Politici, dirigenti, attrici e imprenditori. Sono circa 80 le persone rinviate a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulle false attestazioni rilasciate dalla società Axsoa, l’azienda investita dall’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Giancarlo Cirielli e dal procuratore aggiunto Nello Rossi. I magistrati contestano, a seconda delle posizioni, i reati di associazione per delinquere, corruzione, falso e abuso d’ufficio. Secondo gli inquirenti, la Axsoa, società specializzata nella certificazione dei requisiti per la partecipazione agli appalti pubblici, era in grado di accontentare anche le imprese non in regola. Naturalmente occorreva elargire del denaro. Non si trattava certo di pochi spiccioli. Le tariffe per una falsa attestazione infatti, stando a quanto ricostruito dai magistrati romani, potevano arrivare ad attestarsi su cifre che si aggiravano intorno a 700 mila euro. Nonostante si trattasse di una cifra importante, questa sarebbe apparsa ragionevole. In ballo c’erano infatti alcuni tra i più corposi appalti pubblici banditi da aziende del calibro di Ama, Atac e Cotral, delle Poste, dei ministeri, del provveditorato per i Lavori pubblici o dei grandi ospedali. In questa storia dove i controllori si piegano agli interessi dei controllati, secondo quanto emerge dagli atti a disposizione della procura di Roma, la posta in ballo era rappresentata dalle Soa. Compito delle Società organismo di Attestazioni era quello di rilasciare documenti che fino a due anni fa, erano essenziali per le imprese che intendevano partecipare a gare d’appalto pubbliche. Nell’ordinanza il gip Simonetta D’Alessandro parla di un sistema criminoso basato su «un collaudato ed organizzato sistema, mascherato dietro l’attività di carattere pubblicistico esercitato dall’Axsoa spa, volto a vendere ai clienti della società di attestazione non già un servizio corretto ed imparziale di verifica dei requisiti e di successiva attestazione, bensì un pacchetto completo costituito dalla vendita dei requisiti di attestazione solo cartolare». Il prossimo 14 settembre, tra i numerosi imputati chiamati a difendersi dalle accuse mosse dalla procura di piazzale Clodio, c’è anche l’ex presidente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Giuseppe Brienza. L’attività di indagine delle Unità speciali Nucleo Tutela Mercati della Guardia di Finanza aveva condotto i magistrati capitolini a ritenere che Brienza, grazie alle pratiche «addomesticate» sarebbe riuscito ad ottenere consistenti benefit. Negli atti dell’inchiesta, spunta infatti un box auto pagato da un imprenditore e un attico a viale Nizza. Un immobile che Mario Calcagni aveva messo a disposizione, a titolo completamente gratuito, per la figlia di Brienza. Poi c’è la vicenda relativa ad un posto di lavoro per la sua compagna, e quella che riguarda una consulenza da 5000 euro al mese di cui lo stesso Brienza avrebbe beneficiato nella stessa Soa, ente che avrebbe dovuto controllare. Mario Calcagni, 64 anni, doveva essere un comune impiegato dell’Axsoa, ma in realtà, sarebbe stato una sorta di padre padrone dell’azienda. Era lui, secondo i pubblici ministeri, a ridistribuire le mazzette. Anche la moglie, Raffaella Bigonzi, in arte Raffaella Bergè, era finita nella bufera giudiziaria. La protagonista della soap opera «Centovetrine», secondo il gip avrebbe compiuto «operazioni atte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa» di un assegno circolare di 200mila euro. Anche Alfredo Gherardi, sempre della società Axsoa spa avrebbe gestito il presunto business illecito. Tra i nomi iscritti sul registro degli indagati spunta quello di Massimo Colletti, del direttore generale della Vigilanza, Maurizio Ivagnes, del funzionario dell'Ufficio Qualificazione Maria Grassini e del deputato di Scelta Civica, Angelo D'Agostino. Per il primo, ieri, il giudice per l’udienza preliminare ha dichiarato il non luogo a procedere. Nel caso di altri 3 indagati: Ivangnes, Francesco Di Svevo e Tiziana Carpinello, come nei confronti di Brienza il giudice ha dichiarato il non luogo a procedere limitatamente al reato di rivelazione del segreto d’ufficio. La posizione dell’ex presidente della Corte dei conti, Luigi Gianpaolino, era già stata archiviata. In abbreviato invece Gino Sorvillo è stato condannato a tre anni di reclusione. Mentre Bernardino Ciccarella è stato assolto. Per le circa 80 persone rinviate a giudizio, il prossimo appuntamento è fissato al 14 settembre, giorno in cui avranno la possibilità di difendersi raccontando la loro verità.
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