Autorità, gentili ospiti, care
studentesse e cari studenti.
Ringrazio, a nome di tutti per
i loro interventi, il Sindaco, il Presidente della Regione, il Prof. Bazoli, il
Prof. Stella.
Ho deposto questa mattina una
corona di fiori sulla tomba di Alessandro Manzoni, in questo 150° anniversario
della sua morte. Un grande scrittore, un grande italiano, un grande milanese.
Perché, caro sindaco, non si può spiegare Manzoni senza Milano e, penso che si
possa dire, Milano senza Manzoni.
Con questa cerimonia – così
raccolta e partecipata, per questo sarebbe piaciuta certamente a Manzoni –
vogliamo rendere testimonianza di quanto l’Italia gli sia debitrice, in termini
di pensiero, di produzione letteraria, di esempio morale, di evoluzione della
lingua. Manzoni, uno degli spiriti più nobili del nostro Ottocento, protagonista
del Romanticismo e del Risorgimento italiano. Definito, a ragione, il padre del
romanzo italiano e maestro indiscusso di tante generazioni di letterati e di
patrioti.
La lettura dei “Promessi
Sposi” ci riserva, ogni volta, nuovi e sorprendenti aspetti, per finezza, per
arguzia, per profondità, per vividezza delle descrizioni, per il tratteggio
psicologico dei personaggi; talmente autentici che i loro nomi, ancora oggi,
definiscono caratteri esemplari.
Abbiamo appena ascoltato, con
una lettura particolarmente intensa – che qui la ringraziamo tutti - da parte
Eleonora Giovanardi, l’episodio dell’incontro a quattr’occhi di fra’ Cristoforo
con don Rodrigo. Sono eccezionali, in quel momento e in quel passaggio del
romanzo, il gioco degli sguardi, quasi cinematografico, il movimento scenico,
il dialogo drammatico, che si intreccia tra i rappresentanti di due concezioni
del mondo così diverse: l’umiltà, la sete di giustizia, l’umanità da un lato;
l’arroganza, la protervia, la prepotenza dall’altro.
Nello sterminato territorio
che separa l’universo valoriale di fra’ Cristoforo da quello, turpe, di don
Rodrigo si muove - sembra dirci Manzoni - la storia, cammino dolente ma
inarrestabile dell’umanità verso il futuro.
Genti e popoli in marcia, con
le loro speranze, i loro progressi, le loro miserie, le loro cadute. Un
percorso che - come è stato ricordato poc’anzi - Manzoni affida nelle mani
della Divina Provvidenza. Ma che è quanto di più lontano da un rassegnato
fatalismo, perché gli uomini, mediante la loro forza e le loro debolezze, sono
e restano i costruttori del proprio presente e del proprio avvenire.
Figlio del suo secolo, Manzoni
ha avuto la peculiarità - che
appartiene soltanto ai grandi - di gettare sulla società e sulla realtà storica
del suo tempo uno sguardo lungimirante, capace di andare oltre, collegandosi –
e spesso ispirandole - alle forze più vive e dinamiche della cultura italiana
ed europea, pervase dall’aspirazione alla libertà, all’indipendenza,
all’autodeterminazione. Un’aspirazione che non può essere disgiunta
dall’opposizione e dalla ripugnanza nei confronti della tirannide, dell’abuso
di potere, della violenza, dell’ingiustizia, specialmente contro i poveri, gli
umili, gli indifesi.
Manzoni si è sempre sottratto,
per la sua proverbiale riservatezza e anche per ragioni di salute, alla
militanza politica in senso stretto. Ma è considerato, ben a ragione, un
ispiratore e un propulsore del nostro Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Ed è,
a tutti gli effetti, un padre della nostra Patria.
Ricollegandosi alla grande
tradizione della poesia civile, di Dante, Petrarca, Foscolo, ambiva a un’Italia
unita, che non fosse una mera espressione geografica, una addizione a freddo di
diversi Stati e staterelli, ma la sintesi alta di un unico popolo, forte,
orgoglioso della sua cultura, della sua storia, della sua lingua, delle sue
radici. Ve ne è traccia, efficace e di rimpianto, nel Coro dell’Adelchi.
Al poeta Lamartine, che aveva
parlato sprezzante di “diversità” di “popoli” italiani, Manzoni rispose con una
lettera sdegnata: «No, non c’è più differenza tra l’uomo delle Alpi e quello di
Palermo che tra l’uomo sulle rive del Reno e quello dei Pirenei.»
Cattolico integrale, ma mai
integralista, Manzoni ha affrontato la questione dell’ingresso e della presenza
delle masse cattoliche all’interno del processo risorgimentale e di formazione
nazionale, respingendo ogni tentazione di mantenimento di forme di potere
temporale della Chiesa, da lui considerato storicamente superato, origine di
corruzione e fonte di gravi mali. Fu Paolo VI, Prof. Bazoli, a ricordare che fu
provvidenziale la perdita del potere temporale ad opera dello Stato italiano.
Anche quando queste tentazioni
temporalistiche o neotemporalistiche si presentavano nella forma temperata e
accattivante proposta da animi illuminati, come Gioberti o il suo amico, e
padre spirituale, Rosmini. Da senatore, infatti, Manzoni non ebbe alcuna remora
nel votare a favore di Roma capitale, nonostante la minaccia di scomunica
papale.
Si è molto parlato e discusso
- a proposito di Manzoni – del suo cattolicesimo liberale; del suo punto di
vista sulle masse popolari, del suo interesse - del suo amore, in realtà - per
gli umili e per gli oppressi.
Francesco De Sanctis, in
pagine illuminanti, definisce la concezione manzoniana come “eminentemente
democratica”: «Non è il titolo - scriveva De Sanctis - e non la ricchezza, e
non la dignità e neppure la scienza che crea l’interesse estetico; è il carattere
morale, non privilegio di classe o di professione, ma partecipe a tutti: ideale
democratico – aggiungeva De Sanctis - che è la negazione di ogni aristocrazia
di convenzione.»
Conosciamo le riserve di
Gramsci e di altri studiosi sul cosiddetto “paternalismo” manzoniano o sul suo
vero o presunto “moderatismo”. Non spetta certo a me rievocare o valutare
queste controversie politico-letterarie, peraltro influenzate dallo spirito dei
tempi in cui si svilupparono. Ma vorrei condividere qualche breve riflessione
sul Manzoni civile.
A proposito del Romanticismo e
del Risorgimento italiano si cita spesso la triade Dio, Patria, Famiglia, quasi
in contrapposizione alla triade della Rivoluzione Francese, Libertà,
Eguaglianza, Fraternità. È una cesura eccessivamente schematica.
Il romantico e cattolico
Manzoni, in verità, non rinnega i valori della Rivoluzione Francese, anzi, li
approva e li condivide, insistendo soprattutto sul quello più trascurato, la
fraternità. La Rivoluzione Francese, secondo Manzoni, aveva tradito questi
valori, perché, con il giacobinismo, si era trasformata nell’ideologia del
Terrore e della violenza.
Nulla, per l’autore dei
Promessi Sposi, è più nefasto delle teorie politiche astratte che immolano
sull’altare della ragion di Stato i diritti di uomini o di intere popolazioni.
Nulla, per lui, è più sacro della vita umana. La verità deve prevalere sulla
menzogna, la tolleranza sull’odio, la pietà sulla violenza, la morale sul
calcolo di convenienza.
A differenza di molti suoi
contemporanei, che vagheggiavano improbabili ritorni a ere classiche e
pre-cristiane, scrive che non bisogna provare alcuna nostalgia per “la barbarie
degli antichi”, un’epoca caratterizzata da guerre di conquista, stermini,
distruzioni, sopraffazioni, riduzione in schiavitù.
Non c’è alcun quietismo,
alcuna rassegnazione: Manzoni sostiene i moti di indipendenza nazionale,
incoraggia i venti di libertà che spirano in Italia e in tante altre parti del
mondo – non a caso nella Pentecoste ricorda America Latina, Irlanda, Libano e
Haiti – giungendo, davanti alle aggressioni e alle ingiustizie, a teorizzare la
legittimità della resistenza.
Ma - nella sua visione - è la
persona, in quanto figlia di Dio, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo
etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali,
di tutela e protezione. È l’uomo in quanto tale, non solo in quanto
appartenente a una nazione, in quanto cittadino, a essere portatore di dignità
e di diritti.
Colpisce quanto ricordato da
Margherita Provana di Collegno, assidua frequentatrice di Manzoni, a proposito
del triste fenomeno della schiavitù: Manzoni le confidò, infatti, che “benché
l'America abbia il Governo più libero ed il Re di Napoli il più tirannico,
pure, se gli avessero fatto scegliere di rinascere, o americano, o napoletano,
avrebbe preferito di nascere napoletano, perché nulla esiste di peggio della
mostruosa schiavitù.”
Nell’idea manzoniana di
libertà, giustizia, eguaglianza, solidarietà si può scorgere una anticipazione
della visione di fondo della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del
1948.
Una carta fondamentale, nata
dopo gli orrori della Seconda Guerra mondiale, che individua la persona umana
in sé, senza alcuna differenza, come soggetto portatore di diritti, sbarrando
così la strada a nefaste concezioni di supremazia basate sulla razza,
sull’appartenenza, e, in definitiva, sulla sopraffazione, sulla persecuzione,
sulla prevalenza del più forte. Concetti e assunti che – come ben sappiamo -
sono espressamente posti alla base della nostra Costituzione repubblicana.
Dai diritti dell’uomo la
concezione manzoniana si allarga a quella del diritto internazionale e dei
rapporti tra gli Stati, dove si ritrova una critica lucida e serrata al
nazionalismo esasperato. Perché la moralità, la fraternità e la giustizia
devono prevalere sugli odi, sugli egoismi, sulle inutili e controproducenti
rivalità.
Scrive Manzoni in un frammento
delle Osservazioni sulla Morale Cattolica, pubblicato postumo: “Bisogna sentire
e ripetere che la somiglianza che ci dà l’essere d’uomo è ben più forte che la
diversità di nazione; che il Vangelo ci ha fatto conoscere che abbiamo un cuore
grande abbastanza per amar tutti gli uomini; che gli sforzi di una nazione
contro l’altra (…) son sempre piccioli, perché fondati sulla passione e non
sulla ragione e sulla verità; sono inutili, perché non ottengono stabilmente
nemmeno il fine che si propongono quelli che li fanno; sono impolitici, perché
producono (…) l’indebolimento e il pervertimento dei popoli”.
Manzoni si spinge anche oltre,
prefigurando la illiceità di accordi internazionali ratificati sulla testa dei
popoli e degli Stati: in una lettera al genero Giovan Battista Giorgini, del
marzo 1861, parla esplicitamente della “ingiustizia e la nullità morale di
trattati stipulati da alcuni sugli affari d’altri, senza sentirli e con il solo
titolo della forza, e dell’inaudita e iniquissima teoria che attribuiva a
quegli alcuni … il diritto di costituire un diritto sopra gli altri.”
Per concludere, vorrei segnalare
un ultimo aspetto che mi sembra di particolare attualità.
Sono state scritte pagine
illuminanti sulla sua vicinanza, sull’empatia, sulla condivisione nei confronti
delle masse popolari, che per la prima volta diventano protagoniste di un
romanzo. Utilizzando una terminologia moderna, di oggi, possiamo parlare di un
Manzoni certamente “popolare”, ma non “populista”.
Il legame controverso che
Manzoni stabilisce tra potere e opinione pubblica, tra giustizia e sentimenti
diffusi, ci induce a riflettere - sia pure in tempi incommensurabilmente
distanti - sui pericoli che oggi corrono le società democratiche di fronte alla
diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell’accentramento
dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi, della disinformazione
organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà.
E, anche, sulla tendenza,
registrabile in tutto il mondo, di classi dirigenti di assecondare la propria
base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in
giorno tramite i sondaggi, piuttosto che dedicarsi a costruire politiche di
ampio respiro, capaci di resistere agli anni e di definire, in tal modo, il
futuro.
Già nei Promessi Sposi, nei
capitoli dedicati alla peste, Manzoni scriveva icasticamente a proposito di
questi rischi: “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del
senso comune”.
La “Storia della Colonna
infame” - un capolavoro di letteratura civile, compreso e rivalutato soltanto a
partire dal secolo scorso - ci ammonisce di quanto siano perniciosi gli umori
delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi; e di quali rischi si corrano
quando i detentori del potere - politico, legislativo, giudiziario - si
adoperino per compiacerli a ogni costo, cercando soltanto un consenso effimero.
Un combinato micidiale, che invece di produrre giustizia, ordine e prosperità -
che è il compito precipuo di chi è chiamato a dirigere - produce tragedie,
lutti e rovine.
Autorità, care studentesse,
cari studenti,
Alessandro Manzoni ci ha
regalato alcune delle pagine più belle e intense della nostra letteratura. Il
suo altissimo senso morale, la sua ispirazione ideale, insieme umana e
cristiana, ci è continuamente di riferimento e di sprone.
Come tutti gli spiriti eletti
e gli artisti universali, Manzoni parla tuttora all’uomo di oggi, alle sue
inquietudini e alle sue ricerche di senso, con voce autorevole, ferma e
appassionata.
Anche per questo, oggi, gli rendiamo omaggio.
Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia in occasione del 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni - Milano, 22 maggio 2023