mercoledì 18 febbraio 2015

La lista dei reati depenalizzati

Attraverso il Decreto Legislativo di attuazione della Legge delega 67/2014, varato dal Consiglio dei Ministri, è stata approvata la depenalizzazione di alcuni reati.
Ben 112 reati non faranno più andare in carcere chi li commette, ma è necessario precisare che la depenalizzazione riguarda solo tutte le infrazioni attualmente punite con la sola multa o ammenda.
Di seguito, l’elenco:
  • Abbandono di persone minori o incapaci – art. 591 co.1 c.p.
  • Abusivo esercizio di una professione – art. 348 c.p.
  • Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina – art. 571 c.p.
  • Abuso d’ufficio – art. 323 c.p.
  • Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico – art. 615 ter c.p.
  • Arbitraria invasione ed occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio – art. 508 c.p.
  • Adulterazione o contraffazione di cose in danno della pubblica salute – art. 441 c.p.
  • Appropriazione indebita – art. 646 c.p.
  • Arresto illegale – art. 606 c.p.
  • Assistenza agli associati (anche mafiosi) – art. 418 co.1 c.p.
  • Attentato a impianti di pubblica utilità – art. 420 c.p.
  • Attentati alla sicurezza dei trasporti – art. 432 c.p.
  • Atti osceni – art. 527 c.p.
  • Atti persecutori (stalking) – art. 612 bis co.1 c.p.
  • Commercio o somministrazione di medicinali guasti – art. 443 c.p.
  • Commercio di sostanze alimentari nocive – art. 444 c.p.
  • Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari – art. 517 quater c.p.
  • Corruzione di minorenne – art. 609 quinquies co.1 c.p.
  • Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi – art. 434 co.1 c.p.
  • Corruzione – art. 318 c.p.
  • Danneggiamento – art. 635 c.p.
  • Danneggiamento a seguito d’incendio – art. 423 c.p.
  • Danneggiamento seguito da inondazione, frana valanga – art. 427 co.1 c.p.
  • Danneggiamento di informazioni e programmi informatici – art. 635 bis c.p.
  • Danneggiamento di sistemi informatici o telematici – art. 635 quater c.p.
  • Detenzione di materiale pornografico – art. 600 quater c.p.
  • Deviazione di acque e modifiche dello stato dei luoghi – art. 632 c.p.
  • Diffamazione – art. 595 c.p.
  • Divieto di combattimento tra animali – art. 544 quinquies
  • Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza – artt. 392-393 c.p.
  • Evasione – art. 385 c.p.
  • Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti – art. 435 c.p.
  • False informazioni al P.M. – art. 371 bis
  • Falsità materiale del P.U. – art. 477 c.p.
  • Favoreggiamento personale – art. 378 c.p.
  • Favoreggiamento reale art. 379 c.p.
  • Frode informatica – art. 640ter co.1-2 c.p.
  • Frode in emigrazione – art. 645 co.1 c.p.
  • Frode nelle pubbliche forniture – art. 356 c.p.
  • Frode processuale – art. 374 c.p.
  • Frodi contro le industrie nazionali – art. 514 c.p.
  • Frode nell’esercizio del commercio – art. 515 c.p.
  • Furto – art. 624 c.p.
  • Gioco d’azzardo – art. 718-719 c.p.
  • Impiego dei minori nell’accattonaggio – art. 600 octies c.p.
  • Incesto – art. 564 1 co. c.p.
  • Inadempimento di contratti di pubbliche forniture – art. 355 c.p.
  • Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato – art. 316 ter c.p.
  • Ingiuria – art. 594 c.p.
  • Ingresso abusivo nel fondo altrui – art. 637 c.p.
  • Insolvenza fraudolenta – art. 641 c.p.
  • Interferenze illecite nella vita privata – art. 615 bis c.p.
  • Interruzione di pubblico servizio – art. 331 c.p.
  • Intralcio alla giustizia – art.377 c.p.
  • Introduzione nello Stato e commercio di prodotti falsi – art. 474 c.p.
  • Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui – art. 636 c.p.
  • Invasione di terreni o edifici – art. 633 c.p.
  • Istigazione a delinquere – art. 414 c.p.
  • Istigazione a disobbedire alle leggi – art. 415 c.p.
  • Lesione personale – art. 582 c.p.
  • Lesioni personali colpose – art. 590 c.p.
  • Maltrattamento di animali – art. 544 ter c.p.
  • Malversazione a danno dei privati – art. 315 c.p.
  • Malversazione a danno dello Stato – art. 316 bis c.p.
  • Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice – art. 388 c.p.
  • Manovre speculative su merci – art. 501 bis c.p.
  • Millantato credito – art. 346 c.p.
  • Minaccia – art. 612 c.p.
  • Occultamento di cadavere – art. 412 c.p.
  • Oltraggio a P.U. – art. 341 bis c.p.
  • Oltraggio a un magistrato in udienza – art. 343 c.p.
  • Omessa denuncia di reato da parte del P.U. – art. 361 c.p.
  • Omicidio colposo – art. 589 co.1 c.p.
  • Omissione di referto – art. 365 c.p.
  • Omissione di soccorso – art. 593 c.p.
  • Patrocinio o consulenza infedele – art. 380 c.p.
  • Peculato mediante profitto dell’errore altrui – art. 316 c.p.
  • Percosse – art. 581 c.p.
  • Possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi – art. 497 bis co.1. c.p.
  • Procurata evasione – art. 386 co.1
  • Procurata inosservanza di pena – art. 390 c.p.
  • Resistenza a P.U. – art. 337 c.p.
  • Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio – art. 501 c.p.
  • Rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro – art. 437 c.p.
  • Rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio – art. 326 c.p.
  • Rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale – art. 379 bis c.p.
  • Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione – art. 328 c.p.
  • Rissa – art. 588 c.p.
  • Simulazione di reato – art. 367 c.p.
  • Sostituzione di persona – art. 494 c.p.
  • Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro – art. 334 c.p.
  • Sottrazione di persone incapaci – art. 574 c.p.
  • Sottrazione e trattenimento di minori all’estero – art. 574 bis
  • Stato d’incapacità procurato mediante violenza – art. 613 c.p.
  • Traffico d’influenze illecite – art. 346 bis
  • Truffa – art. 640 c.p.
  • Turbata libertà degli incanti – art. 353
  • Turbativa violenta del possesso di cose immobili – art. 634 c.p.
  • Usurpazione di funzioni pubbliche – art. 347
  • Uccisione di animali – art. 544 bis
  • Uccisione o danneggiamento di animali altrui – art. 638 c.p.
  • Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine – art. 516 c.p.
  • Vilipendio delle tombe – art. 408 c.p.
  • Vilipendio di cadavere – art. 410 co.1 c.p.
  • Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza – art. 616 c.p.
  • Violazione di domicilio art. 614 c.p.
  • Violazione di domicilio commessa dal P.U. – art. 615 c.p.
  • Violazione di sepolcro – art. 407 c.p.
  • Violazione di sigilli art. 349 c.p.
  • Violazione degli obblighi di assistenza familiare – art. 570 c.p.
  • Violenza o minaccia a P.U. art. 336 c.p.
  • Violenza privata – art. 610 c.p.
  • Violenza o minaccia per costringere taluno a commettere un reato – art. 611 c.p.
Innanzitutto, va chiarito cosa vuol dire “depenalizzare un reato“. Depenalizzare significa ridurre un illecito penale, spesso punito con il carcere, a mero illecito amministrativo.
Con la Legge n.67 del 28 aprile 2014, il legislatore ha delegato al Governo un’ampia revisione di alcuni reati cosiddetti minori contemplati dal Codice Penale, deliberando così una vera e propria depenalizzazione degli stessi.
Assai importante, al fine di evitare sterili allarmismi, è fare alcune necessarie precisazioni.
Per reati particolarmente gravi, come l’omicidio colposo, il furto, lo stalking, la corruzione, la truffa ed il maltrattamento di animali, occorre fare riferimento alla lettera m) dell’art. 1 della Legge delega 67/2014:
escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale”.
Quindi la non punibilità, che non equivale ad una generalizzata cancellazione del reato, può conseguire, nel singolo caso concreto, a condizione che:
  • il reato astrattamente sia punibile con la pena pecuniaria o con una detentiva non superiore, nel massimo, ai cinque anni;
  • l’offesa sia particolarmente tenue;
  • il comportamento non sia abituale.  (fonte:scenacriminis.com)

giovedì 12 febbraio 2015

Se non avessi Giobbe!

« Se non avessi Giobbe! Io non lo leggo con gli occhi come si legge un altro libro, me lo metto per così dire sul cuore... Come il bambino che mette il libro sotto il cuscino per essere certo di non aver dimenticato la sua lezione quando al mattino si sveglia, così la notte mi porto a letto il libro di Giobbe. Ogni sua parola è cibo, vestimento e balsamo per la mia povera anima » (Søren Kierkegaard)

lunedì 9 febbraio 2015

L'arcivescovo e lo scrittore

Dopo la XXXVII giornata per la vita del 1° febbraio 2015
06/02/2015
Carissimi figli e figlie della nostra Chiesa particolare,
avrete visto in questi giorni che la semplice riproposizione dei temi tradizionali del Magistero della Chiesa, in particolare la condanna esplicita dell'aborto e delle sue conseguenze - e la sottolineatura, a puro livello di buon senso, che la denatalità, come ormai è ammesso dai migliori economisti del mondo, è una delle cause, se non la più grave, della crisi economica in cui il mondo intero si dibatte da anni - mi hanno dato una pubblicità inattesa, per la quale nulla è stato fatto dalla nostra Diocesi, e che ha raggiunto le più significative testate italiane e straniere. Tutto questo mi sembra confermare l'idea di uno dei miei grandi maestri, G. K. Chesterton, il quale diceva che sarebbe venuto un momento in cui "Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate". Vorrei tuttavia confidarvi che non m'interessa la posizione pubblica che la mentalità - soprattutto laicista - mi fa spesso ricoprire; ciò che desidero è infatti solo riproporre fedelmente la Dottrina della Chiesa e la possibilità di fare esperienza di quella vita nuova in cui consiste la fede. Preferisco che il mio nome sia scritto nei cieli, ed è per questo che chiedo a tutta la Diocesi di aiutarmi in questi momenti non facili, soprattutto con la preghiera.

+ Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa

domenica 8 febbraio 2015

Il peccato di presunzione di Scelta Civica

Andrea Garibaldi per il “Corriere della Sera”


Luca Cordero di Montezemolo viaggia verso la presidenza del comitato promotore delle Olimpiadi a Roma 2024. Dopo aver lasciato la presidenza Ferrari e aver assunto quella Alitalia. Nel marzo 2014 aveva abbandonato anche la presidenza di Italia Futura, la sua creatura «politica», ma si può dire che venerdì lo scivolamento dei nomi di peso di Scelta civica, il partito di Monti e di Montezemolo, verso il Pd di Matteo Renzi metta davvero la parola «fine» sulla sua avventura politica.

Che tuttavia può sempre ricominciare. La «fine politica» di Montezemolo, legata in parte a quella di Monti (più definitiva, probabilmente) è la liquefazione di una profezia. Lo ha scritto chiaro su Studio Andrea Romano, il primo deputato a lasciare Scelta Civica per Renzi: la profezia «secondo la quale dalla società civile sarebbe venuta, prima o poi, la soluzione alle magagne di una politica incapace di rinnovarsi». 

«Peccato di presunzione, mio per primo — dice Carlo Calenda, viceministro allo Sviluppo economico con Letta e Renzi, stretto collaboratore di Montezemolo in Ferrari e in Confindustria, coordinatore di Italia Futura —. La presunzione degli ottimati che raddrizzano il legno storto, che salvano i cittadini dai vizi della politica. E invece la regola prima della politica è la conquista del consenso sulla base di un’idea». Monti più di Montezemolo ha pensato che si potesse sfidare l’impopolarità in nome di scelte giuste. Montezemolo avrebbe potuto gestire meglio il consenso, di sicuro si trovava più a suo agio a sorridere, stringere mani, spiegare soluzioni. 

Ma dal 2009, data di fondazione di Italia Futura, fino alla fine del 2012 quando in campo scese Monti, Montezemolo si prestò al tormentone «si candida, non si candida», anche se ai collaboratori ha sempre confidato che preferiva fare «l’allenatore della squadra». Così come nel 2008 non ha ceduto a Berlusconi che lo voleva ministro, né sei anni più tardi ha dato la disponibilità ad entrare nel governo Renzi.

«Fu coraggioso, ai tempi di Italia Futura — ricorda Calenda — a dire a Berlusconi e a Tremonti dove sbagliavano». Fermandosi però sempre sul ciglio dell’impegno in prima persona. Nel novembre 2012 disse: «Basta stare in tribuna, mai più accetteremo di vedere l’Italia derisa e disonorata». Precisando subito: «Scendo in campo, ma non mi candido». 

«Se Montezemolo si fosse candidato? Forse sarebbero cambiate molte cose... — dice Irene Tinagli, deputata, economista, una dei motori di Italia Futura —. Certo è che ora Renzi ha fatto proprie molte delle idee e proposte di Scelta Civica e di Italia Futura. Abbiamo passato l’ultimo anno a lavorare con Renzi, a difendere le proposte di Ichino riprese nel Jobs act, arginando le minoranze del Pd. Renzi si è appropriato del nostro programma...». 
 

Guai a me se non annuncio il Vangelo!

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
1Cor 9,16-19.22-23
 
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!
Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.

La suocera di Pietro

Dal Vangelo secondo Marco (1,29-39)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 
La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

giovedì 5 febbraio 2015

Danilo Dolci

Enrico Fierro per il “Fatto quotidiano

“La verità è che la penna per scrivere la storia, la impugnano sempre i vincitori”. Inizia con l’amarezza il colloquio con Giuseppe Casarrubea, storico siciliano, di quel particolare periodo della vita nazionale che fu il dopoguerra nell’Isola, il ruolo degli americani, e soprattutto quel passaggio di campo della mafia dal fronte monarchico, eversivo e separatista, alla nascente Democrazia cristiana.


Temi tornati di attualità in questi giorni con l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Mattarella, una dinastia politica che è parte importante della storia della Sicilia, cognome caro all’antimafia per la morte tragica di Piersanti, cognome che arrovella la mente di quanti, storici e giornalisti, hanno ancora voglia di scavare nel passato dei rapporti tra mafia e politica. Casarrubea nel suo blog lancia un appello al nuovo capo dello Stato: “Un gesto di magnanimità verso un grande uomo, Danilo Dolci, che siciliano non era, veniva da Trieste, e che dedicò tutta la vita a lottare per il riscatto della Sicilia”.

In un dossier denunciò, e fu tra i primi, i rapporti tra Bernardo Mattarella e una parte della mafia, per questo venne querelato e condannato.

Lo so bene, ma so anche che il lavoro di Danilo fu scrupoloso, dettagliato, cinque anni di fatica, ai giudici e alla commissione Antimafia consegnò nomi e cognomi, finanche testimonianze firmate. Mise tutto nero su bianco. In alcuni paesi certe relazioni, certe mani strette per avere voti, erano sotto gli occhi di tutti. E fu anche un lavoro rischioso, un giorno gli spararono e Danilo si salvò grazie al fatto che Franco Alasia lo spinse via portandolo fuori dalla traiettoria del proiettile.

Però i giudici, fino alla Cassazione, condannarono Dolci.
Questo riguarda la coscienza dei giudici di allora. Sì, allora, anni Sessanta del secolo passato, quando la parola mafia nei tribunali non aveva accesso. Non tutto quello che è nelle sentenze dei tribunali è espressione di verità. Spesso è il contrario, perché i tribunali sono espressione dei momenti della vita di un popolo, ma sono al di sotto del giudizio storico.

E allora veniamo alla storia, professore.
Dolci voleva capire come funzionava il sistema delle clientele politico-mafiose e quali erano le ragioni dello strapotere della Dc. Era un sociologo, non un carabiniere o un poliziotto. In quegli anni non c’era molta divaricazione tra le norme sociali e le norme criminali, coincidevano quasi.

Da studioso che ha approfondito il dopoguerra in Sicilia e la nascita dell’autonomismo, anche avendo accesso a documenti riservati americani, ci dica chi era Bernardo Mattarella e che ruolo svolse nel passaggio di alcuni settori legati al separatismo e alla stessa mafia dentro l’alveo della nascente Dc.
Rispondo in modo sereno: era un grande personaggio della Democrazia cristiana, nel 1944, mentre la Sicilia era allo sbando, con uomini come Restivo, Scelba, don Luigi Sturzo, esiliato negli Stati Uniti, pensò di rimettere su il Partito popolare e di dare vita a una Italia democratica fondata sul sistema dei partiti. Fu un repubblicano di ferro e lottò contro i monarchici e contro i separatisti.

Detti i meriti parliamo dei limiti e anche dei demeriti, sempre alla luce di una lettura storica.

Mettiamola così, il demerito fu quello di essere cresciuto in un contesto nel quale la distinzione tra sistema criminale mafioso e sistema sociale non era netta. Era la mafia che dettava legge sui comportamenti sociali. Che poi Bernardo Mattarella si sia imbattuto in certi personaggi, è cosa che definirei del tutto naturale, l’ambiente induceva ad avere relazioni anche di tipo familistico con persone equivoche, ma questo non significa che Mattarella fosse compromesso.

Nessuna prova indica che sia stato compromesso. Pisciotta lo accusò di essere uno dei mandanti della strage di Portella assieme a Cusumano Geloso, Leone Marchesano, il principe Alliata, ma questi erano dei monarchici che facevano parte di una scuola politica molto diversa da quella di Mattarella. Erano in due campi diversi.


La storia della famiglia Mattarella è parte della storia tragica della Sicilia.
Certo, e la morte di Piersanti segna lo spartiacque tra una Sicilia ancora feudale nella gestione dei rapporti di potere e la Sicilia più moderna degli anni successivi. Penso a Falcone, Borsellino, al risveglio della magistratura e della società.

Sarà accolto il suo appello?
Il presidente Mattarella faccia un gesto di magnanimità, sarebbe un atto di lungimiranza politica. Se ciò non avverrà rimarranno queste due posizioni storicamente ancora da spiegare. E la storia non si scrive nelle aule di tribunale.

martedì 3 febbraio 2015

Il discorso di insediamento

Messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Parlamento nel giorno del giuramento


Palazzo Montecitorio, 03/02/2015
Signora Presidente della Camera dei Deputati, Signora Vice Presidente del Senato, Signori Parlamentari e Delegati regionali,

Rivolgo un saluto rispettoso a questa assemblea, ai parlamentari che interpretano la sovranità del nostro popolo e le danno voce e alle Regioni qui rappresentate.

Ringrazio la Presidente Laura Boldrini e la Vice Presidente Valeria Fedeli.

Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte al voto.

Un pensiero deferente ai miei predecessori, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno svolto la loro funzione con impegno e dedizione esemplari.

A loro va l'affettuosa riconoscenza degli italiani.

Al Presidente Napolitano che, in un momento difficile, ha accettato l'onere di un secondo mandato, un ringraziamento particolarmente intenso.

Rendo omaggio alla Corte Costituzionale organo di alta garanzia a tutela della nostra Carta fondamentale, al Consiglio Superiore della magistratura presidio dell'indipendenza e a tutte le magistrature.
Avverto pienamente la responsabilità del compito che mi è stato affidato.

La responsabilità di rappresentare l'unità nazionale innanzitutto. L'unità che lega indissolubilmente i nostri territori, dal Nord al Mezzogiorno.

Ma anche l'unità costituita dall'insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini.
Questa unità, rischia di essere difficile, fragile, lontana.

L'impegno di tutti deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze.
La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo.

Ha aumentato le ingiustizie.

Ha generato nuove povertà.

Ha prodotto emarginazione e solitudine.

Le angosce si annidano in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi.

Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l'esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali.

Sono questi i punti dell'agenda esigente su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo.

Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione.

Per uscire dalla crisi, che ha fiaccato in modo grave l'economia nazionale e quella europea, va alimentata l'inversione del ciclo economico, da lungo tempo attesa.

E' indispensabile che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo.

Nel corso del semestre di Presidenza dell'Unione Europea appena conclusosi, il Governo - cui rivolgo un saluto e un augurio di buon lavoro - ha opportunamente perseguito questa strategia.

Sussiste oggi l'esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l'eguaglianza.

L'urgenza di riforme istituzionali, economiche e sociali deriva dal dovere di dare risposte efficaci alla nostra comunità, risposte adeguate alle sfide che abbiamo di fronte.

Esistono nel nostro Paese energie che attendono soltanto di trovare modo di esprimersi compiutamente.
Penso ai giovani che coltivano i propri talenti e che vorrebbero vedere riconosciuto il merito.

Penso alle imprese, piccole medie e grandi che, tra rilevanti difficoltà, trovano il coraggio di continuare a innovare e a competere sui mercati internazionali.

Penso alla Pubblica Amministrazione che possiede competenze di valore ma che deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni.

Non servono generiche esortazioni a guardare al futuro ma piuttosto la tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana.

Parlare di unità nazionale significa, allora, ridare al Paese un orizzonte di speranza.

Perché questa speranza non rimanga un'evocazione astratta, occorre ricostruire quei legami che tengono insieme la società.

A questa azione sono chiamate tutte le forze vive delle nostre comunità in Patria come all'estero.

Ai connazionali nel mondo va il mio saluto affettuoso.

Un pensiero di amicizia rivolgo alle numerose comunità straniere presenti nel nostro Paese.

La strada maestra di un Paese unito è quella che indica la nostra Costituzione, quando sottolinea il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica.

La crisi di rappresentanza ha reso deboli o inefficaci gli strumenti tradizionali della partecipazione, mentre dalla società emergono, con forza, nuove modalità di espressione che hanno già prodotto risultati avvertibili nella politica e nei suoi soggetti.

Questo stesso Parlamento presenta elementi di novità e di cambiamento.

La più alta percentuale di donne e tanti giovani parlamentari. Un risultato prezioso che troppe volte la politica stessa finisce per oscurare dietro polemiche e conflitti.

I giovani parlamentari portano in queste aule le speranze e le attese dei propri coetanei. Rappresentano anche, con la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare.

A loro, in particolare, chiedo di dare un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale, non dimenticando mai l'essenza del mandato parlamentare.

L'idea, cioè, che in queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell'intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del Paese.

Tutti sono chiamati ad assumere per intero questa responsabilità.
Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti.

E' necessario ricollegare a esse quei tanti nostri concittadini che le avvertono lontane ed estranee.

La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi.
E' significativo che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un'ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione.

Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento, nella sua sovranità, desidero esprimere l'auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l'obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia.

Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico.

Vi è anche la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l'esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare.
Come è stato più volte sollecitato dal Presidente Napolitano, un'altra priorità è costituita dall'approvazione di una nuova legge elettorale, tema sul quale è impegnato il Parlamento.

Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione.

E' una immagine efficace.

All'arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L'arbitro deve essere - e sarà - imparziale.
I giocatori lo aiutino con la loro correttezza.

Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione.

La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno.

Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro.

Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro.

Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utilizzando le nuove tecnologie e superando il divario digitale.

Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici.

Significa ripudiare la guerra e promuovere la pace.

Significa garantire i diritti dei malati.

Significa che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale.

Significa che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi.

Significa fare in modo che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni.

Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità.

Significa sostenere la famiglia, risorsa della società.

Significa garantire l'autonomia ed il pluralismo dell'informazione, presidio di democrazia.

Significa ricordare la Resistenza e il sacrificio di tanti che settanta anni fa liberarono l'Italia dal nazifascismo.

Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.

Garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità.
La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute.

La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile.

Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini.

Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato.

Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci.

L'attuale Pontefice, Francesco, che ringrazio per il messaggio di auguri che ha voluto inviarmi, ha usato parole severe contro i corrotti: «Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini».

E' allarmante la diffusione delle mafie, antiche e nuove, anche in aree geografiche storicamente immuni. Un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti.

Dobbiamo incoraggiare l'azione determinata della magistratura e delle forze dell'ordine che, spesso a rischio della vita, si battono per contrastare la criminalità organizzata.

Nella lotta alle mafie abbiamo avuto molti eroi. Penso tra gli altri a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere.

Altri rischi minacciano la nostra convivenza.

Il terrorismo internazionale ha lanciato la sua sfida sanguinosa, seminando lutti e tragedie in ogni parte del mondo e facendo vittime innocenti.

Siamo inorriditi dalle barbare decapitazioni di ostaggi, dalle guerre e dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi.

Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell'odio e dell'intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell'ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano.

La pratica della violenza in nome della religione sembrava un capitolo da tempo chiuso dalla storia. Va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa.

Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell'ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore.

La minaccia è molto più profonda e più vasta. L'attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza.
Per minacce globali servono risposte globali.

Un fenomeno così grave non si può combattere rinchiudendosi nel fortino degli Stati nazionali.

I predicatori d'odio e coloro che reclutano assassini utilizzano internet e i mezzi di comunicazione più sofisticati, che sfuggono, per la loro stessa natura, a una dimensione territoriale.

La comunità internazionale deve mettere in campo tutte le sue risorse.

Nel salutare il Corpo Diplomatico accreditato presso la Repubblica, esprimo un auspicio di intensa collaborazione anche in questa direzione.

La lotta al terrorismo va condotta con fermezza, intelligenza, capacità di discernimento. Una lotta impegnativa che non può prescindere dalla sicurezza: lo Stato deve assicurare il diritto dei cittadini a una vita serena e libera dalla paura.

Il sentimento della speranza ha caratterizzato l'Europa nel dopoguerra e alla caduta del muro di Berlino. Speranza di libertà e di ripresa dopo la guerra, speranza di affermazione di valori di democrazia dopo il 1989.

Nella nuova Europa l'Italia ha trovato l'affermazione della sua sovranità; un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali. L'Unione Europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio.

L'affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.

Le guerre, gli attentati, le persecuzioni politiche, etniche e religiose, la miseria e le carestie generano ingenti masse di profughi.

Milioni di individui e famiglie in fuga dalle proprie case che cercano salvezza e futuro proprio nell'Europa del diritto e della democrazia.

E' questa un'emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l'Unione Europea più attenta, impegnata e solidale.

L'Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte e siamo grati a tutti i nostri operatori, ai vari livelli, per l'impegno generoso con cui fronteggiano questo drammatico esodo.

A livello internazionale la meritoria e indispensabile azione di mantenimento della pace, che vede impegnati i nostri militari in tante missioni, ¬ deve essere consolidata con un'azione di ricostruzione politica, economica, sociale e culturale, senza la quale ogni sforzo è destinato a vanificarsi.

Alle Forze Armate, sempre più strumento di pace ed elemento essenziale della nostra politica estera e di sicurezza, rivolgo un sincero ringraziamento, ricordando quanti hanno perduto la loro vita nell'assolvimento del proprio dovere.

Occorre continuare a dispiegare il massimo impegno affinché la delicata vicenda dei due nostri fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trovi al più presto una conclusione positiva, con il loro definitivo ritorno in Patria.

Desidero rivolgere un pensiero ai civili impegnati, in zone spesso rischiose, nella preziosa opera di cooperazione e di aiuto allo sviluppo.
Di tre italiani, padre Paolo Dall'Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli non si hanno notizie in terre difficili e martoriate. A loro e ai loro familiari va la solidarietà e la vicinanza di tutto il popolo italiano, insieme all'augurio di fare presto ritorno nelle loro case.

Onorevoli Parlamentari, Signori Delegati,
Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l' ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo.

Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani:
il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi.

i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti.

Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto.

Il volto di chi ha dovuto chiudere l'impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi.

Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri.

Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto.

Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose.

Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace.
Viva la Repubblica, viva l'Italia!



domenica 1 febbraio 2015

Il ritorno della Balena Bianca



   La lingua, per il giornalista italiano medio, è un muscolo involontario molto più di quell’altro. Quindi è naturale che, dopo aver leccato per nove anni consecutivi Re Giorgio I e II, dopo la sua abdicazione avvertisse un grande vuoto e garrisse all’impazzata alla ricerca di un altro leccalecca. L’horror vacui, per fortuna, è durato meno di due settimane. Poi, al primo affacciarsi di Sergio Mattarella, la Lingua Unica della stampa italiana s’è subito riposizionata umettando le grisaglie del Candidato senza neppure aspettare l’elezione. Mal che vada, si son detti i leccatori, facciamo un po’ di allenamento in attesa del prossimo. Non sia mai che il muscolo, a causa dell’inazione, si atrofizzi e si lasci cogliere impreparato alla bisogna.

   Il Megapresidente Galattico. Imperdibile reperto dell’incertezza dell’attesa, la pagina 6  del Corriere di venerdì. La metà inferiore per le ultime salivazioni postdatate all’ex monarca, “Entra Napolitano. Il lungo applauso in Aula”. La metà superiore per le prime pennellate preventive di Fabrizio Roncone al “mite Sergio, ultimo moroteo”, che “ha dentro il fil di ferro”, “parla a voce bassa, uomo mite fino a quasi apparire fragile, coltiva la virtù della pacatezza, della prudenza e del dialogo, una volta accettò di giocare a Risiko con i redattori del Popolo, è un buon intenditore di calcio e tifa Palermo (con una debolezza, sembra, per l’Inter)”, vive “nella foresteria a disposizione dei giudici della Corte costituzionale”, a “cento passi dal Quirinale”: un “appartamento spartano” tipo quello del Megadirettore Galattico fantozziano, con cui condivide l’inginocchiatoio in legno grezzo e il tozzo di pane e il bicchier d’acqua da condividere con il ragionier Ugo, ma non la poltrona in pelle umana e neppure l’acquario con gli impiegati-inferiori estratti a sorte per fare i pesci, anche perché Lui “non sa nuotare”.

Segue succinta biografia, con padre, tre figli e “suo fratello Piersanti” assassinato dalla mafia. Nessuna traccia dell’altro, l’ex avvocato Antonino, il maggiore, in rapporti finanziari con Enrico Nicoletti, cassiere della Magliana: chissà poi perché, poveretto.


Il nuovo Giustiniano. Quando poi l’ascesa al trono è certa, le lingue sparse si ricompongono a testuggine e battono tutte come una sola dove il potere vuole. Gente che Mattarella non se l’è mai filato per mezzo secolo scopre in lui il nuovo Salvatore della Patria. Una cascata di saliva che deve fare un po’ schifo allo Schivo, e che imbarazza persino Aldo Cazzullo: “Un ex componente della Bicamerale ricorda: ‘Mattarella propose un corpus giuridico che riassumesse e semplificasse la legislazione vigente: un’operazione così l’aveva fatta solo Giustiniano!’....”

Il Mattarellinum. Sergio è un enfant prodige dei codici, il Mozart della pandetta: “La passione per i meccanismi elettorali ce l’aveva fin da ragazzo”, rivela Marcello Sorgi su La Stampa (par di vederlo, giovinetto, mentre i compagni giocavano a pallone e correvano la cavallina con le ragazze, curvo sul desco a studiare il Mattarellinum che 40 anni dopo, previe opportune limature, vedrà finalmente la luce. Le zite gli suonano il campanello, ma lui niente: “Scusa, Rosalia, ma oggi ho problemi di scorporo”, “Perdonami, Teresa, ma c’ho un maggioritario grosso così, e per giunta con recupero proporzionale”).


La lingua a questo punto parte da sola, irrefrenabile, incontenibile, a raffica: “Mite, pacato, serio, ragionatore, moderato, razionale, disponibile, ma fermo su principi e valori, sui quali non transige”. Segue l’albero genealogico: dai che almeno Sorgi si ricorda del fratello Antonino. Macché: “I due fratelli Pier-santi e Sergio erano molto diversi tra loro. Si dice che in ogni famiglia siciliana ci sia un figlio arabo e uno normanno”. Nulla da fare: damnatio memoriae per il povero Antonino.

Compagni di scuola. Alberto Mattioli, sempre su La Stampa, riesce a scovare un “compagno di scuola dei fratelli Mattarella” che, vincendo la ritrosia contagiosa di tutta la classe dei Mattarella’s, qualcosa racconta, ma a patto che si taccia il suo cognome e lo si chiami “signor Gino”. Vedi mai che se ne ricordi almeno lui, di quel terzo fratello un po’ scavezzacollo. “Sergio era serio anche da ragazzo, però qualche risata se la faceva pure lui”.

Ci sentiamo tutti molto meglio, ma i fratelli? Niente da fare: lui era “compagno di scuola di Piersanti e Sergio, due ragazzi diversissimi, due caratteri complementari, si volevano molto bene”. Piersanti “vulcanico, pieno di vita, trascinatore. Sergio silenzioso, serio, composto, quello che a Roma chiamiamo un mollicone, uno di quei ragazzi che stanno sempre zitti, che sembrano quasi troppo educati. Metodico, riflessivo, attento, studioso... In comune avevano due caratteristiche: l’estrema educazione e la passione per lo sport”. Il terzo, Antonino, sfugge proprio ai radar. Che fosse un po’ maleducato e poco sportivo? Mistero. E pazienza, è andata così.


   L’Hombre Vertical. Riproviamo con Sebastiano Messina, che giovedì e poi venerdì, su Repubblica, ritrae e doppiamente biografa da par suo. Lui, così, preciso, colmerà la lacuna. “Ama il grigio, evita le telecamere, parla a bassa voce, coltiva la virtù della pacatezza, dell’equilibrio, e della prudenza”, ma attenzione, nessun dorma: “Sotto quel vestito grigio e dietro quei modi felpati c’è un uomo con la schiena dritta, un hombre vertical capace di discutere giorni interi per trovare un compromesso con l’avversario, ma anche di diventare irremovibile se deve difendere un principio, una regola, un imperativo morale”.

Nessun accenno al terzo fratello: sono sempre in due, Piersanti e Sergio. Vabbè, ora Messina rimedierà venerdì. Speriamo, ce la può fare. San Sergio “fa una vita monacale”, al confronto Ratzinger nel monastero Mater Ecclesiae e papa Francesco nella celletta di Santa Marta sono due zuzzurrelloni. Cena con “gli amici di una vita”: un giudice della Cassazione, un ginecologo, un banchiere, però “ogni tanto accetta gli inviti di Giuliano Amato e Sabino Cassese”, e quando proprio è in vena di pazziare si unisce a “Pierluigi Castagnetti, Rosi Bindi e Rosa Russo Jervolino”, tutta vita.

Poteva mancare il barbiere? No che non poteva: “Franco Alfonso, il mitico barbiere di via Catania a Palermo: la sua chioma bianca, Mattarella se la fa tagliare solo da lui”. Ma eccoci finalmente alla famiglia, dai che ce la facciamo. “Il padre Bernardo”, da molti indicato come un po’ colluso (da Danilo Dolci, per esempio), ma è meglio non parlarne: anzi il vecchio patriarca era amico di “don Sturzo”, di “La Pira” e basta. Ed ecco i fratelli, forse ci siamo: “A Roma i fratelli Piersanti e Sergio giocavano con i figli di De Gasperi e con quelli di Moro”. E il terzo, Antonino, mai: sempre chiuso in casa, per non farsi vedere dai giornalisti.

   Il Cristo di Mattarella. Riusciranno i nostri eroi a ritrovare il fratello misteriosamente scomparso, nel senso di sparito? Su Repubblica c’è un’intera pagina di Francesco Merlo: anche lui è siciliano, lui sicuramente sa tutto e ce ne parlerà, del terzo Mattarella fantasma. Pendiamo dalle sue labbra, anzi dalla sua lingua. Sergio è un “vedovo dolente e creativo, facile immaginarlo perduto nell’immensità del Quirinale come Casimiro, il triste Vicerè di Sicilia”. Potrebbe sentirsi meno solo frequentando il professor Antonino?
No, “Sergio Mattarella cerca la compagnia del ‘caro paralume’, che Massimo Severo Giannini consigliava ai suoi allievi. E quel paralume, ‘meglio se verde’, è per Mattarella la metafora della lettura ma anche della solitudine e della malinconia...”. E vabbè, meglio il paralume, purché verde. La sinfonia cromatica prosegue col nero. “Il siciliano schivo, coperto e cauto, non trova mai la festa, ha sempre quel tormento che il più dolorista di tutti, Aldo Moro, chiamava ‘senso della storia’”. Perché lui è “un siciliano tragico e superbo che brancatianamente vede il nero anche nel sole”. Ma è pure “come Sciascia: un siciliano muto, di quelli che coltivano l’utopia del Tommaseo che sognava di coniugare la concisione con la precisione”.

Però. “Sono così i siciliani muti, nodosi, solitari, sobri, schivi e diffidenti”. E questo l’avevamo vagamente intuito. Ma è il momento di un’altra pennellata di colore: “Gli occhi di Sergio Mattarella non sono celesti ma sono ipercontrollati, più di quelli di un piemontese”. Per non parlare di quelli di un calabrese, o di un napoletano. Sì, ma di grazia di che colore sono? “Il suo colore è il celeste, che può essere raccontato come un blu stinto, un blu indebolito, il gozzaniano ‘azzurro di stoviglia’ oppure come il cielo: ed è vaniglia la sua personalità: dolciastra indecisione o sobrietà e festa di nuances?”. Ah saperlo.
Intanto prendete nota del “Mattarella nemico di ogni eccesso estetico, umbratile e sensibile siciliano fenicio che non perdona”. Ecco: siciliano non sumero o assirobabilonese: fenicio. Ma anche un po’ israelitico: “il Cristo di Mattarella” non è “colorato e sanguinante come nelle processioni di Palermo, ma invece di filigrana sottile, il Cristo con il sorriso dolce e amaro di una vita che è stata investita dalla tragedia”. Quindi, allontanando l’odor di santità e ricapitolando: nero, celeste, blu stinto, azzurro di stoviglia, ma anche non colorato e soprattutto non celeste per carità. Santo subito. Esaurita la tavolozza, Merlo arriva finalmente alla famiglia. Il padre Bernardo: “notabile palermitano” e ho detto tutto. Fuochino, dài, su, passiamo ai fratelli. “Il fratello Pier-santi, il siciliano allegro, chiacchierone e spavaldo, l’hidalgo di quella Sicilia ‘che è più Spagna della Spagna’”, e ho ridetto tutto. Acqua, lago, mare. Antonino, ancora una volta, non pervenuto.

   Il Moro di Palermo. Ultima occasione, ieri. Sul Corriere Roncone torna sul luogo del relitto. “Stringe il nodo della cravatta... sposta la tenda della finestra e guarda giù... La riservatezza proverbiale... Poche parole anche quando si ferma per prendere un toast (di solito, prosciutto cotto e formaggio: poi saluta, ringrazia e lascia la mancia. ‘Un vero signore d’altri tempi’)”. Secondo Repubblica, invece, il menu è un filo diverso: “Pizzetta prosciutto e formaggio, occhio di bue o pasticcini, yogurt e Pocket Coffee. Sobriamente”. Ma son dettagli. Prosegue Roncone: “Sobrio, frugale... La voce come un soffio...”. Forse ci siamo: “Riceve la visita della nipote Maria, figlia di suo fratello Piersanti, che lo mette di ottimo umore”. Ma una telefonata, un messaggio in bottiglia, un segnale di fumo dal fratello Antonino no? No.
Sotto parla l’amico economista siciliano Salvatore Butera: “Freddo? È solo composto. Bontà d’animo, pacatezza e grande umanità. ricorda Aldo Moro”. Butera sa qualcosa dei fratelli? Sì: “Eravamo tutti e tre insieme dai gesuiti, io e i due fratelli Mattarella”. Parlerà mica di Sergio e Antonino? Mavalà: “Oltre a Sergio, anche Piersanti”. Pure Antonino è laureato in legge, faceva l’avvocato, ora insegna all’Università. Desaparecido.

   Il Kennedy di Trinacria. Su Repubblica ci si mettono addirittura in due, Tommaso Ciriaco ed Emanuele Lauria, per la terza biografia del Presidente in tre giorni. “Riformista dal tratto garbato”, e vabbè. “La proverbiale discrezione”, e anche questa la sappiamo. “Il miniappartamento nella foresteria della Corte costituzionale”: già sentita pure quella. “Rappresentante di una famiglia che ha frequentato il successo e il lutto (‘I Kennedy palermitani’, secondo antica definizione)”, ed è vero, visti i sospetti di mafia irlandese sul papà di Jfk, di Bob e di Ted. Ma lo vogliamo ricordare, questo benedetto Ted, al secolo Antonino? “I parenti a Palermo, come l’ex deputato regionale Bernardo” (indagato per peculato, ma questo non lo diciamo). E “la nipote Maria”: fuocherello. E come si chiama l’altro zio? Dai, è facile, diamo un aiutino: quattro sillabe, inizia per A e finisce per O. Niente, forse manca lo spazio. Zero tituli. Chissà come deve sentirsi, però, quel pover’uomo. Suo fratello diventa il primo cittadino d’Italia e lui diventa l’ultimo. Anzi, di meno: un clandestino. Manca solo il decreto di espulsione. La lingua è forte, ma la carne è debole.

 di Marco Travaglio per "Il Fatto Quotidiano”

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...