mercoledì 28 maggio 2014

Sistema dinamico

(www.lanotiziagiornale)
Dopo una fase di sperimentazione, adesso il processo è entrato nel vivo. E si porta dietro una dote in grado di scatenare appetiti a destra e a sinistra. Sul piatto c'è una cifra che può arrivare a 15 miliardi di euro di soldi rigorosamente pubblici. Si tratta, in particolare, del valore stimato di 5 maxi-procedure di gara organizzate dal Tesoro per il tramite della Consip, la società che cura gli approvvigionamenti di beni e servizi per le pubbliche amministrazioni.
In ballo ci sono forniture di dispositivi medici, farmaci, derrate alimentari, servizi per l'informatica e ausili tecnici per persone disabili. Il minimo comun denominatore è il cosiddetto Sdapa, ovvero il "Sistema dinamico di acquisizione della pubblica amministrazione".
Lo schema
In pratica si tratta del nuovo meccanismo di acquisto di beni e servizi attraverso l'utilizzo del mercato elettronico, che dopo un periodo di rodaggio è ormai entrato nel vivo. Naturalmente l'obiettivo principale è quello di far risparmiare le pubbliche amministrazioni che hanno bisogno di queste forniture. Il processo di acquisizione è interamente telematico. La Consip, dopo una selezione basata su alcuni requisiti minimi, provvede alla costituzione e alla tenuta di un elenco di aziende interessate alle commesse. Saranno poi le varie amministrazioni ad aggiudicare i singoli appalti.
Ma è chiaro che, pur negli obiettivi di risparmio, le cifre messe insieme raggiungono vette davvero ragguardevoli. E questo spinge le imprese, a seconda della categoria merceologica, a fare a gara per essere ammesse agli elenchi. Anche se, va detto, il sistema rimane aperto per dare l'opportunità ad altre imprese di essere inserite in corso d'opera.
Le procedure
L'ultimo maxi-bando predisposto dalla Consip, adottando questo sistema, risale al 16 aprile scorso, con Pier Carlo Padoan già al timone del ministero dell'economia. In ballo la fornitura di ausili per persone disabili nell'arco di un triennio. Sul piatto un valore massimo stimato di 450 milioni di euro. Qualche mese prima, per l'esattezza il 26 novembre del 2013, quando a via XX Settembre c'era ancora Fabrizio Saccomanni, è stato invece pubblicato un bando per la fornitura triennale alle pubbliche amministrazioni di derrate alimentari. In sostanza cibi per gli uffici di Stato.
Ebbene, in questo frangente il valore massimo del sistema, con tutti i vari appalti a valle, può raggiungere i 2,4 miliardi di euro. A tal proposito si può segnalare come le precedenti gare di derrate alimentari, organizzate da Consip quando ancora non veniva utilizzato il "Sistema dinamico", siano stati spesso e volentieri vinte dalla Marr, azienda che rientra nel gruppo Cremomini.
I prodotti
Nel luglio del 2013, invece, è stata la volta di una procedura per dispositivi medici, antisettici e disinfettanti. Qui parliamo di una fornitura quadriennale stimata in 30 milioni di euro. Ma se si tratta di sanità, non si può fare a meno di citare il primo esperimento di "Sistema dinamico" lanciato dalla Consip il 27 ottobre del 2011. Riguarda una fornitura triennale di prodotti farmaceutici che può raggiungere un valore massimo di 12 miliardi di euro. La scadenza di questo bando, ormai agli sgoccioli, è fissata al 27 ottobre prossimo, anche se le aziende possono ancora accreditarsi.
A quanto filtra, però, negli elenchi della società del Tesoro c'è già la bellezza di 160 imprese, tra grandi gruppi farmaceutici e piccole realtà. Infine, nel luglio 2013, è stato attivato l'ultimo bando con il meccanismo del "Sistema dinamico" per l'acquisto di prodotti informatici. In questo caso parliamo di una procedura di durata quadriennale per un totale di 150 milioni di euro. Insomma, pur senza disconoscere l'obiettivo di risparmio, il meccanismo degli appalti telematici è già ora un business enorme.

domenica 18 maggio 2014

Proroga tecnica

Con la nota indicata in oggetto  codesta Amministrazione chiede, con particolare riferimento ad un contratto di  affidamento del servizio di raccolta e trasporto rifiuti solidi urbani, se  nelle more dell’individuazione dei bacini territoriali di riferimento, “sia  legittimo per un Ente locale proseguire nella c.d. “proroga tecnica”  all’attuale gestore sino all’aggiudicazione della gara d’ambito o se l’Ente  locale possa medio tempore bandire ed espletare una propria procedura ad  evidenza pubblica”.
Nell’Adunanza del 24 luglio 2013  il Consiglio ha approvato le seguenti determinazioni.
In  merito alla questione esposta, si possono fornire alcune indicazioni di  carattere generale. Occorre rammentare che, per  giurisprudenza  consolidata, la proroga è un istituto utilizzabile solo in via eccezionale,  in quanto di per sè costituisce una violazione dei principi di cui all'art. 2  del codice dei contratti pubblici ed in particolare, della libera  concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza. Invero, come  affermato dalla giurisprudenza, “in tema di rinnovo o proroga dei  contratti pubblici di appalto non vi è alcuno spazio per l’autonomia  contrattuale delle parti, ma vige il principio che, salvo espresse previsioni  dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’amministrazione,  una volta scaduto il contratto deve, qualora abbia ancora la necessità di  avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara” (CDS  Sez. V 8/7/2008, n. 3391). Sulla medesima linea, “la stessa logica che presiede  al divieto di rinnovo esclude che ad un effetto simile possa legittimamente  pervenirsi attraverso la proroga dei rapporti già in essere”. La proroga quindi  “è teorizzabile, ancorandola al principio di continuità dell’azione  amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli, limitati ed eccezionali, casi in cui  (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia  l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del  reperimento di un nuovo contraente(CDS Sez. V 11/5/2009, n. 2882).
Analogamente l’Autorità, con  Deliberazione n. 36 del 10/9/2008, si è espressa nel senso che “La proroga  rappresenta un rimedio di natura eccezionale finalizzato ad assicurare la  prosecuzione del servizio senza soluzione di continuità, nelle more della  stipula del nuovo contratto”.
Il sopra esposto orientamento  giurisprudenziale è stato invero evidenziato anche dall’Anci nella risposta del  15/01/2013 allegata all’istanza oggetto del presente parere. Infatti l’Anci,  pur ritenendo “preferibile” un’ipotesi di proroga dei contratti in corso,  richiama proprio i termini della sopra citata sentenza del Consiglio di Stato  n. 2882/2009, segnalando altresì, “data la complessità della materia”, la  necessità di “opportuni chiarimenti procedurali da parte del legislatore”.
Codesta Amministrazione richiama,  inoltre, il Parere n. 71/2013 reso dalla Corte dei Conti – Sezione Regionale di  Controllo per la Lombardia – chiesto dal Presidente della Provincia di Sondrio  ed inerente, peraltro, le modalità di gestione del servizio di trasporto  pubblico locale.
La Corte, nel premettere che il  legislatore nazionale, all’interno del complessivo quadro di riordino della  gestione dei servizi pubblici locali, ha imposto alle Regioni di individuare  delle aree ottimali e omogenee per l’organizzazione e la gestione dei servizi  pubblici a rete, e di istituire gli enti di governo di tali bacini, per poi  attribuire a questi ultimi, in via esclusiva, il compito di programmare,  gestire e controllare l’esecuzione dei servizi, ha poi osservato che, nell’ambito  del trasporto pubblico locale, il legislatore regionale pare essersi conformato  a quanto disposto dal legislatore nazionale.
E’ certamente vero che, come  rilevato da codesta Amministrazione, l’art. 34, co. 23, del D.L. 179/2012 ha  previsto che le funzioni “di affidamento della gestione (…) sono esercitate  unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e  omogenei”. Il comma 21  del medesimo articolo prevede altresì che gli affidamenti in essere non  conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea, devono essere adeguati  entro il 31 dicembre 2013; per gli affidamenti dove non sia prevista una data  di scadenza, gli enti competenti provvedono a inserirla, e il mancato  adempimento determina la cessazione dell’affidamento alla data del 31 dicembre  2013.
Premesso ciò, occorre chiedersi se i  ritardi delle Regioni nella organizzazione del servizio e quindi nella  definizione dei suddetti bacini territoriali ottimali e nella individuazione  dei relativi enti di governo, possa costituire una valida motivazione da porre  alla base di una eventuale proroga contrattuale.
Sulla questione, appare in realtà  maggiormente conforme alla normativa di riferimento, ed in linea con il  consolidato orientamento giurisprudenziale, ritenere che l’assenza dell’individuazione  del livello di gestione da parte delle Regioni non possa giustificare il  ricorso a proroghe contrattuali al di fuori dei limiti individuati dalla  giurisprudenza.
D’altra  parte, come anche rilevato dalla giurisprudenza amministrativa a proposito di  proroghe contrattuali disposte nelle more dell’operatività dei nuovi gestori, “L’art.  204 del d.lgs. 152 del 2006 detta la disciplina transitoria, valida per gli  affidamenti in essere, fino all’attuazione del nuovo sistema di gestione  integrata facente capo alle Autorità d’Ambito. E’ del tutto chiaro che il  citato art. 204 non prevede una proroga ex lege delle gestioni in corso fino  all’istituzione ed organizzazione delle Autorità d’Ambito in materia di ciclo  dei rifiuti. Il legislatore ha semplicemente voluto porre un termine finale,  oltre il quale le gestioni esistenti, anche se affidate per una durata  maggiore, devono comunque cessare. In definitiva, l'art. 204 del d.lgs. 152 del  2006 non ha affatto previsto la proroga ex lege degli affidamenti in corso ma,  al contrario, si è limitata a sancire la "permanenza" dei contratti  in corso, stipulati all'esito di procedure di evidenza pubblica, secondo il  proprio regime temporale, fermo restando la cessazione ex lege, anche  anticipata, con l'operatività del nuovo gestore” (Tar Sardegna, sentenza n.  242/2012).
Tanto premesso, si ritiene che il  Comune di Lecco, nelle more dell’individuazione di bacini territoriali di  riferimento da parte delle Regioni, debba procedere all’espletamento di una  procedura ad evidenza pubblica ai fini dell’affidamento del contratto in  questione e possa eventualmente concedere una proroga all’attuale gestore  esclusivamente per il tempo strettamente necessario allo svolgimento della  procedura di gara  e alla stipula del nuovo contratto

sabato 17 maggio 2014

La sera al circolo Tommaso Moro

L’8 maggio la guardia di finanza di Milano ha arrestato sette persone in un’inchiesta sugli appalti dell’Expo 2015. Tra questi il direttore pianificazione e acquisti dell’Expo, Angelo Paris. Insieme a Paris sono stati arrestati anche l’ex senatore di Forza Italia Luigi Grillo – in quanto intermediario di presunte irregolarità negli appalti di Infrastrutture lombarde, la controllata della regione Lombardia dedicata alla realizzazione di opere pubbliche – Gianstefano Frigerio, ex segretario amministrativo della Democrazia cristiana milanese, e Primo Greganti, ex funzionario del Partito comunista italiano e del Pds già coinvolto nell’inchiesta Mani pulite.
L’amministratore delegato di Expo 2015, Giuseppe Sala, non è coinvolto in alcun modo nell’inchiesta, ha detto la procura. Expo può andare avanti regolarmente, perché nessun altro funzionario dell’associazione è coinvolto e nessuna area che verrà usata per l’esposizione è stata sequestrata.
È stata emessa anche una nuova ordinanza di custodia cautelare per Antonio Rognoni, direttore generale di Infrastrutture lombarde già arrestato il 20 marzo dalla guardia di finanza con l’accusa di truffa e turbativa d’asta. Disposto il fermo anche per il mediatore Sergio Cattozzo e l’imprenditore Enrico Maltauro. La procura aveva chiesto altri 12 arresti nel mondo della sanità lombarda, che però sono stati respinti dal gip.
Come agiva l’associazione. Secondo gli inquirenti, che hanno tenuto una conferenza stampa l’8 maggio, in Lombardia esisteva una “cupola” in grado di condizionare gli appalti dell’Expo, della sanità e di altre opere pubbliche. La struttura si reggeva soprattutto su Frigerio, Greganti e Grillo.
La sede dell’associazione a delinquere era il circolo culturale Tommaso Moro, scrive il Corriere della Sera. Nel circolo, il cui presidente era Gianstefano Frigerio, si svolgevano delle riunioni con aziende ospedaliere, imprenditori, politici. L’alleanza tra Greganti e Frigerio permetteva di coinvolgere e proteggere aziende e cooperative legate a tutti i partiti politici.
La “cupola” prometteva avanzamenti di carriera a manager e pubblici ufficiali, assicurando protezioni politiche. Dopo aver creato rapporti di favore con questi funzionari, l’associazione poteva sapere in anticipo informazioni sull’assegnazione degli appalti e avvantaggiarsi nelle gare per l’assegnazione dei bandi. Con queste informazioni in mano, l’organizzazione cercava di far assegnare gli appalti a imprenditori “amici”. Queste attività si sono svolte fino a due mesi fa, secondo la procura di Milano.
L’Expo e la sanità. Angelo Paris era uno dei funzionari che permetteva di condizionare gli appalti. Secondo gli investigatori, Paris era “totalmente sottomesso ai voleri dell’associazione”. Grazie alle sue informazioni, la cupola conosceva in anticipo i progetti dei padiglioni dei diversi paesi sull’Expo 2015, oppure i problemi amministrativi legati alla Vie d’Acqua, il progetto per riaprire i navigli milanesi legato all’esposizione universale.
L’organizzazione a delinquere agiva nello stesso modo anche per gli appalti della sanità. Per esempio su quelli sulla Città della salute, il nuovo polo sanitario da costruire al posto dell’ex area Falck di Sesto San Giovanni.
Gli inquirenti sono arrivati all’inchiesta sull’Expo partendo da un’indagine sulla ‘ndrangheta in Lombardia, chiamata “Infinito”. Nelle carte ci sono anche i nomi di diversi politici, tra i quali Silvio Berlusconi, Gianni Letta e Cesare Previti, che però non risultano indagati.

fonte: Internazionale

Trullallero trullallero

Trullallero trullallero
Tutte le donne lo porta lo pelo
Quelle piccole non ce l’ha
Quann’è grande lo metterà
Quelle vecchie ce l’ha biango
Quelle giovane ce n’ha tanto
Pure la bella mia ne porta ‘n fiocco
Me pija le madonne jelo carpo
Me pija le madonne jelo carpo.


Diasilla diasilla
Como sta bisogna dilla
Fòri lo pesce dendro l’anguilla
Dendro l’anguilla fòri lo pesce
Più lo tocchi e più me cresce

Diasilla diasilla
Como sta bisogna dilla
C’ho ‘n animale roscio e nero
Vòle boccare do’ che c’è ‘l pelo
C’ha la testa da cardinale
Bocca dendro e non fa male
Bocca dendro e non fa male

C’ho ‘na sorcaccia intrepida
Niscosta in casa c’ho
Tutta la notte rosiga
El cassetto del comò
E gira de sopra de sotto
Fa un bugo ‘ntel muro con facilità
Sia maledette le sorche de tutte le qualità
Sia maledette le sorche de tutte le qualità


Trullallero trullallero
Tutte le donne lo porta lo pelo
Quelle piccole non ce l’ha
Quann’è grande lo metterà
Quelle vecchie ce l’ha biango
Quelle giovane ce n’ha tanto
Pure la bella mia ne porta ‘n fiocco
Me pija le madonne jelo carpo
Me pija le madonne jelo carpo


fonte: Gruppo folk Vincanto

venerdì 16 maggio 2014

Pil negativo


La guerra degli appalti pubblici

La guerra degli appalti pubblici è appena iniziata. E gli esiti, almeno per il momento, sembrano del tutto imprevedibili. La novità è che i piccoli comuni, quelli con meno di 5 mila abitanti, hanno dato vita a una loro centrale di committenza pubblica, in pratica una società a cui rivolgersi per la gestione di tutte le procedure di gara.
L'obiettivo, sul modello delle centrali di acquisto statali come Consip (100% Tesoro) o di quelle regionali come Intercent (Emilia-Romagna) ed Estav (Toscana), dovrebbe essere quello di spuntare prezzi vantaggiosi sulle forniture di beni e servizi. Scopo fondamentale, in un periodo di spending review e in un contesto di spesa per forniture che ogni anno si porta via la bellezza di 130 miliardi di euro. C'è chi dice, però, che con questa operazione in realtà i sindaci vogliano mantenere mano libera sul sistema degli appalti e su tutti i miliardi che vi girano intorno. La partita è a dir poco spinosa e fa direttamente riferimento all'interpretazione del codice degli appalti pubblici.
Il veicolo
Sta di fatto che i piccoli comuni hanno rotto gli indugi dando vita a una struttura che si chiama Asmel. Si tratta di una società consortile che fa direttamente capo all'omonima Asmel, ovvero l'Associazione per la sussidiarietà e la modernizzazione degli enti locali. L'organismo, non proprio conosciutissimo nel panorama economico, vanta in realtà numeri di tutto rispetto.
Ad esso aderiscono più di 1.800 comuni (soprattutto in Campania, Piemonte, Calabria e Lombardia), una regione, 4 enti parco, 22 comunità montane e 5 province. Il tutto per un bacino d'utenza di oltre 8,5 milioni di abitanti. Ebbene, Asmel consortile, sulla carta, dovrebbe essere proprio quella centrale acquisti destinata a far concorrenza alle varie Consip, Intercent ed Estav. Le quali, però, vedono con un po' di fastidio l'iniziativa. Peraltro la decisione di dar vita all'operazione non può definirsi proprio "spontanea".
A monte, infatti, c'è il decreto Salva Italia predisposto nel 2011 dall'allora governo Monti. Con questo provvedimento, in pratica, si è integrato il codice degli appalti pubblici stabilendo che "i comuni con popolazione non superiore ai 5 mila abitanti, ricadenti nel territorio di ciascuna provincia, affidano obbligatoriamente a un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture". Oppure, prosegue la norma, possono costituire "un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi".
Insomma, il Salva Italia ha messo i piccoli comuni davanti a una scelta: o ci si affida a una centrale di committenza pubblica, in pratica alla Consip controllata dal Tesoro oggi guidato da Fabrizio Saccomanni, oppure si fa riferimento a una centrale costituita ad hoc in forma consortile. E quest'ultima sembra essere stata la scelta fatta con la costituzione di Asmel.
Le contestazioni
Si dà però il caso che l'operazione non sia andata giù al mondo delle centrali pubbliche di committenza già esistenti. Le quali accusano l'Asmel di eludere l'obbligo imposto dal codice degli appalti. In base alle critiche l'Asmel lascerebbe liberi i comuni aderenti di svolgere autonomamente le procedure di gara, fino all'aggiudicazione. In pratica non centralizzerebbe la procedura, unico modo per garantire risparmi e trasparenza.
Il presidente di Asmel, Francesco Pinto, contattato da la Notizia, ha respinto le critiche ai mittenti. "Innanzitutto noi vantiamo risultati migliori di Consip e Intercent in termini di prezzi ottenuti", ha esordito, "come per esempio è successo con una gara per la telefonia organizzata qualche tempo fa e vinta da British Telecom con offerte nettamente migliori". La realtà, ha continuato Pinto, "è che non bisogna temere la concorrenza di una centrale acquisti come la nostra".
Ma il punto è proprio questo: Asmel può davvero essere considerata una centrale che gestisce tutte le fasi della procedura, come previsto all'interno del codice degli appalti? "Guardi, noi lasciamo liberi i comuni di chiederci come vogliono essere aiutati. Possono delegarci il 100% delle attività oppure continuare a gestire autonomamente alcune fasi".
Eppure proprio questa sembrerebbe essere un'opportunità negata dal codice degli appalti, dove si stabilisce che i piccoli comuni hanno l'obbligo di affidarsi a una centrale acquisti per tutta la procedura. Sul punto Pinto fa notare che la norma del codice in questione "è ai limiti della costituzionalità, perché non si può imporre a un comune, anche se piccolo, di rinunciare totalmente alla sua autonomia". Nel mondo degli appalti, si sa, girano un sacco di soldi. E anche i piccolo comuni muovono miliardi di euro in commesse. Una torta su cui forse non vogliono mollare la presa. La battaglia è solo all'inizio.

fonte: www.lanotiziagiornale.it

lunedì 12 maggio 2014

La pulce


Non so quale sarà la sorte di Primo Greganti nella sua vicenda giudiziaria odierna. Ma vorrei dire una parola in difesa del «compagno G.»Dalla prima Tangentopoli ha ereditato non soltanto una serie di fotografie di se stesso che oggi stanno su tutti i media. Il lascito più pesante è la convinzione che fosse un cacciatore solitario di mazzette a proprio favore. Avvalorata anche dal silenzio di Greganti che, da militante disposto al sacrificio, rifiutava con tenacia di mettere nei guai il proprio partito, il Pci diventato Pds. In realtà il compagno G. è sempre stato una pulce. Chi incassava le tangenti, in pratica chi rubava, erano le Botteghe oscure. Come dimostrerà la storia seguente. La storia ha un protagonista ben più forte di Greganti: Eugenio Cefis, il successore di Enrico Mattei alla guida dell’Eni. Cefis era un friulano diCividale, classe 1921, un pezzo d’uomo alto un metro e novanta. Nel corso della guerra civile, da partigiano autonomo aveva tenuto testa alle bande comuniste di Cino Moscatelli. Era un manager che amava il segreto, l’oscurità, il silenzio. Una regola di vita che mantenne sempre, tranne in un caso. Quando nell’aprile 1993, durante la Tangentopoli numero uno, venne interrogato come testimone dal sostituto procuratore Pier Luigi Maria Dell’Osso. Sentite che cosa raccontò.
L’AFFARE RUSSO Si era tra la fine degli anni Cinquanta e l’alba dei Sessanta. L’Eni disponeva di un’ottima rete per la distribuzione del metano, ma stava esaurendo le riserve di gas della Pianura Padana. Mattei incontrò a Roma il vicepresidente sovietico Aleksej Kosygin e apprese che l’Urss possedeva una sterminata quantità di metano, disponibile in Siberia. Mattei dichiarò di essere pronto ad acquistarne una parte, da immettere sul mercato italiano. La trattativa risultò molto complessa e durò qualche anno. Per concluderla, Cefis, succeduto a Mattei nel 1962, si disse pronto a versare una tangente al Pci. L’accordo fu raggiunto nel dicembre 1969. Alle Botteghe Oscure venne riconosciuta una mazzetta colossale: oltre dodici milioni didollari, come contributo dell’Eni per il buon esito dell’intesa. Poiché il contratto di fornitura del gas aveva una durata ventennale, la tangente fu pagata a rate. Un milione e duecentomila dollari alla firma dell’accordo, il resto in versamenti trimestrali. Il tutto passava per un conto svizzero indicato da Amerigo Terenzi, un burocrate dal pugno di ferro che governava la stampa comunista in Italia. È inutile aggiungere che l’Eni di Mattei e poi di Cefis pagava quasi tutti i partiti, a cominciare dalla Dc,dal Pci e dal Psi.La regola seguita da entrambi i presidenti dell’ente petrolifero aveva quattro punti cardine.
Primo: erano i partiti a dover chiedere la mazzetta. Secondo: dovevano domandarla almeno tre volte e l’Eni aveva l’obbligo di rispondere sempre no. Terzo:quando l’Eni si decideva a darla, non poteva superare il 25-30 per cento della cifra richiesta. Quarto: comunque la somma doveva essere proporzionata all’aiuto che il gruppo Eni aveva ricevuto da quel partito. La testimonianza di Cefis basterebbe da sola a smentire tutte le favole sul Pci immacolato. I militanti comunisti ci tenevano molto all’immagine illibata del Partitone rosso. Era un riflesso della vantata diversità genetica del Pci, tanto cara a Berlinguer. Anche Re Enrico sapeva tutto delle tangenti incassate dal suopartito. Però sosteneva che le mazzette rosse erano ben altra cosa dalle mazzette ricevute dalle altre parrocchie. Per un motivo che i militanti più scafati ti spiegavano persino nella più periferica tra le Feste dell’Unità. Il motivo era che le tangenti pretese dalle Botteghe Oscure e dalle tante federazioni provinciali avevano uno scopo ben diverso da quelle agguantate dai partiti borghesi.
Queste servivano a finanziare una politica che avversava il proletariato, la classe operaia e gli ultimi della scala sociale. Invece le tangenti incassate dal Pci erano il carburante necessario per far avanzare la democrazia e favorire l’avvento di una società più giusta. Detto in modo più esplicito: anche noi comunisti pratichiamo la corruzione politica, però a fin di bene. Infine su tutto il sistema imperava un principio confermato da un libro di Gianni Cervetti, «L’oro di Mosca», pubblicato nel 1993 da Baldini & Castoldi. L’autore non era un signore qualunque. Cervetti, che in settembre compirà 81 anni,all’epoca di Berlinguer era membro della segreteria nazionale del Pci, il responsabile del settore amministrativo e finanziario. Ascoltate che cosa racconta a proposito di unoscandalo edilizio emerso nel 1975 a Parma,quando la città era governata dalle sinistre, con il Pci in prima fila. Secondo Cervetti, il commento di Berlinguer fu il seguente: «Occorre ammettere che noi comunisti ci distinguiamo dagli altri partiti non perché rifiutiamo finanziamenti deprecabili. Siamo diversi perché, nel ricorrervi, il disinteresse dei nostri compagni è stato assoluto». Il problema, dunque, non era il fango della corruzione politica, un cancro destinato a diventare incurabile, tanto che ci perseguita ancora oggi, a vent’anni da Tangentopoli e a quarantacinque dalla gigantesca mazzetta pagata dall’Eni al Pci per il gas siberiano.
A salvare la coscienza del Bottegone erano le mani nette dei compagni impegnati nel lavoro sporco su quel fronte. Un lavoro diventato sempre più massiccio con il crescere degli apparati dei partiti e dei costi generali della politica. Anno dopo anno, tutti i segmenti della Casta, da quelli grandi ai più piccoli, cominciarono a mangiare alla stessa greppia. La loro voracità non conosceva più freni. Al punto che le aziende, dalle maxi alle medie, arrivarono a offrire tangenti senza che venissero richieste. Le regole di comportamento esposte da Mattei e da Cefis per l’Eni finirono nel guardaroba dei cani. Le imprese consideravano le mazzette un costo fisso, indispensabile per concludere un affare od ottenere una commessa,un appalto,una fornitura. Nessuno era più in grado di resistere alle pressioni della Casta. Neppure la Fiat, la Montedison, la stessa Eni.

Giampaolo Pansa, Libero, 11 maggio 2014

domenica 11 maggio 2014

"Quando si dice la verità non bisogna mai dolersi. La verità è illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi.
(Aldo Moro).

giovedì 8 maggio 2014

Sii gentile, perché ogni persona che incontri sta combattendo una dura battaglia.
Platone

domenica 4 maggio 2014

Tina Anselmi

Ma perché continuano ad associarla a Licio Gelli? L’ha mai incontrato?

«Mai, ovviamente: è quanto di più lontano ci sia da me. Mio padre, zaccagniniano della sinistra Dc, mi ha cresciuto nel mito di Tina Anselmi. Le parole di Pelù sono una contraddizione in termini. Tra l’altro non gli venivano dal cuore, perché non le ha dette; ha letto un testo che qualcuno gli avrà preparato». 

Intervista a Matteo Renzi, Corriere della Sera, 4 maggio 2014

venerdì 2 maggio 2014

Fallimenti e successi

"Soltanto coloro che hanno il coraggio di affrontare grandi fallimenti possono raggiungere grandi successi".

(R. Kennedy)

giovedì 1 maggio 2014

Mandarini

"Stiamo a galla con enorme fatica. Passiamo le notti a combattere gli immobilismi e i mandarini. E continueremo a passarle così".
(M. Renzi, Corriere della Sera, 30 aprile 2014)

Il fortino

"La nostra casa è il fortino di famiglia, con la bandiera che sventola in cima e più è miserabile, meno dovremmo pensare di abbandonarla".

(Chersterton, Ortodossia)

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...