lunedì 29 aprile 2013

Un giudizio autorevole sul Governo Letta

IL Governo Letta è nato ieri pomeriggio. Presterà giuramento questa mattina e si presenterà al Parlamento domani. Nelle circostanze date è un buon governo. Enrico Letta aveva promesso competenza, freschezza, nomi non divisivi. Il risultato corrisponde pienamente all’impegno preso, con un’aggiunta in più: una presenza femminile quale prima d’ora non si era mai verificata. Emma Bonino agli Esteri è tra le altre una sorpresa molto positiva; sono positive anche quelle della Cancellieri alla Giustizia e di Saccomanni all’Economia.
L’intervento di Napolitano nella sala stampa del Quirinale dopo la lettura della lista e le parole di ulteriore chiarimento da lui pronunciate confermano la solidità del risultato. Persino il Movimento 5 Stelle dovrebbe prendere atto che un passo avanti verso un cambiamento sostanziale è stato compiuto. Ma ora facciamo un passo indietro per capire meglio qual è la prospettiva che ci si presenta e le cause che l’hanno determinata.
“L’Italia l’è malada”, così cantavano i contadini delle Leghe del Popolo nella Bassa Padana e nelle Romagne, aggiungendo “e il dottor l’è Prampolin”: Camillo Prampolini, che fu uno dei fondatori del partito socialista nel 1892. Questo stesso titolo lo usai alcuni anni fa sul nostro giornale commentando un altro periodo di crisi tra i tanti che si sono succeduti nella nostra storia.
Questa volta però la crisi è ancora più grave perché non è soltanto il nostro paese ad esser malato, è malata l’Europa, è malato il Giappone, sono malati gli Stati Uniti d’America, è malata l’Africa e il Vicino Oriente. Insomma è malato il mondo. È un dettaglio? Non direi. Ma spesso ce lo dimentichiamo ed è un errore perché ci toglie la prospettiva, ci fa scambiare gli effetti per cause e prescrive le terapie che sono soltanto “placebo” e non medicine efficaci.
La malattia cominciò nel 2008 con la crisi del mercato immobiliare americano che culminò col fallimento della Lehman Brothers. Poi, nei mesi e negli anni successivi, si allargò all’Europa, coinvolse in varia misura il resto del mondo e infine diventò, in Europa, recessione e crisi sociale. Durerà fino all’anno prossimo e questo è lo stato dei fatti.
La politica ha ceduto al passo all’economia e deve riprendere la sua supremazia e puntare sull’espansione? Lo sostengono in molti e Krugman lo teorizza, ma gli sfugge un elemento fondamentale: nel mondo globale la ricchezza tende a ridistribuirsi tra i paesi che emergono dalla povertà e gli altri che riposano passivamente su un’antica opulenza.
Questo movimento ha una forza e una ineluttabilità che non possono essere arginate; possono essere tutt’al più contenute entro limiti sopportabili attraverso un confronto tra le potenze continentali.
Se ci fosse uno Stato europeo, esso sarebbe in grado di sostenere quel confronto, ma fino a quando non ci sarà i governi nazionali resteranno irrilevanti. Che l’errore lo faccia Grillo invocando la palingenesi è comprensibile, ma che lo facciano anche intelletti consapevoli è assai meno scusabile.
Probabilmente la causa dell’errore sta nel fatto che l’analisi della situazione e la terapia capace di guarirne la malattia sono soverchiate dagli interessi, dalle ambizioni, dalle vanità delle lobbies e degli individui. L’egoismo di gruppo ha la meglio, l’emotività imbriglia la ragione, la vista corta di chi vuole tutto e subito impedisce la costruzione di un futuro migliore. La palingenesi non è la costruzione del futuro, ma un’utopia che porta con sé la sconfitta.
Il governo si chiama istituzionale perché è stato formato seguendo rigorosamente la procedura indicata dalla Costituzione e lo spirito che ispira il nostro ordinamento democratico. Lo stesso avvenne con il governo Monti nel novembre 2011, in comune i due governi hanno la situazione di emergenza. Quella di due anni fa era un’emergenza della finanza pubblica che rischiava di precipitare in un fallimento del debito sovrano e dello Stato; quella di oggi è un’emergenza economica e sociale che rischia di determinare una decomposizione della società.
Le emergenze limitano la libertà di scelta e impongono soluzioni di necessità. In questi casi il rigoroso rispetto della meccanica istituzionale diventa la sola via praticabile e il primo che ha dovuto cedere a questa scelta obbligata è stato Giorgio Napolitano. Aveva deciso e più volte ripetuto di non voler essere riconfermato al Quirinale e ne aveva spiegato pubblicamente e privatamente le motivazioni. L’emergenza nel suo caso non è stata soltanto la crisi sociale ma la crisi politica che non ha reso possibile la nomina del suo successore. Perciò, suo malgrado, Napolitano ha dovuto restare al Quirinale.
Suo malgrado, ma per fortuna del paese. Napolitano conosce benissimo i limiti e i doveri che la Costituzione gli prescrive; proprio per questo, nell’ambito di quel quadro, può agire con la massima energia. Se le forze politiche non reggeranno ad una “mescolanza” che contiene  -  non c’è dubbio  -  anche elementi repulsivi, se ne assumeranno l’intera responsabilità.
Ci sono molti precedenti in proposito e lo stesso Napolitano ne ha richiamato uno: l’incontro politico tra Moro e Berlinguer a metà degli anni Settanta. La mescolanza ci fu, o meglio mosse i suoi primi passi per iniziativa di quei due interlocutori; ma è stata facile l’obiezione di alcuni critici che hanno ricordato non soltanto la diversità delle situazioni storiche ma anche la diversa qualità degli interlocutori. È vero, ma ci sono altri esempi, forse più probanti.
Nel 1944, quando la guerra era ancora in corso e le armate contrapposte si fronteggiavano sulla cosiddetta “linea gotica” a ridosso del Po, Palmiro Togliatti riuscì ad arrivare da Mosca a Napoli. Il Pci era stato ricostituito nel Sud dai dirigenti clandestini finalmente alla luce del sole; a Napoli il segretario locale del partito era Cacciapuoti, comunista a 24 carati. Sbarcato a Napoli, Togliatti arrivò inaspettato a casa di Cacciapuoti.
Commozione, abbracci, convocazione immediata di tutti i dirigenti del partito, cena improvvisata, entusiasmo. Dopo cena si fece silenzio. Togliatti disse che voleva per l’indomani l’assemblea di tutti gli iscritti, dove avrebbe annunciato le decisioni da mettere in atto. “Ci puoi anticipare quali sono le decisioni?” disse Cacciapuoti e Togliatti rispose “riconosceremo il governo Badoglio e l’appoggeremo”. Lo sbalordimento fu generale, ma Togliatti spiegò che non c’era altra via almeno fino a quando l’armata americana non fosse entrata a Roma. Pochi giorni dopo incontrò Benedetto Croce che era arrivato da tempo alle medesime conclusioni e faceva parte del governo Badoglio.
C’è ancora un altro esempio che riguarda Berlinguer. Quando il Pci dall’astensione passò al vero e proprio ingresso nella maggioranza, il presidente del Consiglio designato da Moro era Andreotti, sicché il passaggio dalla “non sfiducia” al voto in favore del governo ebbe Andreotti come interlocutore. Moro fu rapito lo stesso giorno del voto che però era stato deciso già prima da Berlinguer.
Badoglio nel ’44, Andreotti nel ’78, il Pci di Togliatti e poi quello di Berlinguer. Napolitano era a Napoli nel ’44 e a Roma nel ’78. Adesso ha responsabilità assai maggiori di quelle che allora ebbero i due leader comunisti. Lui è il primo ex comunista andato al Quirinale 58 anni dopo la firma della Costituzione. Ma un presidente al di sopra delle parti come lui, salvo Ciampi, non è mai esistito. Garantisce tutti, ma garantisce soprattutto il paese e per questa ragione nell’interesse del paese agisce con tutta l’energia necessaria.
Ora vedremo il governo Letta al lavoro. Se i fatti corrisponderanno alle parole molte sofferenze saranno lenite e molte speranze riaccese.
di EUGENIO SCALFARI di repubblica.it

domenica 28 aprile 2013

Come una sposa adorna per il suo sposo

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 21, 1-5)

Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.
E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Torna la DC ?


mercoledì 24 aprile 2013

Dossetti: nel centenario della nascita

Avere la pretesa di raccogliere l’insegnamento di Giuseppe Dossetti e continuarne l’impegno civile, costituisce un progetto al di sopra delle nostre possibilità. Ciò che invece possiamo fare nel centenario dalla sua nascita avvenuta il 13 febbraio del 1913, è avvicinarci alla sua vicenda umana, ricca di impegno e responsabilità politica nonché caratterizzata da una profonda spiritualità. Dossetti infatti appartiene alla categoria degli uomini di eccezionale intelligenza e destinati a lasciare eredità importanti nella storia dell'Italia e della Chiesa.
Il bel libro scritto dal senatore Roberto Di Giovan Paolo può aiutarci in questo percorso di avvicinamento alla figura di Dossetti nell’arco della sua lunga esistenza. L’opera, infatti, costituisce un’efficace sintesi complessiva. Per celebrare questo importante anniversario occorre ricordare che, sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica, si è costituito il comitato per le celebrazioni del centenario della nascita. «La sua entrata in politica – come sostiene lo storico Pombeni nel suo ultimo lavoro su Dossetti – avviene per la “porta stretta” e il crogiolo terribile della seconda guerra mondiale”. Nel dicembre del 1943 entra, come rappresentante della Dc, nel Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) della provincia di Reggio Emilia, e presto ne diviene il presidente. Fu deputato alla Costituente, dove ebbe un ruolo di assoluto rilievo per la qualità dei suoi apporti culturali e giuridici. La sua impronta è ben visibile nel tratto personalista e comunitario dato alla Carta. Abbracciò il sacerdozio con tutto se stesso e fu fedele collaboratore del Cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna, che lo spinse all’impegno politico come consigliere comunale di Bologna. Li, per due anni, testimoniò il suo impegno a favore degli ultimi, praticando la povertà, perché un amministratore deve conoscere le condizioni in cui versano i suoi amministrati. Un senso alto delle istituzioni che oggi appare lontano anni luce.
In seguito, per volontà di De Gasperi, fu vicesegretario politico della Dc. Pombeni lo ritrae come: «Un personaggio atipico, inclassificabile. Sapeva molto bene come si fa la politica. E la faceva con grande capacità di mobilitazione anche se la sua era un’anima in cerca di Dio in una dimensione mistica». Va ricordato che Dossetti prese parte ai lavori del Concilio Vaticano II. In quell’ambito si è più volte scontrato con alcuni cardinali conservatori che gli contestarono una visione conciliare rivoluzionaria che facesse proprie le "attese della povera gente".
È stato un uomo politico determinante, per la battaglia all’interno della Dc, per la vittoria della Repubblica nel referendum del 1946, oltreché per dare un’impronta alla stagione delle grandi riforme economiche e sociali che hanno fatto la storia dell’Italia repubblicana. La sua opera riformatrice si è poi concentrata, grazie al Concilio, all’interno della Chiesa che dovrà, comunque, continuare a misurarsi con le sue intuizioni se non vorrà sfuggire a un confronto serio con la modernità. La decisione di stabilire in Medio Oriente (1972) alcuni nuclei della Famiglia religiosa da lui fondata gli ha permesso con largo anticipo rispetto ad altri di vedere lo spostamento del baricentro mondiale verso Oriente. Con ciò ha tentato di offrire alcune indicazioni non solo alla chiesa ma, possiamo dire, anche all’Occidente, per un rapporto non banale e non improvvisato con il mondo islamico.
Dopo un lungo silenzio legato alla sua scelta religiosa, Dossetti tornò negli anni ’90 a rivendicare il «patriottismo costituzionale» per evitare il decadimento di uno Stato dove «l’arrangiarsi è legge generale». Pierluigi Castagnetti, che da ragazzo fu suo collaboratore, in un recente scritto, ha descritto così i suoi ultimi anni: “È stato l’uomo del silenzio, del cenobio e del deserto, del lungo silenzio nella preghiera e nell’obbedienza, testimoniando un distacco interiore da ogni logica di potere, proprio per affermare nella vita la fedeltà all’altra logica che gli stava veramente a cuore, quella della Croce”.

fonte: nuovitaliani.it

sabato 20 aprile 2013

Anche i frati

(ANSA) - ASSISI (PERUGIA), 20 APR - La scelta di Giorgio Napolitano di accettare di essere ricandidato alla presidenza della Repubblica e' ''un atto di generosita' che merita affetto, vicinanza e responsabilita''' secondo i frati del Sacro Convento di Assisi. Lo scrivono sul sito sanfrancesco.org.

La comunita' esprime ''gratitudine'' al Capo dello Stato.

''Tutto questo - sottolineano i frati - diventa preghiera sulla tomba di San Francesco al quale affidiamo la sorte della cara Nazione''.

La fine


mercoledì 3 aprile 2013

Legge stabilità

400. Nelle more dell'attuazione dell'articolo 1, comma 8, della legge 28 giugno 2012, n. 92, fermi restando i vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente, nonché le previsioni di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono prorogare i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in essere al 30 novembre 2012, che superano il limite dei trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, previsto dall'articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, o il diverso limite previsto dai Contratti collettivi nazionali del relativo comparto, fino e non oltre il 31 luglio 2013, previo accordo decentrato con le organizzazioni sindacali rappresentative del settore interessato secondo quanto previsto dal citato articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 368 del 2001. Sono fatti salvi gli eventuali accordi decentrati eventualmente già sottoscritti nel rispetto dei limiti ordinamentali, finanziari e temporali di cui al presente comma.

articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 comma 5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...