sabato 31 agosto 2013

101 ratti

Sicuramente ci fu una vera e propria macchina da guerra, per affossare Prodi e Bersani. La proposta dell'ex segretario di eleggere il Professore al Quirinale è l'ultima di una serie di questioni che non sono mai state discusse nei luoghi in cui questo dovrebbe avvenire. Ma improvvisamente gli viene messo tutto in carico: ‘Adesso tu te ne vai. Facciamo fuori Prodi e facciamo fuori te'.
Gli viene messo in conto di non aver riproposto Marini, e di non aver messo in campo D'Alema e altri". Sandra Zampa di Romano Prodi è stata portavoce. Ora è deputata e dei giorni che portarono alla rielezione di Napolitano ha un ricordo vivido e disgustato. Tanto che su quella vicenda sta scrivendo un libro. "Credo che dobbiamo fare una grande riflessione, perché quella storia ha messo in discussione i punti fondamentali del Pd e del suo rapporto col paese".
Onorevole Zampa, quando partì la macchina? Nella notte, quando si ebbe la certezza che Prodi era il candidato.
Chi la guidò?
Ci fu più d'una regia. E una all'insaputa dell'altra. Gruppi che si mossero autonomamente perché tutto fallisse. Ci fu anche un percorso esterno al Pd in questa direzione.
A chi si riferisce?
Al Movimento 5 Stelle per cominciare. Ci sono dichiarazioni della Lombardi che - anche se loro restarono su Rodotà - definì Prodi una gran bella cosa. Poi quando saltò fuori il nome di Romano loro chiusero. Vorrei ricordare la storica frase di Grillo quando paragona Prodi a Pertini. Non so che gioco fosse il suo, se l'unica cosa che gli interessasse fosse far saltare il Pd. Se è così, è piuttosto risibile come obiettivo, anche perché poi s'è fatto saltare da solo. Senza contare il pesante ruolo di Scelta Civica.
E dire che Monti è stato commissario europeo con Romano, da lui molto valorizzato. Monti fece votare la Cancellieri, la tipica espressione di un moderatismo la cui identità e profilo mi sono sempre stati oscuri. Quelli che abbandonarono i banchi lo fecero sapendo che così si sarebbero visti di più i casini nel Pd. Ma ci fu anche una grande imperizia.
Nel senso che Bersani non costruì la candidatura di Prodi?
Sì, ma non solo. Bersani non aveva neanche il polso della situazione. Il giorno in cui pianse o quasi in aula durante la rielezione di Napolitano per me è indimenticabile. anche perché era circondato da persone che non gli hanno fatto del bene. È davvero sconcertante che un partito possa produrre una cattiveria e un odio così feroci.
Anche la durezza politica deve avere dignità. Mi resterà per sempre in mente l'sms di una collega che, quando dissi di voler lasciare il Pd, mi scrisse: ‘Sono 101 ratti che hanno colpito nel buio'. Si accompagna alla lettera di un nostro militante a tutti noi parlamentari: ‘Dopo aver ucciso Prodi, suicidatevi nelle fogne'.
Si racconta che la mattina in cui ci fu la proclamazione di Prodi si doveva votare tra lui e D'Alema.
Il nome di Prodi si doveva votare . Ma a me risulta che poco prima di andare al Capranica era stata stoppata l'idea di D'Alema di un voto tra più nomi.
E quindi tra i registi dell'affossamento ci furono i dalemiani?
La loro è una delle mani.
Per le altre sono stati tirati in ballo i fioroniani che si vendicavano dell'affossamento di Marini, i giovani usciti dalle primarie, i renziani.
I cattolici di certo sì. I giovani delle primarie furono pochissimi. Poi ci sono quelli che pensavano fosse meglio un'altra strada. Ma i renziani in questa vicenda non sono stati una componente organizzata. Renzi non aveva interesse.
Quella mattina al Capranica aveva percepito qualcosa?
No, io ero uscita di lì molto colpita dalla standing ovation. Tant'è vero che mandai un sms al Prof dicendo che il suo nome era stato accolto in modo commovente. Poi a un certo punto ho capito che era partita un'altra macchina. È stato abbastanza sconvolgente per chi quella mattina era lì senza fingere.
Prodi e Bersani si sono sentiti dopo?
Si sono rivisti vicino a Bologna per un'inaugurazione dell'Alta velocità. Romano ha detto che i sentimenti personali vanno distinti dalle altre cose.
Nell'immediato fu molto duro con Bersani.
Disse: ‘Chi mi ha portato fin qui adesso si assume la sua responsabilità'. Ce l'aveva con chi l'aveva portato a ritirare la sua candidatura.
Chi sono i 101?
Intanto sono di più: tra i 115 e i 120. Ma i nomi non li farò mai. Mi aspetto che un giorno uno di loro li renda noti. Il problema non sono i nomi, ma l'orientamento.
Cioè?
L'orientamento a trattare con Berlusconi. Che è l'opposto di come è fatto Prodi. Secondo me ha sempre vinto perché non ha mai aperto una trattativa con lui. Come invece fanno gli altri.
Lo salveranno?
Penso di no. Se invece vogliono schiacciare il bottone dell'autodistruzione finale, allora sì.

fonte: Il fatto quotidiano

giovedì 29 agosto 2013

Cambio nome?


I have a dream

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".

 M.L. King

domenica 4 agosto 2013

Santo patrono dell'Uomo Comune

"Martin Thompson (chestertoniano inglese, ndr) dice che il vescovo Peter Doyle 'mi ha dato il permesso di comunicare che il vescovo di Northampton è in sintonia con i nostri desideri ed è alla ricerca di un chierico idoneo per iniziare un'indagine sulla potenziale apertura di una causa di Chesterton". 

Causa di beatificazione, si intende. Mons. Peter Doyle è il Vescovo della Diocesi di Northampton, da cui dipende il Buckinghamshire, la contea inglese dove si trova Beaconsfield, luogo di residenza e di morte del nostro Gilbert.
 
Questa è una bellissima notizia e quindi dobbiamo continuare a pregare per questo scopo!

Qualcuno tra i primi commenti ha scritto sulla pagina Facebook della American Chesterton Society (di cui è in corso a Boston la conference annuale proprio in questi giorni): "patron saint of the Common Man" cioè santo patrono dell'uomo comune... Sarebbe bello!

Questo è il messaggio originale:

"Martin Thompson says that Bishop Peter Doyle 'has given me permission to report that the Bishop of Northampton is sympathetic to our wishes and is seeking a suitable cleric to begin an investigation into the potential for opening a cause for Chesterton'".

Diffondete nell'orbe terracqueo.
 
fonte: www.uomovivo.blospot.com

Accenderemo fuochi

Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. 
Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. 
Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. 
Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. 

(G.K. Chesterton)

giovedì 1 agosto 2013

Irrevocabile



"La Corte rigetta i ricorsi di Agrama Frank, Galetto Gabriella, Lorenzano Daniele, che condanna al pagamento delle spese processuali. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Berlusconi Silvio limitatamente alla statuizione relativa alla condanna alla pena accessoria dell’interdizione temporanea per anni 5 dai pubblici uffici, per violazione dell’articolo 12, comma 2, dlgs 10 marzo 2000, numero 74 e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Milano perchè ridetermini la pena accessoria nei limiti temporali fissati dal citato articolo 12, ai sensi dell’articolo 133 c.p., valutazione non consentita alla Corte di legittimità. Rigetta nel resto il ricorso di Berlusconi nei cui confronti dichiara, ai sensi dell’articolo 624, comma 2, cpp, irrevocabili tutte le altri parti della sentenza impugnata. Condanna tutti gli imputati, in solido, al pagamento in favore della parte civile, Agenzia delle entrate, delle spese dalla stessa sostenute in questo grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 5mila, oltre accessori come per legge".

Corte di Cassazione, 1 agosto 2013 


La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...