Bindi: «Se il Pd non cambia ci sarà bisogno di una nuova forza»
di Monica Guerzoni - da Corriere della sera
«Non ci siamo divisi...».
La minoranza si è spaccata in tre, presidente Rosy Bindi.
«Gli
obiettivi di chi ha votato no e di chi ha lasciato l'Aula, come me,
erano gli stessi. Marcare la distanza netta da un provvedimento che,
eliminando il diritto al reintegro, considera il lavoro come una merce».
L'indennizzo non basta?
«È
un passo indietro profondo, secolare, rispetto alla dignità del
lavoratore richiamata dal Papa. Oltre a non condividere il merito io ho
voluto prendere le distanze dal messaggio che il premier ha costruito in
questi mesi. Le sue parole hanno scavato un solco tra il governo, il
segretario del Pd e il mondo del lavoro, la parte più sofferente
dell'Italia. Abbiamo visto la delegittimazione del sindacato e una
provocazione davvero lontana dalla situazione reale degli italiani».
Pensa che l'astensionismo nasca da qui?
«Tra
Emilia e Calabria il Pd ha perso 750 mila voti. Se alle Regionali
avessero votato gli stessi elettori delle Europee dovremmo dire che oggi
il Pd è tornato al 30%, un numero più vicino al 25 di Bersani che non
al 41 di Renzi».
L'astensionismo è ininfluente, secondo lui.
«Affermazione
molto grave. L'astensionismo è un problema per la democrazia di un
Paese, per il Pd e anche per il governo. Il premier ha fatto campagna in
prima persona e ha lanciato dal podio dell'Emilia uno dei messaggi piu
gravi quando ha detto che lui crea lavoro, mentre il sindacato organizza
gli scioperi. Con le Regionali Renzi si è unito ai tanti salvatori
della patria a cui gli italiani amano affidarsi, per poi sperimentare la
cocente delusione».
Rimpiange Enrico Letta?
«Il
paragone non è con Letta. È con Grillo, con Salvini, con il Berlusconi
dei primi anni. La rottura della politica col Paese reale è profonda e
sembra rimarginarsi quando gli italiani si affidano al salvatore di
turno, per poi delusi andare a ingrossare l'unico partito che vince,
quello dell'astensione. Il voto di domenica dimostra che è iniziata la
parabola discendente, anche di Renzi».
Gufa perché rottamata?
«Sono
stati rottamati 750 mila elettori in un colpo solo, non la Bindi.
Questa categoria è servita a Renzi per vincere, ma ora, per continuare a
governare, deve prendere per mano la povertà, le periferie, il dissesto
del territorio, la crisi industriale. Chi guida i processi politici
deve indicare il cammino, la speranza, e responsabilizzare tutti nella
fatica della paziente ricostruzione».
La minoranza chiederà il congresso anticipato?
«Il
gioco interno al Pd non interessa agli italiani, figuriamoci a me. Quel
che mi interessa è che ci sia una forza politica che abbia il coraggio
di ricostruire il tessuto democratico e affrontare una crisi economica
sempre più grave».
Progetta la scissione?
«Dico
che questa è la funzione del Pd, se ha memoria delle origini, se non
vagheggia l'idea del partito unico della nazione e se è un partito
riformista, ma di sinistra. Quello sul Jobs act è stato un primo passaggio di merito, ma ora ce ne sono altri non meno importanti».
La riforma costituzionale?
«Appunto. Così è irricevibile, umilia il Parlamento e lo rende subalterno al governo».
La legge di Stabilità?
«Non può essere una mera, finta restituzione delle tasse, c'è bisogno di sostegno vero al lavoro e agli investimenti».
E l'Italicum, lei lo vota?
«Se
il patto del Nazareno non ha più futuro, nessuno pensi di portare
avanti quella legge elettorale con sostegni diversi in Parlamento. C'è
da dare al Paese una legge che assicuri il bipolarismo, non attraverso i
nominati e il premio di maggioranza al partito unico».
E se Renzi va a votare?
«Questo
risultato dovrebbe farlo riflettere, non è tempo di facili ricorsi alle
urne. Voglio sperare che al di là del messaggio grave, sbagliato e
pericoloso che ha mandato all'Italia, Renzi abbia un momento di
ripensamento serio. Spero cambi stile e accetti il confronto. E si
ricordi che il segno di chi ha la responsabilità più alta è unire, non
dividere».
Perché non uscite per fondare una forza alternativa, guidata da Landini?
«Se
il Pd torna a essere il partito dell'Ulivo, che unisce e accompagna il
Paese, non ci sarà bisogno di alternative. Ma se il Pd è quello di
questi ultimi mesi, è chiaro che ci sarà bisogno di una forza politica
nuova».
Una forza minoritaria?
«Tutt'altro
che minoritaria, una forza di sinistra, competitiva con il partito
della nazione. E allora servirà, oltre alle idee, la classe dirigente».
La sinistra fuori dal Pd non è un ferro vecchio?
«Renzi
sbaglia quando si paragona al partito a vocazione maggioritaria di
Veltroni, che prese il 33% e ridusse la sinistra radicale a prefisso
telefonico. Quello era collocato nel centrosinistra e non ambiva a fare
il partito pigliatutto. Se il Pd è quello di questi mesi una nuova forza
a sinistra non sarà residuale, ma competitiva. E sarà un bene per il
Paese, se non vogliamo che il confronto si riduca ai due Matteo. Sarà
una sinistra riformista e plurale, ma sarà una sinistra. Sarà il Pd».
Il voto sul Quirinale sarà una resa dei conti?
«Quando
dovremo confrontarci su quella scelta, spero più tardi possibile, io
auspico che venga fatta ricercando l'unità del Paese. Fu un bene
bocciare la riforma del centrodestra, che riduceva il capo dello Stato a
portiere del Quirinale».
Perché Renzi dovrebbe cercare un nome non condiviso?
«Ci
sono molti modi per ridurre il ruolo del Colle, come rinunciare alla
ricerca della personalità più autorevole per considerarla strumentale
alla politica del governo. Sarà fondamentale trovare la persona che più
unisce e la cui autorevolezza sia considerata indiscussa, da tutti».
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