martedì 26 marzo 2013

Contro il relativismo

Credo nel Gesù che ho amato sin da bambino, leggendolo nei Vangeli e vivificato da autentici testimoni - religiosi e laici cristiani – attraverso le loro opere buone, ma non credo più nella Chiesa. La mia conversione al cattolicesimo, avvenuta per mano di Benedetto XVI nella notte della Veglia Pasquale il 22 marzo 2008, la considero conclusa ora in concomitanza con la fine del suo papato. Sono stati 5 anni di passione in cui ho toccato con mano la vicissitudine del vivere da cattolico salvaguardando nella verità e in libertà ciò che sostanzia l'essenza del mio essere persona come depositario di valori non negoziabili, di un'identità certa, di una civiltà di cui inorgoglirsi, di una missione che dà un senso alla vita. 
La mia è una scelta estremamente sofferta, mentre guardo negli occhi Gesù e i tanti amici cattolici che proveranno amarezza e reagiranno con disapprovazione. C'è stata un'improvvisa accelerazione nel far maturare questa decisione di fronte alla realtà di due Papi, che per la prima volta nella Storia s'incontrano e si abbracciano, entrambi depositari di investitura divina, dal momento che il grande elettore è lo Spirito Santo che si manifesta attraverso i cardinali, entrambi successori di Pietro e vicari di Cristo anche a prescindere dalla decisione umana di dimettersi.
La Papalatria che ha infiammato l'euforia per Francesco I e ha rapidamente archiviato Benedetto XVI, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un quadro complessivo di incertezze e dubbi sulla Chiesa che ho descritto correttamente e schiettamente già nel mio “Grazie Gesù” del 2008 e in “Europa Cristiana Libera” del 2009.
Se proprio Benedetto XVI denunciando la “dittatura del relativismo” mi aveva attratto e affascinato, la verità è che la Chiesa è fisiologicamente relativista. Il suo essere contemporaneamente Magistero universale e Stato secolare, ha fatto sì che la Chiesa da sempre accoglie nel suo seno un'infinità di comunità, congregazioni, ideologie, interessi materiali che si traducono nel mettere insieme tutto e il contrario di tutto. Così come la Chiesa è fisiologicamente globalista fondandosi sulla comunione dei cattolici in tutto il mondo, come emerge chiaramente dal Conclave. Ciò fa sì che la Chiesa assume posizioni ideologicamente contrari alla Nazione come identità e civiltà da preservare, predicando di fatto il superamento delle frontiere nazionali. Come conseguenza la Chiesa è fisiologicamente buonista, mettendo sullo stesso piano, se non addirittura anteponendo, il bene altrui rispetto al bene proprio, compromettendo dalla radice il concetto di bene comune. Infine prendo atto che la Chiesa è fisiologicamente tentata dal male, inteso come violazione della morale pubblica, dal momento che impone dei comportamenti che sono in conflitto con la natura umana, quali il celibato sacerdotale, l'astensione dai rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, l'indissolubilità del matrimonio, in aggiunta alla tentazione del denaro.
Ciò che più di ogni altro fattore mi ha allontanato dalla Chiesa è il relativismo religioso e in particolare la legittimazione dell'islam come vera religione, di Allah come vero Dio, di Maometto come vero profeta, del Corano come testo sacro, delle moschee come luogo di culto. E' una autentica follia suicida il fatto che Giovanni Paolo II si spinse fino a baciare il Corano il 14 maggio 1999, che Benedetto XVI pose la mano sul Corano pregando in direzione della Mecca all'interno della Moschea Blu di Istanbul il 30 novembre 2006, mentre Francesco I ha esordito esaltando i musulmani che “che adorano Dio unico, vivente e misericordioso”. Sono invece convinto che, pur nel rispetto dei musulmani depositari al pari di tutte le persone dei diritti inalienabili alla vita, alla dignità e alla libertà, l'islam sia un'ideologia intrinsecamente violenta così come è stata storicamente conflittuale al suo interno e bellicoso al suo esterno. Ancor di più sono sempre più convinto che l'Europa finirà per essere sottomessa all'islam, così come è già accaduto a partire dal Settimo secolo alle altre due sponde del Mediterraneo, se non avrà la lucidità e il coraggio di denunciare l'incompatibilità dell'islam con la nostra civiltà e i diritti fondamentali della persona, se non metterà al bando il Corano per apologia dell'odio, della violenza e della morte nei confronti dei non musulmani, se non condannerà la sharia quale crimine contro l'umanità in quanto predica e pratica la violazione della sacralità della vita di tutti, la pari dignità tra uomo e donna, la libertà religiosa, infine se non bloccherà la diffusione delle moschee.
Sono contrario al globalismo che porta all'apertura incondizionata delle frontiere nazionali sulla base del principio che l'insieme dell'umanità deve concepirsi come fratelli e sorelle, che il mondo intero deve essere concepito come un'unica terra a disposizione di tutta l'umanità. Sono invece convinto che la popolazione autoctona debba legittimamente godere del diritto e del dovere di salvaguardare la propria civiltà e il proprio patrimonio.
Sono contrario al buonismo che porta la Chiesa a ergersi a massimo protettore degli immigrati, compresi e soprattutto i clandestini. Io sono per l'accoglienza con regole e la prima regola è che in Italia dobbiamo innanzitutto garantire il bene degli italiani, applicando correttamente l'esortazione di Gesù “ama il prossimo tuo così come ami te stesso”.
Sono stati dei testimoni - coloro che fanno sì che la verità che affermano corrisponde alla fede in cui credono e si traduca nelle opere buone che compiono - a persuadermi della bontà, del fascino, della bellezza e della forza del cristianesimo come dimora naturale dei valori non negoziabili, dei binomi indissolubili di verità e libertà, fede e ragione, valori e regole. Ed è proprio nel momento in cui attorno a me viene sempre meno la presenza di testimoni autentici e credibili, in parallelo alla conoscenza approfondita del contesto cattolico di riferimento, che è vacillata la mia fede nella Chiesa.
Faccio questa scelta, nella sofferenza interiore e nella consapevolezza della disapprovazione che genererà nella patria del cattolicesimo, perché sento come imperativo il dovere morale di continuare ad essere coerente con me stesso e con gli altri nel nome del primato della verità e della libertà. Non mi sono mai rassegnato alla menzogna e non mi sono mai sottomesso alla paura. Continuerò a credere nel Gesù che ho sempre amato e a identificarmi orgogliosamente nel cristianesimo come la civiltà che più di altre avvicina l'uomo al Dio che ha scelto di diventare uomo e che più di altre sostanzia l'essenza della nostra comune umanità. Continuerò a difendere laicamente i valori non negoziabili della sacralità della vita, della centralità della famiglia naturale, della dignità della persona, della libertà religiosa. Continuerò ad andare avanti con la schiena dritta e a testa alta per dare il mio contributo alla rinascita valoriale e identitaria degli italiani. Lo farò da uomo integro nell'integralità della mia umanità.

Magdi Allam, Il Giornale, 25 marzo 2013

mercoledì 13 marzo 2013

Ecco Francesco !

Un Papa a sorpresa, venuto dalla fine del mondo quasi a dire basta agli intrighi e ai ricatti italiani della Curia e alla paralisi di governo che ha indebolito la vecchiaia di Benedetto XVI fino alla rinuncia. Ma un Papa che evidentemente la Chiesa preparava da tempo, se è vero che già nel 2005 Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, era uno dei due candidati forti del Conclave, sostenuto dai riformatori che poi lui stesso portò a convergere su Ratzinger, per evitare una scelta più conservatrice. Per due volte a distanza di otto anni, dunque, due Conclavi hanno elaborato la candidatura a Papa del cardinale argentino, e bisogna tener presente che nel frattempo la composizione del Sacro Collegio è cambiata per quasi il 50 per cento. La considerazione di Bergoglio è dunque alta, forte e costante nei vertici della Chiesa universale. Ma questa volta gli scandali vaticani hanno pesato in suo favore.

E hanno chiuso la porta al ritorno di un Papa italiano (cioè a Scola, il vescovo più qualificato e conosciuto) per metter fine a un sistema di potere simbolicamente impersonato dalle figure del Decano del Collegio Cardinalizio e del Camerlengo, Sodano e Bertone, che scadono con la fine della Sede Vacante. L'addio al pontificato di Ratzinger ha dunque lasciato un "segno" visibile nel Conclave. La scelta di successione a Benedetto XVI rappresenta infatti un rovesciamento geografico e culturale del potere curiale vaticano talmente evidente e simbolico da diventare un gesto politico che scuote Roma parlando al mondo. Un gesto di apertura e di speranza che chiude un'epoca e porta il Papa fuori dai Sacri Palazzi, liberandolo dal potere per sperare di ritrovarlo pastore.

Questo significato del Conclave, che ha appreso fino in fondo il "mistero" dell'impotenza coraggiosa di Ratzinger, è stato potenziato ed ampliato dalle primissime mosse del nuovo Papa, ben consapevole fin dal suo apparire sulla Loggia di San Pietro della necessità di una rottura con un mondo e un modello di potere che ha finito per imprigionare se stesso, fino a consumare la stessa azione di Ratzinger, in una sovranità infine esausta perché immobile. Bergoglio infatti nelle sue prime parole non si è mai definito Papa (cioè sovrano e Vicario di Cristo) ma vescovo, quindi pastore, e ha annunciato che il vescovo di Roma e il suo popolo cammineranno insieme.
Un richiamo quasi giovanneo, tanti anni dopo, un conferimento della maestà alla comunità cristiana, una suggestione di collegialità, in quell'invito insistito e convinto  -  prima della benedizione apostolica del Pontefice ai fedeli  -  alla preghiera della piazza e del mondo per il Papa, per non lasciarlo solo, per dargli quella forza che deriva certo da Dio per chi crede, ma anche dalla convinta e fraterna partecipazione del popolo cristiano. Mentre questa preghiera avveniva in silenzio, per la prima volta durante il rito solenne dell'Habemus Papam Jorge Bergoglio ha curvato la maestà papale verso la folla, nell'umiltà di un inchino del Sommo Pontefice che sulla Loggia non si era mai visto.

Tutto questo senza titubanze e cedimenti, ma con la sicurezza spontanea di chi si sente pronto, il sorriso di chi chiede aiuto non per timore, ma per scelta. E la prova più grande di questa umiltà personale unita all'ambizione del cambiamento viene dalla scelta del nome, che nessun Papa aveva mai osato pronunciare per sé come successore di Pietro: Francesco. Un nome che è un progetto e un vincolo per il pontificato, quasi la denuncia programmatica della necessità di un gesto estremo, un ritorno alle origini, al Vangelo, all'Annuncio, alla missione di una Chiesa disincarnata dal potere e dalle sue pompe.

Quasi un punto e a capo, nella scelta di un nome che non ha precedenti nella lunga storia del pontificato, e che suona come una promessa agli ultimi e una minaccia ai potenti. L'indicazione di un Papa che sa di dover camminare tra i lupi, che è pronto a spogliare il Vaticano dei suoi ricchi mantelli, che proverà a rinunciare alle ricchezze occulte dello Ior, che testimonierà col solo risuonare del suo nome nei Sacri Palazzi quel sogno che spinse il frate di Assisi a Roma da Innocenzo III, dopo aver avuto la visione terribile del Laterano  -  sede del Papato  -  che minacciava di crollare disfacendosi.

E' come se il Papa, già anziano nei suoi 76 anni, sentisse di non avere molto tempo di fronte all'irreparabile, la consunzione del ruolo della Chiesa attraverso gli scandali, le lotte di potere, i corvi, i peccati di Curia contro il sesto e il settimo comandamento, la rete di ricatti che da tutto ciò è cresciuta, avviluppando il visibile e l'invisibile della potestà vaticana e deturpandone il volto, come dice l'ultima drammatica denuncia di Ratzinger dopo la rinuncia. Papa Francesco potrà essere soltanto un uomo di rottura con questo viluppo di bassi poteri. Nel segno della preghiera come affidamento, della sobrietà come obbligo di coerenza coi valori di fede, della povertà come scelta. Quella croce semplice, di metallo su una veste tutta bianca era già la conferma di uno stile diverso anche per il Capo della Chiesa cattolica. In coerenza con la predicazione pratica del vescovo di Buenos Aires, ortodosso e fermo nella dottrina (la fede in Cristo come "alleanza" non solo "informativa ma performativa", perché non è un semplice annuncio, ma un cambiamento di tutta la vita), rivoluzionario nella scelta di stare dalla parte degli ultimi, dei più poveri, degli sconfitti e degli "schiavi", nella convinzione che su questo si svolgerà il Giudizio nell'ultimo giorno.

Questo avvento di pontificato che ribalta evidentemente la geopolitica eurocentrica della Chiesa, probabilmente grazie ad una convergenza su Bergoglio dei cardinali americani, avviene dunque nella scelta di un nome che è una profezia di cambiamento, come se dopo l'immediata preghiera con la piazza per Joseph Ratzinger il nuovo pontefice avesse fretta di voltare pagina. Il rinnovamento ha naturalmente un costo. Papa Francesco dovrà capire che nei suoi doveri universali c'è anche quello della piena trasparenza sui suoi rapporti con la dittatura militare argentina, sugli scandali di compromissione che lo hanno chiamato in causa come gesuita in vicende mai chiarite. Dovrà farlo per avere le mani libere. E poi, non potrà tornare indietro rispetto alla novità che rappresenta, al mondo finito che lo ha preceduto, alle necessità di rinnovamento dell'istituzione cristiana, al rapporto tra l'universalità della Chiesa e la chiusura del Vaticano. Al peso, al dovere e all'obbligo che deriva dalla scelta di chiamarsi Francesco. 


fonte: La Repubblica, Ezio Mauro, 14 marzo 2013

sabato 9 marzo 2013

Agenzia per l'Italia Digitale: approvato lo statuto

ROMA - Adesso l'Agenzia per l'Italia Digitale è operativa e quindi passerà all'azione per rendere concreto e attuale il piano dell'Agenda digitale, con cui il governo intende trasformare profondamente la pubblica amministrazione e le città. In quest'ultimo scampolo di legislatura, infatti, ha approvato lo statuto dell'Agenzia: in extremis e tra le polemiche di varie parti politiche e sindacali, che chiedevano di ripensarci. Ad annunciare l'approvazione è stato oggi il ministro dello Sviluppo economico,Corrado Passera, su Twitter, commentando che si tratta di un "altro passo avanti per l'Agenda digitale e per dotare i cittadini di servizi più efficienti". Il nuovo organismo diventa operativo e può così svolgere "gli importanti compiti sul fronte dell'innovazione che le sono stati assegnati", sottolineano i ministri Corrado Passera, Filippo Patroni Griffi, Francesco Profumo e Vittorio Grilli, nel commentare l'approvazione dello Statuto dell'Agenzia per l'Italia digitale. "Ora abbiamo lo strumento necessario per dare continuità all'attuazione delle strategie e dei principali obiettivi contenuti nell'Agenda digitale italiana ed europea, che consideriamo prioritari per la crescita e lo sviluppo del Paese" hanno concluso i ministri.
 
Conferma a Repubblica. it Agostino Ragosa, direttore generale dell'Agenzia: "Lo statuto è un passo importante, finalmente
siamo operativi. Senza statuto l'agenzia non poteva funzionare". L'ex dirigente di Poste Italiane aggiunge che "ora i quattro ministeri competenti dovranno nominare il direttivo, per completare la governance dell'Agenzia. Poi faremo una relazione al Parlamento per indicare come intendiamo attuare il piano Ict nazionale (cioè l'Agenda digitale, ndr)". Ragosa è stato nominato già a ottobre, dal Consiglio dei ministri, a capo della nuova struttura. Ma ha aspettato finora i tempi tecnici della burocrazia per entrare nel vivo dei lavori.

L'Agenzia è l'asse portante operativo dell'Agenda, cioè di un pacchetto di norme (tra cui soprattutto il decreto Crescita 2.0 convertito in legge a dicembre 2012) con cui l'Italia intende introdurre il digitale a tutti i livelli nel Paese: con una rete banda larga onnipresente, una pubblica amministrazione che funziona e comunica tramite internet, senza carta; città ("smart city") dove il traffico e i consumi energetici sono regolati ed efficienti. E dove la strada è spianata per la crescita delle aziende innovative.

Per esempio, secondo il Crescita 2.0 che istituisce l'Agenzia, questa dovrà spingere le PA ad accettare i pagamenti con moneta elettronica a partire dai prossimi mesi. "Sentita la Banca d'Italia, definisce linee guida per la specifica dei codici identificativi del pagamento". Uno dei ruoli più importanti sarà di definire e sviluppare "grandi progetti strategici di ricerca e innovazione connessi alla realizzazione dell'Agenda digitale italiana e in conformità al programma europeo Horizon2020".  "Definisce strategie e obiettivi, coordina il processo di attuazione e predispone gli strumenti tecnologici ed economici per il progresso delle comunità intelligenti". "In sostanza si tratta di mettere a fattor comune, a livello nazionale, tutti i progetti di innovazione e smart cities che si aggiudicheranno i bandi Miur da 1,2 miliardi di euro", spiega Mario Calderini, responsabile di questi temi per il Miur (Ministero per l'istruzione, università e ricerca). E' in corso proprio in questi giorni il primo bando smart city nazionale, da 665,5 milioni di euro.

Ma se è importante che l'Agenzia sia finalmente operativa, dopo mesi di attese, il momento e le modalità di avvio sono giudicate inopportune da varie parti. Nei giorni scorsi hanno protestato le organizzazioni sindacali,  Fp Cgil, Fp Cisl, Falbi, Ugl, Fialp Cisal e la  Rsu Agenzia per l'Italia Digitale, con una missiva urgente a Ragosa, perché a loro dire l'approvazione dello statuto "non rientra nei poteri di "ordinaria amministrazione del governo dimissionario". Inoltre, accusano lo statuto di contenere "previsioni  in assoluto contrasto  con la stessa normativa  di risparmio e contenimento della spesa pubblica che ha ispirato la riforma e soppresso i vari enti che sono poi confluiti nella nuova Agenzia".

Protesta anche Oriano Giovanelli, presidente del Forum PA e Innovazione del PD, per una struttura definita troppo "pesante": "16 posizioni dirigenziali, 150 dipendenti per un soggetto regolatore non sono forse troppi? E poi che senso ha fissare nello statuto questa forte dotazione organica se non quella di irrigidire le scelte future?" Secondo Giovanelli "prevedere poi addirittura un articolo transitorio per dare al direttore il potere di conferire immediatamente 6 incarichi dirigenziali della durata di 24 (ventiquattro) mesi a pochi giorni dal voto" potrebbe tradire "l'intenzione di creare il fatto compiuto". Accuse anche dall'ex ministro della PA e Innovazione, Renato Brunetta: "Aumento della spesa, nessuna selezione per i nuovi dirigenti, rinuncia alla separazione del potere di indirizzo da quello di gestione, sterilizzazione delle strutture di controllo, strapotere del direttore".

Altre critiche denunciano invece una possibile debolezza della governance dell'Agenzia, perché è sottoposta a ben quattro ministeri: è quanto affermano Paolo Gentiloni (PD) e Antonio Palmieri (Pdl), tra gli altri. "Era ora che cominciassero a lavorare, visto che hanno tanto da fare", aggiunge Paolo Colli Franzone, dell'osservatorio specializzato Netics. "Ma oltre a un capo dell'Agenzia, che ha un ruolo tecnico, è necessario ci sia anche un referente unico politico per l'Agenzia. Altrimenti la governance per questi temi è troppo frammentata", aggiunge.

Piuttosto critico, sull'Agenzia, è stato anche Pierluigi Bersani, in un intervista al Corriere Comunicazioni: "Noi non ci siamo appassionati all'Agenzia Digitale. In Italia quando le cose non vanno si cambia il nome di organismi o si inventano strutture, invece di affrontare i problemi", ha detto il segretario del PD. "Il nodo è quello di avviare un progetto di riorganizzazione della PA che tiene conto delle necessità della società moderna. L'informatica nella PA è organizzata secondo linee dei primi anni '90, forse bisogna metterci mano. Qualche correzione alla Agenzia andrà fatta. Non servono tuttavia faraoniche riforme, servono chiari obiettivi e la possibilità di poter lavorare senza dipendere da fatti compiuti, pesanti condizionamenti di interessi".

domenica 3 marzo 2013

La forza dell'incontro

“Quando due elementi si incontrano, quando l’ossigeno e l’azoto si incontrano, non è che dopo ritrovi l’azoto, o l’ossigeno: no, tu trovi un’altra cosa. Questa è la prima scoperta produttiva che ho fatto nella mia vita“.
Che cos’è, allora, un incontro? Un incontro – dice Maggiani – è quando due atomi, due molecole, due corpi, due uomini, si sfiorano. E solo per il fatto di sfiorarsi, cambiano irrevocabilmente la loro direzione.
Questo è un incontro. Che sia fra due particelle subatomiche o fra due uomini, poco importa, perchè incontrandosi cambia la loro direzione e quindi la loro vita, in qualche modo, da qualche parte, cambia. 
Può bastare uno sguardo, una parola, un’attenzione, un gesto. E la nostra vita, anche impercettibilmente, cambia di direzione.  Questa è la forza dell’incontro.  Una forza propulsiva che muove la nostra vita, e quella degli altri.
“Io  - sostiene Maggiani
– non voglio nient’altro nella vita che incontrare degli uomini, delle donne: incontrare! “.


Maurizio Maggiani (dal blog della Fraternità di Romena)
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venerdì 1 marzo 2013

Giornalisti

"Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare" (attribuita a Luigi Barzini Junior)

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...