Le Letture che la Chiesa oggi ci offre
possiamo definirle un dialogo fra i lamenti di Dio e le giustificazioni
degli uomini. Dio, il Signore, si lamenta. Si lamenta di non essere
stato ascoltato lungo la storia. E’ sempre lo stesso: “Ascoltate la mia
voce… Io sarò il vostro Dio… Sarai felice…” – “Ma essi non ascoltarono
né prestarono orecchio alla mia parola, anzi: procedettero ostinatamente
secondo il loro cuore malvagio. Invece di rivolgersi verso di me, mi
hanno voltato le spalle” (Ger 7,23-24).
E’ la storia dell’infedeltà del popolo di Dio. E questo lamento di
Dio viene perché è stato un lavoro molto, molto grande quello del
Signore per togliere dal cuore del suo popolo l’idolatria, per farlo
docile alla sua Parola. Ma loro andavano su questa strada per un po’ di
tempo, e poi tornavano indietro. E così per secoli e secoli, fino al
momento in cui arrivò Gesù. E lo stesso è successo con il Signore, con
Gesù. Alcuni dicevano: “Costui è il Figlio di Dio, è un grande
Profeta!”; altri, quelli di cui parla oggi il Vangelo, dicevano: “No, è
uno stregone che guarisce con il potere di Satana”. Il popolo di Dio era
solo, e questa classe dirigente – i dottori della legge, i sadducei, i
farisei – era chiusa nelle sue idee, nella sua pastorale, nella sua
ideologia. E questa classe è quella che non ha ascoltato la Parola del
Signore, e per giustificarsi dice ciò che abbiamo sentito nel Vangelo:
“Quest’uomo, Gesù, scaccia i demoni con il potere di Beelzebul” (Mt
11,15).
E’ lo stesso che dire: “E’ un soldato di Beelzebul o di Satana o
della cricca di Satana”, è lo stesso. Si giustificano di non aver
ascoltato la chiamata del Signore. Non potevano sentirla: erano tanto,
tanto chiusi, lontani dal popolo, e questo è vero. Gesù guarda il popolo
e si commuove, perché lo vede come “pecore senza pastori”, così dice il
Vangelo. E va dai poveri, va dagli ammalati, va da tutti, dalle vedove,
dai lebbrosi a guarirli. E parla loro con una parola tale che provoca
ammirazione nel popolo: “Ma questo parla come uno che ha autorità!”,
parla diversamente da questa classe dirigente che si era allontanata dal
popolo. Ed era soltanto con l’interesse nelle sue cose: nel suo gruppo,
nel suo partito, nelle sue lotte interne. E il popolo, là… Avevano
abbandonato il gregge. E questa gente era peccatrice? Sì. Sì, tutti
siamo peccatori, tutti. Tutti noi che siamo qui siamo peccatori. Ma
questi erano più che peccatori: il cuore di questa gente, di questo
gruppetto con il tempo si era indurito tanto, tanto che era impossibile
ascoltare la voce del Signore. E da peccatori, sono scivolati, sono
diventati corrotti. E’ tanto difficile che un corrotto riesca a tornare
indietro. Il peccatore sì, perché il Signore è misericordioso e ci
aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano
corrotti. E per questo si giustificano, perché Gesù, con la sua
semplicità, ma con la sua forza di Dio, dava loro fastidio. E, passo
dopo passo, finiscono per convincersi che dovevano uccidere Gesù, e uno
di loro ha detto: “E’ meglio che un uomo muoia per il popolo”.
Questi hanno sbagliato strada. Hanno fatto resistenza alla salvezza
di amore del Signore e così sono scivolati dalla fede, da una teologia
di fede a una teologia del dovere: “Dovete fare questo, questo,
questo…”. E Gesù dice loro quell’aggettivo tanto brutto: “Ipocriti!
Tanti pesi opprimenti legate sulle spalle del popolo. E voi? Nemmeno con
un dito li toccate! Ipocriti!”. Hanno rifiutato l’amore del Signore e
questo rifiuto ha fatto sì che loro fossero su una strada che non era
quella della dialettica della libertà che offriva il Signore, ma quella
della logica della necessità, dove non c’è posto per il Signore. Nella
dialettica della libertà c’è il Signore buono, che ci ama, ci ama tanto!
Invece, nella logica della necessità non c’è posto per Dio: si deve
fare, si deve fare, si deve… Sono diventati comportamentali. Uomini di
buone maniere, ma di cattive abitudini. Gesù li chiama, loro, “sepolcri
imbiancati”. Questo è il dolore del Signore, il dolore di Dio, il
lamento di Dio. “Venite, adoriamo il Signore perché lui ci ama”.
“Ritornate a me con tutto il cuore” – ci dice – “perché sono
misericordioso e pietoso”.
Questi che si giustificano non capiscono la misericordia né la pietà.
Invece, quel popolo che tanto amava Gesù, aveva bisogno di misericordia
e pietà e andava a chiederla al Signore. In questa strada della
Quaresima ci farà bene, a tutti noi, pensare a questo invito del Signore
all’amore, a questa dialettica della libertà dove c’è l’amore, e
domandarci, tutti: Ma io sono su questa strada? O ho il pericolo di
giustificarmi e andare per un’altra strada?, una strada congiunturale,
perché non porta a nessuna promessa. E preghiamo il Signore che ci dia
la grazia di andare sempre per la strada della salvezza, di aprirci alla
salvezza che viene soltanto da Dio, dalla fede, non da quello che
proponevano questi “dottori del dovere”, che avevano perso la fede a
reggevano il popolo con questa teologia pastorale del dovere. Chiediamo
noi questa grazia: Dammi, Signore, la grazia di aprirmi alla tua
salvezza. La Quaresima è per questo. Dio ci ama tutti: ci ama tutti!
Fare lo sforzo di aprirci: soltanto questo ci chiede. “Aprimi la porta.
Il resto lo faccio io”. Lasciamo che Lui entri in noi, ci accarezzi e ci
dia la salvezza. Così sia.
Papa Francesco, Omelia per la Messa ai Parlamentari, 27 marzo 2014
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