giovedì 17 luglio 2014

Una passione pazzesca per tutto




Corrado Passera apre a Vanity Fair la porta della casa di Sabaudia, dove è in vacanza con la moglie Giovanna Salza e i figli, e racconta per la prima volta la sua vita privata, il suo periodo da ministro e la sua nuova impresa politica, nei giorni in cui, per Rizzoli, è uscito “Io siamo”, il libro che illustra il suo programma per far ripartire il Paese.

Ha scritto il libro da solo?
«Con molti amici, e soprattutto con Giovanna. La politica non era la scelta ovvia, sarebbe stato molto più facile tornare a fare il mio lavoro di prima. Abbiamo deciso insieme di buttarci in quest’avventura, un terzo inizio per noi».

Perché terzo?
«Il primo è stato quando abbiamo scelto di condividere la vita, nonostante le tante difficoltà. Il secondo, quando abbiamo deciso di lasciare la banca per il ministero. La politica è il terzo. Del resto, quando ho accettato di fare il ministro non ho mai pensato di farlo solo come tecnico: volevo cambiare il Paese».

Quel governo però ha fallito.
«Monti era partito bene con l'opera di salvataggio, ma non ha avuto lo stesso coraggio nella fase dello sviluppo e delle riforme. Ha ceduto alle vecchie regole della politica, ha iniziato a incontrare i capi di partito. Bastava reggere ancora sei mesi, si sarebbero potute fare tante cose».

Lei era ministro: non ha detto a Monti che stava sbagliando?
«Gli ho detto molto di più: che mi sentivo tradito. Ma ho ritenuto mio dovere restare, per fare quello che si poteva: energia, start-up, minibond, infrastrutture».

Per quel tradimento ha deciso poi di non seguirlo alle elezioni?
«Per presentarmi con lui gli avevo posto due condizioni: agenda fortissima e partito del tutto nuovo. Monti mi ha detto sì, ma poi Montezemolo, Fini e Casini si sono messi di mezzo e lui si è alleato con loro, per mancanza di coraggio e forse per presunzione: pensava che li avrebbe gestiti. Secondo tradimento, e me ne sono andato».


Passera racconta poi di come è iniziato il rapporto con sua moglie.«Quando il mio matrimonio precedente è entrato in crisi ho vissuto un periodo tristissimo. L'impegno preso davanti a Dio, la responsabilità verso i figli, i trent'anni passati insieme a mia moglie: era inaccettabile l'idea di separarmi. Per dieci anni abbiamo cercato in tutti i modi di salvare una storia che, però, era finita. Io ero diventato l'ombra di me stesso. Di quella sofferenza si sono accorti anche i miei figli, e proprio da loro alla fine è arrivato il gesto di amore: mi hanno detto che erano grandi, che avrebbero capito. Così ho trovato la forza di prendere la decisione e iniziare una nuova vita».


Che le ha portato...?
«Una passione pazzesca per tutto. Un grande amore, reso forte dalle difficoltà, e poi la condivisione di ogni cosa con la mia donna. Anche questa scelta della politica non sarebbe stata possibile senza Giovanna. Lei ha rotto la corazza che negli anni mi ero costruito, anche funzionale al mestiere che facevo prima, e ha tirato fuori cose di me che c'erano ma erano intrappolate».

Non è giovane, viene dai poteri forti: che chance pensa di avere in politica, dopo il 41% di Renzi alle Europee?
«Voglio rappresentare chi in questo Paese vuole un cambiamento vero. Renzi, per ora, si sta limitando a un restyling. Ha fatto male quello che ha fatto: la legge elettorale, la riforma del Senato, gli 80 euro ai non poveri ottenuti aumentando le tasse e poi, cosa più grave, non erano certo quelle le priorità in un Paese con dieci milioni di disoccupati».

Ha provato a consigliarlo?
«In passato ci sentivamo spesso, ma a un certo punto è sparito. Si vede che condividere la scena non gli piace». 

Da “Vanity Fair

Un maxi bando per la cultura


Una Beni Culturali spa, a capitale quasi totalmente privato. A conti fatti si tratta dell’esito verso il quale lo Stato italiano sta portando il settore della cultura. Per carità, visti i clamorosi tagli subiti dal ministero negli ultimi anni si tratta di un approdo per certi versi scontato. Ma al di là della riforma del dicastero annunciata ieri dal ministro, Dario Franceschini, c’è un’operazione che in questi giorni viene portata avanti dal Tesoro e che farà capire a strettissimo giro di posta quale sarà lo scenario finale.

Si dà infatti il caso che il ministero di via XX Settembre, guidato oggi da Pier Carlo Padoan, stia lavorando alla predisposizione di un maxibando di gara del valore di mezzo miliardo di euro per appaltare ai privati i “servizi di gestione integrata e valorizzazione dei luoghi di cultura”. E’ la prima volta in assoluto che si fa ricorso a una procedura di questo tipo. Il bando, a quanto si apprende, verrà materialmente lanciato a ottobre, quando sarà ultimato il lavoro che già in questi giorni viene svolto dalla Consip, la società del Tesoro che si occupa di approvvigionamento di beni e servizi.


Il perimetro
Ma cosa si intende, esattamente, per “gestione integrata e valorizzazione dei luoghi di cultura”? Un capitolato tecnico vero e proprio al momento non c’è, ma parliamo di attività che comprendono i servizi agli immobili che costituiscono il patrimonio culturale, servizi aggiuntivi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico. Tanto per essere ancora più chiari: il ministero dell’economia, in accordo con quello dei Beni culturali, si appresta ad appaltare a privati un universo di servizi tra i quali manutenzione e pulizia di immobili, musei e siti vari, per non parlare della gestione di bar, caffetterie, bookshop, audioguide e chi più ne ha più ne metta. In campo anche lo strumento della concessione.


Certo, si tratta di servizi che in molti casi già oggi vengono svolti dai privati, ma con questo maxibando ogni amministrazione potrà “esternalizzare” quasi tutto. Da qui il valore particolarmente consistente dell’appalto, stimato dalla Consip in circa 500 milioni di euro. Insomma, una svolta che sembra davvero prefigurare l’avvento di una Beni Culturali spa privata. Se a questo si aggiunge la constatazione che ormai numerosissimi monumenti vengono restaurati a spese di privati (vedi Colosseo, Piramide Cestia e Fontana di Trevi) si capisce ancora meglio il contorno dell’operazione.

Sarà la chiave di volta per valorizzare un patrimonio storico-artistico che a detta di tutti dovrebbe trainare l’economia italiana? Di sicuro il massiccio ricorso ai privati è un esito scontato se solo si considerano i tagli subìti dal budget del ministero dei beni culturali dal 2001 al 2013: anni in cui gli stanziamenti sono passati da 2,7 a 1,5 miliardi, cifra ancor più risibile se paragonata all’intero bilancio dello Stato.


I dettagli
Tornando al maxiappalto in corso di predisposizione, lo schema seguito dalla Consip, guidata dall’amministratore delegato Domenico Casalino, è quello dell’accordo quadro che verrà stipulato con più operatori economici. A questi ultimi saranno poi aggiudicati gli specifici appalti a cui di volta in volta faranno ricorso le singole amministrazioni (lo stesso Mibact, ma anche regioni, comuni ed enti controllati). In attesa dell’elaborazione dei documenti di gara la Consip ha avviato una consultazione tra gli operatori di mercato potenzialmente interessati alla supercommessa. Questa sorta di “sondaggio”, che spesso viene svolto dalla società in vista di grandi accordi quadro, serve in pratica a capire quali sono le condizioni del mercato e quali sono le combinazioni di servizi che le varie imprese sono in grado di offrire. In attesa dei documenti ufficiali una cosa è certa: il dado è tratto.

Stefano Sansonetti per La Notizia (www.lanotiziagiornale.it)


domenica 13 luglio 2014

Il due per cento

Sono le 5 del pomeriggio di giovedì 10 luglio ed è la terza volta che incontro Papa Francesco per conversare con lui. Di che cosa? Del suo pontificato, iniziato da poco più di un anno e che in così breve tempo ha già cominciato a rivoluzionare la Chiesa; dei rapporti tra i fedeli e il Papa che viene dall'altra parte del mondo; del Concilio Vaticano II concluso 50 anni fa solo parzialmente attuato nelle sue conclusioni; del mondo moderno e la tradizione cristiana e soprattutto della figura di Gesù di Nazaret. Infine della nostra vita, dei suoi affanni e delle sue gioie, delle sue sfide e del suo destino, di ciò che ci aspetta in uno sperato aldilà o del nulla che la morte porta con sé.

Questi nostri incontri li ha voluti Papa Francesco perché, tra le tante persone di ogni condizione sociale, di ogni fede, d'ogni età che incontra nel suo quotidiano apostolato, desiderava anche scambiare idee e sentimenti con un non credente. Ed io tale sono; un non credente che ama la figura umana di Gesù, la sua predicazione, la sua leggenda, il mito che egli rappresenta agli occhi di chi gli riconosce un'umanità di eccezionale spessore, ma nessuna divinità.

Il Papa ritiene che un colloquio con un non credente siffatto sia reciprocamente stimolante e perciò vuole continuarlo; lo dico perché è lui che me l'ha detto. Il fatto che io sia anche giornalista non lo interessa affatto, potrei essere ingegnere, maestro elementare, operaio. Gli interessa parlare con chi non crede ma vorrebbe che l'amore del prossimo professato duemila anni fa dal figlio di Maria e di Giuseppe fosse il principale contenuto della nostra specie, mentre purtroppo ciò accade molto di rado, soverchiato dagli egoismi, da quelle che Francesco chiama "cupidigia di potere e desiderio di possesso". L'ha definito in una nostra precedente conversazione "il vero peccato del mondo del quale tutti siamo affetti" e rappresenta l'altra forma della nostra umanità ed è la dinamica tra questi due sentimenti a costruire nel bene e nel male la storia del mondo. È presente in tutti e del resto, nella tradizione cristiana, Lucifero era l'angelo prediletto da Dio, portatore di luce fino a quando non si ribellò al suo Signore tentato di prenderne il posto e il suo Dio lo precipitò nelle tenebre e nel fuoco dei dannati.

Di queste cose parliamo, ma anche degli interventi del Papa nelle strutture della Chiesa, delle avversità che incontra. Debbo dire che oltre all'estremo interesse di queste conversazioni, in me è nato un sentimento di affettuosa amicizia che non modifica in nulla il mio modo di pensare ma di sentire, quello sì. Non so se sia ricambiato, ma la spontaneità di questo assai strano successore di Pietro mi fa pensare di sì.

Ora lo sto aspettando da qualche minuto nella piccola stanza al pianoterra di Santa Marta dove il Papa riceve gli amici e i collaboratori. Lui arriva puntualissimo senza nessuno che l'accompagni. Sa che ho avuto nei giorni scorsi qualche problema di salute e infatti mi chiede subito notizie in proposito. Mi mette la mano sulla testa, una sorta di benedizione, e poi mi abbraccia. Chiude la porta sistema la sua sedia di fronte alla mia e cominciamo.
                           
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Pedofilia e mafia sono i due temi sui quali Francesco è intervenuto nei giorni scorsi e che hanno sollevato un'ondata di sentimenti e anche di polemiche fuori e dentro la Chiesa. Il Papa è sensibilissimo sia all'uno che all'altro argomento e ne aveva già parlato in varie occasioni, ma non li aveva ancora presi così di petto soprattutto sui punti riguardanti il comportamento d'una parte del clero.

"La corruzione di un fanciullo" dice "è quanto di più terribile e immondo si possa immaginare specialmente se, come risulta dai dati che ho potuto direttamente esaminare, gran parte di questi fatti abominevoli avvengono all'interno delle famiglie o comunque d'una comunità di antiche amicizie. La famiglia dovrebbe essere il sacrario dove il bambino e poi il ragazzo e l'adolescente vengono amorevolmente educati al bene, incoraggiati nella crescita stimolata a costruire la propria personalità e a incontrarsi con quella degli altri suoi coetanei. Giocare insieme, studiare insieme, conoscere il mondo e la vita insieme. Questo con i coetanei, ma con i parenti che li hanno messi al mondo o visti entrare nel mondo il rapporto è come quello di coltivare un fiore, un'aiuola di fiori, custodendola dal maltempo, disinfestandola dai parassiti, raccontandogli le favole della vita e, mentre il tempo passa, la sua realtà. Questa è o dovrebbe essere l'educazione che la scuola completa e la religione colloca sul piano più alto del pensare e del credere al sentimento divino che si affaccia alle nostre anime. Spesso si trasforma in fede, ma comunque lascia un seme che in qualche modo feconda quell'anima e la rivolge verso il bene".

Mentre parla e dice queste verità il Papa mi si avvicina ancora di più. Parla con me, ma è come riflettesse con se stesso disegnando il quadro della sua speranza che coincide con quella di tutte le persone di buona volontà. Probabilmente  -  dico io  -  quella è gran parte di quanto avviene. Lui mi guarda con occhi diversi, improvvisamente diventati duri e tristi. "No, purtroppo non è così. L'educazione come noi l'intendiamo sembra quasi aver disertato le famiglie. Ciascuno è preso dalle proprie personali incombenze, spesso per assicurare alla famiglia un tenore di vita sopportabile, talvolta per perseguire un proprio personale successo, altre volte per amicizie e amori alternativi. L'educazione come compito principale verso i figli sembra fuggito via dalle case. Questo fenomeno è una gravissima omissione ma non siamo ancora nel male assoluto. Non soltanto la mancata educazione ma la corruzione, il vizio, le pratiche turpi imposte al bambino e poi praticate e aggiornate sempre più gravemente man mano che egli cresce e diventa ragazzo e poi adolescente. Questa situazione è frequente nelle famiglie, praticata da parenti, nonni, zii, amici di famiglia. Spesso gli altri membri della famiglia ne sono consapevoli ma non intervengono, irretiti da interessi o da altre forme di corruzione".

A Lei, Santità, risulta che il fenomeno sia frequente e diffuso?
"Purtroppo lo è e si accompagna ad altri vizi come la diffusione delle droghe".

E la Chiesa? Che cosa fa in tutto questo la Chiesa?
"La Chiesa lotta perché il vizio sia debellato e l'educazione recuperata. Ma anche noi abbiamo questa lebbra in casa".

Un fenomeno molto diffuso?
"Molti miei collaboratori che lottano con me mi rassicurano con dati attendibili che valutano la pedofilia dentro la Chiesa al livello del due per cento. Questo dato dovrebbe tranquillizzarmi ma debbo dirle che non mi tranquillizza affatto. Lo reputo anzi gravissimo. Il due per cento di pedofili sono sacerdoti e perfino vescovi e cardinali. E altri, ancor più numerosi, sanno ma tacciono, puniscono ma senza dirne il motivo. Io trovo questo stato di cose insostenibile ed è mia intenzione affrontarlo con la severità che richiede.

Ricordo al Papa che nel nostro precedente colloquio lui mi disse che Gesù era l'esempio della dolcezza e della mitezza ma a volte prendeva il bastone per calarlo sulle spalle dei manigoldi che insozzavano moralmente il Tempio. "Vedo che ricorda molto bene le mie parole. Citavo dei passi dei Vangeli di Marco e di Matteo. Gesù amava tutti, perfino i peccatori che voleva redimere dispensando il perdono e la misericordia, ma quando usava il bastone lo impugnava per scacciare il demonio che si era impadronito di quell'anima".

Le anime  -  anche questo lei me l'ha detto nel nostro precedente incontro  -  possono pentirsi dopo una vita di peccati anche nell'ultimo momento della loro esistenza e la misericordia sarà con loro.
"È vero, questa è la nostra dottrina e questa è la via che "Cristo ci ha indicato".

Ma può darsi il caso che qualche pentimento dell'ultimo minuto di vita sia interessato. Magari inconsapevolmente, ma interessato a garantirsi un possibile aldilà. In quel caso la misericordia rischia di finire in una trappola.
"Noi non giudichiamo ma il Signore sa e giudica. La sua misericordia è infinita ma non cadrà mai in trappola. Se il pentimento non è autentico la misericordia non può esercitare il suo ruolo di redenzione".

Lei, Santo Padre, ha tuttavia ricordato più volte che Dio ci ha dotato di libero arbitrio. Sa bene che se scegliamo il male la nostra religione non esercita misericordia nei nostri confronti. Ma c'è un punto che mi preme di sottolineare: la nostra coscienza è libera e autonoma. Può in perfetta buonafede fare del male convinta però che da quel male nascerà un bene. Qual è, di fronte a casi del genere, che sono molto frequenti, l'atteggiamento dei cristiani?
"La coscienza è libera. Se sceglie il male perché è sicura che da esso deriverà un bene dall'alto dei cieli queste intenzioni e le loro conseguenze saranno valutate. Noi non possiamo dire di più perché non sappiamo di più. La legge del Signore è il Signore a stabilirla e non le creature. Noi sappiamo soltanto perché è Cristo ad avercelo detto che il Padre conosce le creature che ha creato e nulla per lui è misterioso. Del resto il libro di Giobbe esamina a fondo questo tema. Si ricorda che ne parlammo? Bisognerebbe esaminare a fondo i libri sapienzali della Bibbia e il Vangelo quando parla di Giuda Iscariota. Sono temi di fondo della nostra teologia". E anche della cultura moderna che voi volete comprendere a fondo e con la quale volete confrontarvi. "È vero è un punto capitale del Vaticano II e dovremo al più presto affrontarlo".

Santità, c'è ancora da parlare del tema della mafia. Lei ha tempo?
"Siamo qui per questo".

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"Non conosco a fondo il problema delle mafie, so purtroppo quello che fanno, i delitti che vengono commessi, gli interessi enormi che le mafie amministrano. Ma mi sfugge il modo di pensare dei mafiosi, i capi, i gregari. In Argentina ci sono come dovunque i delinquenti, i ladri, gli assassini, ma non le mafie. È questo aspetto che vorrei esaminare e lo farò leggendo i tanti libri che sono stati scritti in proposito e le tante testimonianze. Lei è di origine calabrese, forse può aiutarmi a capire".

Il poco che posso dirle è questo: la mafia  -  sia calabrese sia siciliana sia la camorra napoletana  -  non sono accolite sbandate di delinquenti ma sono organizzazioni che hanno leggi proprie, propri codici di comportamento, propri canoni. Stati nello Stato. Non le sembri paradossale se le dico che hanno una propria etica. E non le sembri abnorme se aggiungo che hanno un proprio Dio. Esiste un Dio mafioso."Capisco quello che sta dicendo: è un fatto che la maggior parte delle donne legate alla mafia da vincoli di parentela, le moglie, le figlie, le sorelle, frequentano assiduamente le chiese dei loro paesi dove il sindaco e altre autorità locale sono spesso mafiose. Quelle donne pensano che Dio perdoni le orribili malefatte dei loro congiunti?".

Santità, gli stessi congiunti spesso frequentano le chiese, le messe, le nozze, i funerali. Non credo si confessino ma spesso si comunicano e battezzano i nuovi nati. Questo è il fenomeno."Quello che lei dice è chiaro e del resto non mancano libri, inchieste, documentazioni. Debbo aggiungere che alcuni sacerdoti tendono a sorvolare sul fenomeno mafioso. Naturalmente condannano i singoli delitti, onorano le vittime, aiutano come possono le loro famiglie, ma la denuncia pubblica e costante delle mafie è rara. Il primo grande Papa che la fece proprio parlando in quelle terre fu Wojtyla. Debbo dire che il suo discorso fu applaudito da una folla immensa".

Lei pensa che in quella folla che applaudiva non ci fossero mafiosi? Per quanto ne so ce n'erano molti. Il mafioso, lo ripeto, applica un suo codice e una sua etica: i traditori vanno uccisi, i disobbedienti vanno puniti, a volte l'esempio viene dato con l'omicidio di bambini o di donne. Ma questi per il mafioso non sono peccati, sono le loro leggi. Dio non c'entra, i santi protettori tantomeno. Ha visto la processione di Oppido Mamertina?"Erano migliaia gli intervenuti. Poi la statua della Madonna delle Grazie si è fermata davanti alla finestra del boss che è in custodia per ergastolo. Appunto, tutto questo sta cambiando e cambierà. La nostra denuncia delle mafia non sarà fatta una volta tanto ma sarà costante. Pedofilia, mafia: la Chiesa, il popolo di Dio, i sacerdoti, le Comunità, avranno tra gli altri compiti queste due principalissime questioni".

È passata un'ora e mi alzo. Il Papa mi abbraccia e mi augura di risanare al più presto. Ma io gli faccio ancora una domanda: Lei, Santità, sta lavorando assiduamente per integrare la cattolicità con gli ortodossi, con gli anglicani... Mi interrompe continuando: "Con i valdesi che trovo religiosi di prim'ordine, con i Pentecostali e naturalmente con i nostri fratelli ebrei".

Ebbene, molti di questi sacerdoti o pastori sono regolarmente sposati. Quanto crescerà col tempo quel problema nella Chiesa di Roma?
"Forse lei non sa che il celibato fu stabilito nel X secolo, cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore. La Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d'ora che i suoi presbiteri si sposino. Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò.


Ormai siamo fuori dal portone di Santa Marta. Ci abbracciamo di nuovo. Confesso che mi sono commosso. Francesco mi ha accarezzato la guancia e l'auto è partita.

sabato 12 luglio 2014

Non sono ammesse deroghe a favore dell’affidamento diretto

E’ stata pubblicata il 1 luglio u.s. la deliberazione n. 144/2014 della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti del Piemonte (http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/piemonte/pareri/2014/delibera_144_2014_SRCPIE_PAR.pdf ) che sancisce l’obbligo di centralizzazione degli acquisti prevista dall’art. 9 del decreto Irpef.

La Corte ha sancito che, in assenza di deroghe legislative, deve ritenersi che i Comuni non capoluogo di provincia non possano procedere ad acquisire autonomamente neppure lavori, servizi e forniture d’importo inferiore ad euro 40.000 mediante affidamento diretto, poiché la nuova disposizione di finanza pubblica di cui all’art. 9, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito in legge 23 giugno 2014, n. 89, che ha novellato il comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici, assume nell’ordinamento carattere di specialità, e quindi di prevalenza, rispetto alla norma generale di cui all’art. 125, commi 8 e 11, dello stesso Codice.

Quindi, non sono ammesse deroghe a favore dell’affidamento diretto e si conferma l’aggregazione obbligatoria per i comuni non capoluogo di provincia, per le procedure contrattuali relative all’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture. I comuni interessati sono tenuti a costituire la centrale di committenza nell’ambito delle unioni di comuni, se ve ne sono, oppure devono sottoscrivere un accordo consortile avvalendosi dei propri uffici.

E' però importante segnalare che la Conferenza Stato-Città e autonomie locali svoltasi il 10 luglio scorso, ha dato il via libera alla proroga al 1 gennaio 2015 dell’obbligo di ricorrere alla centrale unica, Unioni di Comuni, accordi consortili o Consip per l’acquisto di beni e servizi e al 1 luglio 2015 per quanto riguarda gli appalti di lavori.  Il correttivo verrà inserito nella legge di conversione del Dl n. 90/2014 (sulla riforma della PA). Pertanto, la modifica non entrerà subito in vigore.

Ad ogni modo, per l’accordo raggiunto tra Governo e enti locali, al fine di evitare la paralisi degli acquisti/appalti negli ottomila Comuni non capoluogo, fornisce anche indicazioni all’Autorità di vigilanza sugli appalti di ricominciare a distribuire i codici identificativi di gara, attività interrotta a partire dal 1 luglio scorso come previsto dal Dl 66/2014.

venerdì 11 luglio 2014

Art bonus: le perplessità

"LE DETRAZIONI previste dal nuovo decreto sui beni culturali ci creano più problemi che vantaggi: riguardano i restauri e non la valorizzazione, un tema che a noi interessa di più. Andremo comunque avanti, cercando di portare i nostri progetti nell'intera regione. Dopo il modello Torino, ci sarà il modello Piemonte". Maurizio Cibrario, da un anno presidente della Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino, espone a 'Repubblicà le sue perplessità sulle nuove regole in materia fiscale e anticipa i progetti futuri.

Presidente Cibrario, che cosa cambia per voi con l'Art Bonus?"Guardi, per noi cambia poco. Il decreto del ministro Franceschini offre un credito d'imposta importante per i recuperi e le manutenzioni, lasciando fuori non solo la valorizzazione ma anche la fruizione, ambiti coperti in passato da un altro decreto. Mi riferisco all'articolo 100, lettera F del Testo unico delle imposte sui redditi, ora sospeso per tre anni. E allora mi chiedo: non era meglio lasciare ai privati le due opzioni? Per fare un esempio, se apriamo (e succederà a fine ottobre) il nuovo caveau per Leonardo, non detraiamo neanche un euro. Andrà meglio con Stupinigi, dove stiamo per partire con importanti lavori di restauro nella Sala da ballo di Juvarra. Ma io avrei a questo punto un'altra proposta".

Quale?
"Perché non si decide di eliminare l'Iva sugli interventi per i beni pubblici da parte di associazioni come la nostra senza scopo di lucro? Per noi l'Iva è un costo: dall'87, anno della fondazione, se ne saranno andati con quella tassa tra i 3 e i 4 milioni di euro. Ma lo sa che cosa avremmo potuto realizzare con tale cifra? Mi rendo conto che la questione è complessa, dato che si inserisce in un ambito comunitario: credo però che in altri paesi le cose vadano un po' meglio". 

fonte: La Repubblica

giovedì 10 luglio 2014

Renzi-Craxi: la riflessione di Civati

Cos’è “Possibile”? Una nuova corrente del Pd? L’embrione di un nuovo partito? «Io dico che è un’intelaiatura... Allora diciamo che è una sigla trasversale, per organizzare una riflessione del Pd verso sinistra». E spiega: «Bisogna conquistarsi uno spazio. In politica devi intestarti le battaglie per cui tiene davvero, devi caratterizzarti. Quello che non capiscono i turchi, i bersaniani, pensano che prima o poi nel partito toccherà a loro, non vedono che Renzi farà da sé il prima e il poi. Il mio obiettivo è costruire un centrosinistra nettamente delimitato, alternativo ad Alfano, per esempio, con un gruppo dirigente che abbia una visione. E una vita democratica dentro il Pd. Trasparenza sui finanziamenti, consultazioni on line, recupero di temi come l’ambiente e la legalità, oggi dimenticati».
«Non ci sono persone che cercano un nuovo capo», prosegue Civati: «E io in questo progetto mi sento più un federatore che un attore, uno che cerca di mettere in dialogo tutto quello che si muove a sinistra. Gennaro Migliore vuole entrare nel Pd per dire le stesse cose che diciamo ora noi. Non ho capito la sua mossa, mentre guardo con grande interesse al travaglio di Sel».

Secondo Civati «Renzi ha preso un grande voto popolare, è arrivato quando non c’erano più destra e sinistra e lui di gran lunga è il più mobile, incarna l’innovazione e il cambiamento necessario, sia pure in versione muscolare, un po’ manesca verso chi non la pensa come lui. Simile in questo al Berlusconi del 1994, al Grillo del 2013, soprattutto a Craxi. È lui il modello di riferimento. Sia chiaro: non mi riferisco al Craxi dei primi anni Novanta, travolto dalle inchieste di Mani Pulite. Penso al Craxi giovane, dinamico, spregiudicato, alla sua idea di politica: la ricerca di un potere che si deve conquistare e poi si deve saper mantenere».
 
fonte:L'Espresso

mercoledì 9 luglio 2014

Il contratto di disponibilita

Tratto da www.diritto.it

Nel corso dell’ultimo decennio si è sviluppato in molti settori il fenomeno del partenariato pubblico-privato (PPP) da cui si sono originate forme di cooperazione fra le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese con il preciso scopo di garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio. Il fenomeno ha preso piede in quanto permette al settore pubblico di reperire risorse finanziarie private e, allo stesso tempo, di beneficiare maggiormente del know how e dei metodi di funzionamento del settore privato nel quadro della vita pubblica.
Sensibile a tale esigenza il legislatore, nella fitta intelaiatura del decreto liberalizzazioni (convertito in legge n. 27 del 24 marzo), ha codificato una nuova operazione di PPP denominata contratto di disponibilità, ora contemplata all’art. 160-ter del d.lgs. 163/2006 (codice dei contratti pubblici). Di seguito ne vengono illustrate le principali caratteristiche.

Finalità. Mediante il contratto di disponibilità vengono affidate, a rischio e a spesa dell’affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore dell’amministrazione aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo. Si evidenzia quindi che tale tipologia di contratto differisce dagli altri strumenti di PPP (concessione e locazione finanziaria) per il fatto che la titolarità opera realizzata dall’affidatario del contratto è del tutto privata.
La messa in disponibilità. Si tratta dell’onere assunto a proprio rischio dall’affidatario di assicurare all’amministrazione aggiudicatrice la costante fruibilità dell’opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo allo scopo la perfetta manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti

Corrispettivo. L’affidatario del contratto in oggetto viene retribuito con i seguenti corrispettivi:
  1. un canone di disponibilità, da versare soltanto in corrispondenza alla effettiva disponibilità dell’opera. Il canone è proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di ridotta o nulla disponibilità della stessa per manutenzione, vizi o qualsiasi motivo non rientrante tra i rischi a carico dell’amministrazione aggiudicatrice;
  2. l’eventuale contributo in corso d’opera, comunque non superiore al 50% del costo di costruzione dell’opera, in caso di trasferimento della proprietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice;
  3. un eventuale prezzo di trasferimento, parametrato, in relazione ai canoni già versati e all’eventuale contributo in corso d’opera, al valore di mercato residuo dell’opera, da corrispondere, al termine del contratto, in caso di trasferimento della proprietà dell’opera all’amministrazione aggiudicatrice.
Adempimenti dell’affidatario. È a carico dell’affidatario il rischio della costruzione e della gestione tecnica dell’opera per il periodo di messa a disposizione dell’amministrazione aggiudicatrice, nonché, anche la redazione del progetto definitivo, esecutivo e delle eventuali varianti in corso d’opera che l’affidatario stesso può introdurre ai fini di una maggiore economicità di costruzione o gestione, nel rispetto del capitolato prestazionale e delle norme e provvedimenti di pubbliche autorità vigenti e sopravvenuti. Egli dovrà altresì approvare il progetto definitivo, esecutivo e le varianti in corso d’opera, previa comunicazione all’amministrazione aggiudicatrice e, ove prescritto, a terze autorità competenti. Sono, infine, a suo carico anche il rischio della mancata o ritardata approvazione da parte di terze autorità competenti della progettazione e delle eventuali varianti. Si evidenzia che, di norma, tali rischi sono, invece, a carico della stazione appaltante (nei contratti di appalto, nelle concessione e nella locazione finanziaria di opere pubbliche).

Collaudo dell’opera. Tale attività è posta in capo alla stazione appaltante al fine di:
  1. verificare la realizzazione dell’opera;
  2. accertare il puntuale rispetto del capitolato prestazionale e delle norme e disposizioni cogenti, potendo proporre modificazioni, varianti e rifacimento di lavori eseguiti, ovvero la riduzione del canone di disponibilità, sempreché siano assicurate le caratteristiche funzionali essenziali.

Veniamo al sodo

"Quando certi problemi vengono affrontati attraverso frasi sonanti o belle dizioni, mi viene la voglia di pigliare i miei interlocutori per lo stomaco e di dir loro: veniamo al sodo, che cosa, in fondo, vuoi tu? Poi ho imparato che bisogna guardare anzitutto al popolo (...) e il popolo vuol dire: il popolo come vive organicamente nel suo paese, nelle sue società, nei suoi focolari, nelle sue città. Non vuol dire il conglomerato posticcio improvvisato su di una piazza." 

Alcide De Gasperi

Programma popolare

"Dobbiamo essere conservatori sul terreno dei grandi valori, riformisti su quello delle politiche istituzionali, liberali nell'economia e democratico-cristiani nelle politiche sociali, privilegiando, sempre e comunque, la difesa in concreto della dignità di ogni singola persona umana".
Helmuth Kohl 

Che fine hanno fatto i tecnici?


Oggi li guardi e dici: maddài? Uno si candida da destra ad anti Renzi e gira per l’Italia (ex ministro dello Sviluppo ed ex dominus di Banca Intesa Corrado Passera); l’altra si duole come fosse ieri per le critiche sugli esodati, si difende dichiarando “amarezza” e, quando non insegna, gira per l’Europa (ex ministro del Welfare e prof. Elsa Fornero, fresca di lunga intervista al Garantista).


Per uno che s’addentra quatto quatto in organismi parlamentari e mondanità romane (ex sottosegretario e caterpillar da talk-show Gianfranco Polillo, quello che vedeva bene il Cav. al Quirinale e rispondeva alle critiche poveracciste al grido di: sì, guadagno tanto, ma faccio meno ferie di un metalmeccanico non diplomato), ce n’è un altro che s’affaccia a intermittenza sul Pd da un dipartimento del Tesoro (ex ministro Fabrizio Barca, reduce dal tentativo – fallito – di candidarsi ufficiosamente e senza troppo dirlo ad anti Renzi. Ma non come Passera, ché Barca vorrebbe rifondare sul lato sinistro del Pd).

Un altro ancora, come l’ex sottosegretario ed ex viceministro Antonio Catricalà, è rimasto incredibilmente, dopo anni e anni, senza incarichi di prestigio. E se quello che pare rimpiangere di più la luce perduta è l’insolitamente loquace (nelle interviste ad Alan Friedman) Mario Monti, ex premier e demiurgo della calante Scelta civica, c’è anche chi ha perso la benevolenza del pubblico senza lamenti, come l’ex ministro dell’Interno e prefetto Anna Maria Cancellieri, un anno e mezzo fa addirittura candidata alla presidenza della Repubblica (da Scelta civica), amata come una Miss Marple cresciuta nella Tripoli bel suol d’amore, ma poi mediaticamente macchiata (con indagine della procura di Roma) dal pasticciaccio delle telefonate durante la detenzione di Giulia Ligresti.


Fino a pochi mesi fa nei Palazzi ci passava ancora, Cancellieri, come ministro bis (della Giustizia) nel governo di Enrico Letta, e rispondeva a mozioni di sfiducia individuale per il suddetto affare Ligresti – io mi sono interessata della sorte di una detenuta con problemi di salute, diceva il ministro che spesso criticava il sovraffollamento delle carceri (ma oggi il suo nome viene dai maligni irresistibilmente associato pure al prematuro esaurimento scorte dei costosissimi braccialetti elettronici).

Ed è difficile, ora, nonostante l’avvicinamento agli ambienti di Italia Unica, la Cosa politica lanciata da Corrado Passera, trovare qualcuno che ancora parli con il trasporto del 2011 della simpatia irresistibile del prefetto Cancellieri, nonna in carriera che, con la borsetta sbieca, l’impermeabile e la collana sempre al collo, aveva conquistato la Bologna commissariata. E’ la vita, ed è forse un frequente epilogo per un ministro tecnico, la perdita dell’intoccabilità mediatica. Ma non sempre lo si accetta di buon grado (Mario Monti ed Elsa Fornero mal sopportano le numerose critiche ex post).

Dovevano tutti entrare nella storia come ribaltatori di destini avversi e conti orrorifici, i ministri tecnici, ma vai a capire che cosa la storia di loro ricorderà. I meno irrequieti, comunque, sono tornati sereni ai propri proficui affari, come l’avvocato penalista, professoressa ed ex ministro della Giustizia Paola Severino, avvistata due mesi fa in zona Palazzo Chigi in qualità di legale dell’Ilva commissariata.

Qualcuno, come l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini, si ritrova dimenticato agli arresti domiciliari per presunto peculato, e c’è anche chi rientra felpato nel tran-tran missionario (ma ben ancorato alla politica romana), come l’ex ministro della Cooperazione nonché fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi o agli amati studi, come l’ex rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi (ministro della Cultura), il più taciturno di tutti. Molti parlano, twittano, scrivono sui blog, contraddicendo la passata (apparente) riservatezza.

Sono proprio loro, i cosiddetti tecnici, gli ex ministri e sottosegretari di Monti – professori, personalità taumaturgiche, celebrità rarefatte, eccellenze nascoste nei think tank e nelle facoltà, nei consigli delle banche, nelle associazioni di volontariato, nei consessi internazionali – sono loro quelli che adesso (con risultati non sempre esaltanti) sgomitano, punzecchiano, assaporano vendette, commentano e rintuzzano, si concedono e si ritraggono, sognano rivincite, rotolano sempre più lontano dal trono, riprendono silenziosamente posti di potere, spariscono dai radar o lottano sui social network per una parziale riconquista di ribalta, animati da umanissime passioni e ambizioni, irascibili, cordialissimi, fragili o vanitosi quanto prima parevano extraterrestri, algidi e controllati.

Sono loro che adesso, dopo il limbo del governo Letta (che ne aveva riciclato un buon numero), dichiarano ai giornali, sbuffano, si arrabbiano, dissimulano scrivendo post o aspettano, come il cinese sulla riva del fiume. Un totale ribaltamento psicologico da quando erano ombrosi esperti conosciuti soltanto dagli addetti ai lavori, professionisti noti soltanto ad altri professionisti (e al generone romano e all’establishment milanese), “servitori dello stato” in teoria non sfiorati dal miraggio della fama e dalla tentazione pur comprensibile, ma allora scacciata dalla coscienza, dell’avventura politica.

I ministri tecnici di Monti erano quelli che, a fine 2011, incutevano soggezione più che curiosità, con tutte quelle giacche scure e quei sorrisi arcigni e quelle rughe non mascherate (profondità di pensiero, si diceva). Erano arrivati nell’autunno in cui tutti nominavano lo spread-macumba e guardavano le monetine lanciate al Cav. senza vederci il presagio di un’ondata anticasta in Parlamento.

Erano saliti al Colle per il giuramento prima del botto elettorale di Beppe Grillo, prima delle primarie del centrosinistra (quelle del 2012), prima che Matteo Renzi, allora minaccia promettente, si facesse per il vecchio Pd minaccia imminente. Avevano fatto il loro ingresso dietro al primus inter pares dei loden bocconiani e non bocconiani, dietro a quel Mario Monti nuovo senatore a vita, professore ed ex commissario europeo. Parevano fatti di altra pasta, in quelle prime foto da Palazzo Chigi, lontani nella loro allure da “salvatori della patria” in pectore.

E invece. Invece, e non da oggi, te li ritrovi terrigni e terrestri, per nulla quieti, per nulla paghi, autorevoli così così, curiosi di capire dove va il vento anzichenò – e a malapena desiderosi di trattenere i segreti del loro ormai lontano anno e mezzo di governo (pare che Angela Merkel avesse consigliato al senatore a vita e premier Mario Monti la famosa “salita” in politica con la creazione di Scelta civica, ha detto Monti stesso ad Alan Friedman: sarebbe bello che continuassi tu a fare quello che c’è da fare, così più o meno doveva suonare la frase della cancelliera, e vai a capire se Merkel aveva previsto il successivo accartocciarsi del futuro progetto politico firmato dall’allora professore bocconiano – presto ritiratosi stizzito dalle polemiche interne al suo partito prematuramente pericolante).


Spuntano qui e là, gli ex ministri tecnici: chi in un salotto, chi in una piazza, chi in un consiglio semi-governativo (magari dietro i vetri, in un ruolo specialistico ma non per questo disinteressato al mondo). E se per un attimo, nel 2013, sono sembrati in sonno, inghiottiti dal nulla, tempo due mesi erano già tornati sulla scena, intenti a scrivere memorie e a smarcarsi da quel tutt’uno montiano che li aveva portati fino a lì – smarcarsi velatamente, come ha fatto un anno fa l’ex ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca (ero d’accordo col mio governo per i primi cinque mesi, diceva, dissociandosi con gentile posticipo pure dalle riforme di Elsa Fornero).


Oppure smarcarsi apertamente, come fa in continuazione l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, dimessosi a suo tempo per la pasticciata gestione della vicenda Marò, ma oggi molto desideroso di dire che la colpa non fu sua, bensì di Mario Monti e Corrado Passera (“vergognoso errore di Monti su istigazione di Passera”, ha detto Terzi durante una conferenza stampa a Montecitorio, accusando l’ex premier e l’ex ministro dello Sviluppo di aver ceduto a “pressioni economiche” di qualche grande azienda).

Ora a Terzi sembra di poterlo dire, evidentemente, vista anche l’esigenza di lanciarsi come esponente politico di Fratelli d’Italia: ex ministro dal nome nobile, antico e bergamasco, conte di Restenau e cavaliere del Sacro romano impero, Terzi non è più neppure impegnato come ambasciatore (sua precedente carriera), e si è visto distruggere anche l’immagine cui forse aspirava, quella di un Dominique de Villepin lombardo, raffinato uomo di mondo e di governo. Invece deve digerire l’ammaccatura, il diplomatico-politico passato dall’accoglienza a Giorgio Napolitano in quel di New York, durante un incontro con Barack Obama, al mezzo oblio – con generale riprovazione – seguito al caso Marò.

Quasi quasi, al suo posto, ci sarebbe da sognare tutt’altro, per esempio il potere conservato silenziosamente dall’ex collega di governo Vittorio Grilli, ex viceministro e poi ministro dell’Economia di Monti, uomo talmente anglosassone nell’aspetto da non sembrare neppure milanese, forgiato com’è nell’animo dai molti anni trascorsi oltreoceano a studiare in quel di Rochester, nelle lande ventose che portano alle cascate del Niagara.

Grilli, ma che fine ha fatto?, si chiedevano gli osservatori prima di apprendere che l’ex ministro, zitto zitto, nel maggio scorso è diventato presidente del Corporate & Investment Bank per Europa, medio oriente e Africa di Jp Morgan, con base nella Londra sempre amata e mai dimenticata durante il periodo romano e ministeriale (dal 1994 in poi), quand’era dietro le quinte ma sempre a contatto con gli affari che contano (al Tesoro, in epoca di privatizzazioni sotto Ciampi premier).

Grandi case, belle macchine e nuova vita con nuova compagna incorniciano i traslochi dell’ex ministro Grilli, gemello diverso di Corrado Passera: stesso ambiente, opposta indole (Grilli mai si metterebbe a fare un tour per “ascoltare le istanze dell’Italia vera, per conoscere da vicino i problemi, raccogliere soluzioni e avviare il processo costitutivo” di un nuovo movimento, obiettivo invece dell’ex ministro montiano dello Sviluppo).

Si inventano, si reinventano, si deprimono, cadono ma non demordono, gli ex tecnici che hanno perso per strada la voglia di tecnocrazia, e uno dopo l’altro si mettono in viaggio per presentare il fantomatico partito dei sogni: l’ha fatto Barca, quando ancora al governo c’era Enrico Letta e non si pensava che Matteo Renzi sarebbe arrivato così presto, l’ha fatto in qualità di neo iscritto al Pd e figlio di uno storico uomo del Pci, esperto di Economia con studi nell’Inghilterra rigorosa nonché da uomo di ministero (“mobilitazione cognitiva!”, “sperimentalismo democratico!”, “catoblepismo!”, diceva il Barca oratore a platee borghesi raccolte in chiostri, piazzette, sezioni e cortili, desiderose di sperare in quell’uomo così organico al loro ambiente, a differenza del giovane newcomer di Firenze).

Pure da Barca, tuttavia, oltreché da Matteo Renzi, vorrebbe oggi distinguersi l’altro lanciatore di “progetti” post montiani Corrado Passera, inventore (“con gran partecipazione emotiva della moglie Giovanna Salza”, dicono nei salotti romani) della cosiddetta “start-up” del nuovo centrodestra Italia Unica, educatamente alternativa all’assetto attuale di governo, al grido di “il governo non sta dando abbastanza importanza” al disagio sociale, ma non si sa bene quando davvero operativa.

“Non poniamo limiti a dove possiamo arrivare”, dice a se stesso e agli astanti Passera, facendo notare che “a suo avviso”, Renzi non fa “quello che serve all’Italia”, e che invece lui sì, saprebbe come fare e dove prendere e come investire i “quattrocento miliardi” che potrebbero far “ripartire” il paese inceppato – ma per carità, aggiunge per non mostrarsi screanzato, se Renzi è la gamba numero uno noi facciamo la numero due, occupiamo lo spazio degli avversari che non ha più, per smettere di farlo giocare “a porta vuota”.

Ma perché non dovrebbero buttarsi nell’arena, i tecnici che hanno chiuso nell’armadio già da tempo il loden, se il primo a farlo è stato proprio lui, il Monti che alla vigilia del tormentato Natale 2012 aveva tenuto tutti sulle spine: mi candido, non mi candido, forse mi candido, forse “salgo” in politica, forse scendo e faccio il nonno (infine “salì”, con risultati via via sempre meno soddisfacenti: dal non proprio trionfale 8, 3 per cento di Scelta civica alle politiche 2013 si è arrivati allo zero virgola delle europee, un mese fa).

Ed è come se gli anni interminabili di onorate carriere e retribuzioni di tutto rispetto (quelle ora criticate dai grillini) fossero nulla in confronto al quarto d’ora di celebrità (vanità?): io faccio, io dico, io scrivo, questo il verbo tecnico nella sua metamorfosi mondana. E anche quando rientrano nelle vite piacevoli e operose abbandonate per lo scranno ministeriale poi non resistono, i tecnici: tornano sul luogo del delitto autolodandosi (Passera si dice molto “soddisfatto” dei suoi “dodici mesi da ministro” dello Sviluppo economico, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2013).

Erano emersi dalla penombra delle università, gli uomini e le donne di Monti, dai velluti degli studi professionali e dei convegni, senza vezzi e toni sopra le righe, con sguardo dolente, quello conservato anche a tempo scaduto dalla professoressa Elsa Fornero, il ministro che piangeva per la durezza della sua propria riforma (“il tormento, si intravede il tormento”, dicevano i generosi; “lacrime di coccodrillo”, dicevano gli avversari). Non esitava a definire i giovani troppo “choosy”, schizzinosi in tema di lavoro, Fornero, e c’era chi la paragonava a Margaret Thatcher, la lady di ferro che non abbandonava mai gli orecchini di perle, amuleto e antidoto estetico alla severità.

Nei giorni della lotta con la Cgil di Susanna Camusso, a Fornero molti inneggiavano – fa fuori la concertazione, dicevano gli estimatori – ma via via l’ammirazione si è trasformata in sopportazione e disinteresse, infine in critica aperta. Fornero è tornata ai suoi ambienti di alta torinesità e alta milanesità, tra insegnamento e cene con intellettuali e alti vertici di Intesa Sanpaolo, ma appena qualcuno rievoca la vicenda “esodati” lei salta su, come ferita dall’oltraggio a valle, e dice che si fa presto “a distruggere reputazioni”.


A differenza di Terzi e Passera, telematici come i rottamatori di Renzi oggi al governo, Fornero non è una pasdaran dei social network, eppure condivide con i colleghi la voglia di raccontare “com’è andata davvero”, tipica del tecnico liberato dalla necessità di essere muto come prima della ribalta fugace, delle grane e dei sogni di gloria.

E visti i tanti ex montiani che non abbandonano il campo, e girano e parlano e propongono e ricordano, qualcuno comincia a invocare l’intervento del professor Dino Piero Giarda, il simpatico e fisiognomicamente bonario ex ministro per i Rapporti col Parlamento e l’attuazione del programma, che in conferenza stampa riprendeva i compagni di governo Grilli e Passera, inchiodandoli con un “fact checking” privo di acrimonia: “Non avendo competenze specifiche nella materia”, diceva, “il mio compito qui è stato quello di correggere un po’ degli errori che a volte vengono fatti dai miei colleghi, ministri e amici”. E Monti, un Monti pre-politico, gli diceva: “Correggi anche me se serve”.

fonte: Marianna Rizzini per “Il Foglio


sabato 5 luglio 2014

Grazie, poi a scendere ci penserò da solo

Un condannato a morte sale i gradini che lo porteranno alla decapitazione, inciampa e un ufficiale lo sorregge. L’uomo sorride e sussurra: “Grazie, poi a scendere ci penserò da solo”. Anche sulla soglia della morte, proprio come quando prendeva in giro la moglie – “Certo, signora, vi farebbe gran torto il Signore Iddio se non vi mandasse all’inferno, dal momento che ve lo guadagnate con tanta fatica” – e i figli che studiavano – “mi assicurano che sapete perfino distinguere il sole dalla luna” – Sir Tommaso Moro, umanista, scrittore, giurista e politico inglese del 1500 proclamato nel 2000 patrono dei governanti e dei politici, non smise di far sorridere e, per questo, di pensare. Proprio alla sua figura è dedicata una mostra esposta a Montecitorio, su iniziativa di Maurizio Lupi, e inaugurata ieri con il premier Mario Monti.

Tommaso Moro è però un patrono paradossalmente scomodo, visto che la sua azione principale – quella ricordata da tutti – fu quella di dimettersi. In lui si trovava una bizzarra commistione di magnanimità personale e culturale, fermezza e al contempo divertito umorismo (caratteristiche di cui oggi si avverte decisamente la mancanza). Di lui colpiscono certamente la sua incorruttibilità – “se un tuo amico avesse in corso una causa davanti a me, potrei certo dare udienza prima a lui che non a un altro. Ma in ogni caso puoi star sicuro che se le parti avranno rimesso la causa nelle mie mani, allora, anche se uno dei contendenti fosse mio padre e l’altro il diavolo, e il diavolo avesse ragione, ti assicuro che sarebbe il diavolo a vincere la causa” – e la celerità con cui snellì la burocrazia processuale dell’epoca; così come la sua clamorosa iniziativa presso il re, a cui chiese formalmente, in difesa della libertà di parola, “di dare a tutti coloro che fanno parte di questa assemblea la Sua generosa licenza e benevola assicurazione di poter liberamente parlare, senza temere di incorrere nel Vostro temutissimo sdegno, e francamente esporre il proprio pensiero su tutto ciò che concerne quello per cui siamo qui riuniti”. Fu giudice capace di distinguere eccome, soprattutto con i poveri – “quando si ha a che fare non con gente arrogante e maliziosa, ma con persone ignoranti o semplici e sprovvedute, io desidero che si usi grande misericordia e poco rigore”.

Aveva sostenuto che “non si deve abbandonare la nave in piena tempesta, solo perché non potete comandare ai venti… se non potete far andare bene tutte le cose, dovete almeno aiutare, perché vadano il meno male possibile”, ma a un certo punto capì di non poter fare più niente, e chiese solo di essere lasciato nel suo silenzio, che pure ai suoi nemici si fece clamore insopportabile come le domande di Socrate; ed egli al pari di Socrate fu arrestato. Gli uomini di Enrico VIII, dopo le sue dimissioni in risposta allo scisma anglicano, cercarono di inchiodarlo con l’accusa di aver tradito, ma egli ribatté loro che a quel re col quale si era spesso trovato non per discutere affari di stato, ma per conversare e ammirare le stelle, egli non augurava che bene, ma che non poteva accompagnarlo in una menzogna.

Ecco il suo segreto: Moro, che considerava l’amicizia “un ottavo sacramento”, è stato sempre e anzitutto un amico: del mondo, della cultura antica e recente, per cui “non si finirebbe più di spiegare quante cose mancano a chi non conosce i greci”; un apologeta cattolico che pure preferiva “discutere servendomi della ragione piuttosto che dell’autorità”; del re, consapevole che “se la mia testa potesse procurargli un castello in Francia, essa non tarderebbe a cadere”, e dello stato, di cui assunse la massima carica di Lord cancelliere scherzando con Erasmo da Rotterdam: “Mi fanno tutti le congratulazioni, sono sicuro che almeno tu mi compiangerai”.

Il segreto di tale costante capacità è a sua volta paradossalmente possibile non nonostante la fermezza delle sue convinzioni, ma in virtù di esse, della sua amicizia con Dio, che lo faceva respirare la vastità di una grandezza che non dipendeva da lui: come notò lo scrittore e suo ammiratore Gilbert K. Chesterton, “tanto egli era strenuo patrono di libertà spirituale, altrettanto era convinto che dovesse esserci qualcuno, o qualcosa, a disciplinarla, e non gli passava per la testa di poter essere lui questo qualcuno”. Questo lo rendeva e lo rende scomodo, sorridentemente e salutarmente scomodo per chi lo legge o a lui intende richiamarsi, visto che, sempre nelle parole di Chesterton “è facile, a volte, donare il proprio sangue alla patria e ancora più facile donarle del denaro. Talvolta è più difficile donarle la verità”.

Il foglio: Edoardo Rialti | 24 Ottobre 2012 

Nasce Demo.s

Nasce Demo.S (Democrazia solidale), associazione politica che vede tra i primi firmatari i deputati Lorenzo Dellai, Federico Fauttilli, Gian Luigi Gigli, Mario Marazziti, Fucsia Nissoli, Gaetano Piepoli, Milena Santerini, Mario Sberna, il senatore Lucio Romano, il viceministro Andrea Olivero e il sottosegretario Mario Giro. Nel documento di nascita, si legge in una nota, il progetto è fondato su tre elementi "legati alla nostra identità e al nostro percorso: un impegno politico ispirato dal cattolicesimo democratico; un'idea comunitaria e non individualista della democrazia; un modello di autonomie responsabile e solidale, filo conduttore di una Italia unita ma plurale". "La forzata contrapposizione tra 'la gente' e 'il Palazzo' ci pare ambigua; non vogliamo essere né populisti né tecnocratici, ma tesi a costruire un costante dialogo tra una cultura politica fondata sul bene comune e le necessità di singoli e gruppi", si legge nella nota dell'assocazione nella quale confluiscono diversi ex esponenti di Scelta civica. "La via per riavvicinare 'gente' e 'Palazzo' passa per un cambiamento di stile politico e di linguaggio, che mette al centro la necessità' della ricostruzione di un ethos nazionale comune, e per la 'lotta alle sacche di privilegi di tipo corporativo, alla corruzione, all'evasione fiscale, al potere delle forti burocrazie, all'inerzia della consuetudine". E' forte l'attenzione sociale e valoriale, come nelle biografie dei promotori: rilievo al welfare, alla famiglia come nucleo fondamentale della società e chance, senza contrapposizioni con la crescita dei diritti civili, all'istruzione come chiave dello sviluppo, alla vita dal concepimento alla morte naturale, alla nuova cittadinanza, al lavoro dei giovani senza contrapposizione tra le generazioni. Quanto a Governo e alleanze, "il sostegno al Governo Renzi in questa legislatura è importante e deve proseguire. Ma non basta: le speranze di rinnovamento e di rilancio del Paese possono trovare terreno fertile in una alleanza con il Pd, mentre ogni disegno alternativo è oggi connotato da incertezze e ambiguità. Nessuno può sapere come si articolerà la competizione politica e come cambierà la forma dei partiti attuali in futuro. Ma in questa fase storica, serve tale alleanza che si proietti verso le prossime importanti scadenze elettorali, iniziando dalle regionali".

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...