L’attualità del pensiero francescano sulla povertà
Chi si occupa di storia francescana può avere serie difficoltà nell’interpretare oggi l’ideale di vita povera. In verità, tenendo conto del passato, uno storico dovrebbe saper dare risposte obiettive, illustrare cosa la fraternità del XXI secolo intenda ora per profitto derivato dal lavoro e dalle offerte, spiegare quale sia l’identità che differenzia la vita povera subita da quella che si propone come scelta etica e in che senso l’opzione per una società francescanamente “povera” può portare un guadagno alla stessa.
Chi si occupa di storia non dovrebbe esitare nel fornire definizioni, per così dire, scientifiche o perlomeno oggettive facendo riferimento ai molti studi che si sono susseguiti fin dal tardo Medioevo sulle concezioni economiche dei teologi francescani. Dopo la morte del santo, infatti, iniziarono complessi dibattiti nell’ambito della comunità francescana sull’uso povero del denaro. Questioni che si protrassero per secoli portando i ricercatori ad ipotizzare che le moderne idee di libero mercato, di capitalismo, nacquero addirittura con i primi discepoli di Francesco.
Ma lo storico di oggi ha ben altra responsabilità morale e non solo di fronte alla sua piccola comunità di lettori ma rispetto all’intero genere umano che subisce la povertà di una civiltà depredata dei suoi valori. Per il livello di progresso a cui siamo arrivati è intollerabile assistere a ciò che la quotidianità, a causa degli infimi sistemi finanziari, del “valore” di scambio e ricatto della moneta, mostra con crudezza ai nostri occhi: assenza di lavoro, terrorismo, paura, morte, corpi di bambini dilaniati da bombe e accatastati come in un mercato infernale, rigidi, con l’ultimo sguardo rivolto a chiedere perché l’umanità sia divenuta povera come non mai. Un’umanità che è continuamente impoverita di sogni.
Ma allora la povertà è positiva o negativa? Chi si occupa di storia non può accettare, oggi, giustificazioni retoriche del tipo «L’uomo cerca il male ciclicamente, non c’è da meravigliarsi se la povertà si subisce e non si sceglie. Perché è solo il male che modella le geografie economiche dell’umanità». Questo è falso: la povertà francescana può rivoluzionare il sistema di un mondo in cancrena. Sì, scegliendo la “ricca” povertà che è sposa del santo di Assisi e dei suoi frati. La Bellezza di Francesco e dei suoi compagni è di aver puntato ad un ideale morale di povertà, al di là di una questione economica.
Sono i pauperes di Francesco, saranno i bambini siriani colpiti dai recenti attacchi chimici a diventare paladini e nuovi cavalieri cortesi della civiltà. Chi si occupa di storia sa che nel condurre questo esercito di pace verso la strada giusta c’è anche un trovatore, un poeta, un giullare armato di saio e carico di rivoluzioni nel cuore. Qualche giorno fa, a Roma, in Piazza del Popolo, sono rimasto meravigliato da alcuni bimbi che giocavano a farsi colpire da bolle di sapone. I colpevoli dei recenti bombardamenti nella provincia siriana di Idlib forse non sapevano che solo alle bolle di sapone è concesso il diritto di colpire un bambino.
Francesco d’Assisi, oggi, ci rassicurerebbe col dirci che torneranno i prati, anche per i bimbi di Idlib, che esiste un modo d’essere ricchi di ciò che è bene per tutti, che c’è una via per essere finalmente poveri dell’inutile. La giusta povertà è francescana.
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