Fino
a tre giorni fa, ignaro di quel che stava per accadergli, Paolo
Gentioni era impegnatissimo nel diramare inviti per il suo compleanno:
«Quest’anno compio 60 anni, il 22 novembre ci vediamo a casa mia?». Casa
Gentiloni è uno degli appartamenti del palazzo interamente di proprietà
dei discendenti del famoso conte Ottorino Gentiloni Silverj, uomo di
fiducia di Pio X e promotore del «patto» col quale i cattolici tornarono
a votare nelle elezioni del 1913.
Ma
del sangue blu dei suoi antenati Paolo Gentiloni ha mantenuto poco, di
sicuro la distanza da tutto ciò che è ribollire di passioni, una
freddezza che può diventare la prima credenziale per il lavoro
diplomatico che lo attende. Racconta Ermete Realacci, l’amico di una
vita: «Per dire che uno è un cretino, è capace di perifrasi fredde,
taglienti ma non offensive, del tipo: non sono sicuro che io mi
comporterei così...».
E
l’altra caratteristica destinata a tornar utile alla Farnesina è quella
di «essere uno sgobbone, uno che approfondisce i dossier fino
all’ultima pagina - sostiene Michele Anzaldi, deputato Pd che lo conosce
da 30 anni - un perfezionista che non sopporta intromissioni improprie:
quando era ministro delle Comunicazioni scriveva sul suo portatile
provvedimenti e circolari e poi portava il testo a casa, i
superburocrati apprendevano tutto a cose fatte». ?Romano, 59 anni, buona
conoscenza dell’inglese e del francese, un look all’antica (loden
verdi, mocassini, completi grigi) e un’idiosincrasia per i mezzi
motorizzati (in città si muove sempre a piedi) Paolo Gentiloni è stato
“renziano” ancora prima ancora che scoppiasse il “renzismo”.
Tra
il 2001 e il 2005, negli anni d’oro della Margherita di Francesco
Rutelli e poi nella stagione della riconquista del potere da parte degli
ex Ds, Gentiloni è stato uno dei teorici del superamento della
tradizione politica post-comunista, antesignano di un Pd che, anziché
allearsi con i centristi alla Casini, fosse capace di parlare agli
artigiani veneti o alle partite Iva. ?Capofila di quella predicazione
era Rutelli, il capostipite di una intera generazione che ora è alla
guida del Paese.
Tutto
ebbe inizio nel 1993, quando la sinistra riconquista il Campidoglio.
Portavoce di quella amministrazione, e poi “regista” del Giubileo, è il
quarantenne Paolo Gentiloni, che delle nobili radici famigliari aveva
già dismesso quasi tutto: leaderino del Movimento studentesco negli anni
del borghesissimo liceo classico “Tasso, collaboratore della rivista
pacifista, «Pace e guerra» di Luciana Castellina e poi direttore del
mensile La Nuova ecologia.
Ma
dopo l’esperienza del Campidoglio - dove lavorava anche Filippo Sensi,
oggi portavoce di Renzi - lo scatto che trasforma Gentiloni in un
personaggio di prima fascia della politica nazionale è un’impresa che
non finisce nei curriculum ma che tutti gli addetti ai lavori ben
conoscono: la regia, sapiente e cinica, della campagna elettorale del
2001, nel corso della quale Francesco Rutelli, senza Rifondazione
comunista, Di Pietro e D’Antoni, riuscì quasi a raggiungere in voti
assoluti uno dei più brillanti Berlusconi del ventennio.?
In
quella occasione Gentiloni ottiene la collaborazione di Stan Greenberg,
il guru che aveva portato alla vittoria leader progressisti in tutto il
mondo. Per anni di Greenberg non si seppe più nulla in Italia e
recentemente proprio Gentiloni ha confidato: «Casualmente ho appreso che
Renzi, per conto suo, ci aveva parlato». Come dire che Renzi,
iperattivo come è, bypassa le mediazioni anche degli amici. Perché
Gentiloni, politicamente parlando, è stato uno dei primi amici politici
di Matteo Renzi a Roma.
A
far conoscere i due era stato (di nuovo) Francesco Rutelli, dopo che
nel 2004 Renzi era diventato presidente della Provincia di Firenze in
quota rutelliana. Già allora Rutelli, che pure puntava su Renzi, aveva
messo a fuoco il personaggio: «Un paravento che farà carriera...».
Renziano della prima ora, nelle riunioni della Direzione del Pd sempre
ricco di argomenti “alti” per supportare Renzi, da anni Gentiloni è un
cultore della politica anglosassone e l’essere considerato un amico
all’ambasciata degli Stati Uniti e in quella di Israele, ha
rappresentato un viatico importante nell’ultimo miglio che lo ha portato
alla Farnesina.?
Fabio Martini per “La Stampa”
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