mercoledì 6 luglio 2016

Il ritorno di Letta?

Enrico Letta candidato premier, Roberto Speranza segretario del Pd. Concentrati sull’accusa a Renzi di «vivere in un talent», è sfuggita ai più, durante la direzione dem, l’altra parola inglese usata da Gianni Cuperlo: ticket. «Al prossimo congresso — ha detto l’ex presidente del Pd — non sosterrò un capo ma un ticket composto da una guida solida per Palazzo Chigi e una personalità diversa per il partito».

Il congresso, annunciato dallo stesso Renzi, dovrebbe tenersi in anticipo alla fine dell’anno. In mezzo c’è l’appuntamento con il referendum destinato comunque a scompaginare i calcoli della vigilia. Ma la minoranza del Pd si attrezza a sfidare il presidente del Consiglio. E per la carica di premier ha individuato il suo predecessore. «Su questa formula siamo perfettamente in sintonia con Cuperlo», conferma il bersaniano Miguel Gotor.

«La mia simpatia e la mia stima per Letta sono note. Ma i nomi verranno più avanti». Cuperlo afferma di aver parlato solo di «un principio generale che prende atto di un fallimento. Il modello alternativo può essere quello della divisione dei compiti, come fu per Craxi e Martelli. Lascio ad altri invece le congetture sulle modifiche allo statuto ».


Il piano appare definito nei dettagli, frutto di incontri, sondaggi e riunioni. Secondo Matteo Orfini si gioca ormai a carte scoperte. «Quell’idea appartiene anche a D’Alema», sostiene il presidente del Pd che del capo della Fondazione Italianieuropei è stato strettisimo collaboratore. Il nome di Letta può essere evocativo da molti punti di vista:

un diverso modello di governo (“il cacciavite” contro il “bulldozer” renziano), una personalità che continua a coltivare i rapporti con le Cancellerie estere, un leader riconosciuto anche fuori dai confini italiani come dimostra la recente nomina alla guida dell’Istituto Delors.

Bisogna dunque spuntare a Renzi l’arma usata in Italia e all’estero del “dopo di me il diluvio”. Non esiste alcuna catastrofe di sistema se cade il governo dell’attuale segretario del Pd, se viene a mancare la sua figura sullo scenario internazionale. E se il referendum finisce con la sconfitta del Sì. Perché il Partito democratico ha altre carte da giocare, nel solco europeista e riformista. 

La principale è quella dell’ex premier Letta. Roberto Speranza, nella strategia della minoranza, sarebbe un segretario in piena simbiosi con il candidato premier. Niente diarchie o vecchi duelli interni. Ma il punto centrale è Letta perché tocca a lui simboleggiare l’argine al disastro, di cui parlano i renziani. E ora, sulla modifica alla legge elettorale, si intravedono le prime crepe nel fronte dei fedelissimi del premier.

Per l’obiettivo finale serve infatti un logoramento lento, ma non troppo, visto che al referendum mancano quattro mesi scarsi al massimo, se la data sarà quella del 30 ottobre. Pier Luigi Bersani semina ancora dubbi sul Sì della sua parte. «La riforma è un passo avanti, ma se il partito diventa un comitato del Sì creiamo un precedente pericoloso», dice l’ex segretario a In Onda su La7. «Chi vota No è ancora del Pd?», si chiede. Non sono le premesse migliori per coinvolgere la minoranza nella campagna renziana.


Del resto, Bersani attacca a tutto campo. Spiega che Renzi proietta un «film lontano dalla realtà, a partire dal lavoro che non c’è», «l’Italia si sente ancora dentro la crisi », «la risposta del segretario alla sconfitta delle comunali è solo o con me o contro di me». Niente viene risparmiato alla classe dirigente renziana: «Vedo troppi fenomeni, come De Luca che prende in giro la Raggi. C’è un eccesso di conformismo intorno a Renzi. Verdini? Ha sei inchieste addosso, conosco gente che si è dimessa per molto meno».


Un alleato che non viene meno è invece il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano. L’altro ieri, in direzione, Renzi ha fatto trasmettere un filmato con il discorso dell’allora capo dello Stato al Parlamento. Uno schiaffo ai ritardatari delle riforme. E ora Napolitano lo ripaga: «Auspico con tutte le mie forze e la mia convinzione — scandisce a un convegno — che la stragrande maggioranza dei cittadini non faccia finire nel nulla gli sforzi messi in atto in questi due anni in Parlamento».

Intervento non nuovo, difesa delle riforme non sorprendente, endorsement per il Sì chiaro e limpido, ma non inaspettato. Eppure scatena la viollenza verbale di Matteo Salvini: «Spero che Napolitano prenda una bella capocciata ad ottobre. Dopo si ritiri e la smetta di rompere le palle agli italiani».


fonte: Goffredo De Marchis per “la Repubblica”

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