Enrico Fierro per il “Fatto quotidiano”
“La
verità è che la penna per scrivere la storia, la impugnano sempre i
vincitori”. Inizia con l’amarezza il colloquio con Giuseppe Casarrubea,
storico siciliano, di quel particolare periodo della vita nazionale che
fu il dopoguerra nell’Isola, il ruolo degli americani, e soprattutto
quel passaggio di campo della mafia dal fronte monarchico, eversivo e
separatista, alla nascente Democrazia cristiana.
Temi
tornati di attualità in questi giorni con l’elezione di Sergio
Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Mattarella, una dinastia
politica che è parte importante della storia della Sicilia, cognome caro
all’antimafia per la morte tragica di Piersanti, cognome che arrovella
la mente di quanti, storici e giornalisti, hanno ancora voglia di
scavare nel passato dei rapporti tra mafia e politica. Casarrubea nel
suo blog lancia un appello al nuovo capo dello Stato: “Un gesto di
magnanimità verso un grande uomo, Danilo Dolci, che siciliano non era,
veniva da Trieste, e che dedicò tutta la vita a lottare per il riscatto
della Sicilia”.
In
un dossier denunciò, e fu tra i primi, i rapporti tra Bernardo
Mattarella e una parte della mafia, per questo venne querelato e
condannato.
Lo
so bene, ma so anche che il lavoro di Danilo fu scrupoloso,
dettagliato, cinque anni di fatica, ai giudici e alla commissione
Antimafia consegnò nomi e cognomi, finanche testimonianze firmate. Mise
tutto nero su bianco. In alcuni paesi certe relazioni, certe mani
strette per avere voti, erano sotto gli occhi di tutti. E fu anche un
lavoro rischioso, un giorno gli spararono e Danilo si salvò grazie al
fatto che Franco Alasia lo spinse via portandolo fuori dalla traiettoria
del proiettile.
Però i giudici, fino alla Cassazione, condannarono Dolci.
Questo
riguarda la coscienza dei giudici di allora. Sì, allora, anni Sessanta
del secolo passato, quando la parola mafia nei tribunali non aveva
accesso. Non tutto quello che è nelle sentenze dei tribunali è
espressione di verità. Spesso è il contrario, perché i tribunali sono
espressione dei momenti della vita di un popolo, ma sono al di sotto del
giudizio storico.
E allora veniamo alla storia, professore.
Dolci
voleva capire come funzionava il sistema delle clientele
politico-mafiose e quali erano le ragioni dello strapotere della Dc. Era
un sociologo, non un carabiniere o un poliziotto. In quegli anni non
c’era molta divaricazione tra le norme sociali e le norme criminali,
coincidevano quasi.
Da
studioso che ha approfondito il dopoguerra in Sicilia e la nascita
dell’autonomismo, anche avendo accesso a documenti riservati americani,
ci dica chi era Bernardo Mattarella e che ruolo svolse nel passaggio di
alcuni settori legati al separatismo e alla stessa mafia dentro l’alveo
della nascente Dc.
Rispondo in modo
sereno: era un grande personaggio della Democrazia cristiana, nel 1944,
mentre la Sicilia era allo sbando, con uomini come Restivo, Scelba, don
Luigi Sturzo, esiliato negli Stati Uniti, pensò di rimettere su il
Partito popolare e di dare vita a una Italia democratica fondata sul
sistema dei partiti. Fu un repubblicano di ferro e lottò contro i
monarchici e contro i separatisti.
Detti i meriti parliamo dei limiti e anche dei demeriti, sempre alla luce di una lettura storica.
Mettiamola
così, il demerito fu quello di essere cresciuto in un contesto nel
quale la distinzione tra sistema criminale mafioso e sistema sociale non
era netta. Era la mafia che dettava legge sui comportamenti sociali.
Che poi Bernardo Mattarella si sia imbattuto in certi personaggi, è cosa
che definirei del tutto naturale, l’ambiente induceva ad avere
relazioni anche di tipo familistico con persone equivoche, ma questo non
significa che Mattarella fosse compromesso.
Nessuna
prova indica che sia stato compromesso. Pisciotta lo accusò di essere
uno dei mandanti della strage di Portella assieme a Cusumano Geloso,
Leone Marchesano, il principe Alliata, ma questi erano dei monarchici
che facevano parte di una scuola politica molto diversa da quella di
Mattarella. Erano in due campi diversi.
La storia della famiglia Mattarella è parte della storia tragica della Sicilia.
Certo,
e la morte di Piersanti segna lo spartiacque tra una Sicilia ancora
feudale nella gestione dei rapporti di potere e la Sicilia più moderna
degli anni successivi. Penso a Falcone, Borsellino, al risveglio della
magistratura e della società.
Sarà accolto il suo appello?
Il
presidente Mattarella faccia un gesto di magnanimità, sarebbe un atto
di lungimiranza politica. Se ciò non avverrà rimarranno queste due
posizioni storicamente ancora da spiegare. E la storia non si scrive
nelle aule di tribunale.
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