All’indomani delle elezioni politiche è possibile fare una valutazione di tipo generale: di fatto quasi in coincidenza con il 99° anno dalla nascita del Partito Popolare Italiano ad opera di don Luigi Sturzo, di cui è stata chiusa da pochi mesi la fase diocesana della causa di Beatificazione, nell’anno del 100° anniversario della morte del Beato Giuseppe Toniolo, grande sociologo, economista, politico capace di porre le basi dell’idea democratico cristiana, i cattolici, di fatto, si eclissano dalla vita politica nazionale in maniera pressoché definitiva.
La posizione degli ultimi venticinque anni, che ha affidato allo strumento del “lucido realismo” la giustificazione ed il sostegno di una diaspora, che ha assunto le sembianze di uno sbrindellamento progressivo, non ha solo determinato il fallimento di una classe dirigente che ha confuso la sopravvivenza personale con il protagonismo di una visione sociale cristianamente ispirata, ma ha annullato la possibilità del passaggio del testimone dell’originale tradizione della presenza dei cattolici italiani (fondamentale per la nascita di un’ Europa che oggi stenta a ritrovare se stessa) alle giovani generazioni.
Si è trattato di una crisi politica? In minima parte sì ma ci si è trovati di fronte ad una crisi di pensiero che può essere descritta attraverso la domanda che Papa Francesco si è posto durante il colloquio con i Gesuiti il 24 ottobre dell’anno scorso durante la loro Congregazione Generale. Nella semplicità della risposta si coglie la distanza con un impegno politico ridotto a sopravvivenza nei palazzi e nei convegni autoreferenziali della classe dirigente di cui sopra, nostalgici di una organizzazione il cui mutamento nella storia data, fonte di paura per numeri in riduzione e calo delle rendite di posizione, non avrebbe dovuto travolgere il pensiero, fulcro della capacità di ritrovarsi: “quando un’espressione del pensiero non è valida? Quando il pensiero perde di vista l’umano”.
Su queste basi si comprende appieno la sollecitazione del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il card. Bassetti, a superare l’artefatta distinzione tra “cattolici della morale” e “cattolici del sociale” dando una indicazione pastorale chiara che richiama la responsabilità dei laici: questa spaccatura innaturale, frutto di un mal interpretata opzione a scelte plurali, appare uno dei gravi errori compiuti che oggi, ridotti all’irrilevanza, diventa uno sprone. A fare cosa? A ritrovare tutto l’uomo – nascente, vivente, morente –, a rifarsi artefici di nuovo umanesimo, a disfarsi della zavorra, dotarsi del bastone del pellegrino ed iniziare una lunga attraversata nel deserto consapevoli di essere chiamati ad impegnarsi ancora una volta, controcorrente, ad innescare processi piuttosto che ad occupare spazi.
Non ha funzionato l’illusione della contaminazione tra culture politiche che ha agevolato la spaccatura e l’abbandono di una tradizione politico-culturale straordinaria e unitaria perché alla fine o si è andati a prestito di rivoluzioni altrui, arrivando a spacciare alleanze politico-elettorali come nuove identità create a tavolino, dove il cattolico poteva far fine senza impegno, con l’illusione del ritrovarsi a posteriori su grandi questioni; o si è ceduto al culto della personalità del leader di turno incoronato in cambio di un’azione di padrinaggio; o si è giustificato la trasformazione della ricerca del potere da mezzo a fine da ricercare in ogni direzione a seconda del caso e dell’elezione con una presunta necessaria quanto vaga presenza cattolica; o ci si è innamorati dell’idea di una politica improvvisata determinata dall’assenza di una visione conseguente alla riduzione della fede a mero fatto privato e spirituale; o si è dimenticato il senso della politica come alta forma di carità pensando a cattolici presenti per la fede e non a causa della fede.
Nel mentre che si verificava questo sbandamento politico epocale un intero mondo andava in altre direzioni e diventava sempre più silente nel dibattito civile del paese innamorandosi di una dimensione pre-politica deresponsabilizzante, ripiegata su se stessa e di una certa terzietà cattolica utile a farsi piacere a chiunque cedendo completamente al così detto politically correct che comporta non richiesta di rappresentanza e visione coerente ma solo riconoscibilità pari ad una qualunque ONG ed un po’ di ridistribuzione di singoli nei diversi anfratti politici salvo frange che iniziavano a confondere teologia con ideologia.
Quale direzione alternativa allora? Essa può essere colta proprio negli interventi del Santo Padre – che richiama da sempre all’impegno politico con la P maiuscola, come ha fatto Papa Benedetto XVI prima di lui – ossia i tre orientamenti fondamentali espressi nel discorso presso l’Università di Al-Azhar al Cairo nel 2017, “dovere dell’identità, coraggio dell’alterità e sincerità delle intenzioni” e nell’intervento al Convegno Ecclesiale di Firenze del 2015, dove, tra le altre cosa, ha spinto a dialogare non temendo il conflitto, a contribuire alla nazione come opera collettiva costruita attraverso la messa in comune delle cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche e religiose, ricordando ai giovani di immergersi nel dialogo sociale e politico.
A questi giovani è possibile dare una indicazione di un processo possibile da innescare, di una sfida esigente da cogliere per ricostruire ciò che oggi non c’è più dopo una troppo lunga agonia?
Sì, tirando fuori dai musei delle commemorazioni le parole dell’attualissimo “Discorso di Caltagirone” di Sturzo che superano di botto false spaccature e riprendono il filo del pensiero che può attraversare la formazione e diventare azione: “Essa, la democrazia cristiana, è un ideale e un programma che va divenendo, anche senza il nome, evoluzione di idee, convinzione di coscienze, speranza di vita; essa non può essere una designazione concreta di forze cattoliche, ma una aspirazione collettiva, sia pure ancora vaga e indistinta”.
fonte: Giancarlo Chiapello, https://thedebater.it
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