giovedì 30 ottobre 2014

Come una chioccia

Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!

(Lc 13, 31-35)

Papa Francesco all'incontro mondiale dei movimenti popolari



Questo incontro dei Movimenti Popolari è un segno, un grande segno: siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio. I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa!
Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani assistenziali o soluzioni che non arrivano mai, o che, se arrivano, lo fanno in modo tale da andare nella direzione o di anestetizzare o di addomesticare, questo è piuttosto pericoloso. Voi sentite che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare.
Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma una parola è molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose, la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a trasformare. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari.
Questo nostro incontro non risponde a un’ideologia. Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà come quelle che ho menzionato e molte altre che mi avete raccontato. Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce che, in generale, si ascolta poco. Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel regno dell’idea, è un mio progetto.
Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali: Gesù le definirebbe ipocrite. Che bello invece quando vediamo in movimento popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio.
Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa. Mi soffermo un po’ su ognuno di essi perché li avete scelti come parola d’ordine per questo incontro.
Terra. All’inizio della creazione, Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla. Vedo che qui ci sono decine di contadini e di contadine e voglio felicitarmi con loro perché custodiscono la terra, la coltivano e lo fanno in comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di tanti fratelli contadini che soffrono per questo motivo e non per guerre o disastri naturali. L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo peculiare stile di vita in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione.
L’altra dimensione del processo già globale è la fame. Quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile. So che alcuni di voi chiedono una riforma agraria per risolvere alcuni di questi problemi e, lasciatemi dire che in certi paesi, e qui cito il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, “la riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale” (CDSC, 300).
Non lo dico solo io, ma sta scritto nel compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Per favore, continuate a lottare per la dignità della famiglia rurale, per l’acqua, per la vita e affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra.
Secondo, Casa. L’ho già detto e lo ripeto: una casa per ogni famiglia. Non bisogna mai dimenticare che Gesù nacque in una stalla perché negli alloggi non c’era posto, che la sua famiglia dovette abbandonare la propria casa e fuggire in Egitto, perseguitata da Erode. Oggi ci sono tante famiglie senza casa, o perché non l’hanno mai avuta o perché l’hanno persa per diversi motivi. Famiglia e casa vanno di pari passo! Ma un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione comunitaria: il quartiere ed è proprio nel quartiere che s’inizia a costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è più immediato, dalla convivenza col vicinato. Oggi viviamo in immense città che si mostrano moderne, orgogliose e addirittura vanitose. Città che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini, e li si chiama, elegantemente, “persone senza fissa dimora”. È curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi. Non si dicono le parole con precisione, e la realtà si cerca nell’eufemismo. Una persona, una persona segregata, una persona accantonata, una persona che sta soffrendo per la miseria, per la fame, è una persona senza fissa dimora; espressione elegante, no? Voi cercate sempre; potrei sbagliarmi in qualche caso, ma in generale dietro un eufemismo c’è un delitto.
Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie. Quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi.
Sapete che nei quartieri popolari dove molti di voi vivono sussistono valori ormai dimenticati nei centri arricchiti. Questi insediamenti sono benedetti da una ricca cultura popolare, lì lo spazio pubblico non è un mero luogo di transito ma un’estensione della propria casa, un luogo dove generare vincoli con il vicinato. Quanto sono belle le città che superano la sfiducia malsana e che integrano i diversi e fanno di questa integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Quanto sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che uniscono, relazionano, favoriscono il riconoscimento dell’altro! Perciò né sradicamento né emarginazione: bisogna seguire la linea dell’integrazione urbana! Questa parola deve sostituire completamente la parola sradicamento, ora, ma anche quei progetti che intendono riverniciare i quartieri poveri, abbellire le periferie e “truccare” le ferite sociali invece di curarle promuovendo un’integrazione autentica e rispettosa. È una sorta di architettura di facciata, no? E va in questa direzione. Continuiamo a lavorare affinché tutte le famiglie abbiano una casa e affinché tutti i quartieri abbiano un’infrastruttura adeguata (fognature, luce, gas, asfalto, e continuo: scuole, ospedali, pronto soccorso, circoli sportivi e tutte le cose che creano vincoli e uniscono, accesso alla salute — l’ho già detto — all’educazione e alla sicurezza della proprietà.
Terzo, Lavoro. Non esiste peggiore povertà materiale — mi preme sottolinearlo — di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti lavorativi non sono inevitabili, sono il risultato di una previa opzione sociale, di un sistema economico che mette i benefici al di sopra dell’uomo, se il beneficio è economico, al di sopra dell’umanità o al di sopra dell’uomo, sono effetti di una cultura dello scarto che considera l’essere umano di per sé come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare.
Oggi al fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione si somma una nuova dimensione, una sfumatura grafica e dura dell’ingiustizia sociale; quelli che non si possono integrare, gli esclusi sono scarti, “eccedenze”. Questa è la cultura dello scarto, e su questo punto vorrei aggiungere qualcosa che non ho qui scritto, ma che mi è venuta in mente ora. Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il denominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori.
E per illustrarlo ricordo qui un insegnamento dell’anno 1200 circa. Un rabbino ebreo spiegava ai suoi fedeli la storia della torre di Babele e allora raccontava come, per costruire quella torre di Babele, bisognava fare un grande sforzo, bisognava fabbricare i mattoni, e per fabbricare i mattoni bisognava fare il fango e portare la paglia, e mescolare il fango con la paglia, poi tagliarlo in quadrati, poi farlo seccare, poi cuocerlo, e quando i mattoni erano cotti e freddi, portarli su per costruire la torre.
Se cadeva un mattone — era costato tanto con tutto quel lavoro —, era quasi una tragedia nazionale. Colui che l’aveva lasciato cadere veniva punito o cacciato, o non so che cosa gli facevano, ma se cadeva un operaio non succedeva nulla. Questo accade quando la persona è al servizio del dio denaro; e lo raccontava un rabbino ebreo nell’anno 1200, spiegando queste cose orribili.
Per quanto riguarda lo scarto dobbiamo anche essere un po’ attenti a quanto accade nella nostra società. Sto ripetendo cose che ho detto e che stanno nella Evangelii gaudium. Oggi si scartano i bambini perché il tasso di natalità in molti paesi della terra è diminuito o si scartano i bambini per mancanza di cibo o perché vengono uccisi prima di nascere; scarto di bambini.
Si scartano gli anziani perché non servono, non producono; né bambini né anziani producono, allora con sistemi più o meno sofisticati li si abbandona lentamente, e ora, poiché in questa crisi occorre recuperare un certo equilibrio, stiamo assistendo a un terzo scarto molto doloroso: lo scarto dei giovani. Milioni di giovani — non dico la cifra perché non la conosco esattamente e quella che ho letto mi sembra un po’ esagerata — milioni di giovani sono scartati dal lavoro, disoccupati.
Nei paesi europei, e queste sì sono statistiche molto chiare, qui in Italia, i giovani disoccupati sono un po’ più del quaranta per cento; sapete cosa significa quaranta per cento di giovani, un’intera generazione, annullare un’intera generazione per mantenere l’equilibrio. In un altro paese europeo sta superando il cinquanta per cento, e in quello stesso paese del cinquanta per cento, nel sud è il sessanta per cento. Sono cifre chiare, ossia dello scarto. Scarto di bambini, scarto di anziani, che non producono, e dobbiamo sacrificare una generazione di giovani, scarto di giovani, per poter mantenere e riequilibrare un sistema nel quale al centro c’è il dio denaro e non la persona umana.
Nonostante questa cultura dello scarto, questa cultura delle eccedenze, molti di voi, lavoratori esclusi, eccedenze per questo sistema, avete inventato il vostro lavoro con tutto ciò che sembrava non poter essere più utilizzato ma voi con la vostra abilità artigianale, che vi ha dato Dio, con la vostra ricerca, con la vostra solidarietà, con il vostro lavoro comunitario, con la vostra economia popolare, ci siete riusciti e ci state riuscendo... E, lasciatemelo dire, questo, oltre che lavoro, è poesia! Grazie.
Già ora, ogni lavoratore, faccia parte o meno del sistema formale del lavoro stipendiato, ha diritto a una remunerazione degna, alla sicurezza sociale e a una copertura pensionistica. Qui ci sono cartoneros, riciclatori, venditori ambulanti, sarti, artigiani, pescatori, contadini, muratori, minatori, operai di imprese recuperate, membri di cooperative di ogni tipo e persone che svolgono mestieri più comuni, che sono esclusi dai diritti dei lavoratori, ai quali viene negata la possibilità di avere un sindacato, che non hanno un’entrata adeguata e stabile. Oggi voglio unire la mia voce alla loro e accompagnarli nella lotta.
In questo incontro avete parlato anche di Pace ed Ecologia. È logico: non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distruggiamo il pianeta. Sono temi così importanti che i popoli e le loro organizzazioni di base non possono non affrontare. Non possono restare solo nelle mani dei dirigenti politici. Tutti i popoli della terra, tutti gli uomini e le donne di buona volontà, tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di questi due preziosi doni: la pace e la natura. La sorella madre terra, come la chiamava san Francesco d’Assisi.
Poco fa ho detto, e lo ripeto, che stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate. Quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, care sorelle e cari fratelli, si leva in ogni parte della terra, in ogni popolo, in ogni cuore e nei movimenti popolari, il grido della pace: Mai più la guerra!
Un sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di saccheggiare la natura, saccheggiare la natura per sostenere il ritmo frenetico di consumo che gli è proprio. Il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, la deforestazione stanno già mostrando i loro effetti devastanti nelle grandi catastrofi a cui assistiamo, e a soffrire di più siete voi, gli umili, voi che vivete vicino alle coste in abitazioni precarie o che siete tanto vulnerabili economicamente da perdere tutto di fronte a un disastro naturale. Fratelli e sorelle: il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere; e ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi. Il creato è un dono, è un regalo, un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché ce ne prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con rispetto e gratitudine. Forse sapete che sto preparando un’enciclica sull’Ecologia: siate certi che le vostre preoccupazioni saranno presenti in essa. Ringrazio, approfitto per ringraziare per la lettera che mi hanno fatto pervenire i membri della Vía Campesina, la Federazione dei Cartoneros e tanti altri fratelli a riguardo.
Parliamo di terra, di lavoro, di casa. Parliamo di lavorare per la pace e di prendersi cura della natura. Ma perché allora ci abituiamo a vedere come si distrugge il lavoro dignitoso, si sfrattano tante famiglie, si cacciano i contadini, si fa la guerra e si abusa della natura? Perché in questo sistema l’uomo, la persona umana è stata tolta dal centro ed è stata sostituita da un’altra cosa. Perché si rende un culto idolatrico al denaro. Perché si è globalizzata l’indifferenza! Si è globalizzata l’indifferenza: cosa importa a me di quello che succede agli altri finché difendo ciò che è mio? Perché il mondo si è dimenticato di Dio, che è Padre; è diventato orfano perché ha accantonato Dio.
Alcuni di voi hanno detto: questo sistema non si sopporta più. Dobbiamo cambiarlo, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno. Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati, cercando sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un livello superiore di unità, di pace e di giustizia. Noi cristiani abbiamo qualcosa di molto bello, una linea di azione, un programma, potremmo dire, rivoluzionario. Vi raccomando vivamente di leggerlo, di leggere le beatitudini che sono contenute nel capitolo 5 di san Matteo e 6 di san Luca (cfr. Matteo, 5, 3 e Luca, 6, 20), e di leggere il passo di Matteo 25. L’ho detto ai giovani a Rio de Janeiro, in queste due cose hanno il programma di azione.
So che tra di voi ci sono persone di diverse religioni, mestieri, idee, culture, paesi e continenti. Oggi state praticando qui la cultura dell’incontro, così diversa dalla xenofobia, dalla discriminazione e dall’intolleranza che tanto spesso vediamo. Tra gli esclusi si produce questo incontro di culture dove l’insieme non annulla la particolarità, l’insieme non annulla la particolarità. Perciò a me piace l’immagine del poliedro, una figura geometrica con molte facce diverse. Il poliedro riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso conservano l’originalità. Nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina, tutto si integra, tutto si integra. Oggi state anche cercando la sintesi tra il locale e il globale. So che lavorate ogni giorno in cose vicine, concrete, nel vostro territorio, nel vostro quartiere, nel vostro posto di lavoro: vi invito anche a continuare a cercare questa prospettiva più ampia; che i vostri sogni volino alto e abbraccino il tutto!
Perciò mi sembra importante la proposta, di cui alcuni di voi mi hanno parlato, che questi movimenti, queste esperienze di solidarietà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più coordinati, s’incontrino, come avete fatto voi in questi giorni. Attenzione, non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture rigide, perciò ho detto incontrarsi, e lo è ancor meno cercare di assorbirlo, di dirigerlo o di dominarlo; i movimenti liberi hanno una propria dinamica, ma sì, dobbiamo cercare di camminare insieme. Siamo in questa sala, che è l’aula del Sinodo vecchio, ora ce n’è una nuova, e sinodo vuol dire proprio “camminare insieme”: che questo sia un simbolo del processo che avete iniziato e che state portando avanti!
I movimenti popolari esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie, tante volte dirottate da innumerevoli fattori. È impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione come protagoniste delle grandi maggioranze e questo protagonismo trascende i procedimenti logici della democrazia formale. La prospettiva di un mondo di pace e di giustizia durature ci chiede di superare l’assistenzialismo paternalista, esige da noi che creiamo nuove forme di partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune. E ciò con animo costruttivo, senza risentimento, con amore.
Vi accompagno di cuore in questo cammino. Diciamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro.
Cari fratelli e sorelle: continuate con la vostra lotta, fate bene a tutti noi. È come una benedizione di umanità. Vi lascio come ricordo, come regalo e con la mia benedizione, alcuni rosari che hanno fabbricato artigiani, cartoneros e lavoratori dell’economia popolare dell’America Latina.
E accompagnandovi prego per voi, prego con voi e desidero chiedere a Dio Padre di accompagnarvi e di benedirvi, di colmarvi del suo amore e di accompagnarvi nel cammino, dandovi abbondantemente quella forza che ci mantiene in piedi: questa forza è la speranza, la speranza che non delude. Grazie.

28 ottobre 2014                                                                    Papa Francesco

giovedì 16 ottobre 2014

Perché gli uomini dovrebbero amare la chiesa?


Perché gli uomini dovrebbero amare la chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare. / E’ gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri. / Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli. / Essi cercano sempre d’evadere / Dal buio esterno e interiore / Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono”.

T. S. Eliot, “Cori da ‘La rocca’”

"Ottomila Comuni sono troppi"

Gian Maria De Francesco per “il Giornale


All'audizione presso la commissione di Vigilanza sull'anagrafe tributaria ieri s'è presentato con un trolley in mano, quasi a voler simboleggiare il suo destino di prossimo partente. Perché forse Carlo Cottarelli sarebbe rimasto volentieri a occuparsi di spending review (e non solo per lo stipendio di 250mila euro annui), ma il premier Matteo Renzi lo ha messo alla porta rispedendolo a Washington, lì da dov'era venuto, al Fondo monetario internazionale.

«Non vado via, resto fino al 31 ottobre e comunque sono soddisfatto del lavoro», ha detto. Frasi di circostanza. Interpellato da deputati e senatori, infatti, ha sibilato alcune sentenze che suonano come una bocciatura delle scelte del governo. «Ottomila Comuni sono troppi, bisognerebbe pensare a una riduzione che renda più facile il coordinamento», ha sottolineato rimarcando la necessità di prevedere «un meccanismo premiale per i Comuni che si mettono assieme».

Il tema della riduzione delle amministrazioni locali è stato trattato nelle fasi iniziali della spending review con Palazzo Chigi, «ma poi non si è più tornati sull'argomento», ha aggiunto. Una stoccata al premier che molto spesso rivendica il suo passato da sindaco come palestra per la lotta agli sprechi. E ricordare che i Comuni sono troppi non è sicuramente casuale nel momento in cui la legge di Stabilità accantona la riduzione delle municipalizzate.

Con eleganza Cottarelli ha inoltre ribadito che i tagli di spesa che saranno inseriti nella legge di Stabilità non sono figli di valutazioni tecniche, ma estemporanei. Se il disegno fosse stato organico, si sarebbero toccate quelle voci di spesa come i piccoli Comuni che, allo stato attuale, non hanno più ragion d'essere. Ma, come disse Renzi, la spending è «politica» e così non se n'è fatto nulla.

Analogamente, anche il capitolo dei fabbisogni standard (cioè la rimodulazione degli acquisti di beni e servizi su criteri di economicità e di dimensione di ciascuna amministrazione) lascia un po' a desiderare. «Penso che già nel 2015 sarà possibile usare i fabbisogni standard per la ripartizione di almeno una parte del fondo di solidarietà dei Comuni e credo che la legge di Stabilità dirà qualcosa in questo senso».

Cos'altro avrebbe potuto dire di più Cottarelli per far capire che la manovra non è impostata su una revisione organica della spesa, ma su criteri estemporanei? Ad esempio, il taglio da 4 miliardi ipotizzato sugli acquisti di ministeri, Regioni e Comuni non appare, al momento, coordinato con l'utilizzo di Consip come unica centrale acquisti dello Stato. Proprio il commissario uscente aveva voluto inviare duecento lettere di messa in mora agli enti che compravano senza badare a spese.


Cottarelli è stato puntuale, come al solito, nell'elencare i «bachi» del sistema operativo della pubblica amministrazione. «Bisogna evitare di pensare che tutte le spese siano buone», ha rilevato ricordando che anche «sulle spese per Information & Communication Technology (Ict) c'è incertezza: per la Ragioneria sono pari a 3 miliardi, secondo altre stime arrivano intorno ai 5,5 miliardi».

Il suo lavoro l'aveva portato a termine, anche se il pubblico ricorderà Cottarelli per l'impegno nella riduzione delle auto blu o per la proposta di spegnere l'illuminazione pubblica inutile nelle città. La sintesi l'ha fatta il capogruppo di Fi alla Camera, Renato Brunetta: «Il governo non ha la forza di approvare queste misure e pertanto scatteranno gli aumenti delle imposte indirette». Il lascito di Cottarelli, purtroppo, è questo.


lunedì 13 ottobre 2014

La sfera e la croce

La pagina che segue è tratta dal prologo de “La sfera e la croce”, in cui dialogano un anziano monaco, Michele, e Lucifero stesso. La riporto qui per comodità:

«Come ti stavo dicendo» seguitò Michele «anche quell'uomo aveva adottato l'opinione che il segno del Cristianesimo fosse un simbolo di barbarie e di irragionevolezza. È una storia assai interessante. Ed è una perfetta allegoria di ciò che accade ai razionalisti come te. Egli cominciò, naturalmente, col bandire il crocefisso da casa sua, dal collo della sua donna, perfino dai quadri. Diceva, come tu dici, che era una forma arbitraria e fantastica, una mostruosità; e che la si amava soltanto perché era paradossale. Poi diventò ancora più furioso, ancora più eccentrico; e avrebbe voluto abbattere le croci che si innalzavano lungo le strade del suo paese, che era un paese cattolico romano. Finalmente, si arrampicò sopra il campanile di una chiesa, ne strappò la croce e l'agitò nell'aria in un tragico soliloquio sotto le stelle. Una sera d'estate, mentre ritornava lungo un viale, a casa sua, il demone della sua follia lo ghermì di botto, gittandolo in quel delirio che trasfigura il mondo agli occhi dell'insensato. Si era fermato per un momento, fumando la sua pipa di fronte a una lunghissima palizzata: e fu allora che i suoi occhi si spalancarono improvvisamente. Non brillava una luce, non si muoveva una foglia; ma egli credette di vedere, come in un fulmineo cambiamento di scena, la lunga palizzata tramutata in un esercito di croci, legate l'una all'altra, su per la collina, giù per la valle. Allora, facendo volteggiare nell'aria il suo pesante bastone, egli mosse contro la palizzata, come contro una schiera di nemici. E, per quanto era lunga la strada, spezzò, strappò, sradicò tutte quelle assi che incontrava sul suo cammino. Egli odiava la croce ed ogni palo era per lui una croce. Quando arrivò a casa era pazzo da legare. Si lasciò cadere sopra una sedia, ma rimbalzò subito in piedi perché sul pavimento scorgeva l'intollerabile immagine. Si buttò sopra un letto; ma tutte le cose che lo circondavano avevano ormai l'aspetto del simbolo maledetto. Distrusse tutti i suoi mobili, appiccò il fuoco alla casa, perché anche questa era ormai fatta di croci; e l'indomani lo trovarono nel fiume».
Lucifero guardò il vecchio monaco mordendosi le labbra. «È vera questa storia?»
«No» disse Michele «è una parabola: la parabola di tutti voi razionalisti e di te stesso. Cominciate con lo spezzare la croce, ma finite col distruggere il mondo abitabile. Tu hai detto che nessuno deve entrare nella Chiesa contro la sua volontà e un minuto dopo dici che nessuno ha la volontà di entrarvi. Sostieni che non è mai esistito l'Eden, e il giorno dopo affermi che non esiste l'Irlanda. Cominci con l'odiare l'irrazionale e arrivi a detestare ogni cosa, perché tutto è irrazionale». (da La sfera e la croce, Piemme 1991, 20-22)

RELATIO POST DISCEPTATIONEM

SINODO, 13.10.2014, TESTO INTEGRALE DELLA "RELATIO POST DISCEPTATIONEM"

Relazione del Relatore generale, Card. Péter Erdő

Introduzione

1. Nella veglia di preghiera celebrata in Piazza San Pietro Sabato 4 Ottobre 2014 in preparazione al Sinodo sulla famiglia Papa Francesco ha evocato in maniera semplice e concreta la centralità dell’esperienza familiare nella vita di tutti, esprimendosi così: "Scende ormai la sera sulla nostra assemblea. È l’ora in cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto. È anche l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore; in quante case è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore – la sapienza stessa – della vita [...] Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera, una preghiera per tutti".

2. Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite, la famiglia è veramente "scuola di umanità" ("Familia schola quaedam uberioris humanitatis est": Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, 52), di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del "villaggio globale", il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la necessità che la Chiesa annunci senza sosta e con convinzione profonda quel "Vangelo della famiglia" che le è stato affidato con la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo.

3. Sulla realtà della famiglia, decisiva e preziosa, il Vescovo di Roma ha chiamato a riflettere il Sinodo dei Vescovi nella sua Assemblea Generale Straordinaria dell’ottobre 2014, per approfondire poi la riflessione nell’Assemblea Generale Ordinaria che si terrà nell’ottobre 2015, oltre che nell’intero anno che intercorre fra i due eventi sinodali. "Già il convenire in unum attorno al Vescovo di Roma è evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale": così Papa Francesco ha descritto l’esperienza sinodale, indicandone i compiti nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue.

4. Alla luce dello stesso discorso abbiamo raccolto i risultati delle nostre riflessioni e dei nostri dialoghi nelle seguenti tre parti: l’ascolto, per guardare alla realtà della famiglia oggi, nella complessità delle sue luci e delle sue ombre; lo sguardo fisso sul Cristo per ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo quanto la rivelazione, trasmessa nella fede della Chiesa, ci dice sulla bellezza e sulla dignità della famiglia; il confronto alla luce del Signore Gesù per discernere le vie con cui rinnovare la Chiesa e la società nel loro impegno per la famiglia.

Prima parte
L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia

Il contesto socio-culturale

5. Il cambiamento antropologico-culturale oggi influenza tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato, capace di cogliere le forme positive della libertà individuale. Va rilevato anche il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un'isola, facendo prevalere, in certi casi, l'idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto.

6. La più grande prova per le famiglie del nostro tempo è spesso la solitudine, che distrugge e provoca una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso finisce per schiacciarle. Così è per la crescente precarietà lavorativa che è vissuta talvolta come un vero incubo, o a motivo di una fiscalità troppo pesante che certo non incoraggia i giovani al matrimonio.

7. Ci sono contesti culturali e religiosi che pongono sfide particolari. Nelle società africane vige ancora la pratica della poligamia e in alcuni contesti tradizionali la consuetudine del "matrimonio per tappe". In altri contesti permane la pratica dei matrimoni combinati. Nei paesi in cui la religione cattolica è minoritaria sono numerosi i matrimoni misti con tutte le difficoltà che comportano in ordine alla configurazione giuridica, all'educazione dei figli e al reciproco rispetto dal punto di vista della libertà religiosa, ma anche con le grandi potenzialità di incontro nella diversità della fede che queste storie di vita familiare presentano. In molti contesti, e non solo occidentali, si va diffondendo ampiamente la prassi della convivenza che precede il matrimonio o anche di convivenze non orientate ad assumere la forma di un vincolo istituzionale.

8. Molti sono i bambini che nascono fuori dal matrimonio, specie in alcuni paesi, e molti quelli che poi crescono con uno solo dei genitori o in un contesto familiare allargato o ricostituito. Il numero dei divorzi è crescente e non è raro il caso di scelte determinate unicamente da fattori di ordine economico. La condizione della donna ha ancora bisogno di essere difesa e promossa poiché si registrano non poche situazioni di violenza all'interno delle famiglie. I bambini spesso sono oggetto di contesa tra i genitori e i figli sono le vere vittime delle lacerazioni familiari. Anche le società attraversate dalla violenza a causa della guerra, del terrorismo o della presenza della criminalità organizzata, vedono situazioni familiari deteriorate. Le migrazioni inoltre rappresentano un altro segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto il carico di conseguenze sulla vita familiare.

La rilevanza della vita affettiva

9. A fronte del quadro sociale delineato si riscontra nei singoli un maggiore bisogno di prendersi cura della propria persona, di conoscersi interiormente, di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti, di cercare una qualità relazionale nella vita affettiva. Allo stesso modo si può riscontrare un diffuso desiderio di famiglia che si accompagna alla ricerca di se stessi. Ma come coltivare e sostenere questa tensione alla cura di se stessi e questo desiderio di famiglia? Qui vi è una grande sfida anche per la Chiesa. Il pericolo individualista e il rischio di vivere in chiave egoistica sono rilevanti.

10. Il mondo attuale sembra valorizzare una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi. Di fatto, la questione della fragilità affettiva è di grande attualità: una affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità. In questo contesto, le coppie sono talvolta incerte, esitanti e faticano a trovare i modi per crescere. Molti sono quelli che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale. La crisi della coppia destabilizza la famiglia e può arrivare attraverso le separazioni e i divorzi a produrre serie conseguenze sugli adulti, i figli e la società, indebolendo l’individuo e i legami sociali. Anche il calo demografico non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire.

Le sfide pastorali

11. In questo contesto la Chiesa avverte la necessità di dire una parola di speranza e di senso. Occorre muovere dalla convinzione che l’uomo viene da Dio e che, pertanto, una riflessione capace di riproporre le grandi domande sul significato dell’essere uomini, possa trovare un terreno fertile nelle attese più profonde dell’umanità. I grandi valori del matrimonio e della famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l’esistenza umana anche in un tempo segnato dall’individualismo e dall’edonismo. Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche di chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Questo esige che la dottrina della fede, da far conoscere sempre di più nei suoi contenuti fondamentali, vada proposta insieme alla misericordia.

II Parte
Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia

Lo sguardo su Gesù e la gradualità nella storia della salvezza

12. Al fine di «verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto [...] Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate» (Papa Francesco, Discorso del 4 ottobre 2014). Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio.

13. Dal momento che l’ordine della creazione è determinato dall’orientamento a Cristo, occorre distinguere senza separare i diversi gradi mediante i quali Dio comunica all’umanità la grazia dell’alleanza. In ragione della legge della gradualità (cf. Familiaris Consortio, 34), propria della pedagogia divina, si tratta di leggere in termini di continuità e novità l’alleanza nuziale, nell’ordine della creazione e in quello della redenzione.

14. Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur comprendendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). In tal modo, Egli mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, orientandolo verso il suo principio, non senza passare attraverso la croce.

La famiglia nel disegno salvifico di Dio

15. Poiché, con l’impegno della reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono fedeltà e apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante l’aiuto della grazia del sacramento. Dio consacra l’amore degli sposi e ne conferma l’indissolubilità, offrendo loro l’aiuto per vivere la fedeltà e aprirsi alla vita. Pertanto, lo sguardo della Chiesa non si volge soltanto alla coppia, ma alla famiglia.

16. Possiamo distinguere tre tappe fondamentali nel disegno divino sulla famiglia: la famiglia delle origini, quando Dio creatore istituì il matrimonio primordiale tra Adamo ed Eva, come fondamento solido della famiglia: maschio e femmina li creò (cf. Gn 1,24-31; 2,4b); la famiglia storica, ferita per il peccato (cf. Gn 3) e la famiglia redenta da Cristo (cf. Ef 5,21-32), a immagine della Santa Trinità, mistero da cui scaturisce ogni vero amore. L’alleanza sponsale, inaugurata con la creazione e rivelata nella storia tra Dio e Israele, perviene alla sua pienezza con Cristo nella Chiesa.

Il discernimento dei valori presenti nelle famiglie ferite e nelle situazioni irregolari

17. In considerazione del principio di gradualità del piano salvifico divino, ci si chiede quali possibilità siano date ai coniugi che vivono il fallimento del loro matrimonio, ovvero come sia possibile offrire loro l’aiuto di Cristo attraverso il ministero della Chiesa. A questo proposito, una significativa chiave ermeneutica proviene dall’insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale, mentre afferma che «l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica», riconosce che anche «al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica» (Lumen Gentium, 8).

18. In questa luce, vanno anzitutto ribaditi il valore e la consistenza propria del matrimonio naturale. Alcuni si domandano se sia possibile che la pienezza sacramentale del matrimonio non escluda la possibilità di riconoscere elementi positivi anche nelle forme imperfette che si trovano al di fuori di tale realtà nuziale, ad essa comunque ordinate. La dottrina dei gradi di comunione, formulata dal Concilio Vaticano II, conferma la visione di un modo articolato di partecipare al Mysterium Ecclesiae da parte dei battezzati.

19. Nella medesima prospettiva, che potremmo dire inclusiva, il Concilio dischiude anche l’orizzonte in cui si apprezzano gli elementi positivi presenti nelle altre religioni (cf. Nostra Aetate, 2) e culture, nonostante i loro limiti e le loro insufficienze (cf. Redemptoris Missio, 55). Dallo sguardo rivolto alla sapienza umana presente in esse, infatti, la Chiesa apprende come la famiglia venga considerata universalmente forma necessaria e feconda di convivenza umana. In tal senso, l’ordine della creazione, in cui affonda le radici la visione cristiana della famiglia, si dispiega a livello storico, nelle diverse espressioni culturali e geografiche.

20. Rendendosi dunque necessario un discernimento spirituale, riguardo alle convivenze e ai matrimoni civili e ai divorziati risposati, compete alla Chiesa di riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali. Seguendo lo sguardo ampio di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; cf. Gaudium et Spes, 22), la Chiesa si volge con rispetto a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto e imperfetto, apprezzando più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze.

Verità e bellezza della famiglia e misericordia

21. Il Vangelo della famiglia, mentre risplende grazie alla testimonianza di tante famiglie che vivono con coerenza la fedeltà al sacramento, con i loro frutti maturi di autentica santità quotidiana nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e domandano di non essere trascurati.

22. In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna, consiste nel cogliere la realtà dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, anche delle convivenze. Infatti, quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di resistere nelle prove, può essere vista come un germe da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. Molto spesso invece la convivenza si stabilisce non in vista di un possibile futuro matrimonio, ma senza alcuna intenzione di stabilire un rapporto istituzionale.

23. Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta.

III Parte
Il confronto: prospettive pastorali

Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti

24. Il dialogo sinodale ha permesso di convenire su alcune istanze pastorali più urgenti da affidare alla concretizzazione nelle singole Chiese locali, nella comunione cum Petro et sub Petro.

25. L’annunzio del Vangelo della famiglia costituisce un’urgenza per la nuova evangelizzazione. La Chiesa deve attuarlo con tenerezza di madre e chiarezza di maestra (cf. Ef 4,15), in fedeltà alla kenosi misericordiosa del Cristo. La verità si incarna nella fragilità umana non per condannarla, ma per guarirla.

26. Evangelizzare è responsabilità condivisa di tutto il popolo di Dio, ognuno secondo il proprio ministero e carisma. Senza la testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie, l’annunzio, anche se corretto, rischia di essere incompreso o di affogare nel mare di parole che caratterizza la nostra società (cf. Novo Millennio Ineunte, 50). I Padri sinodali hanno più volte sottolineato che le famiglie cattoliche sono chiamate ad essere esse stesse i soggetti attivi di tutta la pastorale familiare.

27. Decisivo sarà porre in risalto il primato della grazia, e quindi le possibilità che lo Spirito dona nel sacramento. Si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che «riempie il cuore e la vita intera», perché in Cristo siamo «liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (Evangelii Gaudium, 1). Alla luce della parabola del seminatore (cf. Mt 13, 3), il nostro compito è di cooperare nella semina: il resto è opera di Dio. Non bisogna dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione.

28. Per questo si richiede una conversione missionaria: è necessario non fermarsi ad un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone. Non va mai dimenticato che la crisi della fede ha comportato una crisi del matrimonio e della famiglia e, come conseguenza, si è interrotta spesso la trasmissione della fede dai genitori ai figli. Dinanzi ad una fede forte l’imposizione di alcune prospettive culturali che indeboliscono la famiglia e il matrimonio non ha incidenza.

29. La conversione deve essere innanzitutto quella del linguaggio perché esso risulti effettivamente significativo. L’annunzio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità e nella comunione. Non si tratta soltanto di presentare una normativa ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi anche nei paesi più secolarizzati.

30. L’indispensabile approfondimento biblico-teologico va accompagnato dal dialogo, a tutti i livelli. Molti hanno insistito su un approccio più positivo con le ricchezze contenute anche nelle diverse esperienze religiose, senza tacere sulle difficoltà. Nelle diverse realtà culturali vanno colte dapprima le possibilità e alla loro luce respinti i limiti e le radicalizzazioni.

31. Il matrimonio cristiano non può essere considerato solo come una tradizione culturale o una esigenza sociale, ma deve essere una decisione vocazionale assunta con adeguata preparazione in un itinerario di fede, con un discernimento maturo. Non si tratta di porre difficoltà e complicare i cicli di formazione, ma di andare in profondità e non accontentarsi di incontri teorici o orientamenti generali.

32. È stata concordemente richiamata la necessità di una conversione di tutta la prassi pastorale in prospettiva familiare, superando le ottiche individualistiche che ancora la caratterizzano. Per questo si è più volte insistito sul rinnovamento in questa luce della formazione dei presbiteri e degli altri operatori pastorali, mediante un maggiore coinvolgimento delle stesse famiglie.

33. Si è parimenti sottolineata la necessità di una evangelizzazione che denunzi con franchezza i fattori culturali, sociali ed economici, ad esempio l’eccessivo spazio dato alla logica del mercato, che impediscono un’autentica vita familiare, determinando discriminazioni, povertà, esclusioni, violenza. Per questo va sviluppato un dialogo e una cooperazione con le strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenuti i laici che si impegnano in ambito culturale e socio-politico.

Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio

34. La complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio. Riguardo a questa necessità i Padri sinodali sono stati concordi nel sottolineare l’esigenza di un maggiore coinvolgimento dell’intera comunità privilegiando la testimonianza delle stesse famiglie, oltre che un radicamento della preparazione al matrimonio nel cammino di iniziazione cristiana, sottolineando il nesso del matrimonio con gli altri sacramenti. Si è parimenti evidenziata la necessità di programmi specifici per la preparazione prossima al matrimonio che siano vera esperienza di partecipazione alla vita ecclesiale e approfondiscano i diversi aspetti della vita familiare.

Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale

35. I primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e delicato durante il quale le coppie crescono nella consapevolezza delle sfide e del significato del matrimonio. Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale che vada oltre la celebrazione del sacramento. Risulta di grande importanza in questa pastorale la presenza di coppie con esperienza. La parrocchia è considerata come il luogo ideale dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani. Occorre incoraggiare le coppie a un atteggiamento fondamentale di accoglienza del grande dono dei figli. Va sottolineata l’importanza della spiritualità familiare e della preghiera, incoraggiando le coppie a riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della vita spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita. Liturgie significative, pratiche devozionali e Eucaristie celebrate per le famiglie, sono state menzionate come vitali per favorire l’evangelizzazione attraverso la famiglia.

Il positivo nelle unioni civili e nelle convivenze

36. Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, delle convivenze. Occorre che nella proposta ecclesiale, pur presentando con chiarezza l’ideale, indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più a tale ideale.

37. È stato anche notato che in molti paesi un "crescente numero di coppie convivono ad experimentum, senza alcun matrimonio né canonico, né civile" (Instrumentum Laboris, 81). In Africa questo avviene specialmente nel matrimonio tradizionale, contratto fra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. Di fronte a tali situazioni, la Chiesa è chiamata ad essere "sempre la casa aperta del Padre […] dove c’è posto per ciascuno con la sua via faticosa" (Evangelii Gaudium, 47) e a venire incontro a chi sente la necessità di riprendere il suo cammino di fede, anche se non è possibile celebrare il matrimonio canonico.

38. Anche in Occidente è in continua crescita il numero di coloro che, dopo aver vissuto insieme da lungo tempo, chiedono la celebrazione del matrimonio in Chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale, contraria alle istituzioni ed agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri paesi le unioni di fatto sono molto numerose, non per motivo del rigetto dei valori cristiani sulla famiglia e sul matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è un lusso, cosicché la miseria materiale spinge a vivere in unioni di fatto. Anche in tali unioni è possibile cogliere autentici valori familiari o almeno il desiderio di essi. Occorre che l’accompagnamento pastorale parta sempre da questi aspetti positivi.

39. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza. A questo scopo è importante la testimonianza attraente di autentiche famiglie cristiane, come soggetti dell’evangelizzazione della famiglia.

Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati)

40. Nel Sinodo è risuonata chiara la necessità di scelte pastorali coraggiose. Riconfermando con forza la fedeltà al Vangelo della famiglia, i Padri sinodali, hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari, riconoscendo che esse, il più delle volte, sono più "subite" che scelte in piena libertà. Si tratta di situazioni diverse per fattori sia personali che culturali e socio-economici. Non è saggio pensare a soluzioni uniche o ispirate alla logica del "tutto o niente". Il dialogo e il confronto vissuti nel Sinodo dovranno continuare nelle Chiese locali, coinvolgendo le loro diverse componenti, in maniera che le prospettive che si sono delineate possano trovare la loro piena maturazione nel lavoro della prossima Assemblea Generale Ordinaria. La guida dello Spirito, costantemente invocato, permetterà a tutto il popolo di Dio di vivere la fedeltà al Vangelo della famiglia come misericordioso prendersi cura di tutte le situazioni di fragilità.

41. Ogni famiglia ferita va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco: «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa "arte dell’accompagnamento", perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (Evangelii Gaudium, 169).

42. Un tale discernimento è indispensabile per i separati e i divorziati. Va rispettata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione e il divorzio. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Parimenti va sempre sottolineato che è indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli: essi non possono diventare un "oggetto" da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena.

43. Diversi Padri hanno sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati il superamento della necessità della doppia sentenza conforme; la possibilità di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano; un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria. Secondo proposte autorevoli, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza alla fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio. Va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo.

44. Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di incrementare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare un sacerdote debitamente preparato che possa gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio.

45. Le persone divorziate ma non risposate vanno invitate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà.

46. Anche le situazioni dei divorziati risposati esigono un attento discernimento e un accompagnamento carico di rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza dell’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità.

47. Riguardo alla possibilità di accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, alcuni hanno argomentato a favore della disciplina attuale in forza del suo fondamento teologico, altri si sono espressi per una maggiore apertura a condizioni ben precise quando si tratta di situazioni che non possono essere sciolte senza determinare nuove ingiustizie e sofferenze. Per alcuni l’eventuale accesso ai sacramenti occorrerebbe fosse preceduto da un cammino penitenziale – sotto la responsabilità dal vescovo diocesano –, e con un impegno chiaro in favore dei figli. Si tratterebbe di una possibilità non generalizzata, frutto di un discernimento attuato caso per caso, secondo una legge di gradualità, che tenga presente la distinzione tra stato di peccato, stato di grazia e circostanze attenuanti.

48. Suggerire di limitarsi alla sola "comunione spirituale" per non pochi Padri sinodali pone alcuni interrogativi: se è possibile la comunione spirituale, perché non poter accedere a quella sacramentale? È stato perciò sollecitato un maggiore approfondimento teologico a partire dai legami tra sacramento del matrimonio e Eucaristia in rapporto alla Chiesa-sacramento. Parimenti va approfondita la dimensione morale della problematica, ascoltando e illuminando la coscienza dei coniugi.

49. Le problematiche relative ai matrimoni misti sono ritornate sovente negli interventi dei Padri sinodali. La diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese ortodosse pone in alcuni contesti problemi gravi ai quali è necessario che siano date risposte adeguate in comunione con il Papa. Lo stesso vale per i matrimoni interreligiosi.

Accogliere le persone omosessuali

50. Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?

51. La questione omosessuale ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale: si presenta quindi come un’importante sfida educativa. La Chiesa peraltro afferma che le unioni fra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna. Non è nemmeno accettabile che si vogliano esercitare pressioni sull’atteggiamento dei pastori o che organismi internazionali condizionino aiuti finanziari all’introduzione di normative ispirate all’ideologia del gender.

52. Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners. Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli.

La trasmissione della vita e la sfida della denatalità

53. Non è difficile constatare il diffondersi di una mentalità che riduce la generazione della vita a una variabile della progettazione individuale o di coppia. I fattori di ordine economico esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale, compromette il rapporto tra le generazioni e rende più incerto lo sguardo sul futuro. L’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell'amore coniugale.

54. Probabilmente anche in questo ambito occorre un linguaggio realista, che sappia partire dall'ascolto delle persone e sappia dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l'amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali, che consenta di vivere in maniera armoniosa e consapevole la comunicazione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. In questa luce va riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità.

55. Occorre perciò aiutare a vivere l'affettività, anche nel legame coniugale, come un cammino di maturazione, nella sempre più profonda accoglienza dell'altro e in una donazione sempre più piena. Va ribadita in tal senso la necessità di offrire cammini formativi che alimentino la vita coniugale e l'importanza di un laicato che offra un accompagnamento fatto di testimonianza viva. È indubbiamente di grande aiuto l’esempio di un amore fedele e profondo fatto di tenerezza, di rispetto, capace di crescere nel tempo e che nel suo concreto aprirsi alla generazione della vita fa l'esperienza di un mistero che ci trascende.

La sfida dell'educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione

56. La sfida fondamentale di fronte a cui si trovano le famiglie oggi è sicuramente quella educativa, resa più impegnativa e complessa dalla realtà culturale dell'oggi. Vanno tenute in debito conto le esigenze e le attese di famiglie capaci di testimonianza nella vita quotidiana, luoghi di crescita, di concreta ed essenziale trasmissione delle virtù che danno forma all'esistenza.

57. La Chiesa può svolgere in questo un ruolo prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall'iniziazione cristiana, attraverso comunità accoglienti. Ad essa è chiesto, oggi ancor più di ieri, nelle situazioni complesse come in quelle ordinarie, di sostenere i genitori nel loro impegno educativo, accompagnando bambini, ragazzi e giovani nella loro crescita attraverso cammini personalizzati capaci di introdurre al senso pieno della vita e di suscitare scelte e responsabilità, vissute alla luce del Vangelo.

Conclusione

58. Le riflessioni proposte, frutto del dialogo sinodale svoltosi in grande libertà e in uno stile di reciproco ascolto, intendono porre questioni e indicare prospettive che dovranno essere maturate e precisate dalla riflessione delle Chiese locali nell’anno che ci separa dall’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi prevista per l’ottobre 2015. Non si tratta di decisioni prese né di prospettive facili. Tuttavia il cammino collegiale dei vescovi e il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio sotto l’azione dello Spirito Santo potranno guidarci a trovare vie di verità e di misericordia per tutti. È l’auspicio che sin dall’inizio dei nostri lavori Papa Francesco ci ha rivolto invitandoci al coraggio della fede e all’accoglienza umile e onesta della verità nella carità.



fonte:Formiche.net
Padre Lombardi, nel briefing dell’ora di pranzo, chiosa quasi divertito: “Mai una Relatio post disceptationem aveva creato così tante discussioni”. In effetti, il testo presentato lunedì dal cardinale ungherese Péter Erdo, uomo di fama più che moderata (scuola Communio), ha creato un dibattito rompendo quell’idillio che s’era respirato nell’Aula del Sinodo. Almeno di idillio parlava la gran parte dei media.
“PAROLE MAI ECHEGGIATE NEL RECINTO DI SAN PIETRO”
Un testo fortemente aperturista su molti fronti, dalla comunione ai divorziati risposati ai matrimoni civili, fino alle convivenze e alle coppie omosessuali. “Di accoglienza parlava già il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992. La novità non è lì, ma nella segnalazione che c’è del positivo negli omosessuali e anche nelle loro unioni”, scriveva ieri sul Corriere della Sera Luigi Accattoli. Frasi, quelle riportate nella Relatio, “dette dal cardinale Martini, ma che fino a ieri non erano mai echeggiate nel recinto di San Pietro”.

“QUEL TESTO E’ INACCETTABILE”, DICONO I POLACCHI
Un punto di partenza, visto che “è impossibile dire se fioriranno o se andranno incontro a gelate e la stessa incerta previsione vale per ogni altro capitolo del lavoro sinodale”. E infatti, puntualmente, è arrivato il fuoco di sbarramento. Decine di padri sinodali hanno criticato, nello spazio riservato alla discussione libera, i passaggi più controversi e aperturisti del documento. Il presidente della conferenza episcopale polacca, mons. Stanislaw Gadecki, ha definito quel testo “inaccettabile”, in quanto “si distanzia dall’insegnamento di Giovanni Paolo II”, definito tra l’altro dallo stesso Francesco il “Papa della famiglia” durante la canonizzazione dello scorso aprile. “Pare che fino a oggi a chiesa sia stata spietata, mentre solo ora si avvia sulla strada della misericordia”, ha aggiunto Gadecki.

LA POSIZIONE DEL CARDINALE CONSERVATORE BURKE
Sulla stessa linea anche il prefetto della Segnatura apostolica, il cardinale conservatore Raymond Leo Burke, che intervistato dal Foglio chiudeva a ogni svolta d’impronta kasperiana e se la prendeva anche con i briefing della sala stampa, a suo dire pilotati e non riflettenti la reale dinamica interna all’Aula nuova, dove la componente avversa alle tesi proposte lo scorso inverno dal cardinale Walter Kasper sarebbe – a suo dire – in maggioranza. Per tutta risposta, padre Lombardi ricordava che per la prima volta ai padri era stata concessa la facoltà di rilasciare interviste, cosa ufficialmente mai accaduta nei sinodi precedenti.

I SOSPETTI DI SINODO PILOTATO
Non di briefing, ma comunque di “indirizzamento” del confronto ha parlato il cardinale sudafricano Wilfried Fox Napier, il quale ha avanzato il sospetto che “i responsabili del Sinodo non stiano facendo emergere l’opinione dell’intera assemblea, bensì di gruppi particolari”. E comunque, ha chiosato Napier, “la relatio di lunedì è il testo di Erdo, non del Sinodo”. Indice che la discussione è aperta, franca e calda. Durissimo anche il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, per il quale “la chiesa non può riconoscere le coppie omosessuali”. Müller ha anche rivendicato il diritto di “poter dire ciò che voglio”, anche se “non faccio parte della regia”.

“E’ L’ADDIO ALLA LINEA DI WOJTYLA E RATZINGER”
Una linea, quella uscita dalla relazione post discussione generale che aveva fatto discutere. Marco Politi, sul Fatto Quotidiano, constatava “un balzo in avanti inaspettato in direzione e in appoggio della linea riformista di Papa Francesco”. Ma oltre alle aperture, notava ancora il vaticanista di lungo corso, “è l’addio alla linea di Papa Wojtyla e di Papa Ratzinger. L’archiviazione di una linea che vedeva la chiesa in trincea contrapposta a un mondo ostile, impegnato – così si ripeteva alla nausea – a erodere i valori cristiani”.

TESTO EMENDABILE E MIGLIORABILE
Ora in gioco entrano i circoli minores, che già da ieri hanno iniziato a esaminare la Relatio post disceptationem al fine di apportare quelle modifiche che anche un diplomatico come il cardinale Fernando Filoni, moderatore di uno dei dieci gruppi omogenei per lingua, ritiene necessari. A ogni modo, la Segreteria generale del Sinodo ricorda che quel documento non è altro che un testo di lavoro, quindi provvisorio. E che i padri avranno il concreto potere di emendarlo e migliorarlo. Giovedì si inizierà a capire quanto edulcorato e bilanciato.

“Pace e bene”, ovvero il motto di San Francesco. E’ questo che vorrebbe scritto sulla propria tomba l’uomo che, utilizzando un’espressione poco ortodossa, ne ha “dette di tutti i colori” sulla relatio post disceptationem presentata dal relatore generale del Sinodo, il cardinale ungherese Peter Erdo. Il porporato sudafricano Wilfrid Napier, arcivescovo di Durban, francescano (“Erano le uniche persone che conoscessi a fondo”, avrebbe risposto a chi gli domandava per quale motivo fosse entrato nell’ordine fondato da San Francesco) si è rivelato come una delle anime più critiche nel corso del Sinodo straordinario sulla famiglia, ancora in corso in Vaticano. Ma chi è veramente, e cosa pensa, questo cardinale sudafricano?
Fedelissimo di Ratzinger con un occhio a Giovanni Paolo II
Classe 1941, per due volte presidente della Conferenza episcopale sudafricana, Napier è da sempre considerato come uno dei fedelissimi del cardinale Ratzinger e del cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Papa Benedetto XVI. E proprio chiamato a pronunciarsi sulla decisione della rinuncia al pontificato da parte del predecessore di Papa Francesco, Napier ha descritto Ratzinger come colui che “ha predicato il vangelo con coerenza, credibilità e sacrificio personale”. Fu, però, Giovanni Paolo II a crearlo cardinale. Un Papa, quello polacco, al quale Napier era profondamente legato tanto da ricordarlo come un “Papa che ebbe un lungo pontificato e fece molte cose positive che gettarono le basi per i Papi futuri”, esaltandone, in particolare, “il suo spirito missionario e la sua attitudine a viaggiare che ha permesso di far conoscere sempre di più il continente nero”.

Il mancato Papa nero
In occasione del conclave chiamato a scegliere il successore di Benedetto XVI, da molti giornalisti era stato indicato come uno dei possibili favoriti, qualora la scelta dei cardinali elettori si fosse orientata su un porporato proveniente dal continente africano. Una possibilità, questa, fortemente sostenuta dai bookmaker inglesi, secondo i quali il “Papa nero”, tanto atteso, avrebbe potuto essere lui (o, in alternativa, il ghanese Peter Turkson). Interrogato da alcuni giornalisti su questa possibilità, il porporato sudafricano ha risposto con una grossa risata. Ma sembra che, in realtà, questa volta gli scommettitori inglesi ci siano andati vicino. Secondo alcune ricostruzioni, infatti, il cardinale Bertone, una volta fattasi certezza l’impossibilità di far passare i propri candidati Scherer e Dolan, avrebbe proprio puntato, inutilmente, su questo porporato francescano.

Un cardinale tecnologico e sportivo
In Vaticano ma, soprattutto, in Sud Africa, è conosciuto per le sue due grandi passioni: le nuove tecnologie e lo sport. I quasi 2500 tweet e i poco più 12.500 follower dimostrano un certo attivismo su twitter del cardinale sudafricano. Di lui tutti ricordano ancora la dichiarazione rilasciata al termine di una delle congregazioni generali che hanno preceduto il conclave: “Twitter? Mi manca moltissimo, patisco l’astinenza”. E non mancò neppure di consigliare a futuro pontefice di non esagerare con l’uso di twitter per evitare il rischio di “auto-promozione”. Grande appassionato di calcio, non manca di tenersi aggiornato sui risultati della propria squadra del cuore che milita nei campionati minori inglesi, il Burnley. La passione per lo sport l’ha portato anche ad avvicinarsi al cricket, non senza però una certa dose di sfortuna: risale al 2000 infatti la rottura del tendine d’achille.

Il rapporto stretto con Mandela e gli scontri con Zuma Nelson Mandela è stato un modello per generazioni di sudafricani e anche il cardinale Napier era legato all’ex presidente sudafricano da sincero affetto e gratitudine. “Quando ho appreso della morte di Mandela, la mia prima reazione è stata di gratitudine. La gratitudine per tutto quello che Nelson Mandela ha fatto per il Sudafrica, e anche per il mondo” ha affermato Napier in un’intervista ad un quotidiano francese. “Quest’uomo era un modello. Incarnava l’umiltà e aveva grande rispetto di tutti coloro che lo circondavano”. Più controverso, invece, il rapporto con il successore Zuma accusato da Napier stesso di “non avere espresso pentimento e rimorso per i suoi continui adulteri” e di essere un cattivo modello, avendo confessato di praticare “sesso non protetto”.
Cosa pensa su pedofilia e gay
Non sono passate inosservate le sue dichiarazioni sulla pedofilia. Secondo il porporato sudafricano, infatti, la “pedofilia, per esperienza, è davvero una malattia, non è un problema criminale, ma solo una malattia”. Secondo Napier, quindi, i “pedofili non devono essere condannati come criminali e chiusi in carcere, ma devono essere semplicemente curati”. Particolarmente forti anche le sue dichiarazioni in tema di omosessualità, tanto da essere accusato di omofobia. Per il porporato sudafricano, infatti, l’omosessualità sarebbe “la nuova schiavitù odierna”, che va contro la “ragione e la rivelazione”. Parole forti, che gli sono costate parecchie critiche. Ma lui si è difeso dicendo: “Non posso essere omofobo perché non conosco nessun omosessuale”.


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Cancellato il senso del peccato; abolite le nozioni di bene e di male; soppressa la legge naturale; archiviato ogni riferimento positivo a valori quali la verginità e la castità. Con la relazione presentata il 13 ottobre 2014 al Sinodo sulla famiglia dal cardinale Péter Erdö, la rivoluzione sessuale irrompe ufficialmente nella Chiesa, con conseguenze devastanti sulle anime e sulla società.
La Relatio post disceptationem redatta dal cardinale Erdö è la relazione riassuntiva della prima settimana di lavori del Sinodo e quella che orienta le sue conclusioni. La prima parte del documento, cerca di imporre, con un linguaggio derivato dal peggior Sessantotto, il “cambiamento antropologico-culturale” della società come “sfida” per la Chiesa. Di fronte a un quadro che dalla poligamia e dal “matrimonio per tappe” africani arriva alla “prassi della convivenza” della società occidentale, la relazione riscontra l’esistenza di “un diffuso desiderio di famiglia”. Nessun elemento di valutazione morale è presente. Alla minaccia dell’individualismo e dell’egoismo individualista, il testo contrappone l’aspetto positivo della “relazionalità”, considerata un bene in sé, soprattutto quando tende a trasformarsi in rapporto stabile (nn. 9-10).
La Chiesa rinuncia ad esprimere giudizi di valore per limitarsi a “dire una parola di speranza e di senso” (n. 11). Si afferma quindi uno nuovo strabiliante principio morale, la “legge di gradualità”, che permette di cogliere elementi positivi in tutte le situazioni fin qui definite dalla Chiesa peccaminose. Il male e il peccato propriamente non esistono. Esistono solo “forme imperfette di bene” (n. 18), secondo una dottrina dei “gradi di comunione” attribuita al concilio Vaticano II. “Rendendosi dunque necessario un discernimento spirituale, riguardo alle convivenze e ai matrimoni civili e ai divorziati risposati, compete alla Chiesa di riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali” (n. 20).
Il problema dei divorziati risposati è il pretesto per far passare un principio che scardina duemila anni di morale e di fede cattolica. Seguendo la Gaudium et Spes,la Chiesa si volge con rispetto a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto e imperfetto, apprezzando più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze” (ivi). Ciò significa che cade ogni tipo di condanna morale, perché qualsiasi peccato costituisce una forma imperfetta di bene, un modo incompiuto di partecipare alla vita della Chiesa. “In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna consiste nel cogliere la realtà dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, anche delle convivenze” (n. 22).
E questo soprattuttoquando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, e connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di resistere nelle prove” (ivi). Con ciò è capovolta la dottrina della Chiesa secondo cui la stabilizzazione del peccato, attraverso il matrimonio civile costituisce un peccato più grave del’unione sessuale occasionale e passeggera, perché quest’ultima permette con più facilità di ritornare sulla retta via. “Una sensibilità nuova nella pastorale odierna consiste nel cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le dovute differenze, delle convivenze” (n. 36).
La nuova pastorale impone dunque di tacere sul male, rinunciando alla conversione del peccatore e accettando lo statu quo come irreversibile. Sono queste quelle che la relazione chiama “scelte pastorali coraggiose” (n. 40). Il coraggio, a quanto sembra, non sta nell’opporsi al male, ma nell’adeguarsi ad esso. I passaggi dedicati all’accoglienza delle persone omosessuali sono quelli che sono sembrati più scandalosi, ma sono la logica coerenza dei principi fin qui esposti. Anche l’uomo della strada capisce che se al divorziato risposato è possibile accostarsi ai sacramenti, tutto è permesso, a cominciare dallo pseudo matrimonio omosessuale.
Mai, veramente mai, sottolinea Marco Politi su “Il Fatto” del 14 ottobre, si era letta, in un documento ufficiale prodotto dalla gerarchia ecclesiastica, una frase del genere:Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”. Seguita da una domanda rivolta ai vescovi di tutto il mondo: “siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità?” (n. 50). Pur non equiparando le unioni fra persone dello stesso sesso al matrimonio fra uomo e donna, la Chiesa si propone di “elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale” (n. 51). “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners” (n. 52).
Nessuna obiezione di principio viene espressa alle adozioni di bambini da parte di coppie omosessuali: ci si limita a dire che “la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli” (ivi). Nella conferenza stampa di presentazione, mons. Bruno Forte è arrivato ad auspicare “una codificazione di diritti che possano essere garantiti a persone che vivono in unioni omosessuali”.
Le parole fulminanti di San Paolo secondo cui:né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio” (I Lettera ai Corinzi, 6, 9) perdono di senso per i giocolieri della nuova morale pansessuale. Per essi bisogna cogliere la realtà positiva di quello che fu il peccato che grida vendetta al cospetto di Dio (Catechismo di san Pio X). Alla “morale del divieto” occorre sostituire quella del dialogo e della misericordia e lo slogan del 68, “vietato vietare”, viene aggiornato dalla formula pastorale secondo cui “nulla si può condannare”.
Non cadono solo due comandamenti, il sesto e il nono, che proibiscono pensieri ed atti impuri al di fuori del matrimonio, ma scompare l’idea di un oggettivo ordine naturale e divino riassunto dal Decalogo. Non esistono atti intrinsecamente illeciti, verità e valori morali per i quali si deve essere disposti a dare anche la vita (n. 51 e n. 94), come li definisce l’enciclica Veritatis Splendor. Sul banco degli imputati non sono solo la Veritatis Splendor e i recenti pronunciamenti della Congregazione per la dottrina della Fede in materia di morale sessuale, ma lo stesso Concilio di Trento che formulò dogmaticamente la natura dei sette sacramenti, a cominciare dall’Eucarestia e dal Matrimonio.
Tutto inizia nell’ottobre 2013, quando papa Francesco, dopo aver annunciato l’indizione dei due sinodi sulla famiglia, l’ordinario e lo straordinario, promuove un “Questionario” rivolto ai vescovi di tutto il mondo. L’uso mistificatorio di sondaggi e questionari è ben noto. L’opinione pubblica crede che poiché una scelta viene fatta dalla maggior parte delle persone, deve essere quella giusta. E i sondaggi attribuiscono alla maggior parte delle persone opinioni già predeterminate dai manipolatori del consenso. Il questionario voluto da papa Francesco, ha affrontato i temi più scottanti, dalla contraccezione alla comunione ai divorziati, dalle coppie di fatto ai matrimoni tra omosessuali più a scopo orientativo che informativo.
La prima risposta pubblicata fu quella, il 3 febbraio della Conferenza Episcopale tedesca (“Il Regno Documenti”, 5 (2014), pp. 162-172) chiaramente resa nota per condizionare la preparazione del Sinodo e soprattutto per offrire al cardinale Kasper la base sociologica di cui aveva bisogno per la relazione al Concistoro che papa Francesco gli aveva affidato. Ciò che emergeva era infatti l’esplicito rifiuto da parte dei cattolici tedeschi “delle affermazioni della Chiesa sui rapporti sessuali prematrimoniali, l’omosessualità, i divorziati risposati e il controllo delle nascite” (p. 163). “Le risposte pervenute dalle diocesi – si diceva ancora - lasciano intravedere quanto è grande la distanza tra i battezzati e la dottrina ufficiale soprattutto per quanto riguarda la convivenza prematrimoniale, il controllo delle nascite e l’omosessualità” (p. 172).
Questa distanza non veniva presentata come un allontanamento dei cattolici dal Magistero della Chiesa, ma come una incapacità della Chiesa a comprendere e assecondare il corso dei tempi. Il cardinale Kasper nella sua relazione al Concistoro del 20 febbraio definirà tale distanza un “abisso”, che la Chiesa avrebbe dovuto colmare adeguandosi alla prassi dell’immoralità.
Secondo uno dei seguaci di Kasper, il sacerdote genovese Giovanni Cereti, noto per uno studio tendenzioso sul divorzio nella chiesa primitiva, il questionario è stato promosso da papa Francesco per evitare che il dibattito si svolgesse “in segrete stanze” (“Il Regno-Attualità” 6 (3014), p. 158). Ma se è vero che il Papa ha voluto che la discussione si svolgesse in maniera trasparente, non si capisce la decisione di tenere il Concistoro straordinario di febbraio e poi il Sinodo di ottobre a porte chiuse. L’unico testo di cui si è venuti a conoscenza, grazie al “Foglio”, fu la relazione del cardinale Kasper. Poi, sui lavori, è calato il silenzio.
Nel suo Diario del Concilio, il 10 novembre 1962, padre Chenu annota questa frase di don Giuseppe Dossetti, uno dei principali strateghi del fronte progressista:La battaglia efficace si gioca sulla procedura. È sempre per questa via che ho vinto”. Nelle assemblee il processo decisionale non appartiene alla maggioranza, ma alla minoranza che controlla la procedura. La democrazia non esiste nella società politica e tantomeno in quella religiosa. La democrazia nella Chiesa, ha osservato il filosofo Marcel De Corte, è cesarismo ecclesiastico, il peggiore di tutti i regimi. Nel processo sinodale in corso l’esistenza di questo cesarismo ecclesiastico è dimostrato dal clima di pesante censura che lo ha accompagnato fino ad oggi.
I più attenti vaticanisti come Sandro Magister e Marco Tosatti hanno sottolineato come, a differenza dei Sinodi precedenti, in questo è stato fatto divieto ai padri sinodali i loro interventi. Magister, ricordando la distinzione fatta da Benedetto XVI tra il Concilio Vaticano II “reale” e quello “virtuale” che ad esso si sovrappose, ha parlato di uno “sdoppiamento tra sinodo reale e sinodo virtuale, quest’ultimo costruito dai media con la sistematica enfatizzazione delle cose care allo spirito del tempo”. Oggi però sono i testi stessi del Sinodo ad imporsi con la loro forza dirompente, senza possibilità di travisamento da parte dei media che si sono mostrati addirittura stupiti dalla potenza esplosiva della Relatio del card. Erdö.
Naturalmente questo documento non ha alcun valore magisteriale. E’ anche lecito dubitare che esso rifletta il reale pensiero dei Padri sinodali. La Relatio prefigura però la Relatio Synodi, il documento conclusivo dell’assise dei vescovi.
Il vero problema che ora si porrà è quello della resistenza, annunciata dal libro Permanere nella Verità di Cristo dei cardinali Brandmüller, Burke, Caffarra, De Paolis e Müller (Cantagalli 2014). Il cardinale Burke nella sua intervista ad Alessandro Gnocchi sul “Foglio” del 14 ottobre, ha affermato che eventuali cambiamenti alla dottrina o alla prassi della Chiesa da parte del Papa sarebbero inaccettabili, “perché il Pontefice è il Vicario di Cristo sulla terra e perciò il primo servitore della verità della fede. Conoscendo l’insegnamento di Cristo, non vedo come si posa deviare da quell’insegnamento con una dichiarazione dottrinale o con una prassi pastorale che ignorino la verità”.
I vescovi e i cardinali, più ancora dei semplici fedeli, si trovano di fronte a un terribile dramma di coscienza, ben più grave di quello che dovettero affrontare nel XVI secolo i martiri inglesi. Allora infatti si trattava di disobbedire alla suprema autorità civile, il re Enrico VIII, che per un divorzio aprì lo scisma con la Chiesa romana, mentre oggi la resistenza va opposta alla suprema autorità religiosa qualora deviasse dal perenne insegnamento della Chiesa.
E chi è chiamato a resistere non sono cattolici disobbedienti o del dissenso, ma proprio coloro che più profondamente venerano l’istituzione del Papato. Allora chi resisteva era consegnato al braccio secolare, che lo destinava alla decapitazione o allo squartamento. Il braccio secolare contemporaneo applica il linciaggio morale, attraverso la pressione psicologica esercitata dai mass-media sull’opinione pubblica.
L’esito è spesso il crollo psico-fisico delle vittime, la crisi di identità, la perdita della vocazione e della fede, a meno che non si sia capaci di esercitare, con l’aiuto della grazia, la virtù eroica della fortezza. Resistere significa, in ultima analisi, riaffermare l’integrale coerenza della propria vita con la Verità immutabile di Gesù Cristo, capovolgendo la tesi di chi vorrebbe dissolvere l’eternità del Vero nella precarietà del vissuto. 
Roberto de Mattei su Il Foglio del 15-10-2014





La peggior forma di governo

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