sabato 17 novembre 2012

Verso le Primarie

Quando Matteo Renzi partì per la sua avventura, Europa scrisse che sulle sue spalle cadevano due compiti. Il primo era quello di presidiare per conto del Pd la frontiera durissima della rabbia contro i partiti cercando di far rifluire nell’alveo del voto (e del voto per il centrosinistra) tutto ciò che è distacco, rifiuto oppure attrazione per Grillo. L’altro compito era dare forza, sostanza e rappresentanza a una linea liberal che nella sinistra c’è sempre stata (in minoranza) e che aveva avuto un ruolo protagonista nella fondazione del Pd prima di essere ricacciata nella sua tradizionale marginalità.
Dei due compiti, solo il primo viene davvero svolto. Un po’ per calcolo, un po’ per adeguarsi allo “spirito unitario” di questa campagna di primarie, Renzi ha ammorbidito le posizioni che l’avrebbero portato a più duro contrasto con la sinistra del centrosinistra.
L’ostilità verso Casini, Monti e Fornero sono solo espressioni tattiche di questa scelta. Quando si paragona il sindaco di Firenze a Tony Blair si dimentica che il New Labour si affermò dopo uno scontro senza rete contro l’influenza delle Unions sul partito. In queste settimane Renzi s’è ben guardato anche solo dal citare genericamente i sindacati, non diciamo poi la Cgil o Camusso: non perché si illuda di ricevere qualche voto da lì, ma perché sa – D’Alema docet – che nel centrosinistra chi tocca quei fili si ustiona.
In questo modo si è ridimensionata una delle potenzialità rivoluzionarie della candidatura, in compenso possiamo salutare – cosa cruciale per l’elettorato Pd – il clima unitario del confronto su Sky. E il sindaco può reggere senza altri patemi l’altro fronte, quello che potremmo definire del rovesciamento della casta dall’interno invece che dall’esterno.
È una battaglia alla quale Renzi è naturalmente portato, infatti la conduce bene con notevoli effetti (chiedere a Veltroni e D’Alema). Inoltre è un ruolo che lo rende più complementare che bruscamente alternativo rispetto a Bersani, come invece sarebbe stato se il sindaco avesse provato a «toccare quei fili»: una spia che forse ci anticipa qualcosa a proposito del dopo- primarie.

Stefano Menichini, Europa, 16 novembre 2012

Mi è capitato in queste settimane di sostegno militante a Matteo di attraversare molti stati d’animo: dal fastidioso senso di isolamento che si vive nel “palazzo” (il mio gruppo conta più di duecento membri, apertamente a sostegno di Renzi siamo meno di dieci) all’esaltazione del rapporto con i cittadini, con le piazze, con i teatri sempre strapieni che qualsiasi iniziativa del sindaco di Firenze ha prodotto in chi l’ha vissuta da vicino.
L’analisi di Menichini pecca per un elemento: valuta correttamente lo spirito appassionato dei cittadini, in gran maggioranza giovani, che si riavvicinano alla politica grazie alla battaglia di Matteo, sfuggendo così alla tentazione populista di Grillo; non spiega invece perché nelle quattro mura recintate del Pd, dei suoi dirigenti e rappresentanti istituzionali, la diffidenza verso Renzi sia così plateale.
Il direttore di Europa, come molti osservatori, pensa che la diffidenza derivi da mere questioni relative a equilibri di potere infranti dalla sola presenza della candidatura di Matteo Renzi. Non è così. Quel che mette paura al corpaccione della dirigenza democratica è proprio l’istanza politica che arriva dalla Leopolda: un’istanza che trasformerebbe in tutta evidenza la natura stessa del Partito democratico e a questa trasformazione il tradizionalismo antico che definirei proprio tradeunionista del Pd oppone la sua naturale resistenza.
Durante il confronto televisivo Matteo Renzi è stato l’unico a parlare esplicitamente di abbassamento della pressione fiscale, mentre gli interventi di Bersani e Vendola puntavano tutto sull’attacco ai ceti medio alti; Matteo Renzi si è detto esplicitamente d’accordo con la riforma Fornero delle pensioni, non è un mistero che la maggioranza bersaniana del gruppo parlamentare del Pd punta a una controriforma per tornare alle quote; Matteo Renzi ha usato la parola chiave del “merito” per tutta la sua campagna di queste primarie, quando a Bersani è stato chiesto esplicitamente di parlare di meritocrazia ha voluto subito precisare che per lui il valore cardine è l’uguaglianza ed è noto che per l’area dei Giovani turchi la meritocrazia è valutata come una bestemmia in chiesa; Matteo Renzi ha parlato con la finanza, tra gli interventi di apertura alla Leopolda c’è stato quello di Davide Serra, da Bersani e Vendola sono arrivati insulti; sempre alla Leopolda ha parlato Pietro Ichino e Matteo Renzi ha twittato che c’è più sinistra nelle ricette sul lavoro di Ichino che in mille convegni.
Potrei continuare in materia di politiche culturali, di spinta alla ricerca e all’innovazione tecnologica, di gestione delle risorse pubbliche, di rapporto con l’Europa e i suoi fondi: in ogni territorio programmatico Matteo Renzi ha proposto e ripetuto e quasi gridato ricette politiche estremamente innovative rispetto al mortorio della sinistra tradizionale tradeunionista.
Io il 25 novembre non voterò Matteo Renzi perché ha proposto la rottamazione o perché in qualche momento girando con lui per le piazze d’Italia mi sono emozionato e riappassionato alla politica. Sarebbero ragioni importanti ma superficiali. Io il 25 novembre voterò Matteo Renzi perché la sua proposta politica per il paese è la più adeguata ai tempi e trasforma radicalmente in meglio il modo di intendere la parola “sinistra”. La sua sfida è legata alla radice originaria profonda dell’intuizione del Pd del 2007. La sua vittoria la realizzerà pienamente.

Mario Adinolfi, Europa, 17 novembre 2012

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