mercoledì 18 ottobre 2017

La povertà

L’attualità del pensiero francescano sulla povertà

Chi si occupa di storia francescana può avere serie difficoltà nell’interpretare oggi l’ideale di vita povera. In verità, tenendo conto del passato, uno storico dovrebbe saper dare risposte obiettive, illustrare cosa la fraternità del XXI secolo intenda ora per profitto derivato dal lavoro e dalle offerte, spiegare quale sia l’identità che differenzia la vita povera subita da quella che si propone come scelta etica e in che senso l’opzione per una società francescanamente “povera” può portare un guadagno alla stessa. 

Chi si occupa di storia non dovrebbe esitare nel fornire definizioni, per così dire, scientifiche o perlomeno oggettive facendo riferimento ai molti studi che si sono susseguiti fin dal tardo Medioevo sulle concezioni economiche dei teologi francescani. Dopo la morte del santo, infatti, iniziarono complessi dibattiti nell’ambito della comunità francescana sull’uso povero del denaro. Questioni che si protrassero per secoli portando i ricercatori ad ipotizzare che le moderne idee di libero mercato, di capitalismo, nacquero addirittura con i primi discepoli di Francesco. 

Ma lo storico di oggi ha ben altra responsabilità morale e non solo di fronte alla sua piccola comunità di lettori ma rispetto all’intero genere umano che subisce la povertà di una civiltà depredata dei suoi valori. Per il livello di progresso a cui siamo arrivati è intollerabile assistere a ciò che la quotidianità, a causa degli infimi sistemi finanziari, del “valore” di scambio e ricatto della moneta, mostra con crudezza ai nostri occhi: assenza di lavoro, terrorismo, paura, morte, corpi di bambini dilaniati da bombe e accatastati come in un mercato infernale, rigidi, con l’ultimo sguardo rivolto a chiedere perché l’umanità sia divenuta povera come non mai. Un’umanità che è continuamente impoverita di sogni. 

Ma allora la povertà è positiva o negativa? Chi si occupa di storia non può accettare, oggi, giustificazioni retoriche del tipo «L’uomo cerca il male ciclicamente, non c’è da meravigliarsi se la povertà si subisce e non si sceglie. Perché è solo il male che modella le geografie economiche dell’umanità». Questo è falso: la povertà francescana può rivoluzionare il sistema di un mondo in cancrena. Sì, scegliendo la “ricca” povertà che è sposa del santo di Assisi e dei suoi frati. La Bellezza di Francesco e dei suoi compagni è di aver puntato ad un ideale morale di povertà, al di là di una questione economica.

Sono i pauperes di Francesco, saranno i bambini siriani colpiti dai recenti attacchi chimici a diventare paladini e nuovi cavalieri cortesi della civiltà. Chi si occupa di storia sa che nel condurre questo esercito di pace verso la strada giusta c’è anche un trovatore, un poeta, un giullare armato di saio e carico di rivoluzioni nel cuore. Qualche giorno fa, a Roma, in Piazza del Popolo, sono rimasto meravigliato da alcuni bimbi che giocavano a farsi colpire da bolle di sapone. I colpevoli dei recenti bombardamenti nella provincia siriana di Idlib forse non sapevano che solo alle bolle di sapone è concesso il diritto di colpire un bambino. 

Francesco d’Assisi, oggi, ci rassicurerebbe col dirci che torneranno i prati, anche per i bimbi di Idlib, che esiste un modo d’essere ricchi di ciò che è bene per tutti, che c’è una via per essere finalmente poveri dell’inutile. La giusta povertà è francescana.

MARCO IUFFRIDA , San Francesco Patrono d'Italia




La lebbra

LA CHIAVE DI TUTTO, IL TESTAMENTO DI FRANCESCO

E’ davvero straordinario come, in confronto ad esempio del Cantico delle Creature – senza dubbio una delle poesie più belle che siano mai state scritte al mondo -, si legga ancora poco, e meno si mediti, quello straordinario documento che è il Testamento di Francesco. 

Si continua a discutere a proposito della conversione di Francesco e delle relative circostanze: eppure è molto difficile riuscire a comprendere sino in fondo, a cogliere il nucleo e la chiave di tutto contenuti in queste semplici parole, pure e cristalline come l’acqua di fonte: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e usai con essi misericordia”

Dicono che in una sola goccia v’è un universo, milioni di mondi, miriadi di sistemi solari. Così in queste poche parole. Anzitutto lo sconfinato amore e la straordinaria predilezione di Dio; e il dono della penitenza, lo strumento che apre ogni porta, che prosciuga i mari e spiana le montagne.

La penitenza è come la rete gettata dalla sponda della barca dei pescatori del lago di Genezareth: l’anima, povero pesciolino ignaro, non sa niente, ma il groviglio delle forti fibre la ghermisce ed essa si ritrova là dove pensava ci fosse la morte, rovesciata con i suoi compagni sulle ruvide assi del ponte. Solo che, là dov’era convinta di trovare la morte, s’imbatte invece nella Vita più vera. Quella Vita è la misericordia. Doveva esser baldo e coraggioso, il giovane Francesco di Bernardone. Certo non temeva la morte: lo aveva dimostrato, là sulla piana tra Perugia e Assisi, quando lo avevano preso prigioniero. Dicono che restasse fiero e allegro, che facesse coraggio agli altri. Forse pensava a Rolando ferito che impugna Durendal di chiaro e puro ferro, che suona il suo corno da caccia sino a farsi scoppiare le vene delle tempie. E’ dolce la morte del cavaliere, quando gli angeli scendono a raccogliere il guanto ch’egli offre loro in segno di fedeltà a Dio e lontano, nelle quiete stanza di un’alta rocca, c’è una ragazza che piange e che prega che lui torni… …ma non così, non così! Oh Signore Dio degli Eserciti, dammi la bella morte attorniato dai tuoi nemici, dai cani saraceni, dai barbari mostruosi, dammi la morte che sa di sudore e di sangue, che odora dell’erba dei prati calpestati dagli zoccoli dei destrieri e dell’afrore del cuoio delle selle! 

Ma allontana da me quella morte, l’orrore del corpo che si liquefa in pus e croste orribili, la cancrena degli arti che cadono, la carne livida di marciume e tanto sofferente da non avvertire più nemmeno il morso del ferro tagliente, lo schiaffo del fuoco atroce! Ed ecco che invece è tutto diverso. Il Signore ti ha preso per mano, Francesco di Bernardone, e ti ha condotto in mezzo ai fratelli lebbrosi. E quel che ti pareva amaro ti è apparso dolce, e quel che ti faceva ribrezzo e orrore si è trasformato in una coltre di rose, in un profumato mare di spezie preziose. La misericordia che hai provato una volta per tutte e che poi hai continuato a provare per sempre, frate Francesco, è la formula magica che domina il mondo, che schiude i fiori e matura i frutti, che attrae verso le gemme chiuse nel ventre della terra la potenza virtuosa degli astri e che dall’amore di un uomo e di una donna sa generare nuova vita. “L’Amor, che mòve il sole e l’altre stelle”.

Franco Cardini per San Francesco Patrono d'Italia

lunedì 2 ottobre 2017

Il Papa ai Sindaci

Accogliere, integrare e dialogare. Papa Francesco torna a indicare alcune strade maestre da percorrere nell'accoglienza dei migranti, fenomeno che in questi ultimi anni scuote soprattutto l'opinione pubblica europea. Lo ha fatto nel discorso che ha rivolto alla delegazione dell'Associazione nazionale comuni italiani (Anci) ricevuta questa mattina nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. Un intervento breve, ma intenso, su un tema che a papa Francesco sta molto a cuore. "La città di cui vorrei parlarvi riassume in una sola le tante che sono affidate alla vostra responsabilità - ha esordito il Papa -. È una città che non ammette i sensi unici di un individualismo esasperato, che dissocia l’interesse privato da quello pubblico. Non sopporta nemmeno i vicoli ciechi della corruzione, dove si annidano le piaghe della disgregazione. Non conosce i muri della privatizzazione degli spazi pubblici, dove il “noi” si riduce a slogan, ad artificio retorico che maschera l’interesse di pochi".
"Un sindaco - ha detto ancora Francesco - deve avere la virtù della prudenza per governare, ma anche la virtù del coraggio per

andare avanti e la virtù della tenerezza per avvicinarsi ai più deboli". "Vi auguro di potervi sentire sostenuti dalla gente per la quale spendete il vostro tempo, le vostre competenze, quella familiarità del sindaco con il suo popolo, quella vicinanza, se il sindaco è vicino la cosa va avanti, sempre".

Custodire la passione del bene comune

Per costruire e servire una città "serve un cuore buono e grande, nel quale custodire la passione del bene comune". Ecco allora che "non bisogna alzare ulteriormente la torre, ma di allargare la piazza, di fare spazio, di dare a ciascuno la possibilità di realizzare sé stesso e la propria famiglia e di aprirsi alla comunione con gli altri". Anzi, il Papa consiglia i sindaci di "frequentare le periferie, quelle urbane, quelle sociali e quelle esistenziali. Il punto di vista degli ultimi è la migliore scuola, ci fa capire quali sono i bisogni più veri e mette a nudo le soluzioni solo apparenti". C'è dunque bisogno di "una politica e di una economia nuovamente centrate sull'etica: quella della responsabilità, delle realzioni, della comunità e dell'ambiente".

Migranti, superare le paure

Il Papa non si nasconde che "molti vostri concittadini avvertono un disagio di fronte all'arrivo massiccio di migranti e rifugiati. Ecco trova spiegazione dell'innato timore verso lo straniero, un timore aggravato dalle ferite dovute alla crisi economica, dall'impreparazione delle comunità locali, dall'inadeguatezza di molte misure adottate in un clima di emergenza". Ma tale disagio, aggiunge ancora Francesco, "può essere superato attraverso l'offerta di spazi di incontro personale e di conoscenza mutua". Un invito rivolto a tutti i comuni italiani, anche se il Papa si è rallegrato del fatto che "molte delle amministrazioni qui rappresentate possono annoversarsi tra i principali fautori di buone pratiche di accoglienza e di integrazione". E lascia agli amministratori un compito: aiutare a guardare con speranza al futuro, perché questo fa emergere "le energie migliori di ognuno, dei giovani prima di tutto".

Decaro: parole che ci incoraggiano

Di fronte alla sfida del cambiamento e delle migrazioni "spesso ci capita di avere paura. Spesso vorremmo tornare indietro - commenta il presidente dell'Anci Antonio Decaro -. Soprattutto quando ci sentiamo soli", ma "con la Sua parola, non lo saremo mai". "Questa incontro, ci consente di guardare avanti con più fiducia e più coraggio".

fonte: Avvenire, 30 settembre 2017

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...