sabato 1 novembre 2014

La chiamata di Gentiloni


Fino a tre giorni fa, ignaro di quel che stava per accadergli, Paolo Gentioni era impegnatissimo nel diramare inviti per il suo compleanno: «Quest’anno compio 60 anni, il 22 novembre ci vediamo a casa mia?». Casa Gentiloni è uno degli appartamenti del palazzo interamente di proprietà dei discendenti del famoso conte Ottorino Gentiloni Silverj, uomo di fiducia di Pio X e promotore del «patto» col quale i cattolici tornarono a votare nelle elezioni del 1913.

Ma del sangue blu dei suoi antenati Paolo Gentiloni ha mantenuto poco, di sicuro la distanza da tutto ciò che è ribollire di passioni, una freddezza che può diventare la prima credenziale per il lavoro diplomatico che lo attende. Racconta Ermete Realacci, l’amico di una vita: «Per dire che uno è un cretino, è capace di perifrasi fredde, taglienti ma non offensive, del tipo: non sono sicuro che io mi comporterei così...».


E l’altra caratteristica destinata a tornar utile alla Farnesina è quella di «essere uno sgobbone, uno che approfondisce i dossier fino all’ultima pagina - sostiene Michele Anzaldi, deputato Pd che lo conosce da 30 anni - un perfezionista che non sopporta intromissioni improprie: quando era ministro delle Comunicazioni scriveva sul suo portatile provvedimenti e circolari e poi portava il testo a casa, i superburocrati apprendevano tutto a cose fatte». ?Romano, 59 anni, buona conoscenza dell’inglese e del francese, un look all’antica (loden verdi, mocassini, completi grigi) e un’idiosincrasia per i mezzi motorizzati (in città si muove sempre a piedi) Paolo Gentiloni è stato “renziano” ancora prima ancora che scoppiasse il “renzismo”.

Tra il 2001 e il 2005, negli anni d’oro della Margherita di Francesco Rutelli e poi nella stagione della riconquista del potere da parte degli ex Ds, Gentiloni è stato uno dei teorici del superamento della tradizione politica post-comunista, antesignano di un Pd che, anziché allearsi con i centristi alla Casini, fosse capace di parlare agli artigiani veneti o alle partite Iva. ?Capofila di quella predicazione era Rutelli, il capostipite di una intera generazione che ora è alla guida del Paese.


Tutto ebbe inizio nel 1993, quando la sinistra riconquista il Campidoglio. Portavoce di quella amministrazione, e poi “regista” del Giubileo, è il quarantenne Paolo Gentiloni, che delle nobili radici famigliari aveva già dismesso quasi tutto: leaderino del Movimento studentesco negli anni del borghesissimo liceo classico “Tasso, collaboratore della rivista pacifista, «Pace e guerra» di Luciana Castellina e poi direttore del mensile La Nuova ecologia.

 Ma dopo l’esperienza del Campidoglio - dove lavorava anche Filippo Sensi, oggi portavoce di Renzi - lo scatto che trasforma Gentiloni in un personaggio di prima fascia della politica nazionale è un’impresa che non finisce nei curriculum ma che tutti gli addetti ai lavori ben conoscono: la regia, sapiente e cinica, della campagna elettorale del 2001, nel corso della quale Francesco Rutelli, senza Rifondazione comunista, Di Pietro e D’Antoni, riuscì quasi a raggiungere in voti assoluti uno dei più brillanti Berlusconi del ventennio.?

In quella occasione Gentiloni ottiene la collaborazione di Stan Greenberg, il guru che aveva portato alla vittoria leader progressisti in tutto il mondo. Per anni di Greenberg non si seppe più nulla in Italia e recentemente proprio Gentiloni ha confidato: «Casualmente ho appreso che Renzi, per conto suo, ci aveva parlato». Come dire che Renzi, iperattivo come è, bypassa le mediazioni anche degli amici. Perché Gentiloni, politicamente parlando, è stato uno dei primi amici politici di Matteo Renzi a Roma.

A far conoscere i due era stato (di nuovo) Francesco Rutelli, dopo che nel 2004 Renzi era diventato presidente della Provincia di Firenze in quota rutelliana. Già allora Rutelli, che pure puntava su Renzi, aveva messo a fuoco il personaggio: «Un paravento che farà carriera...». Renziano della prima ora, nelle riunioni della Direzione del Pd sempre ricco di argomenti “alti” per supportare Renzi, da anni Gentiloni è un cultore della politica anglosassone e l’essere considerato un amico all’ambasciata degli Stati Uniti e in quella di Israele, ha rappresentato un viatico importante nell’ultimo miglio che lo ha portato alla Farnesina.?


Fabio Martini per “La Stampa”


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