Natale 2015, due fotografie. In una mensa di solidarietà, un senzatetto addenta una fetta di panettone: poche ore prima, il dolce era sugli scaffali di una pasticceria, che ha deciso di donarlo quando è rimasto invenduto. Sul retro di un supermercato, invece, bancali di frutta e verdura, non più freschi ma ancora perfettamente commestibili giacciono in attesa di essere smaltiti. In Italia ogni anno si sprecano 5,1 milioni di tonnellate di alimenti, mentre se ne recuperano solo 500mila, pari al 9% delle eccedenze, secondo un rapporto curato da tre docenti del Politecnico di Milano. “Nell’arco di 4-5 anni, c’è spazio per raddoppiare la quantità di cibo recuperato”, spiega Alessandro Perego, professore di logistica e curatore della ricerca. “Ma serve un pacchetto di azioni che comprende meno burocrazia, incentivi mirati e un atteggiamento diffuso di sensibilità al problema”. In Italia non siamo all’anno zero: nell’ultimo ventennio, il Paese si è dotato di diverse leggi per favorire il recupero. Ultimo in ordine di tempo, un articolo della legge di stabilità che punta a semplificare le pratiche burocratiche. Ma chi ogni giorno è impegnato sul campo chiede un passo in più. Le associazioni spiegano che le aziende hanno paura a donare, disorientate dalla selva di leggi che regolano la materia. Mentre le onlus stesse fanno fatica a districarsi tra la burocrazia e a permettersi i mezzi necessari alla filiera del recupero.
I TIMORI DELLE ONLUS TRA SANZIONI ASL E NORME RESTRITTIVE. “Se ordino una pizza, un fattorino me la porta in una scatola di cartone e nessuno dice niente. Perché invece una onlus deve dotarsi di un abbattitore di temperature per trasportare tramezzini?”. Paolo Arrigoni è il segretario generale di Qui Foundation: la onlus porta avanti il progetto Pasto buono, che recupera le eccedenze alimentari dai locali della ristorazione per donarle ai bisognosi e alle mense caritatevoli. A preoccuparlo è un’applicazione a suo dire restrittiva della normativa in materia di trasporto di alimenti. “In mancanza di parametri chiari, le Asl applicano gli standard massimi di sicurezza in relazione ai contenitori, ai mezzi, alle condizioni di trasporto del cibo – spiega Arrigoni – Ma questo richiede strumenti molto costosi, come furgoni, frigoriferi, abbattitori di temperatura. E qui spesso parliamo di piccolissime realtà, fatte di persone di buona volontà, che non possono permettersi questi mezzi e non riescono a portare avanti questo compito per paura di incorrere in sanzioni”. Di qui la proposta: “Sarebbe efficace un intervento di semplificazione sui regolamenti sanitari per semplificare la vita olle onlus, concedendo loro la stessa tranquillità, almeno per i trasporti più semplici del fattorino in scooter”.
LA CATENA DEL FREDDO RICHIEDE RISORSE. “SERVONO INCENTIVI PER LE ONLUS”. Il discorso di Arrigoni tira in ballo quella che è chiamata la catena del freddo. Il cibo facilmente deperibile, infatti, dagli ortaggi ai surgelati, richiede di essere trasportato e immagazzinato in condizioni a temperatura controllata. Se in un passaggio dalla produzione alla tavola, la catena del freddo viene interrotta, per esempio con lo scongelamento del prodotto, l’alimento si espone all’assalto di batteri e germi. E il cibo va buttato. Ma questo meccanismo, come ricordano le associazioni, ha un costo elevato. “In questo senso, si potrebbero prevedere incentivi economici per le organizzazioni non profit – spiega il professor Perego – La catena del freddo richiede ambienti di stoccaggio, come celle frigorifere, o mezzi di trasporto adeguati, che richiedono investimenti importanti. E’ necessario che l’autorità pubblica sostenga queste attività”.
LE AZIENDE SI PERDONO TRA LE LEGGI E RINUNCIANO A DONARE. D’altra parte, i problemi non riguardano solo chi riceve il cibo in dono, ma anche chi intende donare. “Soprattutto all’inizio della nostra attività, molte aziende erano diffidenti rispetto all’idea di cedere le loro eccedenze”, racconta Francesco Colicci, socio fondatore di Equo Evento onlus. L’associazione si occupa di raccogliere i cibi non utilizzati durante i catering o eventi pubblici e distribuirli a enti caritatevoli e case famiglia. Il motivo di tanta ritrosia a donare, da parte delle imprese, è presto detto. “Ci dicevano ‘non so se si può fare, mi devo informare’ – spiega Colicci – Il quadro normativo è incompleto e farraginoso. Bisogna fare un copia e incolla di leggi per capire come muoversi. Servirebbe una norma organica e coerente per rendere tutto più fluido”. Insomma, la confusione è legata alla selva di norme sul tema. “Il potenziale donatore è lasciato nell’incertezzae alla fine rinuncia per non correre rischi – spiega il professor Perego – Bisogna chiarire meglio come applicare i regimi di esenzione Iva e detrazione fiscale”.
CON LA LEGGE DI STABILITA’ UN PRIMO PASSO CONTRO LA BUROCRAZIA. Un altro ostacolo per chi intende donare è sempre stata la burocrazia. Finora le imprese che volevano cedere cibo alle onlus dovevano inviare una comunicazione all’agenzia delle entrate per beneficiare dell’esenzione dall’Iva. “Le aziende potevano evitare questa incombenza burocratica solo se il valore della merce era inferiore a 5mila euro – spiega Marco Lucchini, direttore generale della fondazione Banco alimentare – Ma questa soglia si alzava a 10mila euro nel caso avessero deciso di distruggere il cibo. Di conseguenza, per un’impresa era più comodo buttare“. Ora, la legge di stabilità appena approvata cambia le carte in tavola e modifica il tetto dello sgravio per la donazione da 5 a 15mila euro, rendendolo più conveniente rispetto alla distruzione. “E’ dal 2003 che chiediamo questo intervento – commenta Lucchini – Da gennaio le aziende saranno più attratte a donare alimenti anziché distruggerli”.
LA FRANCIA VIETA LO SPRECO NEI GRANDI SUPERMERCATI. In Europa, intanto, c’è anche chi si sta spingendo oltre. Nel parlamento francese è in discussione un disegno di legge per la lotta allo spreco. Già approvato a maggio e poi bocciato dal Consiglio costituzionale, ora è tornato in aula e si prevede il via libero definitivo nei primi mesi del 2016. Il testovieta ai grandi supermercati di gettare o di restituire il cibo invenduto ancora consumabile e obbliga i commercianti ad accordarsi con una o più associazioni a cui cedere gratuitamente le derrate alimentari. “Con questo testo, che permette di costruire un quadro giuridico contro lo spreco, la Francia diventerà il Paese più attivo d’Europa in questo settore”, ha dichiarato Guillaume Garot, promotore della norma.
IN ITALIA SI PREPARA UNA SEMPLIFICAZIONE DELLE NORME. Detto questo, anche in Italia non mancano le leggi a favore del recupero alimentare. “Il contesto normativo italiano è più favorevole alla donazione rispetto agli altri Paesi europei – precisa il professor Perego – Da noi vige la cosiddetta legge del buon samaritano (nella foto, un’immagine su questa iniziativa dal sito del Banco alimentare). Negli ultimi anni, questa norma è stata promossa in Europa e gli altri Paesi si stanno muovendo per recepire qualcosa di simile”. Approvata nel 2003, ha sollevato da tutta una serie di pratiche burocratiche le onlus che recuperano e distribuiscono cibo ai bisognosi, equiparandole di fatto al consumatore finale. Ora, invece, è allo studio del parlamento un altro provvedimento, la cosiddetta legge Spreco zero. Il testo, proposto dalla deputata Pd Maria Chiara Gadda, intende prevedere incentivi fiscali alle imprese donatrici, ampliare la platea di soggetti e beni legati alla cessione gratuita di cibo, chiarire quali alimenti possono essere riutilizzati e quali standard devono rispettare. “In Italia abbiamo un arcipelago di leggi in materia, ma scollegate tra di loro – spiega Marco Lucchini – La legge Gadda avrà il vantaggio di mettere insieme e aggiornare le varie norme sul tema”. Ora serve passare dalle parole ai fatti.
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