Il filo rosso del cattolicesimo liberale è stato storicamente
debole nel nostro Paese a causa della frattura dell'Unità d'Italia
e della lunga stagione dell'intransigentismo che ha portato la
comunità ecclesiale a pensarsi come contro-società o in opposizione
allo Stato o chiamata a colonizzare lo Stato stesso. O martirio o
egemonia di parte: questo era lo schema dell'intransigentismo.
Alcide De Gasperi, a lungo suddito di un impero plurinazionale,
portò nella nostra vita politica tutta la fortunata estraneità a
quella storia. Come ricorda lo storico padre Giuseppe Sale nel suo
volume su "Il Vaticano e la Costituzione", lo statista trentino, il
più grande statista del secolo trascorso, riteneva del tutto
illogica la nozione di "religione di Stato" perché per lui lo Stato
era "un'amministrazione, una serie di uffici" che, a differenza
delle persone, non hanno religione. Uffici che sono viceversa
strumentali alle libertà delle persone e delle comunità, compresa
quella religiosa, senza egemonie o forme di martirio.
Il cattolicesimo liberale è quindi intimamente "anti-giacobino"
come ricordava Pietro Scoppola parlando di De Gasperi, ovvero, come
diciamo oggi specie dopo la "
Caritas in Veritate", poliarchico (dato che il giacobinismo è
una forma di monarchia, di un centro unico e assoluto di potere che
da monarchico diventa repubblicano, ma che resta per l'appunto
unico), attento a costruire equilibri e a evitare squilibri tra le
sfere sociali, compreso il sotto-sistema istituzionale che è
una parte e non il tutto, che contribuisce al bene comune e non lo
monopolizza.
Nonostante che col Concilio Vaticano II il cattolicesimo
liberale, con la decisiva regia montiniana, abbia plasmato di sé la
vita della Chiesa, valorizzando la conciliazione pratica precedente
tra comunità ecclesiale e democrazia, superando le chiusure
dell'intransigentismo, creando le premesse per la caduta dei regimi
antidemocratici residui (dal Portogallo, alla Spagna , alle
Filippine), minore è stata la sua forza in ambito strettamente
politico.
In particolare, nella complessa transizione italiana della
seconda fase della Repubblica, il cattolicesimo liberale non ha
attecchito come cultura politica e come personalità esemplari nel
centrodestra dove pure vi è chi utilizza talora quella definizione.
Il centrodestra è un confuso assemblaggio di nuove forme di
cattolicesimo intransigente e teo-con.
Nel centrosinistra due sono state le grandi personalità
cattolico liberali che hanno invece accompagnato la transizione,
purtroppo solo per pochi anni e che andrebbero più fortemente
riscoperte: Pietro Scoppola e Nino Andreatta. Si fa però ancora
fatica a valorizzare appieno questo che è obiettivamente il filone
più fecondo di cultura politica (il resto delle tradizioni
politiche cattoliche di una certa consistenza appare del tutto
interno alla crisi dei paradigmi della vecchia sinistra) il che
evidentemente non è senza connessioni con la difficoltà ad avere
rapporti scambievoli fecondi con la comunità ecclesiale, che
rischia così di essere inevitabilmente risospinta su altri lidi.
Solo la diffusione della cultura cattolico liberale consente al Pd
di non essere la mera riproposizione della sinistra tradizionale.
Se si riproduce stancamente quest'ultima, essa richiama fatalmente
forme nuove di unità dei cattolici sull'altro versante. Rottura e
continuità della sinistra storica e dell'unità dei cattolici si
richiamano fatalmente a vicenda. L'idea di partito a vocazione
maggioritaria, quindi strutturalmente proiettato oltre con i
confini della sinistra storica, è uno strumento essenziale di
questa diffusione.
Il cattolicesimo liberale comporta anzitutto una lettura
geopolitica post-11 settembre in chiave di multilateralismo
democratico e, quindi di solidarietà euro- atlantica in alternativa
alle visioni multipolari che tendono a separare Europa e Usa
e ad astratti pacifismi svincolati dal dovere di resistenza al male
e quindi dalla necessità di un uso regolato e proporzionato della
forza attraverso l'Onu e la Nato. Il pacifismo astratto, cattolico
e non, sembra obiettivamente caduto dopo la sfida asimmetrica della
guerra al terrore, ma un certo antiamericanismo, portato della
cultura intransigente, resta invece sullo sfondo, a destra come a
sinistra. Andrebbe peraltro ricordato che non casualmente il
Partito Democratico ha assunto un nome statunitense più che europeo
tradizionale da vecchia sinistra, prospettando una promessa da
compiere.
Il cattolicesimo liberale comporta poi una visione equilibrata
del rapporto tra politica e mercato che non confonde la finalità
della lotta per la riduzione delle diseguaglianze con gli strumenti
datati della crescita dell'intervento permanente delle istituzioni
pubbliche in termini di gestione diretta, secondo le puntuali
chiavi di lettura poliarchiche e sussidiarie fornite in particolare
dal magistero dalla Centesimus Annus in poi ed esemplificate
chiaramente dal documento della Settimana Sociale di Reggio
Calabria. All'insegna di una politica decidente ma non invadente.
Una visione che fa dell'aggancio con l'Europa un ancoraggio
essenziale: più liberalizzazione e dinamismo interno a livello
nazionale consentono convergenze europee e un diverso livello di
integrazione in un government federale da costruire. Qui è
l'eredità più forte di Andreatta, senza il quale l'Italia non
sarebbe nell'Euro.
Infine il cattolicesimo liberale affronta e trova soluzione
anche ai temi attinenti ai cosiddetti 'principi non negoziabili',
senza restringere ad essi le priorità dell'impegno politico.
Negli ultimi anni sembra su questi temi esservi spazio solo per
opposti intransigentismi o in nome della non negoziabilità della
vita o di quella della libertà del singolo inteso come atomo
slegato da legami sociali. Il cattolicesimo liberale imposta invece
le questioni a partire dal ruolo limitato delle istituzioni
pubbliche che debbono affrontare questi temi a partire
dall'immunità dalla coercizione della persona, distinguendo il
livello della proposta delle scelte migliori da quello,
necessariamente più ristretto, del vincolo che la legge può portare
con sé. E' qui che emerge l'autonomia relativa del diritto dalla
morale e dalla politica e la rilevanza pubblica della dimensione
religiosa, fuori dall'alternativa perversa tra confessionalismo e
privatizzazione della fede.
Sulla strada segnata da Scoppola e Andreatta tutto il Pd può
crescere con la cultura di governo adeguata. Non vi sono, almeno
per il centrosinistra, altri filoni di cultura politica di matrice
religiosa altrettanto promettenti, che non siano mera ripetizione
di passati spesso gloriosi ma fatalmente datati. Nel suo essere
anti-giacobino il cattolicesimo liberale è più duraturo perché
anti-ideologico, perché è una matrice di idee in un contesto
poliarchico, non un insieme di ricette per una politica monarchica
che le potrebbe imporre o agli attori economici o alle persone
singole in nome di una pretesa di monopolio del bene comune. Quella
stessa visione che è chiaramente riproposta dai due discorsi di
Benedetto XVI a Westminster Hall e al Bundestag.
Vorrei infine fare una postilla pratico-applicativa, che mi è
suggerita dalla lettura di un articolo di Stefano Fassina su
"l'Unità" di domenica. Fassina arriva alla conclusione giusta (la
richiesta di 'più Europa?) partendo però da due premesse sbagliate
e da una citazione ugualmente sbagliata. E' vero che, sia dal punto
di vista politico sia da quello evangelico, la cosa più importante
è la conclusione, tuttavia se non si criticano premesse e citazione
sbagliate, altre volte si rischia di partire da esse per arrivare a
conclusioni sbagliate. La prima premessa erronea è che la Bce,
nella sua nota lettera, essendo un'istituzione non legittimata
democraticamente, abbia effettuato una sorta di prevaricazione
sulla nostra democrazia, pur giustificabile per l'inerzia del
Governo. In realtà in una visione liberale delle istituzioni la
legittimazione democratica col voto non è l'unico principio del
sistema (dal che anche il 'più Europa' deve essere attentamente
valutato nel senso del 'come') e nello specifico la Bce, a cui si
richiede la difesa dell'euro anche attraverso il sostegno dei
titoli di debito del nostro Paese, non ha fatto altro che ricordare
che quella difesa a lei richiesta diventa ben più agevole ed
efficace se il Governo rispetta degli impegni che non ha inventato
la lettera, ma che il Governo stesso ha liberamente sottoscritto
nei vertici europei e nella firma del patto Euro Plus. Insomma la
Bce svolge null'altro che la sua specifica funzione e un Governo
democraticamente eletto non può fare l'europeista in Europa e il
non europeo appena torna a casa scordandosi cosa ha sottoscritto,
come se la legittimazione democratica lo rendesse onnipotente e
assoluto. La seconda premessa è che il di più di integrazione
funzionale a livello europeo, dove meglio si collocano interventi
efficaci per la crescita, possa essere scissa da una politica di
rigore e di liberalizzazioni sul piano interno che avvicinino tra
loro i Paesi. Il di più di integrazione funzionale è reso possibile
dalla crescita di omogeneità, esattamente come nelle altre tappe
della crescita del processo federalista europeo che avviene,
secondo la lezione dei cattolici liberali De Gasperi, Adenauer e
Schumann, secondo schemi poliarchici, di creazione di un government
comune e non di super-Stato chiamato a ricondurre tutto a un unico
livello politico, azzerando le istituzioni come la Bce o i margini
degli Stati. La citazione erronea è appunto quella della 'Caritas
in Veritate' che, sdoganando peraltro in termini espliciti la
poliarchia, a tutto si presta tranne che declinare la sua nozione
di 'sviluppo umano integrale' in termini anti-liberali. Basta
richiamare il passaggio decisivo dell'enciclica: "Per non dar
vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il
governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario,
articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino
reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in
quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire;
tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e
poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare
concretamente efficace."
Il fatto che la lettera della Bce corrispondesse nella sostanza
con le raccomandazioni della Settimana Sociale dei cattolici, che
sulla contemporanea e analoga vicenda della riforma dell'articolo
81 della Costituzione l'iniziativa sia stata mia, di Giorgio Tonini
e di altri, che la battaglia sulla lettera della Bce sia stata
diretta con forza da Enrico Letta, dimostra che l'ispirazione
cattolico liberale è più diffusa di quanto si creda, anche se
ancora sottorappresentata nel Pd rispetto all'evoluzione di mondi
vitali circostanti. E' questa che andrebbe rafforzata, nella grande
convergenza coi filoni liberali della sinistra, e non tanto una
generica convergenza dei cattolici del Pd a prescindere dalla
cultura politica di riferimento. Forse nei prossimi mesi dovremo
pensare anche a questo.
Stefano Ceccanti. Senatore del Pd dal
2008, membro della commissione Affari costituzionali, è ordinario
di Diritto Pubblico Comparato all'Università La Sapienza di Roma.
Ultimo libro, Al cattolico perplesso. Chiesa e politica
all'epoca del bipolarismo e del pluralismo religioso.