Il tema a me assegnato evoca l’essenza del magistero di Alcide Degasperi e mette in luce l’estrema attualità della cultura cultura politica che egli ha interpretato. Degasperi non si capisce senza il riferimento alla sua cultura politica. A quel tempo, le leadership non erano effimere e solitarie: erano espressione di una visione culturale ben radicata in una esperienza di comunità. Il titolo propone di leggere l’eredità degasperiana attraverso tre “parole”: Persona, Comunità, Bene Comune.
Persona
In Degasperi, il termine richiama il “personalismo comunitario” di Mounier e di Maritain, filtrato attraverso l’esperienza di quel cattolicesimo sociale mitteleuropeo - del quale Degasperi era figlio - incarnato nella pratica quotidiana delle relazioni di prossimità tipiche delle sue valli alpine.
Degasperi aveva dunque robusti anticorpi sia verso le pulsioni di matrice individualistica, sia verso ogni concezione collettivistica. Entrambe negavano un principio primo: il nesso di equilibrio (e non di reciproca sopraffazione) tra l’io ed il noi.
Questa idea di “persona” dovrebbe essere oggi riscoperta come valore primario, sia di fronte alla cifra puramente economicistica ed efficientistica dei rapporti sociali - con il portato della spersonalizzazione e delle disuguaglianze crescenti - sia come ancoraggio di “misura” nel confuso dipanarsi delle questioni antropologiche.
Vi si ravvisa, infatti, il rischio di uno scivolamento verso una idea di “diritti individuali” che è certo un segno del nostro tempo e non va disconosciuta, ma che appare sempre più slegata dai principi della responsabilità; insofferente rispetto al legame tra diritti e doveri; propensa a confondere desideri, anche legittimi, con diritti da esigere “senza se e senza ma”. Perfino per quanto riguarda il desiderio di avere figli.
Avere chiaro questo valore della Persona dovrebbe aiutarci oggi a vivere i cambiamenti senza pigre nostalgie del tempo che fu, ma anche senza acritiche e ideologiche adesioni alle iperboli di un “tempo nuovo” che ancora deve essere costruito, modellato, elaborato in maniera eticamente ed umanamente sostenibile.
Comunità
Per Degasperi, la “Comunità” non è l’aggregato indistinto degli individui in un determinato spazio fisico o confine istituzionale. È invece l’espressione vitale di un legame organico tra persone e formazioni sociali capaci di condividere al tempo stesso la memoria viva di una radice comune e la propensione ad un destino futuro, altrettanto comune. É relazione “generativa”, non pura aggregazione quantitativa e numerica. Comunità non è la somma di tante solitudini e neppure il ritrovarsi, di volta in volta, attorno a rivendicazioni tanto contingenti, quanto mutevoli. Comunità é esperienza di vicinanza, di prossimità, di condivisione.
Se “due non è il doppio, ma il contrario di uno” - come ha scritto Erri De Luca a proposito delle coppie - analogamente Comunità non è la somma di tanti “uno” messi in fila, ma spazio nuovo, frutto della messa a fattor comune delle esperienze, dove la radice è la moltiplicazione, non la semplice addizione.
Bene Comune
Per Degasperi, di conseguenza, il Bene Comune non è la somma degli interessi prevalenti dei singoli (quelli più capaci di farsi valere), ma la sintesi virtuosa e faticosa delle aspirazioni, dei sogni, delle preoccupazioni e dei diritti di tutti.
Non è questione di pure sommatorie di pretese individualistiche o di gruppi, ma condivisione di una “idea di società” coerente con la tutela del “valore delle Persone” e con l’anima di una Comunità. Non è materia esclusiva né dei singoli o dei loro gruppi organizzati, né delle Pubbliche Istituzioni: è il campo della relazione virtuosa e dinamica tra l’io ed il noi: il noi prossimo ed il noi universale.
Degasperi aveva assimilato, come prima dicevo, l’esperienza della sua Terra tra i monti, dove, per antichissima tradizione, gran parte dei boschi e dei pascoli era proprietà “collettiva”. Vale a dire: non pubblica e non privata. Ed era amministrata da consigli eletti dai “capi famiglia”, o “capi fuoco”, come allora si chiamavano. Per nostra fortuna, tutt’oggi, questa tradizione in larga parte sopravvive, garantita dalla Legge.
Aveva anche assimilato il valore emblematico di una norma del vecchio Impero - anch’essa, nelle sue terre, tutt’ora viva - che diceva sostanzialmente questo: è fatto obbligo che in ogni Comune ci sia un Corpo Volontario di Pompieri. Può sembrare un ossimoro: obbligo di volontari! Non é così: è invece la cifra di una cultura sociale in base alla quale tra il pubblico ed il privato non esiste il vuoto, ma il diritto-dovere della Comunità organizzata di farsi carico direttamente del Bene Comune, in tutti i campi.
Da queste tre parole (Persona, Comunità, Bene Comune) derivano - coerentemente - le idee di “Popolo”, Democrazia” e “Stato” che Degasperi ha perseguito.
Popolo
Disse nel 1947: “Ho imparato che bisogna guardare innanzitutto al popolo. Quando mi parlano di partiti, io li giudico da questo punto di vista: come servono il Popolo? Io non servirei neppure la Democrazia Cristiana se non avessi la convinzione che essa vuole servire il Popolo”.
Ma cosa è il Popolo per Degasperi? Nello stesso discorso egli chiarisce: “Il Popolo vuol dire: il Popolo come vive organicamente nel suo paese, nelle sue società, nei suoi focolari, nelle sue città. Non vuol dire il conglomerato posticcio improvvisato su una piazza”.
Popolo, in sintesi, come dimensione di “comunità strutturata”. Questa idea di “Popolo” - sideralmente lontana da quella oggi prevalente - non solo, certo, ma principalmente e direi ontologicamente, a Destra - colloca a buon diritto Degasperi tra i Maestri dell’antipopulismo ante litteram. Ed è - al tempo stesso - il fondamento della sua idea di Democrazia. Democrazia La Democrazia non è solo regole formali - pur essenziali - ma esigente percorso di “liberazione” dai vincoli delle sopraffazioni di ogni tipo che impediscono il pieno sviluppo delle Libertà e della Dignità della Persona, delle sue relazioni e delle aggregazioni comunitarie nelle quali essa è organicamente inserita.
Aldo Moro - nel saggio “Democrazia Sociale” del 1944 - ha sintetizzato in maniera eccelsa questa idea: “È doveroso riconoscere che tra libertà e giustizia non vi è irrimediabile antitesi, ma solo conflitto, sia pure angoscioso, di precedenze e che alla Democrazia non solo può, ma deve essere data una qualificazione che ne completi il significato. (…) Non si devono fermare le forze amanti davvero della libertà nel suo pugnante significato che include la giustizia”.
Parole, pensieri, visioni che oggi ci appaiono come luci nella nebbia: quella che avvolge e spesso travolge il carisma della nostra Democrazia presso parti crescenti del nostro stesso popolo, sempre più tentate di barattare la propria libertà in cambio di effimere promesse di sicurezza e di benessere, come reazione alla colpevole crescita dello spaesamento, delle disuguaglianze e di vecchie e nuove povertà non solo materiali.
L’eredità degasperiana, anche in tal senso, deve suscitare nuovi impegni e nuove pulsioni di “resistenza” rispetto alla diffusa verticalizzazione del Potere Politico; al diffondersi delle “Democrature”; alle concentrazioni globali degli strumenti tecnologici, economici, finanziari e informativi.
Fenomeni sempre più lesivi sia del valore della Libertà, sia di quello della Giustizia e tali da erodere il valore ed il senso stesso della Democrazia.
Stato
Il filo rosso di questo pensiero degasperiano porta infine alla parola “Stato”. Cito nuovamente Aldo Moro, che anche su questo punto, nei suoi scritti giovanili del 1943, ha colto il punto focale: “Lo Stato è, nella sua essenza, il divenire nella storia della società, secondo il suo ideale di giustizia”.
Questo principio fondamentale per la cultura popolare di ispirazione cristiana, era per Degasperi un punto fermo fin dalle sue prime esperienze politiche. Era stato deputato trentino al Parlamento di Vienna. Aveva respirato la cultura multi nazionale e multi linguistica dell’Impero. Ne aveva colto i segni di disgregazione, certo, ma mai li ha intesi come viatico per una “sacralizzazione” degli Stati Nazione. Degasperi è stato uno “statista”, il più grande della nostra storia dal secondo dopoguerra. Eppure non ha mai confuso il “senso dello Stato” con i disvalori insiti nei concetti di nazionalismo, statalismo e sovranismo. Ha dato un contributo determinate alla costruzione di una identità nazionale, ma sempre testimoniando la sua convinzione che l’idea di Nazione dovesse essere coniugata, da un lato, con il rispetto delle Autonomie (quelle delle formazioni sociali, delle minoranze etniche, linguistiche e culturali, dei Territori) e, dall’altro, con il necessario percorso di costruzione di una Europa Unita e di solide cooperazioni internazionali.
Due prospettive di enorme attualità, alla luce del confuso balbettio di oggi sia sul terreno delle Autonomie sia su quello dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite. Degasperi oggi è ricordato e riconosciuto da tutti, a parole. Ne siamo felici. Ma rimaniamo perplessi e turbati quando leggiamo interpretazioni tanto improbabili quanto palesemente strumentali, come quelle - per fare un solo esempio - contenute in un recente libro dal titolo: “La Destra da Degasperi alla Meloni”. Nessuno oggi può rivendicare esclusive e dirette eredità morali e politiche di Degasperi. Se non altro perché gli attuali nanetti che lo facessero, a fronte di un gigante come Degasperi, sarebbero perfino patetici e ridicoli. Tuttavia, il suo pensiero - pur collocato in un passato ormai lontano - non è affatto neutro rispetto alle vicende politiche e sociali del nostro tempo.
Degasperi è, di sicuro, in primo luogo, uno dei Padri Fondatori della nostra Repubblica e dell’Europa Unita. Un Padre che appartiene dunque ormai alla Storia del Paese e dell’Europa. Nel contempo, egli è stato però interprete primario della cultura politica del Popolarismo. La Storia evolve e richiede nuovi linguaggi e nuovi orizzonti. Le eredità ideali e politiche sono di chi se le conquista sul campo della coerenza e ne rigenera con credibilità intrinseca il senso, non di chi le proclama per coprire il vuoto di radici oppure radici impresentabili.
Il vero tema è che le culture politiche non devono morire, ma rigenerarsi. Perché, senza culture fondanti, la Politica diventa arida lotta di potere; perde le sue bussole valoriali; rinuncia a rappresentare e guidare il Popolo; degrada il valore del consenso partecipe a effimera tifoseria; smarrisce la virtù dell’onestà, che non è solo “non rubare”, ma dovere di dire al Popolo parole di verità. L’esigenza di dare un “ubi consistam” ad un “nuovo Popolarismo” non riguarda pure ragioni di parte, ma l’urgenza di rianimare la nostra Democrazia nel segno di una concezione comunitaria: l’unica che può essere più forte delle crescenti derive verso la “post democrazia”.
A questo sforzo ci devono esortare sia la lettura di ciò che sta accadendo nelle pieghe anche nascoste della nostra società, sia lo stimolo della Chiesa - da ultimo nella Settimana Sociale di Trieste - che tocca ovviamente alla Politica assumere senza nessuna tentazione strumentale, ma nel rispetto del valore della Laicità, del quale Degasperi fu esemplare testimone, talvolta anche in modo molto sofferto. Per questo, però, dobbiamo essere alternativi alle nostre paure, alle nostre pigrizie, alle nostre frammentazioni auto referenziali, alle nostre stesse nostalgie.
Il vento che tira, in Italia, in Europa e nel mondo, non è quello degli ideali di Degasperi e del suo Popolarismo. C’è chi pensa che la nave debba seguire il vento e dunque si adegua, limitandosi ogni tanto a lanciare qualche flebile allarme per mettersi a posto con la coscienza. Ma il vento non vede gli scogli. Il buon nocchiero invece dovrebbe vederli per tempo e cambiare la rotta.
Base Popolare esiste per concorrere a trovare una nuova rotta. La Buona Politica non è seguire il vento, ma seminare presenza, idee, proposte per tracciare nuove rotte sicure. E cercare alleati, anche di diversa ispirazione culturale, ma disponibili a questo. Del resto, il “Centro” (degasperianamente inteso) non è moderatismo, né furbesca equidistanza topografica tra Destra e Sinistra, né - men che meno - conformismo all’aria prevalente per qualche utilità di bottega. È piuttosto “profezia”. Coraggiosa profezia.
Sua Eccellenza l’Arcivescovo di Perugia, Ivan Maffeis, nella sua bellissima Lectio Degasperiana del 18 Agosto a Pieve Tesino, ha detto: “Tra le figure bibliche che attraversano il tempo senza perdere il loro smalto, c’è senz’altro quella del profeta. Il profeta affascina per la sua libertà da ogni forma di potere. Per il suo essere uomo ancorato al presente. Per la sua capacità e la sua intuizione nel leggere e nell’interpretare le vicende sociali, politiche, economiche e religiose in cui è coinvolto. Per la forza del suo esempio e della sua azione, che gli deriva dalla fedeltà alla parola e all’azione di Dio, vivente nella storia.
Alcide De Gasperi è stato un uomo politico dotato di capacità profetiche. Nessun altro leader del suo tempo ha avuto una vita così intensa e imprevedibile. La sua grandezza non si misura solo con quello che ha fatto come statista, ma soprattutto per la testimonianza che ci ha offerto. Come gli antichi profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua stessa esistenza”.
Oggi la Politica manca terribilmente di Profezia. In Italia, in Europa e nel Mondo. Se non è più il tempo di Profeti come Degasperi, dovrà essere il tempo di una profezia collettiva. Ai Popolari - quelli veri, quelli dalla schiena dritta, capaci di resistere al vento che tira - tocca il compito, non certo da soli, di seminarla, farla crescere, organizzarla e diffonderla. Partendo, più che dai Palazzi di Roma, dalla società e dalle Istituzioni delle nostre Comunità Territoriali.
Lorenzo Dellai, relazione tenuta dall’autore al convegno promosso dai “Popolari per Ancona” e da “Base Popolare Marche” sul tema: “La politica come servizio e l’attualità di Alcide De Gasperi” (Ancona, 29 ottobre 2024).
fonte: il Domani d'Italia
Ndr. - Volutamente l’autore ricorre alla variante onomastica “Degasperi” perché così fu trascritto all’anagrafe il cognome dello statista.