Merita tornare su una notizia che non ha avuto l’eco che meritava:
tra venerdì e sabato scorsi Romano Prodi è stato insignito di una laurea
honoris causa da una università africana, ma la cerimonia di consegna
di essa e la “lectio magistralis” si sono svolte presso la Pontificia
accademia delle scienze sociali; poi ha fatto visita alla Università
Gregoriana, la più prestigiosa e cosmopolita università pontificia retta
dai gesuiti; e infine Prodi ha tenuto una conferenza dal titolo “la
svolta di papa Francesco” presso l’autorevole rivista Civiltà cattolica.
Difficile non interpretare tali riconoscimenti al Professore bolognese
come una sorta di riabilitazione del “cristiano adulto” oggetto di
diffidenza e opposizioni ai vertici della Chiesa italiana negli anni del
suo protagonismo politico.
Basti rammentare tre circostanze: 1) qualche tempo dopo la caduta del suo secondo governo, conversando con la rivista francese Esprit,
Prodi confidò che proprio dalle gerarchie italiane egli aveva avuto la
più strenua opposizione “politica”; 2) la grande adunata di massa
denominata “family day” convocata dalla Cei al palese fine di
contrastare una minimalista proposta di legge in cantiere tesa
disciplinare le unioni civili (i cosiddetti “dico”); 3) l’annuncio in
tv, da parte del Professore, che egli, in quanto “cattolico adulto”,
avrebbe partecipato al voto nei referendum sulla legge relativa alla
fecondazione assistita, nonostante la irrituale e martellante campagna
astensionistica condotta dalla Cei.
Nella convinzione che spettasse ai laici, non alla gerarchia,
stabilire se votare o non votare, trattandosi non di principi etici in
sé ma di mezzi politici e democratici nella disponibilità dei cittadini.
Una espressione, quella di “cattolico adulto”, che incredibilmente non
gli fu perdonata. Quasi che essa avesse un significato presuntuoso e
polemico.
Circostanza sorprendente e paradossale – davvero un segno allarmante
dei tempi grami di quella stagione di vita della Chiesa italiana – se si
considera che essa (“fede adulta”, “cristiano adulto”), nel dopo
Concilio, era semmai additata dagli stessi pastori quale meta e
traguardo della formazione cristiana comune, dentro una società che si
considerava adulta e che, in effetti, lo era dal punto di vista della
disponibilità dei mezzi che dilatano le opportunità di scelta e dunque
le responsabilità in capo all’uomo contemporaneo.
Per inciso: è davvero singolare che proprio quegli ambienti cattolici
di base e di vertice adusi alla lagna per la supposta irrilevanza
politica dei cattolici siano stati i più attivi nel fare la guerra a un
buon cristiano (logorandolo e concorrendo alla crisi dei suoi governi)
che era asceso alla premiership grazie a un progetto e a un movimento
politico, denominato Ulivo, nel quale cattolici singoli e associati
erano stati attori-protagonisti dopo un tempo di decadenza e discredito
per il cattolicesimo politico.
Al di là dei singoli episodi, sono abbastanza note le ragioni per le
quali Prodi ha conosciuto tali opposizioni di stampo ecclesiastico. Non
gli si perdonava di essere stato autore di una impresa politica – quale
federatore e leader del centrosinistra nel quadro dell’incipiente
bipolarismo – che sanzionava la fine di lunga tradizione dominata
dall’unità politica dei cattolici.
Una impresa che, in una ottica storica e teologica, rappresentava
invece un doppio, prezioso traguardo, per la democrazia italiana e per
la stessa Chiesa: verso una democrazia finalmente competitiva e
dell’alternanza dopo mezzo secolo di democrazia bloccata; verso una
Chiesa che, alleggerita dal collateralismo con una parte politica,
vedesse così esaltata la libertà e l’universalità della missione sua
propria, quella della evangelizzazione di persone e comunità.
Curiosa altresì la circostanza che chi – fuor di ipocrisia, mi
riferisco al cardinale Ruini – più osteggiò Prodi per il suo contributo
teso al superamento dell’unità politica dei cattolici si rivelò poi
lestissimo e molto disinvolto nel gestire politicamente la stagione del
pluralismo e del bipolarismo.
Da un lato con una verticalizzazione ecclesiastica delle relazioni
con partiti, parlamento e governo a scavalco dei laici cristiani
politicamente impegnati, dall’altro con un malcelato ma evidente
sostegno allo schieramento di centrodestra capeggiato da Berlusconi.
Esorcizzando l’ethos e il sistema di valori che il Cavaliere
incarnava e veicolava con il suo stile di vita e con i suoi media. Una
predilezione verso il cristiano comune Berlusconi a discapito del
cristiano adulto Prodi che suscitava scandalo presso alcuni, ma che
invece Arturo Parisi indagò attingendo alla sua competenza di fine
sociologo della religione.
In sintesi: in Berlusconi, con le sue contraddizioni persino
conclamate rispetto alla morale cattolica, più facilmente il cattolico
medio (medio in senso statistico) poteva identificarsi e autoassolversi,
premiandolo anche elettoralmente. Non così nel cattolico Prodi.
Lo si può comprendere, dal punto di vista del cristiano della
domenica, decisamente indulgente con se stesso. Più sorprendente e
persino sconcertante da parte di chi semmai avrebbe il compito di
forgiare coscienze cristiane coerenti e mature e dovrebbe avere altresì
antenne sensibili ai vettori della scristianizzazione di massa e della
corrosione del costume di cui il berlusconismo è stato l’apoteosi. Non
per amore di polemica, ma per fare tesoro dei propri errori sarebbe
lecito attendersi un franco e onesto bilancio critico di quel lungo
ventennio anche da parte dell’episcopato italiano.
La riabilitazione del cristiano Prodi è una bella soddisfazione per
lui. Chi lo conosce sa che quell’avversione fu per lui, che si sente
figlio della Chiesa, motivo di personale sofferenza.
Ma è una notizia buona un po’ per tutti. Ci autorizza a sperare che
stia cambiando l’aria nella Chiesa di Papa Francesco. Che finalmente si
stia tornando allo spirito e alla lezione del Concilio. Sia nel
ripristino della cura per la distinzione tra Chiesa e comunità politica,
con la relativizzazione delle appartenenze e il conseguente, legittimo
pluralismo. Sia nel rispetto e persino nell’apprezzamento per
l’autonomia laicale e politica dei cristiani impegnati. Sembravano
valori acquisiti, ma evidentemente così non era.
Oggi possiamo rileggere brani conciliari come questo senza che alle
nostre orecchie suonino come parole di un’era storica confinata nel
passato: «Dai sacerdoti i laici cristiani si aspettino luce e forza
spirituale, non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a
tal punto che a ogni nuovo problema che sorge essi possano avere pronta
una soluzione concreta o che a questo li chiami la loro missione:
assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità alla luce
della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina
del Magistero». Un monito che vale per entrambi: laici e pastori.
Franco Monaco, Europa, 3 dicembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento