lunedì 27 giugno 2016

L'amicizia diacronica

Il rapporto di Francesco Cossiga con san Tommaso Moro è un bell'esempio di «amicizia diacronica», cioè fra persone separate nel tempo, ma in sintonia così profonda da potersi definire amicale. Ne dà testimonianza il libro di Antonio Casu, direttore della biblioteca della Camera, Il potere e la coscienza (Rubbettino, pp. 186, euro 14), sottotitolato «Thomas More nel pensiero di Francesco Cossiga». Cossiga vedeva nel Cancelliere martire il campione dello Stato laico secondo la concezione di una politica inseparabile dall'etica, indirizzata al bene comune «possibile»: la difesa dei valori e degli interessi legittimi, infatti, deve essere tradotta «in forme e termini compatibili con il funzionamento generale del sistema politico, al fine di pervenire a un assetto generale armonico, non dominato da settarismi e particolarismi». L'utopia di More, secondo Cossiga, si rivela «come una visione che non prefigura sulla terra una società perfetta edificata dagli uomini, il mito di un progresso inarrestabile e salvifico, la fine della storia»; bensì «l'orizzonte in direzione del quale ogni persona è chiamata a procedere nell'agire quotidiano». Il libro riporta testualmente gli interventi di Cossiga sull'argomento: si tratta di conferenze, prefazioni, capitoli di volumi collettivi, dal 1978 al 2004. Particolarmente significativa la partecipazione del Presidente emerito della Repubblica alla tavola rotonda del 9 aprile 2003 presso la Pontificia Università della Santa Croce sul tema: «L'impegno e i comportamenti dei cattolici nella vita politica». All'iniziativa, aperta dal prelato dell'Opus Dei, monsignor Javier Echevarría, Gran Cancelliere dell'Ateneo, parteciparono anche l'allora cardinale Joseph Ratzinger, Giuseppe De Rita, Ernesto Galli della Loggia, Paolo Del Debbio e Ángel Rodríguez Luño. Nell'occasione, Ratzinger e Cossiga concordarono che la politica non si desume dalla fede, ma dalla ragione, una ragione «che ha la capacità di conoscere i grandi imperativi morali», rifiutando «un positivismo ed empirismo che è una mutilazione della ragione». L'ultima parte del volume è dedicata all'azione di Francesco Cossiga perché Thomas More venisse proclamato dal Papa patrono dei governanti e dei politici. Il progetto andò a buon fine per il confluire di due iniziative sorte indipendentemente: il senatore venezuelano Hilarión Cardozo (che fu anche ministro della Giustizia nel suo Paese) dal 1991 perorava simile causa ed aveva mobilitato eminenti uomini politici sudamericani, vescovi e intere Conferenze episcopali, compresa la Conferenza episcopale britannica. Dal canto suo, Cossiga operava in proprio, e fu l'allora prelato dell'Opus Dei, monsignor Álvaro del Portillo, a invitare monsignor Flavio Capucci, postulatore della Causa di beatificazione e canonizzazione di san Josemaría Escrivá, a mettere in contatto Cardozo e Cossiga. Nell'Opus Dei c'è molta devozione per san Tommaso Moro, perché san Josemaría lo scelse per tutta l'Opera come intercessore per i rapporti con le autorità civili. L'amicizia fra Capucci e Cossiga è rievocata nel libro, e finalmente, il 31 ottobre dell'Anno giubilare 2000, Giovanni Paolo II proclamò Tommaso Moro patrono dei governanti e dei politici. In questi difficili momenti, governanti e politici, ma anche tutti i cittadini, è bene che si rivolgano al martire inglese obiettore di coscienza affinché la politica non sia guidata da mere ambizioni di potere, bensì dalla consapevolezza che «le istituzioni non sono semplicemente dei meccanismi giuridici: esse sono anche forme operative dell'autocoscienza della nazione».

fonte:Avvenire, 
28/12/2011
 
 

14 ottobre 1988


fonte: tantopremesso.it

domenica 26 giugno 2016

Più importante oggi che in qualunque altro tempo

Nel 1516, cinquecento anni fa, veniva pubblicata un'opera destinata ad essere non solo un capolavoro immortale, ma anche a costituire un vero e proprio paradigma in campo letterario, filosofico e politico. Utopia era uscita dalla fervida mente dell'inglese sir Thomas More, in italiano Tommaso Moro. 

Colui che in quel momento era uno degli umanisti più in vista d'Europa, consigliere del Re d'Inghilterra Enrico VIII, brillante avvocato e raffinato intellettuale pubblicò un romanzo scritto in lingua latina in cui descrive un'isola immaginaria, una società ideale. Moro derivò il termine dal greco antico con un gioco di parole fra ou-topos (cioè non-luogo) ed eu-topos (luogo felice); utopia è quindi, letteralmente un "luogo felice inesistente". Il grande umanista dipinse un opposto idealizzato della società sua contemporanea, che egli sottopose a una satira sottile. La parola Utopia da allora entrò nel lessico comune con il significato di sogno, di progetto, di immaginazione proiettata sul futuro. 

Eppure Moro era tutt'altro che un sognatore, che un uomo in fuga dalla realtà. Era un uomo estremamente concreto, abituato ad affrontare l'esistenza propria e degli altri, le persone della sua famiglia, coloro i cui casi giudiziari gli erano affidati e che per lui erano sempre prima di tutto persone, e non appunto "casi". Un uomo che si prendeva cura della vita pubblica, della politica, del bene comune dei suoi concittadini inglesi. Un uomo caratterizzato da una profonda, intensa fede, che anni dopo lo avrebbe portato al patibolo, vittima di quel re che aveva fedelmente servito ma che non seguì nella sua rottura con Roma, con la Chiesa universale. 

Virtù che secoli dopo sarebbero state riconosciute dalla Chiesa stessa, dopo che lo erano state dal piccolo gregge cattolico di Inghilterra, perseguitato a lungo. Nel 1935 Tommaso Moro venne canonizzato e anni dopo un altro papa, san Giovanni Paolo II, lo avrebbe proclamato santo protettore dei politici, una categoria di persone che effettivamente ha un enorme bisogno di protezione sovrannaturale, in primo luogo per sfuggire alle tentazioni del potere cui sono sottoposti, e nei confronti dei quali si rivelano debolissimi nella propria resistenza, con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Un santo dunque, l'autore di una chimera letteraria, filosofica, politica? 

La parola utopia in effetti non sembrerebbe appartenere strettamente al "gergo" della Chiesa, che usa terminologie molto concrete per definirsi e per definire la propria missione: popolo, gregge, corpo stesso di Cristo. Il Cristianesimo nasce a partire da un fatto, un avvenimento assolutamente concreto: il farsi carne di Dio in un bambino, Gesù, nonché nella passione, morte e resurrezione di quest'ultimo. Se tuttavia è vero che la parola utopia è molto usata nell'ambito politico e culturale, presenta anche alcuni aspetti religiosi molto importanti. Un'utopia (il cui significato è letteralmente non luogo, un luogo che non c'è) è un assetto politico, sociale nonchè religioso che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come ideale e come modello. Indica una meta intesa come puramente ideale e non effettivamente raggiungibile; in questa accezione, può avere sia il connotato di punto di riferimento su cui orientare azioni praticabili, sia quello di mera illusione e di ideale irraggiungibile. 

L'utopista - sia come coniatore di utopie, sia come semplice propugnatore, sia come pensatore utopico critico - può quindi essere tanto colui che costruisce le sue ipotesi ideologiche prescindendo dalla realtà - come Lenin, che affermava che se le sue idee non coincidevano con la realtà, tanto peggio per la realtà- quanto colui che indica un percorso che ritiene al contempo auspicabile e pragmaticamente perseguibile. Nell'uso comune, utopia e utopismo sono spesso associati a pensieri e comportamenti velleitari. Molto spesso anche il Cristianesimo viene indicato come un'"utopia". La via mostrata da Cristo sarebbe troppo "alta", impraticabile, e quindi utopica, così come una società fondata sui princìpi cristiani.  Eppure il termine utopia fu coniato da un santo, un martire, Tommaso Moro, che per difendere i suoi ideali, che erano realtà ben concrete, finì sul patibolo. Ideali concreti, e non sogni o visioni ideologiche: la verità, la giustizia, il bene comune del popolo, l'unità della famiglia. Moro aveva compreso con straordinaria lucidità dove avrebbe portato la strada aperta dal suo ambizioso sovrano: all'esatto contrario di un "luogo buono" in cui vivere, ma ad un paese oppresso da una feroce oligarchia che per egoismo si sarebbe fatta beffe dei valori per cui Moro si battè fino alla morte, pur di non venir meno alla verità. 

Quelli in cui Moro pubblicava il suo romanzo erano anni fervidi, anni che precedettero eventi eccezionali e drammatici per la storia europea e del mondo: Erasmo da Rotterdam aveva appena scritto - nel 1511- l'Elogio della Follia, un'opera peraltro dedicata allo stesso Moro, e nel 1513 Machiavelli redasse Il Principe, manifesto del pragmatismo politico, dove il fine giustifica i mezzi. Infine, un anno dopo Utopia, nel 1517, Martin Lutero pubblicò le sue tesi, e diede inizio alla Riforma. Si apriva così una stagione non solo religiosa, ma anche politica, che avrebbe sconvolto per sempre gli scenari europei.
"Quando penso in cuor mio a tutte le repubbliche che oggi fioriscono ovunque, Dio mi aiuti, non vedo che cospirazioni dei ricchi per curare i propri interessi privati con il pretesto di fare quelli pubblici. Escogitano e inventano ogni genere di stratagemma , in primo luogo per conservare senza timori quel che hanno ingiustamente accumulato, secondariamente per abusare del lavoro e della fatica dei poveri con la minor spesa possibile. Poi gli stessi ricchi decidono che questi stratagemmi devono essere adottati e rispettati per il bene dello Stato, ossia anche della povera gente, e quindi ne fanno delle leggi".  
Così scriveva Tommaso Moro nelle ultime conclusive pagine di Utopia. Ancora una volta una visione tristemente anticipatrice, profetica.
La cupidigia sembra essere il grande male – all'origine di ulteriori mali. contro cui lottare anche oggi.
Lo aveva ben colto un attento lettore di Moro come Gilbert K. Chesterton, che agli inizi del '900 scrisse alcuni romanzi apparentemente surreali, come La sfera e la croce, Il Napoleone di Notting Hill, Manalive, e soprattutto  L'osteria volante dove immagina un Inghilterra del XXI secolo dominata da un potere di tipo massonico che si avvale della collaborazione di ambienti islamici – una sorprendente distopia mitigata da quello straordinario umorismo per cui il celebre convertito può essere considerato il miglior erede di Moro.

Chesterton paventava l'avvento di "masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone". Per Chesterton si sarebbe riconosciuta questo nuovo ordine per le offese recate a Dio e all'uomo, alla morte e alla vita, entrambe rese un nulla . Da questo si sarebbe capito che la barbarie era in arrivo.

Mentre nella prima metà del '900 andavano realizzandosi i peggiori incubi di società tiranniche, ingiuste, oppressive, Chesterton pensò alla possibilità di realizzare forme di civiltà come quella descritta da Moro. Anche e soprattutto per questo motivo fondò il movimento Distributista. In occasione di una manifestazione celebrativa di Tommaso Moro tenutasi a Londra, nel Santuario di Beaufort Street nel 1929, Chesterton scrisse: "Il beato Thomas More è più importante oggi che in qualunque altro tempo fin dalla sua morte, forse anche più che del grande momento del suo morire, ma non è ancora così importante come sarà tra un centinaio di anni." 

Dalla vita e dal martirio di san Tommaso Moro scaturisce un messaggio che attraversa i secoli e parla agli uomini di tutti i tempi della dignità inalienabile della coscienza, nella quale, risiede il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nella sua intimità.
Quando questo richiamo della verità viene ascoltato, allora la coscienza orienta con sicurezza i loro atti verso il bene.
Tommaso Moro morì testimoniando che c'è un bene più grande di ogni potere e ogni successo mondano per cui vale la pena dare la vita. Dava la vita per i propri amici, per la propria famiglia, per il proprio povero paese che stava a sua volta per andare incontro a un bagno di sangue.
Il 6 luglio 1535 venne decapitato.
Le cronache riportarono il modo in cui si avviò al supplizio: con animo sereno, con fede pronta, con umorismo, con grazia. 


Paolo Gulisano (fonte:uomovivo.blogspot.it)

sabato 25 giugno 2016

Modifica della durata contrattuale e imposizione del quinto

Art. 106. Modifica di contratti durante il periodo di efficacia


1. Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall'ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti: 


a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazione dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l'effetto di alterare la natura generale del contratto o dell'accordo quadro. Per i contratti relativi ai lavori, le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate, sulla base dei prezzari di cui all'articolo 23, comma 7, solo per l'eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà. Per i contratti relativi a servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; 



b) per lavori, servizi o forniture, supplementari da parte del contraente originale che si sono resi necessari e non erano inclusi nell'appalto iniziale, ove un cambiamento del contraente produca entrambi i seguenti effetti, fatto salvo quanto previsto dal comma 7 per gli appalti nei settori ordinari: 



1) risulti impraticabile per motivi economici o tecnici quali il rispetto dei requisiti di intercambiabilità o interoperabilità tra apparecchiature, servizi o impianti esistenti forniti nell'ambito dell'appalto iniziale; 



2) comporti per l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi; 



c) ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per gli appalti nei settori ordinari dal comma 7: 



1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice o per l'ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all'oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d'opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti; 



2) la modifica non altera la natura generale del contratto; 



d) se un nuovo contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l'appalto a causa di una delle seguenti circostanze: 



1) una clausola di revisione inequivocabile in conformità alle disposizioni di cui alla lettera a) ; 



2) all'aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o per contratto, anche a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l'applicazione del presente codice; 



3) nel caso in cui l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei suoi subappaltatori; 



e) se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4. Le stazioni appaltanti possono stabilire nei documenti di gara soglie di importi per consentire le modifiche. 



2. Ferma restando la responsabilità dei progettisti esterni, i contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, anche a causa di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera o la sua utilizzazione, senza necessità di una nuova procedura a norma del presente codice, se il valore della modifica è al di sotto di entrambi i seguenti valori : 



a) le soglie fissate all'articolo 35; 



b) il 10 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di servizio e fornitura sia nei settori ordinari che speciali ovvero il 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori sia nei settori ordinari che speciali. Tuttavia la modifica non può alterare la natura complessiva del contratto o dell'accordo quadro. In caso di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche. 



3. Ai fini del calcolo del prezzo di cui ai commi 1, lettere b) e c), 2 e 7, il prezzo aggiornato è il valore di riferimento quando il contratto prevede una clausola di indicizzazione. 



4. Una modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi del comma 1, lettera e), quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. In ogni caso, fatti salvi i commi 1 e 2, una modifica è considerata sostanziale se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte: 



a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d'appalto iniziale, avrebbero consentito l'ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l'accettazione di un'offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione; 



b) la modifica cambia l'equilibrio economico del contratto o dell'accordo quadro a favore dell'aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale; 



c) la modifica estende notevolmente l'ambito di applicazione del contratto; 



d) se un nuovo contraente sostituisce quello cui l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore aveva inizialmente aggiudicato l'appalto in casi diversi da quelli previsti al comma 1, lettera d) . 



5. Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori che hanno modificato un contratto nelle situazioni di cui al comma 1, lettere b) e c), pubblicano un avviso al riguardo nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Tale avviso contiene le informazioni di cui all'allegato XIV, parte I, lettera E, ed è pubblicato conformemente all'articolo 72 per i settori ordinarie e all'articolo 130 per i settori speciali. 



6. Una nuova procedura d'appalto in conformità al presente codice è richiesta per modifiche delle disposizioni di un contratto pubblico di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia diverse da quelle previste ai commi 1 e 2. 



7. Nei casi di cui al comma 1, lettera b), per i settori ordinari il contratto può essere modificato se l'eventuale aumento di prezzo non eccede il 50 per cento del valore del contratto iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare il presente codice. 



8. La stazione appaltante comunica all'ANAC le modificazioni al contratto di cui al comma 1, lettera b) e al comma 2, entro trenta giorni dal loro perfezionamento. In caso di mancata o tardiva comunicazione l'Autorità irroga una sanzione amministrativa alla stazione appaltante di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo. L'Autorità pubblica sulla sezione del sito Amministrazione trasparente l'elenco delle modificazioni contrattuali comunicate, indicando l'opera, l'amministrazione o l'ente aggiudicatore, l'aggiudicatario, il progettista, il valore della modifica. 



9. I titolari di incarichi di progettazione sono responsabili per i danni subiti dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni della progettazione di cui al comma 2. Nel caso di appalti aventi ad oggetto la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori, l'appaltatore risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d'opera a causa di carenze del progetto esecutivo. 



10. Ai fini del presente articolo si considerano errore o omissione di progettazione l'inadeguata valutazione dello stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle regole di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali. 


11. La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l'individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all'esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante. 

12. La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario una aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell'importo del contratto, può imporre all'appaltatore l'esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l'appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto. 


13. Si applicano le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52. Ai fini dell'opponibilità alle stazioni appaltanti, le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitrici. Fatto salvo il rispetto degli obblighi di tracciabilità, le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione. Le amministrazioni pubbliche, nel contratto stipulato o in atto separato contestuale, possono preventivamente accettare la cessione da parte dell'esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione. In ogni caso l'amministrazione cui è stata notificata la cessione può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto relativo a lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato. 



14. Per gli appalti e le concessioni di importo inferiore alla soglia comunitaria, le varianti in corso d'opera dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture sono comunicate dal RUP all'Osservatorio di cui all'articolo 213, tramite le sezioni regionali, entro trenta giorni dall'approvazione da parte della stazione appaltante per le valutazioni e gli eventuali provvedimenti di competenza. Per i contratti pubblici di importo pari o superiore alla soglia comunitaria, le varianti in corso d'opera di importo eccedente il dieci per cento dell'importo originario del contratto, incluse le varianti in corso d'opera riferite alle infrastrutture strategiche, sono trasmesse dal RUP all'ANAC, unitamente al progetto esecutivo, all'atto di validazione e ad una apposita relazione del responsabile unico del procedimento, entro trenta giorni dall'approvazione da parte della stazione appaltante. Nel caso in cui l'ANAC accerti l'illegittimità della variante in corso d'opera approvata, essa esercita i poteri di cui all'articolo 213. In caso di inadempimento agli obblighi di comunicazione e trasmissione delle varianti in corso d'opera previsti, si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 213, comma 12.

mercoledì 22 giugno 2016

Termine di durata delle concessioni perpetue

 Tar Puglia – Lecce, Sez. II - Sentenza 31 gennaio 2014, n. 289
La natura e le caratteristiche delle concessioni cimiteriali sono da tempo controverse, specie per quanto attiene alla durata del rapporto.
La decisione del TAR pugliese fa luce sulla questione, sgomberando il campo da alcuni dubbi. In particolare, secondo i giudici amministrativi, anche a voler ammettere la perpetuità dell'originaria concessione cimiteriale, resta da chiarire la questione di fondo, e cioè se, a fronte di una concessione cimiteriale perpetua, l'Amministrazione abbia o meno il potere di disporne unilateralmente la sua modifica, mediante la previsione di un termine di durata, oltre il quale la concessione deve essere rinnovata.
Per addivenire alla risposta, i giudici pugliesi chiariscono anzitutto che la gestione dei siti cimiteriali è permeata dalla disciplina pubblicistica demaniale; ciò implica che, se nei confronti dei terzi lo ius sepulchri garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene, con la conseguenza che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento, tuttavia, nei confronti della pubblica amministrazione concedente esso costituisce un "diritto affievolito" in senso stretto, soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 9 dicembre 2013, n. 5635 e 5 novembre 2013, n. 4901).
Ciò posto, pur nella consapevolezza delle oscillazioni giurisprudenziali in materia (fra cui i precedenti indicati nell'atto introduttivo del giudizio), la decisione del 31.1.2014 reputa che la natura demaniale dei cimiteri contrasti con la perpetuità delle concessioni cimiteriali, perché essa finirebbe per occultare un vero e proprio diritto di proprietà sul bene demaniale (cimitero), che per sua natura è un bene pubblico, destinato a vantaggio dell'intera collettività. Ne consegue che l'utilizzo di tale bene in favore di alcuni soggetti - che è ciò che si verifica attraverso una concessione - deve necessariamente essere temporalmente limitato (anche stabilendo una durata prolungata nel tempo e rinnovabile alla scadenza), venendo altrimenti contraddetta la sua ontologica finalità pubblica, al quale il bene verrebbe definitivamente sottratto (in termini, TAR Sicilia Palermo, sez. III, 2 dicembre 2013, n. 2341).Alla luce di tali considerazioni è stato considerato corretto il regolamento comunale che ha disposto la trasformazione delle concessioni c.d. "perpetue" in concessioni temporanee di lunga durata soggette a rinnovo, così come corretta si rivela la disposizione regolamentare nella parte in cui ha imposto al concessionario il pagamento di un canone concessorio per il loro rinnovo.

Il Sole 24 ore 07/02/2014

martedì 21 giugno 2016

Sprazzi di bellezza

Finisce sempre così,
con la morte.

Prima, però,
c'è stata la vita,
nascosta sotto il bla bla bla bla bla.

E' tutto sedimentato
sotto il chiacchiericcio e il rumore:
il silenzio e il sentimento,
l'emozione e la paura.

Gli sparuti, incostanti,
sprazzi di bellezza.

monologo finale del film "La grande bellezza", 2013

lunedì 20 giugno 2016

Il mio desiderio è fuggire



Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, Fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo. Non voglio più vedere questi volti, queste abitudini e questi giorni. Voglio riposarmi, da estraneo, dalla mia organica simulazione.

Voglio sentire il sonno che arriva come vita e non come riposo. Una capanna in riva al mare, perfino una grotta sul fianco rugoso di una montagna, mi può dare questo. Purtroppo soltanto la mia volontà non me lo può dare.” 

Fernando Pessoa


fonte:  Roberto Giachetti sulla sua pagina di Facebook





domenica 19 giugno 2016

Come si stipula il contratto a seguito di gara

L’articolo 32, comma 14, del d.lgs 50/2016 merita di essere scritto
 in modo più chiaro. 

Si propone la seguente disaggregazione.

Il contratto è stipulato, a pena di nullità:

  1. con atto pubblico notarile informatico;
  2. in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante:
    1. (sempre) in forma pubblica amministrativa a cura dell'ufficiale rogante della stazione appaltante;
    2. (anche) mediante scrittura privata in caso di procedura negoziata:

                           i. autenticata dal segretario comunale ai sensi dell’articolo 21, comma 4, del dpr 465/1997;
                            ii. non autenticata (residua ancora il dubbio se in questo caso sia obbligatoria la modalità elettronica, ma è opportuno ritenere di sì);

  1. col metodo della corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere, anche tramite posta elettronica certificata o strumenti analoghi negli altri Stati membri, (solo) per gli affidamenti di importo non superiore a 40.000 euro (sempre se conseguenti a procedura negoziata).

E’ bene ricordare l’articolo 13 del d.l. 52/2012, convertito in legge 94/2012: “Per i contratti relativi agli acquisti di beni e servizi degli enti locali, ove i beni o i servizi da acquistare risultino disponibili mediante strumenti informatici di acquisto, non trova applicazione quanto previsto dall'articolo 40 della legge 8 giugno 1962, n. 604”.

E' ulteriormente da precisare che nell'ipotesi 2.b. del precedente elenco, cioè laddove i contratti derivino da procedure negoziate, il contratto può (non deve) essere stipulato mediante scrittura privata, qualunque sia l'importo del contratto stesso, fermo restando che si può anche stipulare mediante atto notarile o in forma pubblica amministrativa.

fonte: http://luigioliveri.blogspot.it/

Il nuovo precario

Arrivano le prime indiscrezioni sul prossimo decreto del Governo che, in attuazione della riforma della pubblica amministrazione approvata lo scorso anno, modificherà sensibilmente la disciplina di riferimento per i dirigenti pubblici. I giornali danno in arrivo tagli dello stipendio del 10% l’anno, retrocessione a funzionario semplice, trasferimento, licenziamento. Parliamo di voci di corridoio dei bene informati, naturalmente, dato che del fantasmatico decreto non c’è ancora traccia: i pochi che ne hanno avuto visione giurano che sia per metà costellato di evidenziazioni in giallo, a testimonianza del fatto che la discussione su molti punti è ancora aperta. Attendiamo dunque il testo definitivo per osservazioni più puntuali. Sappiamo, tuttavia, che le novità per la dirigenza sono legate ad un elemento ben preciso, ovvero la cancellazione del diritto all’incarico per il dirigente pubblico. Ergo, se un incarico di direzione di un tal ufficio non viene conferito, il dirigente sarà a rischio di licenziamento. Posto che sul capo del dirigente pesano già oggi responsabilità di diverso tipo, che possono portare al suo licenziamento, resta sullo sfondo una domanda a cui nessuno ha sinora dato una risposta convincente: perché mai al dirigente non dovrebbe essere conferito un incarico?
Diamo per acquisite le innumerevoli – e non di rado fondate – critiche alla dirigenza pubblica di questo Paese: credo, tuttavia, che il principio basilare secondo il quale in qualsiasi organizzazione l’incapace o il pelandrone venga messo alla porta a seguito di apposita ed oggettiva valutazione negativa sia condivisibile dai più. Secondo quel che si annuncia, tale norma di buon senso non varrà però per i dirigenti pubblici dato che l’avvio al licenziamento, sia pure in modo assai graduale, sarà determinato dal semplice fatto di non ricevere un incarico di direzione, a prescindere dalla valutazione negativa del suo operato. In un nuovo quadro di unico calderone in cui confluiscono tutti i dirigenti dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, i bandi di accesso agli uffici (i cosiddetti interpelli) saranno finalmente aperti a tutti: bene, bravi, bis. Ma se alla fine della giostra di domande non perverrà un’accettazione, al dirigente rimarrà il classico cerino in mano, incamminandosi sulla strada del licenziamento. Ecco il nodo cruciale che desta le maggiori perplessità: venendo meno il diritto all’incarico, il conferimento dello stesso, che diviene vitale per la carriera del dirigente, potrebbe essere determinato da fattori che nulla hanno a che vedere con la valutazione del suo lavoro. Di conseguenza, come più volte evidenziato, è lecito prevedere una maggiore influenza della politica sulla dirigenza ed il rischio che il dirigente entri, ormai per decreto, nel gioco perverso delle cordate per ottenere una sedia. Comunque la si giri, dirigenti razza dannata.
La macchina che si immagina avrà senza dubbio bisogno di molto tempo per entrare a pieno regime: colpisce, però, che il quadro previsto si nutra della sostanziale sfiducia verso la figura del servitore dello Stato, la cui funzione di garanzia dell’interesse pubblico esce pesantemente depotenziata dalla ipotesi di riforma. Lo scatto, infatti, è di natura culturale: aver superato un concorso pubblico è oggi ritenuto poco più di un orpello, dimenticando che esso, pur al netto delle tante patologie che tutti conosciamo, risponde a precise disposizioni costituzionali a garanzia dei diritti dei cittadini. Il dirigente, dunque, è un nuovo precario. Siamo, di fatto, all’anno zero: un dibattito alto sulla dirigenza non è mai decollato, acquistando una qualche vitalità solo in occasione dei puntuali scandali dei cosiddetti “furbetti del cartellino” e incartandosi sulla inedita fattispecie del "dirigente casellante" degli uffici. Difficile rinvenire tracce dell’ambizione di voler affrontare in modo strategico il tema fondamentale di come rendere questa enorme macchina amministrativa una leva per far correre il Paese a partire dai vertici. Siamo infagottati di tornellismo, ricorrendo troppo spesso alla valutazione solo in un’ottica di repressione e mai di crescita delle persone, legati – buona parte della politica e della stessa burocrazia su questo vanno a braccetto – ad un’idea di amministrazione tutta fordista e lontana anni luce dalle organizzazioni più avanzate. Vedremo se la P.A. sarà in grado di fagocitare anche l'imminente riforma della dirigenza e se, come qualcuno anticipa, fioccheranno i ricorsi di fronte alla Corte Costituzionale. In ogni caso, rischiamo di perdere tempo prezioso. E le lancette corrono veloci.

fonte: Alfredo Ferrante, http://www.linkiesta.it

lunedì 13 giugno 2016

Una secolare popolarità

 
Non credo di sbagliarmi nel dire che l'informazione ecclesiale digitale ha accolto con particolare enfasi il decreto, emanato «per espresso desiderio di papa Francesco», che ha elevato la celebrazione liturgica di santa Maria Maddalena da «memoria obbligatoria» a «festa» (come già lo sono le celebrazioni liturgiche degli apostoli: a rimarcare, come ha spiegato monsignor Roche presentando il provvedimento, la sua figura di «apostola apostolorum»). Non c'è solo il picco di popolarità riscosso dalla notizia sul sito di "Avvenire"; c'è un vero e proprio coro, che somiglia – fino a prova contraria – a un Exultet.

Bastano del resto pochi clic per rendersi conto che nel tempo della Rete la secolare popolarità di questa donna dei Vangeli non solo non è venuta meno, ma si è rafforzata. Milioni le ricorrenze anglofone e ispanofone, centinaia di migliaia nelle altre lingue più diffuse. Sbaglierebbe chi ne attribuisse il merito alle numerose Maddalene pop proposte in anni recenti soprattutto dal cinema, invariabilmente riflettendo il fatto che la tradizione non ha visto in essa le distinte figure femminili che i Vangeli ritraggono. Credo piuttosto che sia il contrario: la cultura popolare contemporanea ha riconosciuto la forza di questa tradizione e l'ha ripresa, fino a strumentalizzarla per semplici fini commerciali (penso evidentemente al romanzo di Dan Brown).

Ma tornando all'accoglienza della decisione di Francesco, sottolineo il commento al femminile di Lucetta Scaraffia, sul sito de "L'Osservatore Romano" ( tinyurl.com/hykl7an ), che riesce davvero a dire, e bene, tanto di quanto c'è a mio parere da dire. E lo accosto a una per me indimenticabile lezione che fra Paolo Garuti, domenicano, biblista finissimo e intellettuale a tutto tondo, impartì, proprio ai tempi del film "Il Codice da Vinci", a proposito della quantità di figure che «si concentrano in Maria Maddalena», e della quale l'elefantiaca memoria digitale porta, per fortuna, la traccia ( tinyurl.com/h7evflq ).

fonte: Avvenire, Guido Mocellin, 12 giugno 2016



La festa di S. Maria Maddalena


Per «espresso desiderio» di Papa Francesco la Congregazione vaticana per il culto divino ha emesso un decreto con cui la celebrazione di Santa Maria Maddalena, oggi memoria obbligatoria nel giorno 22 luglio, viene elevata nel Calendario Romano generale al grado di festa. 

Un segnale molto importante riguardo al dovere dell'accoglienza e del perdono che rappresenta il messaggio principale del Giubileo della Misericordia in corso e dell'intero Pontificato. 

A spiegare il decreto il segretario del dicastero, monsignor Arthur Roche: «La decisione si iscrive nell’attuale contesto ecclesiale, che domanda di riflettere più profondamente sulla dignità della donna, la nuova evangelizzazione e la grandezza del mistero della misericordia divina. Fu San Giovanni Paolo II a dedicare una grande attenzione non solo all’importanza delle donne nella missione stessa di Cristo e della Chiesa, ma anche, e con speciale risalto, alla peculiare funzione di Maria di Magdala quale prima testimone che vide il Risorto e prima messaggera che annunciò agli apostoli la risurrezione del Signore».

«Francesco ha preso questa decisione proprio nel contesto del Giubileo della Misericordia per significare la rilevanza di questa donna che mostrò un grande amore a Cristo e fu da Cristo tanto amata»



Decreto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: la celebrazione di Santa Maria Maddalena elevata al grado di festa nel Calendario Romano Generale, 10.06.2016




Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum - Decretum
Resurrectionis dominicae primam testem et evangelistam, Sanctam Mariam Magdalenam, semper Ecclesia sive Occidentalis sive Orientalis, summa cum reverentia consideravit, etsi diversimode coluit.
Nostris vero temporibus cum Ecclesia vocata sit ad impensius consulendum de mulieris dignitate, de nova Evangelizatione ac de amplitudine mysterii divinae misericordiae bonum visum est ut etiam exemplum Sanctae Mariae Magdalenae aptius fidelibus proponatur. Haec enim mulier agnita ut dilectrix Christi et a Christo plurimum dilecta, “testis divinae misericordiae” a Sancto Gregorio Magno, et “apostolorum apostola” a Sancto Thoma de Aquino appellata, a christifidelibus huius temporis deprehendi potest ut paradigma ministerii mulierum in Ecclesia.
Ideo Summus Pontifex Franciscus statuit celebrationem Sanctae Mariae Magdalenae Calendario Romano generali posthac inscribendam esse gradu festi loco memoriae, sicut nunc habetur.
Novus celebrationis gradus nullam secumfert variationem circa diem, quo ipsa celebratio peragenda est, quoad textus sive Missalis sive Liturgiae Horarum adhibendos, videlicet:
a) dies celebrationis Sanctae Mariae Magdalenae dicatus idem manet, prout in Calendario Romano invenitur, nempe 22 Iulii;
b) textus in Missa et Officio Divino adhibendi, iidem manent, qui in Missali et in Liturgia Horarum statuto die inveniuntur, addita tamen in Missali Praefatione propria, huic decreto adnexa. Curae autem erit Coetuum Episcoporum textum Praefationis vertere in linguam vernaculam, ita ut, praevia Apostolicae Sedis recognitione adhiberi valeat, quae tempore dato in proximam reimpressionem proprii Missalis Romani inseretur.
Ubi Sancta Maria Magdalena, ad normam iuris particularis, die vel gradu diverso rite celebratur, et in posterum eodem die ac gradu quo antea celebrabitur.
Contrariis quibuslibet minime obstantibus.
Ex aedibus Congregationis de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, die 3 mensis Iunii, in sollemnitate Sacratissimi Cordis Iesu.
Robert Card. Sarah
Praefectus

  + Arturus Roche
Archiepiscopus a Secretis



Allegato - Præfatio: de apostolorum apostola

Vere dignum et iustum est,
æquum et salutáre,
nos te, Pater omnípotens,
cuius non minor est misericórdia quam potéstas,
in ómnibus prædicáre per Christum Dóminum nostrum.


Qui in hortu maniféstus appáruit Maríæ Magdalénæ,
quippe quae eum diléxerat vivéntem,
in cruce víderat moriéntem,
quæsíerat in sepúlcro iacéntem,
ac prima adoráverat a mórtuis resurgéntem,
et eam apostolátus offício coram apóstolis honorávit
ut bonum novæ vitæ núntium
ad mundi fines perveníret.


Unde et nos, Dómine, cum Angelis et Sanctis univérsis
tibi confitémur, in exsultatióne dicéntes:
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus Deus Sábaoth…


Apostolorum apostola - Articolo di S.E. Mons. Arthur Roche, Segretario del Dicastero
Per espresso desiderio del Santo Padre Francesco, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha pubblicato un nuovo decreto, datato 3 giugno 2016, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, con il quale la celebrazione di Santa Maria Maddalena, oggi memoria obbligatoria, sarà elevata nel Calendario Romano Generale al grado di festa.
La decisione si iscrive nell’attuale contesto ecclesiale, che domanda di riflettere più profondamente sulla dignità della donna, la nuova evangelizzazione e la grandezza del mistero della misericordia divina. Fu San Giovanni Paolo II a dedicare una grande attenzione non solo all’importanza delle donne nella missione stessa di Cristo e della Chiesa, ma anche, e con speciale risalto, alla peculiare funzione di Maria di Magdala quale prima testimone che vide il Risorto e prima messaggera che annunciò agli apostoli la risurrezione del Signore (cf. Mulieris dignitatem, n. 16). Questa importanza prosegue oggi nella Chiesa - lo manifesta l’attuale impegno di una nuova evangelizzazione - che vuole accogliere, senza alcuna distinzione, uomini e donne di qualsiasi razza, popolo, lingua e nazione (cf. Ap 5,9), per annunciare loro la buona notizia del Vangelo di Gesù Cristo, accompagnarli nel loro pellegrinaggio terreno ed offrir loro le meraviglie della salvezza di Dio. Santa Maria Maddalena è un esempio di vera e autentica evangelizzatrice, ossia, di una evangelista che annuncia il gioioso messaggio centrale della Pasqua (cf. colletta del 22 luglio e nuovo prefazio).
Il Santo Padre Francesco ha preso questa decisione proprio nel contesto del Giubileo della Misericordia per significare la rilevanza di questa donna che mostrò un grande amore a Cristo e fu da Cristo tanto amata, come affermano Rabano Mauro parlando di lei («dilectrix Christi et a Christo plurimum dilecta»: De vita beatae Mariae Magdalenae, Prologus) e Sant’Anselmo di Canterbury («electa dilectrix et dilecta electrix Dei»: Oratio LXXIII ad sanctam Mariam Magdalenam). E’ certo che la tradizione ecclesiale in Occidente, soprattutto dopo San Gregorio Magno, identifica nella stessa persona Maria di Magdala, la donna che versò profumo nella casa di Simone, il fariseo, e la sorella di Lazzaro e Marta. Questa interpretazione continuò ed ebbe influsso negli autori ecclesiastici occidentali, nell’arte cristiana e nei testi liturgici relativi alla Santa. I Bollandisti hanno ampiamente esposto il problema della identificazione delle tre donne e prepararono la strada per la riforma liturgica del Calendario Romano. Con l’attuazione della riforma, i testi del Missale Romanum, della Liturgia Horarum e del Martyrologium Romanum si riferiscono a Maria di Magdala. E’ certo che Maria Maddalena formò parte del gruppo dei discepoli di Gesù, lo seguì fino ai piedi della croce e, nel giardino in cui si trovava il sepolcro, fu la prima “testis divinae misericordiae” (Gregorio Magno, XL Hom. In Evangelia, lib. II,Hom. 25,10). Il Vangelo di Giovanni racconta che Maria Maddalena piangeva, poiché non aveva trovato il corpo del Signore (cf. Gv 20, 11); e Gesù ebbe misericordia di lei facendosi riconoscere come Maestro e trasformando le sue lacrime in gioia pasquale.
Approfittando di questa opportuna circostanza, desidero evidenziare due idee inerenti ai testi biblici e liturgici della nuova festa, che possono aiutarci a cogliere meglio l’importanza odierna di simile Santa donna.
Per un lato, ha l’onore di essere la «prima testis» della risurrezione del Signore (Hymnus, Ad Laudes matutinas), la prima a vedere il sepolcro vuoto e la prima ad ascoltare la verità della sua risurrezione. Cristo ha una speciale considerazione e misericordia per questa donna, che manifesta il suo amore verso di Lui, cercandolo nel giardino con angoscia e sofferenza, con «lacrimas humilitatis», come dice Sant’Anselmo nella citata preghiera. A tal proposito, desidero segnalare il contrasto tra le due donne presenti nel giardino del paradiso e nel giardino della risurrezione. La prima diffuse la morte dove c’era la vita; la seconda annunciò la Vita da un sepolcro, luogo di morte. Lo fa osservare lo stesso Gregorio Magno: «Quia in paradiso mulier viro propinavit mortem, a sepulcro mulier viris annuntiat vitam» (XL Hom. In Evangelia, lib. II, Hom. 25). Inoltre, è proprio nel giardino della risurrezione che il Signore dice a Maria Maddalena: «Noli me tangere». E’ un invito rivolto non solo a Maria, ma anche a tutta la Chiesa, per entrare in una esperienza di fede che supera ogni appropriazione materialista e comprensione umana del mistero divino. Ha una portata ecclesiale! E’ una buona lezione per ogni discepolo di Gesù: non cercare sicurezze umane e titoli mondani, ma la fede in Cristo Vivo e Risorto!
Proprio perché fu testimone oculare del Cristo Risorto, fu anche, per altro lato, la prima a darne testimonianza davanti agli apostoli. Adempie al mandato del Risorto: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro… Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto» (Gv 20,17-18). In tal modo ella diventa, come già notato, evangelista, ossia messaggera che annuncia la buona notizia della risurrezione del Signore; o come dicevano Rabano Mauro e San Tommaso d’Aquino, «apostolorum apostola», poiché annuncia agli apostoli quello che, a loro volta, essi annunceranno a tutto il mondo (cf. Rabano Mauro, De vita beatae Mariae Magdalenae, c. XXVII; S. Tommaso d’Aquino,In Ioannem Evangelistam Expositio, c. XX, L. III, 6). A ragione il Dottore Angelico usa questo termine applicandolo a Maria Maddalena: ella è testimone del Cristo Risorto e annuncia il messaggio della risurrezione del Signore, come gli altri Apostoli. Perciò è giusto che la celebrazione liturgica di questa donna abbia il medesimo grado di festa dato alla celebrazione degli apostoli nel Calendario Romano Generale e che risalti la speciale missione di questa donna, che è esempio e modello per ogni donna nella Chiesa.

fonti: Avvenire e vatican.va

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