coalizione guidata da Pier Luigi Bersani, c’è pure scritto: “I progressisti dovranno cercare un terreno di collaborazione con le forze del centro liberale e si impegnano a promuovere un accordo di legislatura con queste forze”. Commenta Riccardi: “E’ molto interessante. Ma quando è stato siglato questo documento?”. Il 13 ottobre. “Ecco, noi siamo nati a novembre. Forse significa che la sinistra voleva che nascessimo. Ma noi non abbiamo orientamenti prestabiliti rispetto alle forze con cui potremmo allearci dopo”. C’è anche il Pdl.
Ma che significa non avere orientamenti prestabiliti? “Non faremo la politica dei due forni, ma cercheremo alleanze per governare. Non staremo con chi ci darà più spazio. Non possiamo immaginare oggi la maggioranza di domani, ma staremo con chi ci aiuterà a realizzare l’agenda Monti”. E’ lecito immaginare che l’alleanza possa comprendere il Pdl, o una parte di esso. Ma ecco il discrimine: “Mai con chi vuole dividere il Paese” (niente Maroni). E “mai con chi difende lobby e privilegi” (niente Vendola), perché “se troppo grande – dice il ministro montiano – la grande coalizione può diventare un freno alle riforme”.
A Riccardi e a Monti non piacciono i populisti “che si agitano contro l’Europa”, e Silvio Berlusconi in questo momento è uno di quelli. Non è “coalizzabile”, almeno per come appare adesso in capagna elettorale. Ma poi? La risposta di Riccardi è sorprendente, il ministro fa capire che un pezzo del partito del Cavaliere finirà a sedersi con Monti in Aula. “Il Pdl era quasi esploso”, dice. “Poi si è un po’ ricompattato, nella confusione, ancora una volta attorno al carisma di Berlusconi. Ma dopo il voto come sarà gestibile questo partito e questo mondo disgregato?”. Ampi segmenti del Pdl molleranno il Cavaliere appena insediati in Parlamento. “Il gruppo montiano – dice Riccardi – sarà un polo attrattivo, anche perché dentro il Pdl c’è già stato un profondo divorzio politico e culturale”. E dunque a voler essere maliziosi, il ministro in realtà sta descrivendo l’equilibrio e la meccanica della grande coalizione a venire. Questa la scena un minuto dopo il voto: il Pdl si spacca e un pezzo di cattolici e liberali va a sedersi in Aula a ingrossare i banchi del montismo. A questo punto, forte di questo passaggio, Monti sarà il  capo del popolarismo europeo in Italia, il leader della destra accettabile e legittimata all’estero, l’artefice di un rapporto di grande coalizione che il Pd ha di fatto già teorizzato nella sua carta degli intenti.

il nuovo tempo del cattolicesimo liberale

Il filo rosso del cattolicesimo liberale è stato storicamente debole nel nostro Paese a causa della frattura dell'Unità d'Italia e della lunga stagione dell'intransigentismo che ha portato la comunità ecclesiale a pensarsi come contro-società o in opposizione allo Stato o chiamata a colonizzare lo Stato stesso. O martirio o egemonia di parte: questo era lo schema dell'intransigentismo.
Alcide De Gasperi, a lungo suddito di un impero plurinazionale, portò nella nostra vita politica tutta la fortunata estraneità a quella storia. Come ricorda lo storico padre Giuseppe Sale nel suo volume su "Il Vaticano e la Costituzione", lo statista trentino, il più grande statista del secolo trascorso, riteneva del tutto illogica la nozione di "religione di Stato" perché per lui lo Stato era "un'amministrazione, una serie di uffici" che, a differenza delle persone, non hanno religione. Uffici che sono viceversa strumentali alle libertà delle persone e delle comunità, compresa quella religiosa, senza egemonie o forme di martirio.
Il cattolicesimo liberale è quindi intimamente "anti-giacobino" come ricordava Pietro Scoppola parlando di De Gasperi, ovvero, come diciamo oggi specie dopo la " Caritas in Veritate", poliarchico (dato che il giacobinismo è una forma di monarchia, di un centro unico e assoluto di potere che da monarchico diventa repubblicano, ma che resta per l'appunto unico), attento a costruire equilibri e a evitare squilibri tra le sfere sociali, compreso il sotto-sistema istituzionale che è  una parte e non il tutto, che contribuisce al bene comune e non lo monopolizza.
Nonostante che col Concilio Vaticano II il cattolicesimo liberale, con la decisiva regia montiniana, abbia plasmato di sé la vita della Chiesa, valorizzando la conciliazione pratica precedente tra comunità ecclesiale e democrazia, superando le chiusure dell'intransigentismo, creando le premesse per la caduta dei regimi antidemocratici residui (dal Portogallo, alla Spagna , alle Filippine), minore è stata la sua forza in ambito strettamente politico.
In particolare, nella complessa transizione italiana della seconda fase della Repubblica, il cattolicesimo liberale non ha attecchito come cultura politica e come personalità esemplari nel centrodestra dove pure vi è chi utilizza talora quella definizione. Il centrodestra è un confuso assemblaggio di nuove forme di cattolicesimo intransigente e teo-con.
Nel centrosinistra due sono state le grandi personalità cattolico liberali che hanno invece accompagnato la transizione, purtroppo solo per pochi anni e che andrebbero più fortemente riscoperte: Pietro Scoppola e Nino Andreatta. Si fa però ancora fatica a valorizzare appieno questo che è obiettivamente il filone più fecondo di cultura politica (il resto delle tradizioni politiche cattoliche di una certa consistenza appare del tutto interno alla crisi dei paradigmi della vecchia sinistra) il che evidentemente non è senza connessioni con la difficoltà ad avere rapporti scambievoli fecondi con la comunità ecclesiale, che rischia così di essere inevitabilmente risospinta su altri lidi. Solo la diffusione della cultura cattolico liberale consente al Pd di non essere la mera riproposizione della sinistra tradizionale. Se si riproduce stancamente quest'ultima, essa richiama fatalmente forme nuove di unità dei cattolici sull'altro versante. Rottura e continuità della sinistra storica e dell'unità dei cattolici si richiamano fatalmente a vicenda. L'idea di partito a vocazione maggioritaria, quindi strutturalmente proiettato oltre con i confini della sinistra storica, è uno strumento essenziale di questa diffusione.
Il cattolicesimo liberale comporta anzitutto una lettura geopolitica post-11 settembre in chiave di multilateralismo democratico e, quindi di solidarietà euro- atlantica in alternativa alle visioni multipolari che tendono a  separare Europa e Usa e ad astratti pacifismi svincolati dal dovere di resistenza al male e quindi dalla necessità di un uso regolato e proporzionato della forza attraverso l'Onu e la Nato. Il pacifismo astratto, cattolico e non, sembra obiettivamente caduto dopo la sfida asimmetrica della guerra al terrore, ma un certo antiamericanismo, portato della cultura intransigente, resta invece sullo sfondo, a destra come a sinistra. Andrebbe peraltro ricordato che non casualmente il Partito Democratico ha assunto un nome statunitense più che europeo tradizionale da vecchia sinistra, prospettando una promessa da compiere.
Il cattolicesimo liberale comporta poi una visione equilibrata del rapporto tra politica e mercato che non confonde la finalità della lotta per la riduzione delle diseguaglianze con gli strumenti datati della crescita dell'intervento permanente delle istituzioni pubbliche in termini di gestione diretta, secondo le puntuali chiavi di lettura poliarchiche e sussidiarie fornite in particolare dal magistero dalla Centesimus Annus in poi ed esemplificate chiaramente dal documento della Settimana Sociale di Reggio Calabria. All'insegna di una politica decidente ma non invadente. Una visione che fa dell'aggancio con l'Europa un ancoraggio essenziale: più liberalizzazione e dinamismo interno a livello nazionale consentono convergenze europee e un diverso livello di integrazione in un government federale da costruire. Qui è l'eredità più forte di Andreatta, senza il quale l'Italia non sarebbe nell'Euro.
Infine il cattolicesimo liberale affronta e trova soluzione anche ai temi attinenti ai cosiddetti 'principi non negoziabili', senza restringere ad essi le priorità dell'impegno politico.  Negli ultimi anni sembra su questi temi esservi spazio solo per opposti intransigentismi o in nome della non negoziabilità della vita o di quella della libertà del singolo inteso come atomo slegato da legami sociali. Il cattolicesimo liberale imposta invece le questioni a partire dal ruolo limitato delle istituzioni pubbliche che debbono affrontare questi temi a partire dall'immunità dalla coercizione della persona, distinguendo il livello della proposta delle scelte migliori da quello, necessariamente più ristretto, del vincolo che la legge può portare con sé. E' qui che emerge l'autonomia relativa del diritto dalla morale e dalla politica e la rilevanza pubblica della dimensione religiosa, fuori dall'alternativa perversa tra confessionalismo e privatizzazione della fede.
Sulla strada segnata da Scoppola e Andreatta tutto il Pd può crescere con la cultura di governo adeguata. Non vi sono, almeno per il centrosinistra, altri filoni di cultura politica di matrice religiosa altrettanto promettenti, che non siano mera ripetizione di passati spesso gloriosi ma fatalmente datati. Nel suo essere anti-giacobino il cattolicesimo liberale è più duraturo perché anti-ideologico, perché è una matrice di idee in un contesto poliarchico, non un insieme di ricette per una politica monarchica che le potrebbe imporre o agli attori economici o alle persone singole in nome di una pretesa di monopolio del bene comune. Quella stessa visione che è chiaramente riproposta dai due discorsi di Benedetto XVI a Westminster Hall e al Bundestag.
Vorrei infine fare una postilla pratico-applicativa, che mi è suggerita dalla lettura di un articolo di Stefano Fassina su "l'Unità" di domenica. Fassina arriva alla conclusione giusta (la richiesta di 'più Europa?) partendo però da due premesse sbagliate e da una citazione ugualmente sbagliata. E' vero che, sia dal punto di vista politico sia da quello evangelico, la cosa più importante è la conclusione, tuttavia se non si criticano premesse e citazione sbagliate, altre volte si rischia di partire da esse per arrivare a conclusioni sbagliate. La prima premessa erronea è che la Bce, nella sua nota lettera, essendo un'istituzione non legittimata democraticamente, abbia effettuato una sorta di prevaricazione sulla nostra democrazia, pur giustificabile per l'inerzia del Governo. In realtà in una visione liberale delle istituzioni la legittimazione democratica col voto non è l'unico principio del sistema (dal che anche il 'più Europa' deve essere attentamente valutato nel senso del 'come') e nello specifico la Bce, a cui si richiede la difesa dell'euro anche attraverso il sostegno dei titoli di debito del nostro Paese, non ha fatto altro che ricordare che quella difesa a lei richiesta diventa ben più agevole ed efficace se il Governo rispetta degli impegni che non ha inventato la lettera, ma che il Governo stesso ha liberamente sottoscritto nei vertici europei e nella firma del patto Euro Plus. Insomma la Bce svolge null'altro che la sua specifica funzione e un Governo democraticamente eletto non può fare l'europeista in Europa e il non europeo appena torna a casa scordandosi cosa ha sottoscritto, come se la legittimazione democratica lo rendesse onnipotente e assoluto. La seconda premessa è che il di più di integrazione funzionale a livello europeo, dove meglio si collocano interventi efficaci per la crescita, possa essere scissa da una politica di rigore e di liberalizzazioni sul piano interno che avvicinino tra loro i Paesi. Il di più di integrazione funzionale è reso possibile dalla crescita di omogeneità, esattamente come nelle altre tappe della crescita del processo federalista europeo che avviene, secondo la lezione dei cattolici liberali De Gasperi, Adenauer e Schumann, secondo schemi poliarchici, di creazione di un government comune e non di super-Stato chiamato a ricondurre tutto a un unico livello politico, azzerando le istituzioni come la Bce o i margini degli Stati. La citazione erronea è appunto quella della 'Caritas in Veritate' che, sdoganando peraltro in termini espliciti la poliarchia, a tutto si presta tranne che declinare la sua nozione di 'sviluppo umano integrale' in termini anti-liberali. Basta richiamare il passaggio decisivo dell'enciclica:  "Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace."
Il fatto che la lettera della Bce corrispondesse nella sostanza con le raccomandazioni della Settimana Sociale dei cattolici, che sulla contemporanea e analoga vicenda della riforma dell'articolo 81 della Costituzione l'iniziativa sia stata mia, di Giorgio Tonini e di altri, che la battaglia sulla lettera della Bce sia stata diretta con forza da Enrico Letta, dimostra che l'ispirazione cattolico liberale è più diffusa di quanto si creda, anche se ancora sottorappresentata nel Pd rispetto all'evoluzione di mondi vitali circostanti. E' questa che andrebbe rafforzata, nella grande convergenza coi filoni liberali della sinistra, e non tanto una generica convergenza dei cattolici del Pd a prescindere dalla cultura politica di riferimento. Forse nei prossimi mesi dovremo pensare anche a questo.
Stefano Ceccanti. Senatore del Pd dal 2008, membro della commissione Affari costituzionali, è ordinario di Diritto Pubblico Comparato all'Università La Sapienza di Roma. Ultimo libro, Al cattolico perplesso. Chiesa e politica all'epoca del bipolarismo e del pluralismo religioso.

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...