La lingua, per il giornalista italiano medio, è un muscolo involontario
molto più di quell’altro. Quindi è naturale che, dopo aver leccato per
nove anni consecutivi Re Giorgio I e II, dopo la sua abdicazione
avvertisse un grande vuoto e garrisse all’impazzata alla ricerca di un
altro leccalecca. L’horror vacui, per fortuna, è durato meno di due
settimane. Poi, al primo affacciarsi di Sergio Mattarella, la Lingua
Unica della stampa italiana s’è subito riposizionata umettando le
grisaglie del Candidato senza neppure aspettare l’elezione. Mal che
vada, si son detti i leccatori, facciamo un po’ di allenamento in attesa
del prossimo. Non sia mai che il muscolo, a causa dell’inazione, si
atrofizzi e si lasci cogliere impreparato alla bisogna.
Il Megapresidente Galattico. Imperdibile reperto dell’incertezza dell’attesa, la pagina 6 del
Corriere di venerdì. La metà inferiore per le ultime salivazioni
postdatate all’ex monarca, “Entra Napolitano. Il lungo applauso in
Aula”. La metà superiore per le prime pennellate preventive di Fabrizio
Roncone al “mite Sergio, ultimo moroteo”, che “ha dentro il fil di
ferro”, “parla a voce bassa, uomo mite fino a quasi apparire fragile,
coltiva la virtù della pacatezza, della prudenza e del dialogo, una volta accettò di giocare a Risiko con
i redattori del Popolo, è un buon intenditore di calcio e tifa Palermo
(con una debolezza, sembra, per l’Inter)”, vive “nella foresteria a
disposizione dei giudici della Corte
costituzionale”, a “cento passi dal Quirinale”: un “appartamento
spartano” tipo quello del Megadirettore Galattico fantozziano, con cui
condivide l’inginocchiatoio in legno grezzo e il tozzo di pane e il
bicchier d’acqua da condividere con il ragionier Ugo, ma non la poltrona
in pelle umana e neppure l’acquario con gli impiegati-inferiori
estratti a sorte per fare i pesci, anche perché Lui “non sa nuotare”.
Segue
succinta biografia, con padre, tre figli e “suo fratello Piersanti”
assassinato dalla mafia. Nessuna traccia dell’altro, l’ex avvocato
Antonino, il maggiore, in rapporti finanziari con Enrico Nicoletti,
cassiere della Magliana: chissà poi perché, poveretto.
Il nuovo Giustiniano.
Quando poi l’ascesa al trono è certa, le lingue sparse si ricompongono a
testuggine e battono tutte come una sola dove il potere vuole. Gente
che Mattarella non se l’è mai filato per mezzo secolo scopre in lui il
nuovo Salvatore della Patria. Una cascata di saliva che deve fare un po’
schifo allo Schivo, e che imbarazza persino Aldo Cazzullo: “Un ex
componente della Bicamerale ricorda: ‘Mattarella propose un corpus
giuridico che riassumesse e semplificasse la legislazione vigente:
un’operazione così l’aveva fatta solo Giustiniano!’....”
Il Mattarellinum.
Sergio è un enfant prodige dei codici, il Mozart della pandetta: “La
passione per i meccanismi elettorali ce l’aveva fin da ragazzo”, rivela
Marcello Sorgi su La Stampa (par di vederlo, giovinetto, mentre i
compagni giocavano a pallone e correvano la cavallina con le ragazze,
curvo sul desco a studiare il Mattarellinum che 40 anni dopo, previe
opportune limature, vedrà finalmente la luce. Le zite gli suonano il
campanello, ma lui niente: “Scusa, Rosalia, ma oggi ho problemi di
scorporo”, “Perdonami, Teresa, ma c’ho un maggioritario grosso così, e
per giunta con recupero proporzionale”).
La
lingua a questo punto parte da sola, irrefrenabile, incontenibile, a
raffica: “Mite, pacato, serio, ragionatore, moderato, razionale,
disponibile, ma fermo su principi e valori, sui quali non transige”.
Segue l’albero genealogico: dai che almeno Sorgi si ricorda del fratello
Antonino. Macché: “I due fratelli Pier-santi e Sergio erano molto
diversi tra loro. Si dice che in ogni famiglia siciliana ci sia un
figlio arabo e uno normanno”. Nulla da fare: damnatio memoriae per il
povero Antonino.
Compagni di scuola.
Alberto Mattioli, sempre su La Stampa, riesce a scovare un “compagno di
scuola dei fratelli Mattarella” che, vincendo la ritrosia contagiosa di
tutta la classe dei Mattarella’s, qualcosa racconta, ma a patto che si
taccia il suo cognome e lo si chiami “signor Gino”. Vedi mai che se ne
ricordi almeno lui, di quel terzo fratello un po’ scavezzacollo. “Sergio
era serio anche da ragazzo, però qualche risata se la faceva pure lui”.
Ci
sentiamo tutti molto meglio, ma i fratelli? Niente da fare: lui era
“compagno di scuola di Piersanti e Sergio, due ragazzi diversissimi, due
caratteri complementari, si volevano molto bene”. Piersanti “vulcanico,
pieno di vita, trascinatore. Sergio silenzioso, serio, composto, quello
che a Roma chiamiamo un mollicone, uno di quei ragazzi che stanno
sempre zitti, che sembrano quasi troppo educati. Metodico, riflessivo,
attento, studioso... In comune avevano due caratteristiche: l’estrema
educazione e la passione per lo sport”. Il terzo, Antonino, sfugge
proprio ai radar. Che fosse un po’ maleducato e poco sportivo? Mistero. E
pazienza, è andata così.
L’Hombre Vertical.
Riproviamo con Sebastiano Messina, che giovedì e poi venerdì, su
Repubblica, ritrae e doppiamente biografa da par suo. Lui, così,
preciso, colmerà la lacuna. “Ama il grigio, evita le telecamere, parla a
bassa voce, coltiva la virtù della pacatezza, dell’equilibrio, e della
prudenza”, ma attenzione, nessun dorma: “Sotto quel vestito grigio e
dietro quei modi felpati c’è un uomo con la schiena dritta, un hombre
vertical capace di discutere giorni interi per trovare un compromesso
con l’avversario, ma anche di diventare irremovibile se deve difendere
un principio, una regola, un imperativo morale”.
Nessun
accenno al terzo fratello: sono sempre in due, Piersanti e Sergio.
Vabbè, ora Messina rimedierà venerdì. Speriamo, ce la può fare. San
Sergio “fa una vita monacale”, al confronto Ratzinger nel monastero
Mater Ecclesiae e papa Francesco nella celletta di Santa Marta sono due
zuzzurrelloni. Cena con “gli amici di una vita”: un giudice della
Cassazione, un ginecologo, un banchiere, però “ogni tanto accetta gli
inviti di Giuliano Amato e Sabino Cassese”, e quando proprio è in vena
di pazziare si unisce a “Pierluigi Castagnetti, Rosi Bindi e Rosa Russo
Jervolino”, tutta vita.
Poteva
mancare il barbiere? No che non poteva: “Franco Alfonso, il mitico
barbiere di via Catania a Palermo: la sua chioma bianca, Mattarella se
la fa tagliare solo da lui”. Ma eccoci finalmente alla famiglia, dai che
ce la facciamo. “Il padre Bernardo”, da molti indicato come un po’
colluso (da Danilo Dolci, per esempio), ma è meglio non parlarne: anzi
il vecchio patriarca era amico di “don Sturzo”, di “La Pira” e basta. Ed
ecco i fratelli, forse ci siamo: “A Roma i fratelli Piersanti e Sergio
giocavano con i figli di De Gasperi e con quelli di Moro”. E il terzo,
Antonino, mai: sempre chiuso in casa, per non farsi vedere dai
giornalisti.
Il Cristo di Mattarella.
Riusciranno i nostri eroi a ritrovare il fratello misteriosamente
scomparso, nel senso di sparito? Su Repubblica c’è un’intera pagina di
Francesco Merlo: anche lui è siciliano, lui sicuramente sa tutto e ce ne
parlerà, del terzo Mattarella fantasma. Pendiamo dalle sue labbra, anzi
dalla sua lingua. Sergio è un “vedovo dolente e creativo, facile
immaginarlo perduto nell’immensità del Quirinale come Casimiro, il
triste Vicerè di Sicilia”. Potrebbe sentirsi meno solo frequentando il
professor Antonino?
No,
“Sergio Mattarella cerca la compagnia del ‘caro paralume’, che Massimo
Severo Giannini consigliava ai suoi allievi. E quel paralume, ‘meglio se
verde’, è per Mattarella la metafora della lettura ma anche della
solitudine e della malinconia...”. E vabbè, meglio il paralume, purché
verde. La sinfonia cromatica prosegue col nero. “Il siciliano schivo,
coperto e cauto, non trova mai la festa, ha sempre quel tormento che il
più dolorista di tutti, Aldo Moro, chiamava ‘senso della storia’”.
Perché lui è “un siciliano tragico e superbo che brancatianamente vede
il nero anche nel sole”. Ma è pure “come Sciascia: un siciliano muto, di
quelli che coltivano l’utopia del Tommaseo che sognava di coniugare la
concisione con la precisione”.
Però.
“Sono così i siciliani muti, nodosi, solitari, sobri, schivi e
diffidenti”. E questo l’avevamo vagamente intuito. Ma è il momento di
un’altra pennellata di colore: “Gli occhi di Sergio Mattarella non sono
celesti ma sono ipercontrollati, più di quelli di un piemontese”. Per
non parlare di quelli di un calabrese, o di un napoletano. Sì, ma di
grazia di che colore sono? “Il suo colore è il celeste, che può essere
raccontato come un blu stinto, un blu indebolito, il gozzaniano ‘azzurro
di stoviglia’ oppure come il cielo: ed è vaniglia la sua personalità:
dolciastra indecisione o sobrietà e festa di nuances?”. Ah saperlo.
Intanto
prendete nota del “Mattarella nemico di ogni eccesso estetico,
umbratile e sensibile siciliano fenicio che non perdona”. Ecco:
siciliano non sumero o assirobabilonese: fenicio. Ma anche un po’
israelitico: “il Cristo di Mattarella” non è “colorato e sanguinante
come nelle processioni di Palermo, ma invece di filigrana sottile, il
Cristo con il sorriso dolce e amaro di una vita che è stata investita
dalla tragedia”. Quindi, allontanando l’odor di santità e ricapitolando:
nero, celeste, blu stinto, azzurro di stoviglia, ma anche non colorato e
soprattutto non celeste per carità. Santo subito. Esaurita la
tavolozza, Merlo arriva finalmente alla famiglia. Il padre Bernardo:
“notabile palermitano” e ho detto tutto. Fuochino, dài, su, passiamo ai
fratelli. “Il fratello Pier-santi, il siciliano allegro, chiacchierone e
spavaldo, l’hidalgo di quella Sicilia ‘che è più Spagna della Spagna’”,
e ho ridetto tutto. Acqua, lago, mare. Antonino, ancora una volta, non
pervenuto.
Il Moro di Palermo.
Ultima occasione, ieri. Sul Corriere Roncone torna sul luogo del
relitto. “Stringe il nodo della cravatta... sposta la tenda della
finestra e guarda giù... La riservatezza proverbiale... Poche parole
anche quando si ferma per prendere un toast (di solito, prosciutto cotto
e formaggio: poi saluta, ringrazia e lascia la mancia. ‘Un vero signore
d’altri tempi’)”. Secondo Repubblica, invece, il menu è un filo
diverso: “Pizzetta prosciutto e formaggio, occhio di bue o pasticcini,
yogurt e Pocket Coffee. Sobriamente”. Ma son dettagli. Prosegue Roncone:
“Sobrio, frugale... La voce come un soffio...”. Forse ci siamo: “Riceve
la visita della nipote Maria, figlia di suo fratello Piersanti, che lo
mette di ottimo umore”. Ma una telefonata, un messaggio in bottiglia, un
segnale di fumo dal fratello Antonino no? No.
Sotto
parla l’amico economista siciliano Salvatore Butera: “Freddo? È solo
composto. Bontà d’animo, pacatezza e grande umanità. ricorda Aldo Moro”.
Butera sa qualcosa dei fratelli? Sì: “Eravamo tutti e tre insieme dai
gesuiti, io e i due fratelli Mattarella”. Parlerà mica di Sergio e
Antonino? Mavalà: “Oltre a Sergio, anche Piersanti”. Pure Antonino è
laureato in legge, faceva l’avvocato, ora insegna all’Università.
Desaparecido.
Il Kennedy di Trinacria.
Su Repubblica ci si mettono addirittura in due, Tommaso Ciriaco ed
Emanuele Lauria, per la terza biografia del Presidente in tre giorni.
“Riformista dal tratto garbato”, e vabbè. “La proverbiale discrezione”, e
anche questa la sappiamo. “Il miniappartamento nella foresteria della
Corte costituzionale”: già sentita pure quella. “Rappresentante di una
famiglia che ha frequentato il successo e il lutto (‘I Kennedy
palermitani’, secondo antica definizione)”, ed è vero, visti i sospetti
di mafia irlandese sul papà di Jfk, di Bob e di Ted. Ma lo vogliamo
ricordare, questo benedetto Ted, al secolo Antonino? “I parenti a
Palermo, come l’ex deputato regionale Bernardo” (indagato per peculato,
ma questo non lo diciamo). E “la nipote Maria”: fuocherello. E come si
chiama l’altro zio? Dai, è facile, diamo un aiutino: quattro sillabe,
inizia per A e finisce per O. Niente, forse manca lo spazio. Zero
tituli. Chissà come deve sentirsi, però, quel pover’uomo. Suo fratello
diventa il primo cittadino d’Italia e lui diventa l’ultimo. Anzi, di
meno: un clandestino. Manca solo il decreto di espulsione. La lingua è
forte, ma la carne è debole.
di Marco Travaglio per "Il Fatto Quotidiano”
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