"E' piuttosto raro che i giovani si fermino a guardare gli alberi, al più ne notano la bellezza, l'ombra riposante che spargono intorno, il fruscio delle foglie mosse dal vento, fiori e frutti dei quali si ricoprono nella stagione del loro rigoglio.
Per i vecchi è diverso, spesso gli alberi diventano amici con i quali si conversa senza parole, ma intimamente, interrogandoli sul percorso che hanno fin lì seguito, spinti appunto dalla forza insita in quel "nascimento" che conteneva già in sé tutta la loro storia futura.
Così ci sono nella mia vita non solo persone e animali, case e oggetti, la loro frequentazione affettuosa e il loro ricordo quando se ne è lontani, ma anche alberi: due querce, una magnolia, un cipresso e un fico, posti in luoghi diversi e lontani.
Stanno anch'essi nel cerchio dei miei affetti, seguo le loro vicende, mi preoccupo degli accidenti che possono colpirli e delle cure delle quali hanno bisogno.
Una di quelle querce a un certo punto intristì, molti rami diventarono secchi, le foglie diradarono al punto che l'albero fu disertato sia dai passeri che prima vi facevano il nido che dalle cicale che durante la calura estiva sotto quella fronda lanciavano il loro metallico richiamo.
La salvammo con una radicale potatura che ne mutò il sembiante ma ne stimolò la ripresa, un nuovo ramaggio spuntò sulla corteccia rugosa promettendo una nuova crescita per la futura stagione".
Eugenio Scalfari, L'espresso 28 agosto 2003
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