Le ragioni storiche dello scontro
Dopo che il 31 maggio 1453 Maometto II aveva conquistato la città di
Costantinopoli e con essa il millenario Impero cristiano d’Oriente, i
turchi ottomani ritenevano imminente il giorno del loro dominio
universale. Nel 1521 si erano impadroniti di Belgrado; nel 1526 avevano
conquistato l’Ungheria ed erano arrivati fino alle porte di Vienna.
In Italia avevano invaso e saccheggiato tutte le coste del meridione.
Tripoli era già stata tolta agli spagnoli, l’isola di Chio ai genovesi,
Rodi ai cavalieri che la possedevano e la stessa isola di Malta, nuova
sede dei cavalieri, sarebbe caduta nelle mani turche se Jean de La
Valette, Gran Maestro dell’Ordine non l’avesse difesa e salvata con
eroico valore.
Nel febbraio 1570 era giunto a Venezia un ambasciatore turco con un
ultimatum della Sublime Porta: o la cessione al sultano dell’isola di
Cipro o la guerra. Venezia aveva rifiutato con sdegno. Ma dopo undici
mesi di assedio il 1 agosto 1571, nell’isola di Cipro era caduta la
città di Famagosta. Il patto di resa garantiva la vita ai difensori
superstiti, ma quando il comandante turco era penetrato a Famagosta
aveva fatto scorticare vivo il comandante della piazza cristiana
Marcantonio Bragadin. Il corpo era stato squartato, la pelle di Bragadin
era stata quindi riempita di paglia, rivestita con la sua uniforme e
trascinata per la città.
Il terrore regnava nel Mediterraneo, l’antico Mare nostrum. La sorte
dei cristiani di Cipro era quella che l’Islam sembrava preparare ai
cristiani di tutta Europa. Sulla cattedra di Pietro sedeva un teologo
domenicano, Michele Ghislieri, salito al pontificato all’inizio del 1566
con il nome di Pio V. Egli valutò la gravità del pericolo e comprese
che solo una guerra preventiva avrebbe salvato l’Occidente. Con parole
gravi e commosse esortò le potenze cristiane ad unirsi contro gli
aggressori e di questa difesa della cristianià fece l’asse del suo breve
pontificato.
Non tutti, però, risposero all’appello. L’espansione dei turchi si
sviluppava anche grazie alla complicità decisiva di paesi cristiani,
come la Francia, che in nome della realpolitik, oggi diremmo dei suoi
interessi geopolitici, incoraggiava e finanziava i turchi per indebolire
il suo tradizionale nemico: la casa imperiale d’Austria. Tuttavia
grazie alle preghiere e alle insistenze del pontefice, il 25 luglio del
1570, la Spagna, Venezia e il Papa conclusero l’alleanza contro i
turchi. Subito dopo aderirono il duca di Savoia, la Repubblica di Genova
e quella di Lucca, il granduca di Toscana, i duchi di Mantova, Parma,
Urbino, Ferrara, l’Ordine sovrano di Malta. Si trattava di una
prefigurazione dell’unità italiana su basi cristiane, la prima
coalizione politica e militare italiana nella storia.
Alla testa della Lega Cristiana fu posto un giovane di 25 anni: don
Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V e dunque fratellastro del
re di Spagna Filippo II. La flotta pontificia, costituita grazie
all’aiuto decisivo dei cavalieri di Santo Stefano, era comandata da
Marcantonio Colonna, duca di Paliano, a cui il Papa affidò la bandiera
della Chiesa. La Santa Lega fu ufficialmente proclamata a Roma nella
basilica di San Pietro. Lasciata Messina, dove si era concentrata alla
fine di agosto, dopo venti giorni di navigazione con rotta verso
levante, la flotta cristiana attaccò il nemico alle undici di mattina di
quella domenica 7 ottobre dell’anno 1571.
Lo svolgimento della battaglia
All’alba del 7 ottobre 1571 una gigantesca flotta ottomana, la più
numerosa mai schierata nel Mediterraneo, avanzava lentamente, con il
vento di scirocco in poppa. Circa 270 galee e una quantità
indescrivibile di legni minori formavano un semicerchio, una enorme e
minacciosa mezzaluna che occupava tutte le acque che dalle coste
montagnose dell’Albania, a nord, arrivano alle secche della Morea, a
sud. Al centro della mezzaluna che avanzava, sulla nave ammiraglia,
chiamata la Sultana, sventolava uno stendardo verde, venuto dalla Mecca,
che recava ricamato in oro per 28.900 volte il nome di Allah.
Di fronte, in formazione a croce, era schierata la flotta cristiana,
sulla cui ammiraglia, comandata da don Giovanni d’Austria, garriva un
enorme stendardo blu con la raffigurazione del Cristo in Croce. La
battaglia durò cinque ore e si decise al centro dello schieramento, dove
le navi ammiraglie si speronarono l’un l’altra formando un campo di
battaglia galleggiante in cui si susseguirono attacchi e contrattacchi
finchè il reggimento scelto degli archibugieri di Sardegna riuscì a
sferrare l’attacco decisivo. Alì Pascià fu colpito a morte e sulla
Sultana fu ammainata la Mezzaluna e issato il vessillo cristiano.
Si coprirono di valore tra gli altri i Colonna e gli Orsini, sette
della stessa famiglia, il conte Francesco di Savoia che cadde in
battaglia, il ventitreenne Alessandro Farnese, destinato a divenire uno
dei maggiori condottieri del secolo, Giulio Carafa che, preso
prigioniero si liberò e si impadronì del brigantino nemico, ed i
veneziani tutti che pagarono il maggior tributo di sangue.
Il provveditore veneziano Agostino Barbarigo che comandava l’ala
sinistra dello schieramento cristiano, si batté, fino a che non gli
mancarono le forze, con una freccia infitta nell’occhio sinistro. Sulla
sua ammiraglia, Sebastiano Venier, combatté a capo scoperto e in
pantofole perché, risponde a chi gliene chiede il motivo, fanno migliore
presa sulla coperta. Ha settantacinque anni e imbraccia la balestra,
aiutato da un marinaio per il caricamento dell’arma, un’operazione che
era ormai superiore alle sue forze. Sopraffatto dal numero viene
soccorso dalle galee di Giovanni Loredan e Caterino Malipiero, che
trovano la morte nella lotta.
Al termine della battaglia la Lega aveva perso più di 7.000 uomini,
di cui 4.800 veneziani, 2.000 spagnoli, 800 pontifici, e circa 20.000
feriti; i turchi, contarono più di 25.000 perdite e 3.000 prigionieri.
Il nome di Lepanto era entrato nella storia. Per la prima volta dopo un
secolo il Mediterraneo tornò libero. A partire da questo giorno iniziò
il declino dell’impero ottomano.
Nel pomeriggio del 7 ottobre, Pio V che aveva moltiplicato le
preghiere a Colei che sempre aveva soccorso i cristiani nelle ore
drammatiche della cristianità, stava esaminando i conti con alcuni
prelati. D’improvviso fu visto levarsi, avvicinarsi alla finestra
fissando lo sguardo come estatico e poi, ritornando verso i prelati
esclamare: “Non occupiamoci più di affari, ma andiamo a ringraziare
Iddio. La flotta cristiana ha ottenuto vittoria”.
Il Pontefice attribuì il trionfo di Lepanto all’intercessione della
Vergine e volle che nelle Litanie lauretane si aggiungesse l’invocazione
Auxilium christianorum. Anche il Senato Veneziano che non era composto
da donnicciole, ma da uomini fieri e rotti a sfidare i più gravi
pericoli in mare e in terra, volle attribuire alla Santissima Vergine il
merito principale della vittoria e sul quadro fatto dipingere nella
sala delle sue adunanze fece scrivere queste parole: “Non virtus, non
arma, non duces, sed Maria Rosarii, victores nos fecit” (non il valore,
non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del Rosario ci ha fatto
vincitori).
fonte:Lepanto.org
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