“Monti è in politica per unire”. L’allusione è
cauta, democristiana com’è democristiano l’uomo che la pronuncia, ma
Andrea Riccardi, pur felpato e mediorientale, in realtà ci pensa eccome.
E infatti quando gli si suggeriscono le parole “grande” e “coalizione”
lui sorride e dice che “è una possibilità che non escludo affatto”.
La verità è che la grande coalizione è proprio l’obiettivo auspicato dai montiani
che si figurano un rapporto col Pd (depurato da Nichi Vendola) e con il
Pdl (depurato dalla Lega e dagli ultrà berlusconiani). Non a caso
l’immagine di un taglio delle estreme fa brillare gli occhi del ministro
Riccardi: “Mi piace molto”, confessa. Ma poi arretra, e fa esercizio di
modestia: “Adesso dobbiamo prendere i voti e occuparci della campagna
elettorale. Saranno i numeri a darci la base per decidere cosa fare.
Senza orientamenti precostituiti”. Il che potrebbe significare una cosa
molto importante. Qualora i montiani fossero decisivi per la
costituzione della prossima maggioranza e del prossimo governo, il
professore potrebbe porre una condizione decisiva: l’allargamento della
maggioranza alle forze responsabili del Pdl.
“L’Italia ha bisogno di riforme incisive”, dice
Riccardi mentre viaggia in macchina verso Latina, dove terrà un incontro
pubblico con i sostenitori della lista Monti. “Ma per fare delle
riforme incisive come quella elettorale – spiega – sono necessarie
larghe intese tra le forze politiche. Noi lavoriamo per costruire
unità”. Anche nel Pd guardano al centro montiano con attenzione,
malgrado i battibecchi e le baruffe episodiche. Nella carta degli
intenti, il documento fondativo della coalizione guidata da Pier Luigi
Bersani, c’è pure scritto: “I progressisti dovranno cercare un terreno
di collaborazione con le forze del centro liberale e si impegnano a
promuovere un accordo di legislatura con queste forze”. Commenta
Riccardi: “E’ molto interessante. Ma quando è stato siglato questo
documento?”. Il 13 ottobre. “Ecco, noi siamo nati a novembre. Forse
significa che la sinistra voleva che nascessimo. Ma noi non abbiamo
orientamenti prestabiliti rispetto alle forze con cui potremmo allearci
dopo”. C’è anche il Pdl.
Ma che significa non avere orientamenti prestabiliti?
“Non faremo la politica dei due forni, ma cercheremo alleanze per
governare. Non staremo con chi ci darà più spazio. Non possiamo
immaginare oggi la maggioranza di domani, ma staremo con chi ci aiuterà a
realizzare l’agenda Monti”. E’ lecito immaginare che l’alleanza possa
comprendere il Pdl, o una parte di esso. Ma ecco il discrimine: “Mai con
chi vuole dividere il Paese” (niente Maroni). E “mai con chi difende
lobby e privilegi” (niente Vendola), perché “se troppo grande – dice il
ministro montiano – la grande coalizione può diventare un freno alle
riforme”.
A Riccardi e a Monti non piacciono i populisti “che
si agitano contro l’Europa”, e Silvio Berlusconi in questo momento è uno
di quelli. Non è “coalizzabile”, almeno per come appare adesso in
capagna elettorale. Ma poi? La risposta di Riccardi è sorprendente, il
ministro fa capire che un pezzo del partito del Cavaliere finirà a
sedersi con Monti in Aula. “Il Pdl era quasi esploso”, dice. “Poi si è
un po’ ricompattato, nella confusione, ancora una volta attorno al
carisma di Berlusconi. Ma dopo il voto come sarà gestibile questo
partito e questo mondo disgregato?”. Ampi segmenti del Pdl molleranno il
Cavaliere appena insediati in Parlamento. “Il gruppo montiano – dice
Riccardi – sarà un polo attrattivo, anche perché dentro il Pdl c’è già
stato un profondo divorzio politico e culturale”. E dunque a voler
essere maliziosi, il ministro in realtà sta descrivendo l’equilibrio e
la meccanica della grande coalizione a venire. Questa la scena un minuto
dopo il voto: il Pdl si spacca e un pezzo di cattolici e liberali va a
sedersi in Aula a ingrossare i banchi del montismo. A questo punto,
forte di questo passaggio, Monti sarà il capo del popolarismo europeo
in Italia, il leader della destra accettabile e legittimata all’estero,
l’artefice di un rapporto di grande coalizione che il Pd ha di fatto già
teorizzato nella sua carta degli intenti.
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