lunedì 6 giugno 2011

In ricordo di Bob Kennedy a 43 anni dalla morte

In questo giorno, 43 anni fa, nel mezzo della lotta nazionale per realizzare le promesse di giustizia e uguaglianza, abbiamo perso Robert F. Kennedy.

Oggi onoriamo la sua memoria sostenendo gli eroi che dedicano le proprie vite alla ricerca di giustizia mettendole a grande rischio per gli altri.

Abel Barrera Hernández, vincitore del Premio RFK per i Diritti Umani, è sotto costante minaccia di morte perché osa opporsi alla polizia, all’esercito e agli agenti governativi per conto delle popolazioni indigene nello Stato messicano di Guerrero.

Nonostante le differenze di epoca storica, di paese e di lingua, questi due uomini sono uniti dal comune, profondo impegno per il progresso della giustizia e della tutela dei diritti umani.

Come Attorney general (ministro della Giustizia), Robert Kennedy si adoperò affinché il governo federale sostenesse il Movimento per i diritti civili. Inviò agenti federali a protezione dei Freedom Riders e truppe federali all’università del Mississipi per garantire l’integrazione degli studenti afro-americani. Inviò la Guardia Nazionale quando una banda di 3.000 suprematisti bianchi circondò la First Baptist Church, urlando epiteti razzisti e minacciando di bruciare la chiesa mentre 1.000 uomini, donne e bambini afro-americani vi pregavano dentro.

Non lo fece perché era conveniente politicamente. John Kennedy aveva vinto le elezioni con un margine minimo, e RFK sapeva che il sostegno ai diritti civili poteva costare al fratello la ri-elezione.

Non lo fece perché c’era un precedente sostegno del governo federale al Movimento per i diritti civili. Era dai tempi della Guerra Civile che un Attorney general non si allineava con i neri che reclamavano i loro diritti.

Lo fece perché era la cosa giusta da fare.
A quanto ne so, non c’è mai stato un ministro della Giustizia che ha preso una posizione di principio in un caso di tale portata sociale, mettendo a rischio la ri-elezione di un presidente in carica. Nonostante il pericolo, disse la verità al potere (spoke truth to power), e trasformò il paese.

Oggi, il Messico affronta la propria crisi sociale, con le comunità indigene, affette da estrema povertà, assediate dai narco-trafficanti e dalla grande ingerenza dell’esercito, che reclamano i propri diritti.

Abel e la sua organizzazione, il Tlachinollan Center for Human Rights in the Montaña (Tlachinollan), sono alla guida di un movimento dinamico, indigeno, civile e a sostegno dei diritti umani nella città di Ayutla de los Libres.

Lo Stato di Guerrero potrebbe essere l’Alabama del Messico, e la città di Ayutla la sua Birmingham – il centro della battaglia. Persone delle comunità indigene Eleven Na Savi e Me’phaa sono state assassinate dall’esercito messicano tredici anni fa domani, il 7 giugno.

Nel 2002, le forze militari messicane hanno stuprato Ines e Valentina, due donne indigene. Quando due coraggiosi leader indigeni, Raul Lucas e Manuel Ponce, hanno documentato e riferito dei sequestri, sono stati uccisi nel 2009. Abel e i suoi colleghi al Tlachinollan hanno chiuso il loro ufficio in seguito agli omicidi.

Ora, due anni dopo, il 16 giugno, Abel e i suoi colleghi si sono impegnati a riaprire l’ufficio del Tlachinollan ad Ayutla, con una cerimonia per dare maggiore rilevanza all’evento.

Quando ufficiali statali e locali hanno sfidato la Costituzione, Robert Kennedy portò il potere del governo federale in aiuto agli attivisti dei diritti civili. Oggi, noi nella comunità internazionale abbiamo il dovere di portare il potere della legge internazionale in soccorso di Abel e del Tlachinollan. Dobbiamo fare pressioni sul Messico affinché si adegui ai requisiti base per i diritti umani previsti dagli accordi di assistenza, come la Merida Initiative, e porre termine al flusso di aiuti, se necessario. Dobbiamo premere affinché il Messico sottostia agli ordini della Corte Inter-Americana per i Diritti Umani, che richiedono l’implementazione delle misure protettive per Abel e altri difensori indigeni dei diritti umani nel Guerrero, e il trasferimento dei casi di abuso da parte dell’esercito al di fuori della giurisdizione militare.

Tutto lo staff del Tlachinollan e i difensori indigeni dei diritti umani della regione Costa-Montaña mettono a repentaglio la propria vita perché chiunque possa riportare un abuso, denunciare crimini e trovare giustizia. Senza questi difensori dei diritti umani e il loro accompagnamento di vittime e sopravvissuti, la giustizia nello stato del Guerrero non avrebbe alcuna possibilità. Per noi negli Stati Uniti, dobbiamo essere consapevoli del fatto che tutte le riforme nazionali in Messico e tutta l’assistenza degli Usa sarebbero futili se non sosteniamo i movimenti sul campo per i diritti civili e umani.

Come disse Robert Kennedy: “Dobbiamo riconoscere la piena eguaglianza di tutte le persone – davanti a Dio, davanti alla legge, e per i governi. Non dobbiamo fare questo perché è economicamente vantaggioso – sebbene lo sia; non perché la legge di Dio e degli uomini lo comanda – sebbene lo facciano; non perché popoli di altri paesi se lo augurano. Dobbiamo farlo per la semplice e fondamentale ragione che questa è la cosa giusta da fare”.

di Kerry Kennedy
Presidente del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights
Presidente Onorario della Robert F. Kennedy Foundation of Europe

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