"Un cattolico scomodo": questa definizione ha dato il titolo a un convegno in memoria di Carlo Donat Cattin, svoltosi a Torino e organizzato dalla Fondazione omonima cittadina, per ricordare il politico democristiano scomparso il 17 marzo 1991. La manifestazione è stata collegata alle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario della proclamazione del Regno d'Italia e, pertanto, inaugurata da un dibattito sul ruolo dei cattolici nel processo di unificazione nazionale, a cui hanno preso parte gli storici Ernesto Galli della Loggia, Francesco Traniello e Roberto Morozzo della Rocca. Anche Carlo Donat Cattin, infatti, può, a ragione, essere annoverato tra quelle figure di rilievo del mondo cattolico italiano, che hanno apportato un contributo non trascurabile al consolidarsi delle istituzioni democratiche nella storia repubblicana del Paese.
Per riassumere la biografia politica di Carlo Donat Cattin, potrebbe sembrare, a prima vista, ingeneroso e riduttivo il giudizio riportato in apertura, con il quale Luigi Gedda, alla vigilia delle elezioni politiche del 1953, liquidò l'allora giovane sindacalista, opponendosi alla sua candidatura nelle liste elettorali della Democrazia cristiana: "È un militante scomodo - affermò in quella circostanza il presidente dell'Azione cattolica - che difficilmente si adatta, con disciplina, alla linea politica decisa dal vertice del partito".
Invece Gedda, che aveva legami di antica conoscenza con la famiglia Donat Cattin - rivolgendosi, in alcune lettere ancora inedite, al cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano - riservava parole di stima al padre di Carlo, Attilio Donat Cattin, esponente di punta del Partito popolare torinese, che aveva ricoperto alcuni incarichi all'interno dell'Azione cattolica e nella gestione dei Comitati civici. E tuttavia, alla luce della successiva esperienza pubblica compiuta dal cattolico piemontese, le parole di Gedda riescono a esprimere l'arguta vivacità intellettuale, l'indipendenza di giudizio, l'intensa passione civile e la coraggiosa intraprendenza politica che resero Donat Cattin protagonista in molte vicende politiche del secondo dopoguerra.
Le radici profonde dell'impegno politico di Donat Cattin trovarono alimento nel fecondo ambiente cattolico torinese del primo dopoguerra. Nato nel 1919 in Liguria, da madre ligure e padre piemontese, frequentò a Torino l'oratorio salesiano della Crocetta e in seguito aderì alla Gioventù italiana di Azione cattolica (Giac), entrando in contatto con alcuni esponenti del movimento cattolico italiano, tra cui il futuro presidente della Giac (in frequente contrasto con Gedda) Carlo Carretto. Negli stessi anni, assecondò la passione per il giornalismo (coltivata per tutta la vita) collaborando con varie testate, tra cui "L'Italia" di Milano e "L'Avvenire d'Italia" di Bologna (dalla cui fusione sarebbe nato, nel 1968, il quotidiano cattolico nazionale "Avvenire"). Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, Donat Cattin scelse di aderire alla guerra partigiana, partecipando alla Resistenza nel Canavese e rappresentando la Democrazia cristiana - di cui fu tra i fondatori in Piemonte - nel Comitato di liberazione nazionale di Ivrea. Ma la sua vocazione politica nacque e maturò prevalentemente nell'ambito del sindacalismo cristiano: dapprima segretario dell'Unione provinciale dei sindacati liberi di Torino, nel 1949 il giovane piemontese divenne membro del consiglio generale del sindacato unitario, la Libera Cgil, per seguire infine Giulio Pastore nella scissione della corrente cristiana, contribuendo così alla fondazione della Cisl.
In questo contesto Donat Cattin si batté perché il sindacalismo cattolico fosse ispirato e strettamente collegato alla dottrina sociale della Chiesa. La militanza politica nella locale Democrazia cristiana (negli anni Cinquanta fu anche consigliere comunale e provinciale a Torino) sfociò nell'elezione in Parlamento alle politiche del 1958. All'interno della Dc, Donat Cattin sarà pertanto il protagonista e l'anima principale della cosiddetta "sinistra sociale", che si differenziava dalla "sinistra politica" del partito (rappresentata invece dalla corrente della "Base") proprio per il legame con il mondo del sindacalismo cristiano e dell'associazionismo aclista, per l'attenzione prestata alle questioni di carattere economico e sociale e per un netto atteggiamento anticomunista.
Il magistero sociale della Chiesa infatti sembrava agli esponenti di Forze Nuove (questo fu il nome definitivo della corrente sindacale della Dc), più che sufficiente per determinare una seria politica di riforme, scevra di cedimenti e subalternità nei confronti delle organizzazioni politiche e sindacali d'ispirazione marxista. Fu Aldo Moro - definito con sagacia da Donat Cattin un "cavallo di razza" della Dc, insieme ad Amintore Fanfani - a sollecitare l'affidamento di rilevanti incarichi di governo all'uomo politico piemontese. Legato al leader di Forze Nuove da un leale rapporto di reciproca stima e amicizia, Moro individuava nella sinistra sociale di Donat Cattin un elemento determinante per caratterizzare in senso popolare l'identità politica del partito.
Sarà dunque Donat Cattin a guidare il Ministero del Lavoro durante l'incandescente stagione dell'autunno caldo, quando il Paese venne scosso da frequenti agitazioni operaie e sindacali. Con caparbietà, mediante l'ascolto e il dialogo con tutte le parti sociali, il ministro democristiano riuscì a superare fortissime opposizioni e a giungere alla positiva soluzione di delicate vertenze contrattuali, legando infine il suo nome all'approvazione dello Statuto dei lavoratori, una tra le più importanti conquiste sociali dell'Italia repubblicana, approvato, dopo lunghe trattative, nel maggio 1970: Donat Cattin ne scrisse il testo definitivo, guadagnandosi il grato appellativo di "Ministro dei lavoratori". Nella veste di Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, pur schierandosi contro la costruzione di cattedrali nel deserto, si adoperò per favorire l'affermarsi, anche nel sud Italia, di un concreto spirito di imprenditorialità, tentando così di correggere le deleterie forme di un assistenzialismo divenuto ormai parassitario. In merito, lo studioso meridionalista Francesco Compagna riconobbe che Donat Cattin, "ligure-piemontese, è stato il migliore ministro dei meridionali".
L'antica passione per il giornalismo spinse inoltre il leader della sinistra sociale democristiana a sostenere la diffusione di alcune riviste che contribuirono a vivacizzare il dibattito culturale e politico negli anni del post-concilio. Ispirando, nel 1967, la pubblicazione del settimanale "Settegiorni", Donat Cattin si proponeva di sensibilizzare soprattutto i giovani e i lavoratori cattolici alle grandi tematiche sollevate dalla recente esperienza conciliare.
Aperto al dialogo col mondo laico e socialista, vicino al movimento sindacale e alle Acli, il nuovo giornale fu diretto da Ruggero Orfei, proveniente dalla redazione de "L'Italia", affiancato da Piero Pratesi, ex vice direttore de "L'Avvenire d'Italia". Ma il settimanale cessò le sue pubblicazioni il 7 luglio 1974, dopo la lacerante esperienza del referendum sul divorzio quando, in totale autonomia ed in contrasto con le direttive della Chiesa e con la linea assunta dalla Democrazia cristiana, la rivista si schierò contro l'abrogazione della legge. L'impegno culturale di Carlo Donat Cattin continuò sia attraverso la realizzazione di convegni annuali tenuti a Saint Vincent e resi ambìti momenti di confronto e riflessione collettiva, aperti a tutte le forze democratiche, sia mediante l'edizione di una nuova rivista, il mensile "Terza Fase", al quale collaborarono intellettuali ed esperti di diverse discipline.
Donat Cattin fu sempre contrario a ogni formula politica che mirasse ad un'alleanza organica tra la DC e il Partito comunista: per sottolineare l'incompatibilità ideologica, oltre che politica, tra i due partiti, nel 1980 ideò un preambolo - approvato in congresso dalla maggioranza dello scudo crociato - che escludeva definitivamente ogni forma di collaborazione governativa. E proprio dalla sinistra comunista giungeranno i più aspri attacchi a Donat Cattin quando, alla metà anni Ottanta, in qualità di Ministro della Sanità dovette affrontare il dilagante fenomeno dell'Aids.
Fedele a quei valori cristiani che aveva posto a fondamento della sua vita, pur consapevole dell'impopolarità delle sue opinioni, Donat Cattin inviò una lettera alle famiglie italiane, ove, illustrando le insidie della nuova malattia, metteva in guardia dall'illusione che l'uso del preservativo garantisse "l'assoluta sicurezza" di non contrarre e trasmettere il virus. Pertanto consigliava "di condurre un'esistenza normale nei rapporti affettivi e sessuali". Le sue parole furono oggetto di feroci critiche, ed egli venne violentemente contestato dai movimenti e dalla stampa d'orientamento laicista. "Si può fare dell'ironia sulla castità - rispose allora Donat Cattin, sfidando consapevolmente la generale impopolarità - essa è però indicata dalla Organizzazione mondiale della sanità come prima scelta di comportamento dei sieropositivi, delle persone non malate di Aids ma portatrici di virus, che, se hanno senso di responsabilità, devono fare in modo di non trasmettere l'infezione".
Con la stessa tenacia, ed in profonda coerenza con una fede vissuta in modo rigoroso e autentico, Donat Cattin si schierò a tutela della vita umana sin dal suo concepimento. Riflettendo sui rapporti indissolubili tra scienza, politica, morale e fede, il politico democristiano intervenne a sostegno delle posizioni espresse dalla Chiesa sul controllo delle nascite, contestando le politiche di regolamentazione forzata della procreazione, intese come rimedio ai problemi dei Paesi sottosviluppati e praticate in violazione della libertà della persona.
L'interesse suscitato dalle imprevedibili evoluzioni dell'ingegneria genetica convinse l'allora Ministro della sanità ad appoggiare la proposta dello scienziato laico francese Jacques Testart che, già nel 1986, aveva suggerito una pausa di riflessione per meditare sulle pericolose conseguenze insite nelle manipolazioni genetiche. Alle degenerazioni dell'ingegneria genetica, dedicò l'ultimo dei convegni di Saint Vincent. Concordando con lo scienziato francese, riteneva illusorio credere nella neutralità della ricerca scientifica; era "a monte della scoperta" che si era chiamati a compiere le necessarie scelte etiche.
Difendendo con indomita passione la vita umana, Donat Cattin, con una impressionante antiveggenza, oltre vent'anni fa, fu tra i primi a indicare rischi e pericoli che una irrefrenabile crisi della natalità in Italia avrebbe determinato, non solo sul piano morale, ma soprattutto per le conseguenze negative che l'intero Paese avrebbe potuto pagare in un prossimo futuro (che è oggi il nostro presente) dal punto di vista economico e finanziario.
Congedandosi dai militanti del suo partito, in uno degli ultimi interventi pubblici, Donat Cattin lanciò perciò un accorato invito "a fare figli". Nonostante le incomprensioni e le riluttanze con cui il mondo laico accoglieva sempre più spesso le sue parole, scelse quindi di andare controcorrente fino all'ultimo. "Anche se - aggiunse davanti a una platea silenziosa e commossa, per il toccante riferimento al drammatico destino del suo figlio minore - qualche volta i figli fanno sanguinare il cuore".
ELIANA VERSACE
Per riassumere la biografia politica di Carlo Donat Cattin, potrebbe sembrare, a prima vista, ingeneroso e riduttivo il giudizio riportato in apertura, con il quale Luigi Gedda, alla vigilia delle elezioni politiche del 1953, liquidò l'allora giovane sindacalista, opponendosi alla sua candidatura nelle liste elettorali della Democrazia cristiana: "È un militante scomodo - affermò in quella circostanza il presidente dell'Azione cattolica - che difficilmente si adatta, con disciplina, alla linea politica decisa dal vertice del partito".
Invece Gedda, che aveva legami di antica conoscenza con la famiglia Donat Cattin - rivolgendosi, in alcune lettere ancora inedite, al cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano - riservava parole di stima al padre di Carlo, Attilio Donat Cattin, esponente di punta del Partito popolare torinese, che aveva ricoperto alcuni incarichi all'interno dell'Azione cattolica e nella gestione dei Comitati civici. E tuttavia, alla luce della successiva esperienza pubblica compiuta dal cattolico piemontese, le parole di Gedda riescono a esprimere l'arguta vivacità intellettuale, l'indipendenza di giudizio, l'intensa passione civile e la coraggiosa intraprendenza politica che resero Donat Cattin protagonista in molte vicende politiche del secondo dopoguerra.
Le radici profonde dell'impegno politico di Donat Cattin trovarono alimento nel fecondo ambiente cattolico torinese del primo dopoguerra. Nato nel 1919 in Liguria, da madre ligure e padre piemontese, frequentò a Torino l'oratorio salesiano della Crocetta e in seguito aderì alla Gioventù italiana di Azione cattolica (Giac), entrando in contatto con alcuni esponenti del movimento cattolico italiano, tra cui il futuro presidente della Giac (in frequente contrasto con Gedda) Carlo Carretto. Negli stessi anni, assecondò la passione per il giornalismo (coltivata per tutta la vita) collaborando con varie testate, tra cui "L'Italia" di Milano e "L'Avvenire d'Italia" di Bologna (dalla cui fusione sarebbe nato, nel 1968, il quotidiano cattolico nazionale "Avvenire"). Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, Donat Cattin scelse di aderire alla guerra partigiana, partecipando alla Resistenza nel Canavese e rappresentando la Democrazia cristiana - di cui fu tra i fondatori in Piemonte - nel Comitato di liberazione nazionale di Ivrea. Ma la sua vocazione politica nacque e maturò prevalentemente nell'ambito del sindacalismo cristiano: dapprima segretario dell'Unione provinciale dei sindacati liberi di Torino, nel 1949 il giovane piemontese divenne membro del consiglio generale del sindacato unitario, la Libera Cgil, per seguire infine Giulio Pastore nella scissione della corrente cristiana, contribuendo così alla fondazione della Cisl.
In questo contesto Donat Cattin si batté perché il sindacalismo cattolico fosse ispirato e strettamente collegato alla dottrina sociale della Chiesa. La militanza politica nella locale Democrazia cristiana (negli anni Cinquanta fu anche consigliere comunale e provinciale a Torino) sfociò nell'elezione in Parlamento alle politiche del 1958. All'interno della Dc, Donat Cattin sarà pertanto il protagonista e l'anima principale della cosiddetta "sinistra sociale", che si differenziava dalla "sinistra politica" del partito (rappresentata invece dalla corrente della "Base") proprio per il legame con il mondo del sindacalismo cristiano e dell'associazionismo aclista, per l'attenzione prestata alle questioni di carattere economico e sociale e per un netto atteggiamento anticomunista.
Il magistero sociale della Chiesa infatti sembrava agli esponenti di Forze Nuove (questo fu il nome definitivo della corrente sindacale della Dc), più che sufficiente per determinare una seria politica di riforme, scevra di cedimenti e subalternità nei confronti delle organizzazioni politiche e sindacali d'ispirazione marxista. Fu Aldo Moro - definito con sagacia da Donat Cattin un "cavallo di razza" della Dc, insieme ad Amintore Fanfani - a sollecitare l'affidamento di rilevanti incarichi di governo all'uomo politico piemontese. Legato al leader di Forze Nuove da un leale rapporto di reciproca stima e amicizia, Moro individuava nella sinistra sociale di Donat Cattin un elemento determinante per caratterizzare in senso popolare l'identità politica del partito.
Sarà dunque Donat Cattin a guidare il Ministero del Lavoro durante l'incandescente stagione dell'autunno caldo, quando il Paese venne scosso da frequenti agitazioni operaie e sindacali. Con caparbietà, mediante l'ascolto e il dialogo con tutte le parti sociali, il ministro democristiano riuscì a superare fortissime opposizioni e a giungere alla positiva soluzione di delicate vertenze contrattuali, legando infine il suo nome all'approvazione dello Statuto dei lavoratori, una tra le più importanti conquiste sociali dell'Italia repubblicana, approvato, dopo lunghe trattative, nel maggio 1970: Donat Cattin ne scrisse il testo definitivo, guadagnandosi il grato appellativo di "Ministro dei lavoratori". Nella veste di Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, pur schierandosi contro la costruzione di cattedrali nel deserto, si adoperò per favorire l'affermarsi, anche nel sud Italia, di un concreto spirito di imprenditorialità, tentando così di correggere le deleterie forme di un assistenzialismo divenuto ormai parassitario. In merito, lo studioso meridionalista Francesco Compagna riconobbe che Donat Cattin, "ligure-piemontese, è stato il migliore ministro dei meridionali".
L'antica passione per il giornalismo spinse inoltre il leader della sinistra sociale democristiana a sostenere la diffusione di alcune riviste che contribuirono a vivacizzare il dibattito culturale e politico negli anni del post-concilio. Ispirando, nel 1967, la pubblicazione del settimanale "Settegiorni", Donat Cattin si proponeva di sensibilizzare soprattutto i giovani e i lavoratori cattolici alle grandi tematiche sollevate dalla recente esperienza conciliare.
Aperto al dialogo col mondo laico e socialista, vicino al movimento sindacale e alle Acli, il nuovo giornale fu diretto da Ruggero Orfei, proveniente dalla redazione de "L'Italia", affiancato da Piero Pratesi, ex vice direttore de "L'Avvenire d'Italia". Ma il settimanale cessò le sue pubblicazioni il 7 luglio 1974, dopo la lacerante esperienza del referendum sul divorzio quando, in totale autonomia ed in contrasto con le direttive della Chiesa e con la linea assunta dalla Democrazia cristiana, la rivista si schierò contro l'abrogazione della legge. L'impegno culturale di Carlo Donat Cattin continuò sia attraverso la realizzazione di convegni annuali tenuti a Saint Vincent e resi ambìti momenti di confronto e riflessione collettiva, aperti a tutte le forze democratiche, sia mediante l'edizione di una nuova rivista, il mensile "Terza Fase", al quale collaborarono intellettuali ed esperti di diverse discipline.
Donat Cattin fu sempre contrario a ogni formula politica che mirasse ad un'alleanza organica tra la DC e il Partito comunista: per sottolineare l'incompatibilità ideologica, oltre che politica, tra i due partiti, nel 1980 ideò un preambolo - approvato in congresso dalla maggioranza dello scudo crociato - che escludeva definitivamente ogni forma di collaborazione governativa. E proprio dalla sinistra comunista giungeranno i più aspri attacchi a Donat Cattin quando, alla metà anni Ottanta, in qualità di Ministro della Sanità dovette affrontare il dilagante fenomeno dell'Aids.
Fedele a quei valori cristiani che aveva posto a fondamento della sua vita, pur consapevole dell'impopolarità delle sue opinioni, Donat Cattin inviò una lettera alle famiglie italiane, ove, illustrando le insidie della nuova malattia, metteva in guardia dall'illusione che l'uso del preservativo garantisse "l'assoluta sicurezza" di non contrarre e trasmettere il virus. Pertanto consigliava "di condurre un'esistenza normale nei rapporti affettivi e sessuali". Le sue parole furono oggetto di feroci critiche, ed egli venne violentemente contestato dai movimenti e dalla stampa d'orientamento laicista. "Si può fare dell'ironia sulla castità - rispose allora Donat Cattin, sfidando consapevolmente la generale impopolarità - essa è però indicata dalla Organizzazione mondiale della sanità come prima scelta di comportamento dei sieropositivi, delle persone non malate di Aids ma portatrici di virus, che, se hanno senso di responsabilità, devono fare in modo di non trasmettere l'infezione".
Con la stessa tenacia, ed in profonda coerenza con una fede vissuta in modo rigoroso e autentico, Donat Cattin si schierò a tutela della vita umana sin dal suo concepimento. Riflettendo sui rapporti indissolubili tra scienza, politica, morale e fede, il politico democristiano intervenne a sostegno delle posizioni espresse dalla Chiesa sul controllo delle nascite, contestando le politiche di regolamentazione forzata della procreazione, intese come rimedio ai problemi dei Paesi sottosviluppati e praticate in violazione della libertà della persona.
L'interesse suscitato dalle imprevedibili evoluzioni dell'ingegneria genetica convinse l'allora Ministro della sanità ad appoggiare la proposta dello scienziato laico francese Jacques Testart che, già nel 1986, aveva suggerito una pausa di riflessione per meditare sulle pericolose conseguenze insite nelle manipolazioni genetiche. Alle degenerazioni dell'ingegneria genetica, dedicò l'ultimo dei convegni di Saint Vincent. Concordando con lo scienziato francese, riteneva illusorio credere nella neutralità della ricerca scientifica; era "a monte della scoperta" che si era chiamati a compiere le necessarie scelte etiche.
Difendendo con indomita passione la vita umana, Donat Cattin, con una impressionante antiveggenza, oltre vent'anni fa, fu tra i primi a indicare rischi e pericoli che una irrefrenabile crisi della natalità in Italia avrebbe determinato, non solo sul piano morale, ma soprattutto per le conseguenze negative che l'intero Paese avrebbe potuto pagare in un prossimo futuro (che è oggi il nostro presente) dal punto di vista economico e finanziario.
Congedandosi dai militanti del suo partito, in uno degli ultimi interventi pubblici, Donat Cattin lanciò perciò un accorato invito "a fare figli". Nonostante le incomprensioni e le riluttanze con cui il mondo laico accoglieva sempre più spesso le sue parole, scelse quindi di andare controcorrente fino all'ultimo. "Anche se - aggiunse davanti a una platea silenziosa e commossa, per il toccante riferimento al drammatico destino del suo figlio minore - qualche volta i figli fanno sanguinare il cuore".
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