ROMA - Sembra lo sport preferito dai governi in dismissione quello di tirare fuori dal cassetto le linee guida di accompagnamento alla legge sulla procreazione medicalmente assistita, la numero 40 del 2004. Lo ha fatto nel 2008 Livia Turco, ministro della Sanità con Prodi. Ed ecco l' iniziativa di Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute con Berlusconi. In ambedue i casi, fiumi di polemiche. Quattro anni fa si gridò allo scandalo perché l' esponente democratica aveva riaperto alla diagnosi preimpianto sull' embrione. Oggi le critiche si rinnovano in senso opposto di fronte al nuovo documento che richiamerebbe il divieto di effettuare ogni forma di selezione sul frutto del concepimento e circoscriverebbe l' accesso alle tecniche di fecondazione artificiale a coppie sterili, escludendo quelle con malattie genetiche per le quali i test sugli embrioni costituiscono l' unica speranza di concepire figli sani. La Roccella viene contestata per aver sdoganato le linee guida inviandole ieri al Consiglio superiore di sanità. Iniziativa interpretata come un colpo di mano dall' opposizione. Non terrebbero conto delle varie sentenze di tribunali amministrativi che in questi anni hanno dato ragione alle coppie riconoscendo il diritto alla diagnosi preimpianto. Parliamo dell' indagine sul Dna che permette di ricercare eventuali anomalie genetiche degli embrioni prima di impiantarli nell' utero e dunque di scartare quelli malati. In realtà la legge 40 non ha mai vietato esplicitamente questa pratica (si limita a stabilire il divieto di selezione eugenetica) però la rendeva inapplicabile in quanto vietava il congelamento degli embrioni. Nel 2009 una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di congelare. Dunque da allora l' indagine viene effettuata dai centri grazie alla possibilità di tenere gli embrioni scartati. Le linee guida per loro natura non possono modificare una legge. Le prime sono quelle del 2004 (ministro Girolamo Sirchia) dove era specificato che non si poteva effettuare altra diagnosi se non «osservazionale» (cioè l' embrione viene osservato e basta), di fatto un limite esplicito ai test del Dna. Nel 2008, in scadenza di legislatura, la Turco corregge e «riapre» ai test preimpianto. Ed ecco la versione Roccella che rinverdisce il divieto richiamando il testo della legge, inclusi gli articoli sull' accesso alle tecniche consentito a coppie «con sterilità e infertilità inspiegate e documentate». Il documento recepisce tra l' altro una direttiva europea sulla tracciabilità di cellule e gameti. «Nessun colpo di mano - respinge le accuse il sottosegretario -. Le linee guida sono state approvate due settimane fa dalle Regioni, risultato di un lungo lavoro con associazioni e società. In quanto alla diagnosi preimpianto nella legge 40 è vietata e i tribunali Tar non contano». Filomena Gallo, segretario dell' Associazione Luca Coscioni, attacca: «Sono infranti i diritti delle coppie, ammesse alle tecniche solo se sterili e non i genitori fertili ma con patologie genetiche. Una discriminazione. Inoltre non viene recepita la consolidata giurisprudenza a favore della diagnosi sull' embrione». Per la Turco le linee guida sono «un arretramento culturale, usate in modo improprio». Mina Welby, copresidente dell' Associazione Coscioni invita i cittadini a una mobilitazione di massa per bloccare le nuove linee guida.
fonte: Corriere della Sera, 16 novembre 2011
Le ultime risalivano all’aprile 2008, quando ancora era ministro della Salute, Livia Turco. Dopo di che, nonostante diverse sentenze, tra cui quella della Corte Costituzionale che aveva fatto saltare vari divieti imposti dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (pma) e un generico annuncio di revisione previsto per questo autunno, non si era più parlato delle linee guida sulla fecondazione assistita. Fino a un paio di giorni fa, quando si è scoperto che il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, le ha revisionate confermando alcuni divieti, come quello sulla diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni, che erano stati cancellati dai tribunali. Un atto che arriva in sordina proprio negli ultimi giorni del governo Berlusconi, giudicato da medici e associazioni “un colpo di mano”.
A denunciare il tutto è stata Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni, ma il sottosegretario Roccella si difende definendo la polemica “strumentale, poichè la legge 40 già vieta la diagnosi preimpianto”. Da quando la normativa è stata approvata nel 2004, si è sempre detto che la diagnosi preimpianto (che identifica la presenza di malattie genetiche o alterazioni cromosomiche in embrioni generati in provetta da coppie a rischio prima dell’impianto in utero), fatta fino a quel momento in Italia, era vietata. Ma in questi anni tribunali e Corte Costituzionale hanno scalfito, sentenza dopo sentenza, alcuni dei divieti più contestati, come quello di crioconservare gli embrioni, di produrne al massimo tre, di impiantarli contemporaneamete, e quello della diagnosi appunto.
Il primo a farlo è stato il tribunale di Cagliari nel 2007, ordinando all’istituto ospedaliero interessato di eseguirla, mentre l’ultimo è stato nel 2010 il tribunale di Salerno, autorizzando per la prima volta la diagnosi preimpianto ad una coppia fertile portatrice di Atrofia Muscolare Spinale di tipo 1, in deroga alla legge 40 che consente le pratiche di pma solo nei casi di infertilità. Inoltre per ovviare a questo divieto vari ricercatori italiani in questi anni hanno sviluppato la diagnosi pre-concepimento, fatta cioè sull’ovocita (e non sull’embrione) per evitare problemi etici, anche se la fanno solo i centri privati.
Di fatto in questi anni le strutture di procreazione assistita si sono regolate ognuna a modo loro. “Nei centri privati e attrezzati – denuncia Gallo – la diagnosi preimpianto viene effettuata correntemente, mentre quelli pubblici non la fanno adducendo la mancanza di attrezzature adeguate”. Secondo l’avvocato le nuove linee guida che Roccella invierà questi giorni al Consiglio Superiore di Sanità (Css) “sono illegittime sia scientificamente che giuridicamente, poichè vieterebbero le indagini cliniche sull’embrione restringendo l’applicazione di tecniche ormai consolidate”. Critici anche i medici: “Nella legge 40 non c’è un impedimento netto alla possibilità di effettuare la diagnosi pre-impianto sugli embrioni”, rileva il ginecologo dell’Università di Palermo e membro del Css, Ettore Cittadini: “nel mio centro effettuiamo la diagnosi preimpianto – afferma – per le coppie con talassemia”. Dello stesso avviso Carlo Flamigni, pioniere della fecondazione assistita, secondo cui la legge ”non pone un divieto esplicito a tale diagnosi”.
In realtà come precisa Filomena Gallo, ”la diagnosi preimpianto è consentita dagli articoli 13 comma 2 e 14 comma 5 della legge 40, che prevedono che la coppia possa chiedere di conoscere lo stato di salute dell’embrione e che il medico, se richiesto dalla stessa, deve effettuare indagini cliniche diagnostiche sull’embrione stesso. Roccella insiste nel ribadire un divieto che non esiste nella legge. Inoltre ci sono oltre 10 sentenze di diversi tribunali che confermano questa interpretazione”. Ma su questo punto il sottosegretario dissente e ribatte: ”Non c’è stato alcun colpo di mano. La diagnosi preimpianto sugli embrioni è già vietata dalla legge e le linee guida non possono scavalcare la legge stessa”. Adesso la palla spetta al Consiglio superiore di sanità, organo consultivo del ministero della Salute, che dovrà esprimere il proprio parere, e alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo chiamata a decidere sul ricorso di varie associazioni a sostegno di una coppia italiana portatrice di fibrosi cistica, cui è precluso l’accesso alla fecondazione assistita, richiesta per effettuare diagnosi clinica sull’embrione.
fonte: il fatto quotidiano, 15 novembre 2011
Le ultime risalivano all’aprile 2008, quando ancora era ministro della Salute, Livia Turco. Dopo di che, nonostante diverse sentenze, tra cui quella della Corte Costituzionale che aveva fatto saltare vari divieti imposti dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (pma) e un generico annuncio di revisione previsto per questo autunno, non si era più parlato delle linee guida sulla fecondazione assistita. Fino a un paio di giorni fa, quando si è scoperto che il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, le ha revisionate confermando alcuni divieti, come quello sulla diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni, che erano stati cancellati dai tribunali. Un atto che arriva in sordina proprio negli ultimi giorni del governo Berlusconi, giudicato da medici e associazioni “un colpo di mano”.
A denunciare il tutto è stata Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni, ma il sottosegretario Roccella si difende definendo la polemica “strumentale, poichè la legge 40 già vieta la diagnosi preimpianto”. Da quando la normativa è stata approvata nel 2004, si è sempre detto che la diagnosi preimpianto (che identifica la presenza di malattie genetiche o alterazioni cromosomiche in embrioni generati in provetta da coppie a rischio prima dell’impianto in utero), fatta fino a quel momento in Italia, era vietata. Ma in questi anni tribunali e Corte Costituzionale hanno scalfito, sentenza dopo sentenza, alcuni dei divieti più contestati, come quello di crioconservare gli embrioni, di produrne al massimo tre, di impiantarli contemporaneamete, e quello della diagnosi appunto.
Il primo a farlo è stato il tribunale di Cagliari nel 2007, ordinando all’istituto ospedaliero interessato di eseguirla, mentre l’ultimo è stato nel 2010 il tribunale di Salerno, autorizzando per la prima volta la diagnosi preimpianto ad una coppia fertile portatrice di Atrofia Muscolare Spinale di tipo 1, in deroga alla legge 40 che consente le pratiche di pma solo nei casi di infertilità. Inoltre per ovviare a questo divieto vari ricercatori italiani in questi anni hanno sviluppato la diagnosi pre-concepimento, fatta cioè sull’ovocita (e non sull’embrione) per evitare problemi etici, anche se la fanno solo i centri privati.
Di fatto in questi anni le strutture di procreazione assistita si sono regolate ognuna a modo loro. “Nei centri privati e attrezzati – denuncia Gallo – la diagnosi preimpianto viene effettuata correntemente, mentre quelli pubblici non la fanno adducendo la mancanza di attrezzature adeguate”. Secondo l’avvocato le nuove linee guida che Roccella invierà questi giorni al Consiglio Superiore di Sanità (Css) “sono illegittime sia scientificamente che giuridicamente, poichè vieterebbero le indagini cliniche sull’embrione restringendo l’applicazione di tecniche ormai consolidate”. Critici anche i medici: “Nella legge 40 non c’è un impedimento netto alla possibilità di effettuare la diagnosi pre-impianto sugli embrioni”, rileva il ginecologo dell’Università di Palermo e membro del Css, Ettore Cittadini: “nel mio centro effettuiamo la diagnosi preimpianto – afferma – per le coppie con talassemia”. Dello stesso avviso Carlo Flamigni, pioniere della fecondazione assistita, secondo cui la legge ”non pone un divieto esplicito a tale diagnosi”.
In realtà come precisa Filomena Gallo, ”la diagnosi preimpianto è consentita dagli articoli 13 comma 2 e 14 comma 5 della legge 40, che prevedono che la coppia possa chiedere di conoscere lo stato di salute dell’embrione e che il medico, se richiesto dalla stessa, deve effettuare indagini cliniche diagnostiche sull’embrione stesso. Roccella insiste nel ribadire un divieto che non esiste nella legge. Inoltre ci sono oltre 10 sentenze di diversi tribunali che confermano questa interpretazione”. Ma su questo punto il sottosegretario dissente e ribatte: ”Non c’è stato alcun colpo di mano. La diagnosi preimpianto sugli embrioni è già vietata dalla legge e le linee guida non possono scavalcare la legge stessa”. Adesso la palla spetta al Consiglio superiore di sanità, organo consultivo del ministero della Salute, che dovrà esprimere il proprio parere, e alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo chiamata a decidere sul ricorso di varie associazioni a sostegno di una coppia italiana portatrice di fibrosi cistica, cui è precluso l’accesso alla fecondazione assistita, richiesta per effettuare diagnosi clinica sull’embrione.
fonte: il fatto quotidiano, 15 novembre 2011
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