domenica 22 maggio 2016

Pensaci bene, caro Matteo

E poi c’è il referendum. L’appuntamento è decisivo. Se Renzi vince sarà padrone, se perde si apre uno scenario nuovo sul quale è molto difficile fare previsioni. Personalmente — l’ho già detto e scritto — voterò no, ma non tanto per le domande del referendum quanto per la legge elettorale che gli è strettissimamente connessa. Se Renzi cambia quella legge (personalmente ho suggerito quella di De Gasperi del 1953) voterò sì,altrimenti no. 
E immagino che siano molti a votare in questo stesso modo. Pensaci bene, caro Matteo; se anche vincessi per il rotto della cuffia sarai, come ho già detto, un padrone. Ma i padroni corrono rischi politici tremendi e farai una vita d’inferno, tu e il nostro Paese.

Eugenio Scalfari, editoriale per Repubblica, 22 maggio 2016

giovedì 19 maggio 2016

Blocco delle gare a Milano

Continua a fare discutere il nuovo Codice appalti. Dopo il deficit di trasparenza lamentato dal presidente Anac Raffaele Cantone, la cui autorità vede limitati i suoi poteri di controllo preventivo, e le norme di tutela del lavoro saltate, ora è il Comune di Milano a sottolineare le criticità del testo.

Antonella Fabiano, direttore centrale opere pubbliche e centrale unica appalti di Palazzo Marino, nel corso di un convegno dell’Ance. ha infatti denunciato che la “rivoluzione” rappresentata dal codice entrato in vigore il 20 aprile ha messo “in crisi” il Comune, dove sono state “bloccate tutte le gare“.

Fabiano ha spiegato che in un mese è stata bandita una sola gara di servizi, “piuttosto semplice, soltanto oggi”, 18 maggio. Tutto il resto è invece bloccato per diverse difficoltà nel redigere un bando “che potesse valere come modello, senza doverlo rifare ogni due giorni”, a causa dell’ardua interpretazione di alcune delle norme. In particolare, Fabiano ha citato le linee guida dell’Anac, di cui sono circolate bozze messe in consultazione per le quali, “se diventassero il testo definitivo, sarebbe molto difficile trovare un allineamento con il testo normativo”. Tra l’altro, ha aggiunto Fabiano, “se abbiamo avuto difficoltà noi che siamo una stazione appaltante ben strutturata, mi immagino gli altri”.

Critico anche il presidente dell’Ance Claudio De Albertis: “La speranza è che il quadro normativo si componga il più rapidamente possibile”, per far ripartire i bandi di gara che, nel periodo gennaio-aprile, sono “calati del 7,2%, con una flessione del 16,2% dell’importo”.

fonte: Il fatto quotidiano, 18 maggio 2016

mercoledì 18 maggio 2016

Il manifesto dei cattolici per il no

La posta in gioco tra il Sì e il No nel prossimo referendum costituzionale non è il Senato ma è l’abbandono della Costituzione vigente e la sua sostituzione con un sistema di democrazia dimezzata in cui i valori e i diritti riconosciuti nella prima parte della Carta, da cui dipendono la vita, la salute e la possibile felicità del cittadini, sarebbero isolati e neutralizzati per lasciare libero campo al potere del denaro e delle sue istituzioni nazionali e sovranazionali.
Questo, col supporto di una legge elettorale congegnata per dare tutto il potere a un solo partito, è il disegno delle riforme istituzionali oggi sottoposte al popolo come nuove, ma concepite da vecchi politici, nostalgici dei modi spicciativi di governo di un lontano passato.
Mettendo mano alla Costituzione questi politici vogliono riaprire vecchie questioni di democrazia risolte da tempo e da cui non si può tornare indietro: divisione dei poteri, sovranità popolare, fiducia parlamentare ai governi senza vincolo di disciplina di partito, libertà e diritti sottratti all’arbitrio dei poteri, anche se espressi dalle maggioranze. Si sarebbero dovute fare al contrario riforme rivolte al futuro, a partire dalla domanda sul perché i diritti al lavoro e a condizioni economiche e sociali che non impediscano il pieno sviluppo della persona umana, pur sanciti in Costituzione, non si sono mai realizzati, e non certo per colpa solo del Senato. È questa domanda, non quella sul numero dei senatori, che avrebbe risvegliato la coscienza pubblica, a cominciare dai giovani oggi così disperati, e curato la piaga sociale dell’assenteismo e dell’indifferenza.
La Costituzione è un bene comune e, pur provenendo ciascuno da parti diverse, comune deve essere la battaglia di uomini e donne per la sua cura e la sua difesa, ognuno lottando però con i suoi colori e con le sue bandiere. I cristiani già altre volte, in momenti cruciali della storia della Repubblica, sono stati determinanti con le loro scelte nei referendum per un avanzamento della democrazia e della laicità e per tenere aperta la via di vere riforme.
Oggi come cattolici ci sentiamo di nuovo chiamati a votare NO alle spinte restauratrici, e così ci saranno dei “Cattolici del NO” in questo referendum. Allo stesso modo speriamo nell’impegno di molti altri cristiani di ogni denominazione e confessione.
Ugualmente voteranno NO moltissimi che cristiani o credenti non sono, magari anche più motivati e determinati di noi. Ma noi, che pur non siamo soliti nominare la fede nella lotta politica, questa volta diciamo NO proprio come cattolici, rispettando in ogni caso quanti saranno spinti da motivazioni diverse.
Prima di tutto votiamo NO per una questione di giustizia. Se, nel suo significato più elementare, la giustizia è “la correttezza di una pesata eguale”, lo scambio che ci viene proposto, di dar via metà della Costituzione per avere in cambio ancora Renzi al potere, non è giusto. Renzi e la Costituzione non hanno lo stesso peso, e mentre il primo non ci è costato niente (non lo abbiamo nemmeno eletto) la Costituzione ci è costata molto, in pensiero e martiri anche nostri. Perciò, come voto di scambio, Renzi contro la Costituzione è uno scambio ineguale.
Di conseguenza se in questo gioco d’azzardo con la Costituzione Renzi, perdendo, vorrà lasciare il potere, ce ne faremo una ragione. Ma avremo salvato l’idea che ci vuole un minimo d’equità anche in un baratto.
In secondo luogo votiamo NO per una questione di verità. Non è vero che la Costituzione vigente è vecchia, tant’è che da vent’anni si cerca di cambiarla. Vero è che da vent’anni essa resiste, anche grazie a imponenti voti popolari. Vecchia è invece la proposta Costituzione nuova, che dà più potere al potere e meno potere ai cittadini, in ciò tornando allo Statuto albertino concesso dal re e finito in Mussolini.
Ma è un’illusione che dia più potere a Renzi e alla Boschi, che già conosciamo; in realtà darà più potere e forza esecutiva a uno di quei mangiapopoli arruffoni e razzisti che oggi circolano in Europa e che facilmente, col marketing delle agenzie pubblicitarie e dei telefonini scambiati per modernità, potrà insediarsi a palazzo Chigi e nei 340 seggi di replicanti assegnatigli per legge nella Camera residua, con tutti i poteri compreso il diritto di guerra. Non è vero che con la nuova Costituzione si ridurranno i costi della politica.
I deputati restano 630, le spese delle province ricadranno su altri enti, il Senato rimane a gravare sul bilancio pubblico col suo palazzo e tutto il suo apparato, anche se viene ridotto ad un club nobiliare per consiglieri regionali e sindaci che passeranno a Roma uno o due giorni alla settimana (sicché il Senato sarà il primo Ufficio Pubblico a brillare per l’assenteismo del suo personale).
In terzo luogo votiamo no per una questione di patriottismo costituzionale. Consideriamo la Costituzione la nostra Patria, sia come cittadini che come cattolici. Come cittadini temiamo che il crollo dell’architettura della Repubblica causato dalla ristrutturazione in corso travolga anche i diritti e i valori fondamentali. Come cattolici ci sentiamo figli della Costituzione perché, benché inattuata, mette al di sopra di tutto la persona umana e perché fa del lavoro, che una volta era considerato il compito abbrutente del servo, il fondamento stesso della Repubblica e il diritto col quale sta o cade la dignità del cittadino.
Infine votiamo NO per coerenza storica. Per secoli si è chiesto alla Chiesa di riconoscere la sovranità del diritto e la divisione dei poteri, e sarebbe assurdo che proprio ora che il papa le ha solennemente proclamate all’ONU, i cattolici italiani ne abbandonassero la difesa per tornare a quella vecchia, decrepita, infausta cosa che è l’uomo solo al comando e tutti gli altri a dire di sì. Ma coerenza storica ci impone di votare no anche perché i cattolici in Italia hanno messo il meglio di sé nella Costituzione repubblicana. È la cosa migliore che hanno fatto nel Novecento. Dopo la scelta antiunitaria e revanscista della questione romana, dopo la sconfitta del Partito popolare, dopo l’acquiescenza al fascismo, e grazie alla partecipazione alla Resistenza, la Costituzione è stato il dono più alto che i cattolici, certo non da soli, hanno fatto all’Italia. Ora si dovrebbe cambiarla per portarla su posizioni più avanzate (più diritti, più sicurezza sociale, lavoro, cultura, più garanzie contro la cattiva “governabilità” e l’arroganza della politica), non certo sfasciarla.
Queste sono le ragioni, laiche e sacrosante, del nostro NO alla rottamazione costituzionale. Fatto a Roma il 21 gennaio 2016, dopo l’approvazione in seconda lettura della nuova Costituzione da parte del Senato, senza i due terzi dei voti Anna Falcone, avvocata, Domenico Gallo, magistrato, Raniero La Valle, giornalista, Alex Zanotelli, missionario comboniano, Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, Lorenza Carlassare, costituzionalista, Paolo Maddalena, vice-presidente emerito della Corte Costituzionale, Boris Ulianich, storico del cristianesimo, Enrico Peyretti, “operaio del leggere e scrivere”, Torino, Adista, settimanale di informazione politica e documentazione, avv. Francesco Di Matteo, presidente del Comitato per il No di Bologna, Giovanni Avena, giornalista, Roma, Eletta Cucuzza, Roma, Angelo Cifatte, funzionario comunale, Genova, Marcello Vigli, Roma, Lidia Menapace, partigiana già senatrice, “Koinonia”, mensile, Convento San Domenico, Pistoia, Alberto Simoni, domenicano, Vittorio Bellavite, “Noi siamo Chiesa”, Lorenzo Acquarone, docente universitario, già parlamentare, Genova, Suore orsoline di Casa Rut, Caserta, Raffaele Luise, presidente del Cenacolo degli amici di papa Francesco, Maurizio Chierici, giornalista, Waldemaro Flick, avvocato, Genova, Francesco De Notaris, senatore nella XII legislatura, Napoli, Giuseppe Campione, docente di Geografia politica, presidente della Regione Sicilia dopo le stragi del ’92, avv. Nanni Russo, già parlamentare, Savona, Sergio Tanzarella, professore di Storia della Chiesa, Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, Pasquale Colella, docente di diritto canonico, Napoli, I redattori de “Il tetto”, Napoli, Giuseppe Florio, Presidente di “Progetto Continenti”, Roma, Lanfranco Peyretti, Marco Romani, “Pane Pace Lavoro”, Reggio Emilia, Gilberto Squizzato, giornalista, Busto Arsizio, Marina Sartorio, insegnante, Genova, Maria Pia Porta, insegnante, Genova, Paolo Farinella, prete, Genova, Paolo Lucchesi, sindacalista, Barberino Val D’Elsa (FI), Antonino Cinquemani, Palermo, Maria Luisa Paroni, Sabbioneta (Mantova), Giovanni Bianco, giurista, Nicola Colaianni, professore di diritto ecclesiastico, Bari, Franco Ferrara, Presidente Centro Studi Erasmo, Gioia del Colle, Carlo Cautillo, prete passionista, Claudio Michelotti, Parma, Michele Celona, architetto, Mantova, Maria Luisa Maioli, pensionata, Mantova, Gaetano Briganti, insegnante, Mercogliano (Av), Fiorella Ferrarini, ANPI di Reggio Emilia, Valeria Indirli, catechista, Roncoferraro (Mantova), Rosa Pappalardo, San Fratello (Messina), Corrada Salemi, Dina Rosa, Agoiolo (CR) per SALVIAMO IL PAESAGGIO (sezione casalasca), prof.ssa Marzia Benazzi, Mantova, Bianca Mussini, maestra, Bozzolo (Mn). Eliana Strona, Torino, Carla Zauli, Bologna, Stefano Ventura, ricercatore CNR, capo scout, Bologna, Giovanni Nespoli, Renata Rossi, insegnante, Giorgio Azzoni, diacono, Carla Pellacini, Gianni Gennari, teologo e giornalista, Annamaria Fiengo, insegnante di filosofia, Marco Badiali, Salesiano Cooperatore, Bologna, Luigi Bottazzi, presidente del Circolo G. Toniolo di Reggio Emilia, Fabio Ragaini, Francesco Capizzi, chirurgo, Bologna, Giuseppe Acocella, ordinario di Teoria generale del diritto, Università Federico II, Napoli, Maria Teresa Cacciari, Bologna, Roberto Mancini, docente di filosofia, Università di Macerata, Aldo Antonelli, prete, Avezzano (AQ), Carmine Miccoli, prete, Lanciano (CH), Pio Russo Krauss, Comunità cristiana di Via Caldieri, Napoli, Antonio Vermigli, direttore della rivista “In dialogo”, Quarrata (PT), Giancarlo Poddine, Savona, Antonio Mammi, Comitati Dossetti di Casalgrande, Reggio Emilia, Angela Mancuso, Firenze, Nicola Tranfaglia, Università di Torino, Grazia Tuzi, eredi via Chiesa Nuova 14, (Comunità del porcellino), Emanuele Chiodini, San Martino Siccomano, (PV), Aristide Romani, Flavio Pajer, Biblioteca per le scienze religiose (TO), Saverio Paolicelli, Antonio D’Andrea, Margherita Lazzati, fotografa, Milano, Marina Lazzati, pedagogista, Fausto Pellegrini, giornalista, Carlo Cefaloni, Franca Maria Bagnoli, insegnante, Ivano Pioli, Ilario Maiolo, avvocato, Roma, Piera Capitelli, già Sindaco di Pavia, Totu Paladini, Fulvio Mastropaolo, ordinario di diritto civile a Roma tre, Anna Sforza, educatrice penitenziario di Bologna, Eli Colombo, Augusto Cacopardo, Firenze, Agata Cancelliere, insegnante, Roma, Nino Cascino, ricercatore sociale, Roma, Giorgio Nebbia, professore, ambientalista, Roma, Maria Ricciardi, Felice Scalia S.J., gesuita, Messina, Luciano Benini, Comitato per la Costituzione, Fano, Marco Bernabei, psicologo, Mauro Magini, chimico, Roma, Marta Lucia Ghezzi, Pavia, Mauro Armanino, missionario e antropologo, Niamey (Niger), Andrea Rocca, Paolo Candelari, Miriam Gagliardi, Vladimir Sabillón, grafico, Francesco Riva, cooperante, Jessica Veronica Padilla, bancaria, Donatella Gregori, dipendente pubblico, Pietro Vecchi, studente di architettura, Donatella Caruso, insegnante, Loris Lanzoni, imprenditore, Ilaria Barbieri, maestra, Umberto Musumeci, Montebelluna (TV), Antonio Caputo, Giustizia e Libertà, Giovanna Fantoli Lazzati, Maria Rosa Filippone, bibliotecaria, Genova, Mario Epifani, avvocato, Genova, Raffaele Porta, professore di liceo, Andrea Trucchi, avvocato, Genova, Daniele Ferrarin, Vicenza, Mauro Bortolani, Reggio Emilia, Renzo Dutto e la Comunità di Mambre, (Cuneo). Franco Camandona, medico, Genova, Giuliano Minelli, Maurizio Mazzetto, prete, Vicenza, Luca Pratesi, neurologo, Roma, Giandomenico Magalotti, Francesco Grespan, Maria Paola Patuelli, Luigi Antonio Faraco, Marzabotto, Giacomo Grappiolo, insegnante, Genova, Paolo Palma, presidente dell’associazione Dossetti “Per una nuova etica pubblica”, già deputato dell’Ulivo, Irene e Francesco Palma, Cosenza, Irene Scarnati, insegnante di lettere, Cosenza, Giovanni Serra, imprenditore sociale, già assessore al Welfare, Cosenza, Franca Sità, Gianni Russotto, pensionato, Genova, Giovanni Colombo, avvocato, Milano, Giuseppe Deiana, presidente dell’Associazione C.C. Puecher di Milano, Mauro Castagnaro, giornalista, Francesco Piersante, Luigi Mariano Guzzo, Università Magna Graecia, Catanzaro, Gian Luigi Montorsi, imprenditore, Reggio Emilia, Andriotto Pietro, Costanza Boccardi, casting director, Napoli, Velia Galati, volontaria emerita della Croce Rossa Italia, Genova, Mario Corinaldesi, soccorritore ambulanza ed autista taxi sociale, Agugliano, (AN), Alessandro Bongarzone, giornalista, Angelo Bertucci, Monica Pendlebury, Jacopo Bertucci, Yasmin Bertucci, Giampietro Filippi, geologo, Savona, Giuseppe Claudio Godani , Docente di Filosofia. Genova, Alberto Pane, Andrea Rocca, insegnante, Milano, Dino Biggio, Cagliari, Givanni Battista Baggi, Cassino, Francesco Zanchini, ordinario di diritto canonico, avvocato di Rota romana, padre Marco Malagola, missionario francescano, Claudia Aceto, Cuneo, Elisabetta Agri, don Fredo Olivero, Torino, Anna Maria Donnarumma, docente di filosofia, presidente ONG PRO.DO.C.S., Dionisio Paglia, Comitato Frosinone del Coordinamento Democrazia Costituzionale, Frosinone, Santino Di Dio, Gianni La Greca, Palermo, Roberto De Vita, Ordinario di sociologia Università di Siena, Firenze, Eva Maio, Cuneo, don Ennio Stamile, Mauro Banchini, prof. Francesco Pistoia, già Senatore della Repubblica, Corigliano, Mariangela Maraviglia, storica, Pistoia, Angela Bettoni, Pierluigi Sorti, Roma, Cesare Scurati, Cormano, Alessandra Casati, Cormano, Alberto Mario Garau, missionario italiano nel Patriarcato Latino di Gerusalemme Be’ershewa, Israel, Mauro Matteucci, educatore, Roberto Cerchio, Marino Bruno, insegnante, Genova, Piera Filippone, già insegnante, Genova, Nicolò Fuccaro, volontario di Libera,Genova, Giovanni Lugli, psichiatra, Modena, Luisa Marchini, Bologna. Massimo Angelini, direttore editoriale, Genova, Nicoletta Frediani, Genova, Massimiliano Pradarelli, insegnante, Faenza, Rosaria Anna Rizzo, Rino Spedicato San Pancrazio Salentino (Br), Lorenzo Murray, Alberto Campedelli, Correggio (R.E.), Anna Doria, Giovanni Marras, Franco Borghi,

La sede del Comitato dei cattolici del NO è in Via Acciaioli 7, 00186, Roma tel. 066868692, fax 066865898, mail: cattolicidelno@gmail.com, e in ogni computer o cellulare che fungerà da campana per avvertire del pericolo. Il Comitato aderisce al Comitato per il No nel referendum e al Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

mercoledì 11 maggio 2016

La questione "bollo" per i contratti Mepa

Una tassa invisibile da 50 milioni di euro. Nascosta tra le pieghe di una procedura burocratica svolta tutta via Internet. Ma che poi impone la stampa di un documento in formato cartaceo con l’obbligo di apporre le marche da bollo. Eppure l’intenzione sarebbe quella di facilitare le operazioni telematiche tra le piccole e medie imprese e la Pubblica Amministrazione,portando anche un risparmio di soldi agli imprenditori. Ma non solo. Dal 4 maggio il numero verde 800.906.227 per le informazioni sui rapporti economici con la PA è diventato a pagamento. Così il deputato del Movimento 5 Stelle, Alessio Villarosa, ha raccolto le lamentele dei titolari di piccole aziende e ha chiesto, in un question time, al ministro dell’economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, di intervenire sulla vicenda. “Il governo parla di semplificazione e digitalizzazione, sbandierandopresunti risparmi. Poi in realtà ci sono degli aumenti dei costi”, spiega a ilfattoquotidiano.it Villarosa, che aggiunge: “Abbiamo ricevuto molte segnalazioni di piccoli imprenditori alle prese con questo sistema che li svantaggia”.
FUORI MERCATO L’istituzione del Mercato elettronico della P.A.(MePA) si pone obiettivi ambiziosi: da una parte far risparmiare tempo e garantire trasparenza alle amministrazioni; e dall’altra diminuire i costi commerciali alle imprese, che possono in questo modo ampliare pure i rapporti di fornitura, e quindi economici, con le amministrazioni. Ma come funziona il MePA? Il meccanismo si attua principalmente attraverso la Consip, la società del Ministero dell’Economia e delle Finanze che supporta le amministrazioni negli acquisti di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche. In questo caso svolge un ruolo di raccordo tra le imprese abilitate a partecipare a questi bandi e le amministrazioni che richiedono un servizio. La convenzione tra le parti viene così stipulata sul portaleacquistainretepa.it. Sin qui tutto lineare e veloce, secondo il principio della digitalizzazione che dovrebbe accorciare i tempi della burocrazia. Ma dopo la transazione telematica c’è l’inghippo: viene richiesta la stampa del documento dell’ordine effettuato con relativa imposta da bollo di 16 euro ogni 4 facciate di fogli. Un’operazione che secondo le stime ha portato 50 milioni in più nelle casse dello Stato. E una tassa ulteriore sul conto delle imprese che hanno rapporti con la PA. Il problema è stato innescato da una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 16 dicembre 2013, secondo cui l’ordine inviato attraverso il MePa è uncontratto a tutti gli effetti. E quindi necessita dell’invio del documento fisico.“È davvero una cosa assurda. Bisogna fare prima tutta la parte telematica, e poi bisogna stampare. Dov’è la digitalizzazione?”, si chiede Villarosa.
CALL CENTER A PAGAMENTO  Come se non bastasse c’è stata un altro costo da affrontare per le imprese fornitrici della Pubblica amministrazione: dal 4 maggio il numero 800.906.227 del Call Center di AcquistinretePA è diventato a pagamento. Con la tariffazione al minuto, la bolletta potrebbe diventare molto cara: siccome si tratta di spiegazioni tecniche sul funzionamento del MePA, con tutta la solerzia possibile le telefonate non terminano in pochi secondi. “Sembra quasi ci sia la volontà di danneggiare le piccole e medie imprese per favorire sempre e solo i grandi”, incalza Villarosa. Per questo il Movimento 5 Stelle, nel question time, ha messo nero su bianco la richiesta di “intraprendere iniziative che prevedano l’esenzione dall’imposta di bollo dei contratti stipulati con la PA attraverso il mercato elettronico, o altre e diverse forme di compensazione, nonché a ripristinare la gratuità di tutti i numeri verdi del call center AcquistinretePA”.

fonte: Il fatto quotidiano, 13 maggio 2015

sabato 7 maggio 2016

Emergenza cultura

Emergenza cultura. Salviamo l’articolo 9
Roma, 7 maggio 2016
Noi – cittadini italiani, donne e uomini impegnati con il nostro lavoro, stabile o precario, a produrre e diffondere cultura, membri delle associazioni professionali e delle associazioni per la tutela, studentesse e studenti delle università e delle scuole – denunciamo che il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione sono oggi in gravissimo pericolo.
Denunciamo che le modifiche dell’ordinamento introdotte dal Governo Renzi, e passivamente subite dal ministro Dario Franceschini, stanno di fatto rimuovendo l’articolo 9 dalla Costituzione. Le generazioni future rischiano di non ricevere in eredità l’Italia che noi abbiamo conosciuto.
Il nostro è un grido di allarme: è emergenza per la cultura!
Noi vogliamo che la cultura sia davvero un servizio pubblico essenziale: che le biblioteche e gli archivi funzionino come negli altri paesi europei, che i musei siano fabbriche di sapere, che le scuole formino cittadini e non consumatori, che la salvezza dell’ambiente in cui viviamo sia l’obiettivo più alto di ogni governo.
Per questo chiamiamo a raccolta tutte le cittadine e i cittadini italiani: li chiamiamo a scendere in piazza, a Roma, il 7 maggio 2016.
 Quella manifestazione chiederà al governo Renzi di sospendere l’attuazione dello Sblocca Italia, della Legge Madia e delle ‘riforme’ Franceschini: perché si apra un vero dibattito, nel Paese e nel Parlamento, sul futuro del territorio italiano, bene comune non rinnovabile.
Quella manifestazione chiederà di permettere ad un nuova leva di giovani di entrare nei ranghi del Ministero per i Beni culturali: non con l’effetto-annuncio delle una tantum, fabbriche di un nuovo schiavismo, ma con la costruzione di un futuro normale per chi vuole mettere la sua vita al servizio del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione.

  1. «La Repubblica tutela»

Chiediamo che si rinunci al ricorso a legislazione d’emergenza e di urgenza per aprire le porte alle devastanti Grandi Opere, come prevede lo Sblocca Italia.
Al governo che vuol fare il Ponte sullo Stretto, chiediamo invece che venga studiata, finanziata, avviata l’Unica Grande Opera utile, anzi vitale per il futuro del Paese: salvare il territorio, risanarlo, metterlo in sicurezza sia dal punto di vista idrogeologico che dal punto di vista sismico.
Chiediamo che sia abbandonata la filosofia dei beni culturali come pozzi petroliferi, che comporta lo sfruttamento intensivo di una piccola porzione del patrimonio – spesso a vantaggio di pochi privati con forti connessioni politiche –  e l’abbandono e l’incuria per la maggioranza dei siti. Sul territorio si deve continuare a fare tutela, ma anche valorizzazione: il vero obiettivo è portare gli italiani e i turisti nel nostro patrimonio diffuso, che nessuno conosce e che dunque cade a pezzi.
Chiediamo che si torni indietro rispetto all’idea cardine della Riforma Franceschini: la miope e pericolosissima separazione radicale tra tutela (di fatto annullata) e valorizzazione (di fatto trasformata in mercificazione). Chiediamo che si interrompa il processo di trasformazione dei musei statali in fondazioni di partecipazione aperte agli enti locali e ai privati. I musei devono continuare a fare sia tutela che valorizzazione: devono avere al loro interno vere comunità scientifiche permanenti, in grado di fare ricerca e comunicare la conoscenza. La selezione del personale deve essere seria e trasparente, non spettacolarizzata e deludente. E la politica deve ritirare le sue lunghe mani dai consigli d’amministrazioni, dai consigli scientifici e dalle direzioni dei musei autonomi.
Chiediamo che siano sospesi l’accorpamento delle soprintendenze archeologiche, la soppressione della direzione generale per l’archeologia, lo stravolgimento dei depositi e degli archivi delle strutture territoriali di tutela.
Chiediamo che venga ritirata la norma del silenzio-assenso contenuto nella Legge Madia: perché è incostituzionale, e perché fa scontare all’ambiente e al paesaggio gli inevitabili ritardi di una amministrazione che prima è stata scientificamente massacrata nei ranghi, nei finanziamenti, nel morale.
Chiediamo che il governo rinunci a far confluire le Soprintendenze in Uffici territoriali dello Stato diretti dai prefetti.
Chiediamo che venga ripristinata la competenza del Ministero per i Beni Culturali nella scelta degli immobili pubblici da vendere ai privati.
Chiediamo che non si indebolisca in alcun modo la legislazione sull’esportazione delle opere d’arte dall’Italia.
Chiediamo che si rinunci all’idea di smembrare i Parchi nazionali, che si rinunci al loro depotenziamento, che si nominino presidenti e direttori di livello nazionale e non più esponenti locali, adeguando la legge sulle aree protette al Codice per il Paesaggio.
  1. Fondata sul lavoro
Denunciamo la demonizzazione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, dei funzionari pubblici, dei dipendenti dello Stato, i quali mantengono aperto a tutti il patrimonio culturale della nazione, nonostante gli stipendi risibili, e nonostante l’incuria e il tradimento dei governi della Repubblica.
Denunciamo che, nonostante l’annuncio di misure palliative di puro impatto mediatico (le ventilate 500 assunzioni dal 1° gennaio 2017 non serviranno nemmeno a rimpiazzare chi andrà in pensione da ora ad allora), vengono frustrate ancora un volta le speranze di chi si è duramente formato per lavorare al servizio del patrimonio culturale, della sua tutela e della sua apertura ai cittadini dell’Italia e del mondo.
Chiediamo che la tutela del patrimonio e la direzione degli istituti della cultura (compresi i musei) continuino ad essere affidate a tecnici (archeologi, storici dell’arte, architetti, bibliotecari, archivisti, restauratori, conservatori, demoetnoantropologi, diagnosti,  etc.). Chiediamo che questo compito sia affidato agli operatori dei beni culturali, individuati dalla recente legge n°110 del 22 luglio 2014 sulle professioni nell’esercizio delle azioni di tutela e valorizzazione) assunti attraverso concorsi pubblici trasparenti, che tengano conto dell’offerta formativa presente nelle università del nostro Paese, indipendenti dal potere politico, tenuti ad obbedire solo alla legge, alla scienza e alla coscienza. Chiediamo che – come imponeva il comma 2 dell’art. 2 di quella legge – venga emanato, in accordo con le associazioni professionali, un decreto ministeriale che stabilisca le modalità e i requisiti per l’iscrizione dei professionisti negli elenchi nazionali, nonché le modalità per la tenuta degli stessi elenchi nazionali in collaborazione con le associazioni professionali.Chiediamo che vengano adeguatamente valorizzate le professionalità interne, troppo spesso mortificate  e compresse, tramite lo sblocco dei percorsi di carriera e nel concreto riconoscimento della qualità degli apporti professionali.
Chiediamo che le competenze e l’impegno dei professionisti del patrimonio culturale non vengano sostituite ricorrendo a forme più o meno surrettizie di sfruttamento, mascherate da volontariato, o da formazione, come il fondo “1000 giovani per la cultura”. In un Paese con un tasso del 42% di disoccupazione giovanile e del 12% di disoccupazione tout court, ogni forma di volontariato utilizzato come scorciatoia per abbattere i costi del lavoro rischia di entrare in rotta di collisione con le professioni e con le competenze dei professionisti.
Chiediamo che vengano assunti immediatamente i 1400 lavoratori necessari a compiere l’organico del Ministero per i Beni culturali, e che quindi venga sbloccato il turnover annuale, attraverso concorsi regolari per l’assunzione a tempo indeterminato di professionisti.
Chiediamo dignità professionale e riconoscimento di diritti a tutele per i tanti professionisti del settore che esercitano con partita IVA: equità fiscale e previdenziale, protezioni sociali per maternità e malattia, sostegno al reddito anche per i lavoratori autonomi.Proponiamo agevolazioni sull’IVA (come già avviene per le guide turistiche) e una riduzione dell’aliquota previdenziale al 24% (così come previsto per artigiani e commercianti).
Chiediamo che, dalla bozza riguardante le linee guida per l’archeologia preventiva elaborata dalla Direzione Generale del MiBACT, si passi celermente all’emanazione di un provvedimento che ponga fine a difformità, spesso piuttosto marcate, di prescrizioni e procedure, anche all’interno degli uffici, sul territorio nazionale, con sensibile miglioramento dell’attività di tutela e offrendo nel contempo possibilità di lavoro qualificato ai professionisti del settore.

  1. Finanziamenti

Chiediamo un piano di investimenti in settori chiave quali ricerca e istruzione, che generano ricadute virtuose sia in termini di competitività internazionale del paese, che in termini di cultura civile e democratica. Non la girandola di una tantum venduta come risolutiva dal Governo Renzi, né tantomeno il superfinanziamento di carrozzoni privati.
L’investimento in cultura e la produzione di conoscenza costituiscono la leva strategica di un modello di sviluppo la cui competitività non si risolva in sfruttamento della manodopera,  ma in innovazione. E non c’è innovazione se non si garantiscono risorse adeguate alla scuola e all’università pubbliche, oltre che nelle infrastrutture della ricerca, a partire da biblioteche, archivi, laboratori scientifici.
Chiediamo che le biblioteche, gli archivi e in generale gli istituti di cultura statali – depositari di un tesoro librario in tutto paragonabile alle collezioni di arte e famoso in tutto il mondo – ricevano regolarmente il finanziamento ordinario che solo può consentirne la vita.


  1. Formazione

Chiediamo che sia garantita  a tutti la fruibilità pubblica della cultura e del patrimonio storico-artistico, chiave di ogni formazione alla cittadinanza attiva e consapevole. Chiediamo, dunque, che ogni politica di bigliettazione e gratuita sia fondata solo sul criterio della maggior accessibilità sociale possibile.
Chiediamo che si insegni davvero la Storia dell’arte nelle scuole italiane: che la si insegni in tutte le scuole secondarie.
Chiediamo che, subito, si cominci col ripristinare le molte ore tagliate dalla Riforma Gelmini e non più reintrodotte, nonostante le promesse di questo Governo, e che gli insegnanti siano quei laureati e abilitati in Storia dell’arte, la cui preparazione costituisce un valore aggiunto per un’offerta formativa non solo culturale, ma anche civica e sociale.
Chiediamo un pieno finanziamento del diritto allo studio e dei luoghi della formazione nel nostro Paese. Chiediamo che scuole ed università tornino ad essere, in ottemperanza alla Costituzione, accessibili a tutti e baricentro di relazioni e interscambi con siti museali e patrimonio storico-artistico del territorio.

Conclusione


Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ama usare senza risparmio la retorica della Bellezza, e contemporaneamente sostiene che «soprintendente» sia la parola più brutta della burocrazia. Noi ci rivolgiamo al Paese per smascherare questa narrazione, questo storytelling, questa gigantesca mistificazione: se l’Italia è ancora bella, è perché le generazioni che ci hanno preceduto hanno saputo scrivere regole giuste e lungimiranti, e hanno saputo investire sul lavoro di chi era chiamato ad applicarle e a farle rispettare.
Oggi, invece, il governo Renzi scommette tutto sulla rimozione delle regole, e progetta un futuro in cui nessun tecnico possa opporsi all’arbitrio del potere esecutivo: questo significa porre le premesse del consumo finale del nostro paesaggio e della nostra arte.
Non ci riconosciamo in questa Italia che divora se stessa a beneficio di pochi ricchi e potenti. Ci riconosciamo, invece, nel progetto della Costituzione, per la quale il patrimonio culturale serve alla costruzione dell’uguaglianza sostanziale e al pieno sviluppo della persona umana.
Chiediamo con forza che quel progetto sia finalmente realizzato, non smantellato.
È emergenza cultura: salviamo l’articolo 9!

Stil novo

Sovrintendente  è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?

Matteo Renzi,  da Stil novo

venerdì 6 maggio 2016

Nel giorno dell’angoscia

1) “Buono è il Signore, un asilo sicuro nel giorno dell’angoscia” (Nahum 1,7).
2) “Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi” (2 Corinzi 4,8­-9).
3) Sapendo questo, posso dire con il salmista: “Se cammino in mezzo alla sventura tu mi ridoni vita; contro l’ira dei miei nemici stendi la mano e la tua destra mi salva” (Salmo 138,7).
4) Puoi dire con gratitudine: “Esulterò di gioia per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria, hai conosciuto le mie angosce” (Salmo 31,8)


5) Ci sono moltissime cose delle quali forse non capirai mai il perché in questo mondo, ma “sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Romani 8,28).
6) Sapendo che Dio ha un proposito nella situazione che stai vivendo puoi dire: “Canto delle ascensioni. Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra” (Salmo 121,1-­2).
7) E allora, Figli, agite “gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (1 Pietro 5,7).
8) “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Matteo 6,34).
9) “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione” (2 Corinzi 1,3).
10) “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4,6-­7).

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...