martedì 3 dicembre 2013

La riabilitazione

Merita tornare su una notizia che non ha avuto l’eco che meritava: tra venerdì e sabato scorsi Romano Prodi è stato insignito di una laurea honoris causa da una università africana, ma la cerimonia di consegna di essa e la “lectio magistralis” si sono svolte presso la Pontificia accademia delle scienze sociali; poi ha fatto visita alla Università Gregoriana, la più prestigiosa e cosmopolita università pontificia retta dai gesuiti; e infine Prodi ha tenuto una conferenza dal titolo “la svolta di papa Francesco” presso l’autorevole rivista Civiltà cattolica. Difficile non interpretare tali riconoscimenti al Professore bolognese come una sorta di riabilitazione del “cristiano adulto” oggetto di diffidenza e opposizioni ai vertici della Chiesa italiana negli anni del suo protagonismo politico.
Basti rammentare tre circostanze: 1) qualche tempo dopo la caduta del suo secondo governo, conversando con la rivista francese Esprit, Prodi confidò che proprio dalle gerarchie italiane egli aveva avuto la più strenua opposizione “politica”; 2) la grande adunata di massa denominata “family day” convocata dalla Cei al palese fine di contrastare una minimalista proposta di legge in cantiere tesa disciplinare le unioni civili (i cosiddetti “dico”); 3) l’annuncio in tv, da parte del Professore, che egli, in quanto “cattolico adulto”, avrebbe partecipato al voto nei referendum sulla legge relativa alla fecondazione assistita, nonostante la irrituale e martellante campagna astensionistica condotta dalla Cei.
Nella convinzione che spettasse ai laici, non alla gerarchia, stabilire se votare o non votare, trattandosi non di principi etici in sé ma di mezzi politici e democratici nella disponibilità dei cittadini. Una espressione, quella di “cattolico adulto”, che incredibilmente non gli fu perdonata. Quasi che essa avesse un significato presuntuoso e polemico.
Circostanza sorprendente e paradossale – davvero un segno allarmante dei tempi grami di quella stagione di vita della Chiesa italiana – se si considera che essa (“fede adulta”, “cristiano adulto”), nel dopo Concilio, era semmai additata dagli stessi pastori quale meta e traguardo della formazione cristiana comune, dentro una società che si considerava adulta e che, in effetti, lo era dal punto di vista della disponibilità dei mezzi che dilatano le opportunità di scelta e dunque le responsabilità in capo all’uomo contemporaneo.
Per inciso: è davvero singolare che proprio quegli ambienti cattolici di base e di vertice adusi alla lagna per la supposta irrilevanza politica dei cattolici siano stati i più attivi nel fare la guerra a un buon cristiano (logorandolo e concorrendo alla crisi dei suoi governi) che era asceso alla premiership grazie a un progetto e a un movimento politico, denominato Ulivo, nel quale cattolici singoli e associati erano stati attori-protagonisti dopo un tempo di decadenza e discredito per il cattolicesimo politico.
Al di là dei singoli episodi, sono abbastanza note le ragioni per le quali Prodi ha conosciuto tali opposizioni di stampo ecclesiastico. Non gli si perdonava di essere stato autore di una impresa politica – quale federatore e leader del centrosinistra nel quadro dell’incipiente bipolarismo – che sanzionava la fine di lunga tradizione dominata dall’unità politica dei cattolici.
Una impresa che, in una ottica storica e teologica, rappresentava invece un doppio, prezioso traguardo, per la democrazia italiana e per la stessa Chiesa: verso una democrazia finalmente competitiva e dell’alternanza dopo mezzo secolo di democrazia bloccata; verso una Chiesa che, alleggerita dal collateralismo con una parte politica, vedesse così esaltata la libertà e l’universalità della missione sua propria, quella della evangelizzazione di persone e comunità.
Curiosa altresì la circostanza che chi – fuor di ipocrisia, mi riferisco al cardinale Ruini – più osteggiò Prodi per il suo contributo teso al superamento dell’unità politica dei cattolici si rivelò poi lestissimo e molto disinvolto nel gestire politicamente la stagione del pluralismo e del bipolarismo.
Da un lato con una verticalizzazione ecclesiastica delle relazioni con partiti, parlamento e governo a scavalco dei laici cristiani politicamente impegnati, dall’altro con un malcelato ma evidente sostegno allo schieramento di centrodestra capeggiato da Berlusconi.
Esorcizzando l’ethos e il sistema di valori che il Cavaliere incarnava e veicolava con il suo stile di vita e con i suoi media. Una predilezione verso il cristiano comune Berlusconi a discapito del cristiano adulto Prodi che suscitava scandalo presso alcuni, ma che invece Arturo Parisi indagò attingendo alla sua competenza di fine sociologo della religione.
In sintesi: in Berlusconi, con le sue contraddizioni persino conclamate rispetto alla morale cattolica, più facilmente il cattolico medio (medio in senso statistico) poteva identificarsi e autoassolversi, premiandolo anche elettoralmente. Non così nel cattolico Prodi.
Lo si può comprendere, dal punto di vista del cristiano della domenica, decisamente indulgente con se stesso. Più sorprendente e persino sconcertante da parte di chi semmai avrebbe il compito di forgiare coscienze cristiane coerenti e mature e dovrebbe avere altresì antenne sensibili ai vettori della scristianizzazione di massa e della corrosione del costume di cui il berlusconismo è stato l’apoteosi. Non per amore di polemica, ma per fare tesoro dei propri errori sarebbe lecito attendersi un franco e onesto bilancio critico di quel lungo ventennio anche da parte dell’episcopato italiano.
La riabilitazione del cristiano Prodi è una bella soddisfazione per lui. Chi lo conosce sa che quell’avversione fu per lui, che si sente figlio della Chiesa, motivo di personale sofferenza.
Ma è una notizia buona un po’ per tutti. Ci autorizza a sperare che stia cambiando l’aria nella Chiesa di Papa Francesco. Che finalmente si stia tornando allo spirito e alla lezione del Concilio. Sia nel ripristino della cura per la distinzione tra Chiesa e comunità politica, con la relativizzazione delle appartenenze e il conseguente, legittimo pluralismo. Sia nel rispetto e persino nell’apprezzamento per l’autonomia laicale e politica dei cristiani impegnati. Sembravano valori acquisiti, ma evidentemente così non era.
Oggi possiamo rileggere brani conciliari come questo senza che alle nostre orecchie suonino come parole di un’era storica confinata nel passato: «Dai sacerdoti i laici cristiani si aspettino luce e forza spirituale, non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che a ogni nuovo problema che sorge essi possano avere pronta una soluzione concreta o che a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero». Un monito che vale per entrambi: laici e pastori.

Franco Monaco, Europa, 3 dicembre 2013

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