Conversare con Fabrice Hadjadj, l’autore di Mistica della carne. La profondità dei sessi,
è un’esperienza di grande piacevolezza intellettuale. Attraverso il
suo linguaggio sempre lucido si ha l’impressione di sentirsi trascinati
contemporaneamente nel profondo degli argomenti e verso l’alto, ben al
di sopra del ronzio pseudo-pansessualista. Trentotto anni, francese,
nato da genitori ebrei di origini tunisine e convinzioni maoiste, ama
presentarsi come un «ebreo di nome arabo e di confessione cattolica». Al
cattolicesimo è approdato dopo una giovinezza trascorsa tra
l’ammirazione degli ideali rivoluzionari della Comune di Parigi e
l’immersione nella lettura dei grandi nichilisti del Novecento. Ha
scelto di battezzarsi e diventare cattolico alla soglia dei trent’anni e
se gli domandi perché l’ha fatto replica divertito: «Sono io che mi
chiedo: perché non l’ho fatto prima?». Fabrice Hadjadj insegna in un
liceo e nel seminario diocesano di Tolone, ma è soprattutto un
filosofo, una specie di Nietzsche cattolico, autore di una decina di
libri in forma di saggi e drammi teatrali. Ecco una sintesi della
conversazione.
«La
nozione di educazione sessuale è problematica, perché la sessualità
implica l’esperienza del desiderio e del suo eccesso. Il desiderio
sessuale non si educa così come ci si educherebbe alla matematica: non è
una semplice forma di istruzione. Si tratta di un desiderio che ci fa
sentire non più padroni di noi stessi. Questa esperienza di
spossessamento chiede di essere vissuta pienamente, e qui si innesta
l’esigenza dell’educazione nel senso di un “accompagnamento” del
desiderio. Ma non per contenerlo, spezzarlo, diminuirlo, anzi: per
andare fino in fondo. Invece oggi ci sono due modalità di praticare
l’educazione sessuale fra loro opposte, ma entrambe sbagliate. La prima è
la presentazione della sessualità secondo una modalità tecnica,
centrata sui temi del rischio per la salute e della pianificazione
familiare, per cui nei licei si dice: “Guardate che attraverso il sesso
si trasmettono malattie e si possono verificare gravidanze”. La
gravidanza è messa da subito sullo stesso piano delle malattie a
trasmissione sessuale, e perciò si consiglia il preservativo. Il dono
della vita è messo sullo stesso piano di una minaccia di morte, è visto
come una malattia. Di conseguenza l’educazione sessuale consiste nello
spiegare come si applica un preservativo, come si prende la pillola
anticoncezionale o la pillola del giorno dopo, eccetera. Ma questa non
più è sessualità, è qualcosa dell’ordine di una masturbazione con
partner, di una masturbazione assistita. L’uomo è intrappolato dentro al
suo stesso piacere, non incontra nessuno, non è in una relazione
sessuale che presuppone l’apertura dell’uomo a una donna che desidera a
tal punto che gli pare di vedere in lei la strada della sua vita. La
sessualità è ridotta a un atto consumistico che deve essere gestito
secondo una modalità tecnica. Dicendo ai ragazzi: “Fate quel che volete,
però proteggetevi”, si trasmette l’idea che il cuore della sessualità
non è l’incontro, l’unione, la comunione, ma la preservazione. Infatti
la parola ultima è: preservativo. Ciò significa che l’amore viene
pensato in termini di preservazione, che la sessualità viene pensata in
termini di protezione di sé. Tutto è centrato su di sé, sul proprio
piccolo piacere: ci si serve dell’altro come di una cosa. Pasolini ha
ben compreso e denunciato questa distruzione della sessualità da parte
del consumismo.
Dall’altra parte c’è un’educazione sessuale concepita secondo una
modalità morale estrinseca. Cioè da una parte si colloca il desiderio
sessuale, dall’altra la morale che viene a fare ostruzione. La morale
borghese taglia la strada alla sessualità perché la considera come
qualcosa di pericoloso in sé. E quindi cerca di controllarla. Dice che
ci vuole il sentimento, il rispetto dell’altro, eccetera. Come se,
appunto, la sessualità fosse pericolosa in sé e bisognasse aggiungervi
qualcosa che in essa non è già presente. La morale non è pensata a
partire da ciò che il desiderio sessuale in quanto tale esige per essere
se stesso, ma a partire da qualcosa di esterno che viene a contenere
tale desiderio. Dunque da una parte abbiamo il tecnicismo, dall’altra il
moralismo, ed entrambi sono inefficaci nell’educare i giovani. I quali,
quando gli si dice: “Facendo sesso proteggetevi”, tendono a rispondere:
“Sì, ma se tanto devo morire e dopo non c’è nulla, perché devo
proteggermi? Che cos’è questo aggeggio da buon piccolo borghese, per
preservarsi? Dobbiamo morire! Che ci importa dell’avvenire? Tanto vale
andare al massimo, bere, ubriacarsi, farsi tante donne. Mi dite che
l’Aids uccide, ma io sono comunque destinato a perire, e allora perché
dovrei stare nei ranghi?”. Quando gli adolescenti reagiscono al
tecnicismo e al moralismo in questo modo, sono in realtà più profondi
degli adulti. Dietro una rivolta come questa, anche quando non è
esplicitata, ci sono una profondità e un’esigenza di senso che né il
tecnicismo né il moralismo possono dare».
Il contrario della repressione
«Lo scopo di una vera educazione sessuale, a mio parere, deve essere l’affermazione del desiderio sessuale fino in fondo. E del resto è quello che dice anche la Chiesa. La Chiesa non proibisce certo il sesso, non è repressiva, al contrario: è favorevole al sesso fino alle estreme conseguenze, non con un piccolo preservativo che mi protegge, o con un lieve sfregamento che mi procura un lieve piacere e poi me ne vado di corsa. No: fate pure, ma portate l’esperienza alle sue estreme conseguenze. La morale della Chiesa non è contro il sesso, è la liberazione sessuale che è contro il sesso, perché lo riduce a un atto di consumo. La Chiesa è per la pienezza della sessualità».
«Lo scopo di una vera educazione sessuale, a mio parere, deve essere l’affermazione del desiderio sessuale fino in fondo. E del resto è quello che dice anche la Chiesa. La Chiesa non proibisce certo il sesso, non è repressiva, al contrario: è favorevole al sesso fino alle estreme conseguenze, non con un piccolo preservativo che mi protegge, o con un lieve sfregamento che mi procura un lieve piacere e poi me ne vado di corsa. No: fate pure, ma portate l’esperienza alle sue estreme conseguenze. La morale della Chiesa non è contro il sesso, è la liberazione sessuale che è contro il sesso, perché lo riduce a un atto di consumo. La Chiesa è per la pienezza della sessualità».
Il dualismo dell’omosessualità
«Quando dico sessualità penso alla sessuazione: l’uomo e la donna, il maschile e il femminile. La Chiesa rigetta l’omosessualità semplicemente perché non si tratta di vera sessualità. Dire omosessualità è come dire “cerchio quadrato”: se i due hanno lo stesso sesso, viene meno l’ordinazione reciproca dei due sessi. Se la vostra sessualità non è aperta alla fecondità, di cosa state parlando? Prendete in mano il primo manuale di zoologia che trovate, e scoprirete che la sessualità è legata alla questione della fecondità, della procreazione. Attenzione, quando dico che l’omosessualità non è una sessualità io non discrimino: non sto proponendo giudizi di valore, il mio intento non è prescrittivo, ma descrittivo. Anche i greci ritenevano che la pederastia non era sessualità, e proprio per questo la consideravano superiore. Per loro era una realtà spirituale, qualcosa che aveva a che fare con l’emulazione virile ed era legata alla loro visione dualista del rapporto fra anima e corpo.
«Quando dico sessualità penso alla sessuazione: l’uomo e la donna, il maschile e il femminile. La Chiesa rigetta l’omosessualità semplicemente perché non si tratta di vera sessualità. Dire omosessualità è come dire “cerchio quadrato”: se i due hanno lo stesso sesso, viene meno l’ordinazione reciproca dei due sessi. Se la vostra sessualità non è aperta alla fecondità, di cosa state parlando? Prendete in mano il primo manuale di zoologia che trovate, e scoprirete che la sessualità è legata alla questione della fecondità, della procreazione. Attenzione, quando dico che l’omosessualità non è una sessualità io non discrimino: non sto proponendo giudizi di valore, il mio intento non è prescrittivo, ma descrittivo. Anche i greci ritenevano che la pederastia non era sessualità, e proprio per questo la consideravano superiore. Per loro era una realtà spirituale, qualcosa che aveva a che fare con l’emulazione virile ed era legata alla loro visione dualista del rapporto fra anima e corpo.
Chiamare sessualità qualcosa che non lo è sarebbe una contraffazione.
E questo è importante anche per coloro che vengono definiti
omosessuali, chiamati a prendere coscienza che il loro desiderio non è
propriamente sessuale. Essi in realtà fanno un uso non sessuale delle
loro parti sessuali. Non è perché le parti sessuali entrano in gioco che
si è obbligati a definire ciò sessualità: io posso, se voglio, ficcare
il mio pene in una porta, ma quel che faccio non è sessualità. Non sono
necessariamente atti sessuali tutti gli atti che io posso fare con le
mie parti sessuali. Se vivo l’amore e la comunione in opposizione al
dato fisico del mio corpo, vivo una situazione schizofrenica, dualista.
La Chiesa insiste sull’unità di carne e spirito, di anima e corpo.
Nessuna posizione al mondo è più unitaria di quella della Chiesa. Essa
dice: siete liberi di fare quel che volete, ma vi ricordiamo soltanto
che se andate in quella direzione, vi sarà una rottura della vostra
unità personale, questa rottura noi la chiamiamo peccato».
L’esperto che uccide l’incontro
«La questione centrale della sessualità è la comunione feconda entro la quale i corpi esprimono quel che le anime vivono. Di fronte a un tema del genere, come può la posizione dell’“esperto” non essere quella di uno che impone una riduzione tecnica? L’incontro umano contiene qualcosa che mi sfugge. L’idea stessa che si possano fare previsioni in materia di incontro ci immette in una logica di calcolo del rischio estranea all’essenza dell’incontro. Non ci sono più l’uomo e la donna che si incontrano per vivere qualcosa di unico. È esattamente quello che troviamo in 1984 di Orwell: anche lì ci sono gli esperti che organizzano tutto. E poi c’è un momento in cui l’eroe del racconto sfugge alla presa dello Stato totalitario: è quando si trova da solo con una donna nella foresta, e lei si spoglia davanti a lui. In quel momento è fuori dalla logica degli esperti, non c’è nessuno che gli dia indicazioni e gli ingiunga come deve comportarsi.
«La questione centrale della sessualità è la comunione feconda entro la quale i corpi esprimono quel che le anime vivono. Di fronte a un tema del genere, come può la posizione dell’“esperto” non essere quella di uno che impone una riduzione tecnica? L’incontro umano contiene qualcosa che mi sfugge. L’idea stessa che si possano fare previsioni in materia di incontro ci immette in una logica di calcolo del rischio estranea all’essenza dell’incontro. Non ci sono più l’uomo e la donna che si incontrano per vivere qualcosa di unico. È esattamente quello che troviamo in 1984 di Orwell: anche lì ci sono gli esperti che organizzano tutto. E poi c’è un momento in cui l’eroe del racconto sfugge alla presa dello Stato totalitario: è quando si trova da solo con una donna nella foresta, e lei si spoglia davanti a lui. In quel momento è fuori dalla logica degli esperti, non c’è nessuno che gli dia indicazioni e gli ingiunga come deve comportarsi.
Bisogna accettare che nell’ambito della sessualità non esistono gli
esperti. Altrimenti si finisce nel tecnicismo e nell’ingiunzione
sociale. La seconda cosa da dire riguardo agli “esperti” che entrano
nelle scuole, è che questo fatto pone un altro problema: rende
impossibile agli adolescenti la sessualità come scoperta. Quello che
predomina è un massiccio discorso entro il quale i gesti del desiderio
sono ridotti a delle pratiche. E perciò a delle tecniche: c’è la
fellatio, c’è la sodomia, c’è il rischio dell’Aids. E questo è veramente
terribile, perché all’essere in un incontro e nei gesti del desiderio
all’interno di un incontro, si sostituisce l’induzione di comportamenti.
E anziché essere con l’altro e vivere con l’altro, si cerca di
conformarsi a una normatività fatta di norme sessuali, o meglio
pseudosessuali, che vengono imposte alla persona: voi dovete fare così e
cosà, se non fate così sbagliate. Questo è pericoloso perché non si è
più nella scoperta dell’altro e nel movimento del desiderio, si è in
qualcosa che è intrusione: l’intrusione di una serie di norme e inoltre
l’intrusione dell’industria del lattice, dell’industria farmaceutica,
eccetera. Per cui è vietato inquinare i fiumi, ma è lecito inquinare le
giovani donne con prodotti chimici: devono prendere pillole, pastiglie,
eccetera. La tecnica interviene in tutti i rapporti, e questo
distrugge completamente il desiderio. Alla fine si fa sesso ugualmente,
per divertirsi un po’, ma faticosamente, con infinite reticenze, in modo
meschino, cercando di rubacchiare qualche nuovo trucco dal Kamasutra.
Che infelicità! Il cattolico, invece, è il vero edonista. Ha la sua
donna e va fino in fondo. Non passa tutto il tempo a chiedersi: “Oh,
cosa succederà adesso? Che rischio sto correndo?”. E se il seme che ha
immesso nella donna gli torna indietro sotto forma del viso di un
figlio, la gioia è ancora più grande. Il piacere sessuale non sta solo
nell’atto carnale, è anche la gioia di vedere il volto del proprio
figlio: è piacere sessuale anche quello. L’atto carnale ha un’intensità
di piacere molto forte e molto breve, poi c’è una caduta, tutta
l’esperienza lo dice. Ma la gioia per l’arrivo di un figlio è un piacere
che non si spegne».
Il femminismo non è femmina
«Oggi la sessualità è sempre concepita in modo fallico. La dimensione femminile della sessualità tende a scomparire. Anche il femminismo, in gran parte, si è dispiegato come rivendicazione di valori maschili da parte delle donne. Non si è ancora visto un femminismo che affermi i valori femminili contro il machismo. C’è stata piuttosto un’interiorizzazione del machismo da parte delle donne, attraverso l’idea che l’uguaglianza è tutto. Ma nell’atto carnale il tempo e lo spazio maschili non sono gli stessi del tempo e dello spazio femminili. L’uomo è in uno spazio che è quello dell’esteriorità: l’uomo penetra, genera ma fuori di sé, compie un atto all’esterno di sé. La donna, invece, è nello spazio dell’interiorità: riceve l’uomo, lo accoglie in sé ed è in grado di accogliere un essere umano intero dentro di sé. La donna è abitabile, cosa che non vale per l’uomo. Perciò il femminile implica l’affermazione che nella sessualità non c’è solo la vagina, c’è anche l’utero. Nei settimanali patinati c’è tantissimo sul sesso della donna, ma non c’è niente sull’utero. La cosa interessante è questa: quando domina la concezione fallica e anche il femminismo è fallico, la donna è percepita come ridotta alla vagina o al clitoride, ma l’utero scompare. Questo è molto interessante: l’isterectomia è la condizione, per così dire, del femminismo odierno.
«Oggi la sessualità è sempre concepita in modo fallico. La dimensione femminile della sessualità tende a scomparire. Anche il femminismo, in gran parte, si è dispiegato come rivendicazione di valori maschili da parte delle donne. Non si è ancora visto un femminismo che affermi i valori femminili contro il machismo. C’è stata piuttosto un’interiorizzazione del machismo da parte delle donne, attraverso l’idea che l’uguaglianza è tutto. Ma nell’atto carnale il tempo e lo spazio maschili non sono gli stessi del tempo e dello spazio femminili. L’uomo è in uno spazio che è quello dell’esteriorità: l’uomo penetra, genera ma fuori di sé, compie un atto all’esterno di sé. La donna, invece, è nello spazio dell’interiorità: riceve l’uomo, lo accoglie in sé ed è in grado di accogliere un essere umano intero dentro di sé. La donna è abitabile, cosa che non vale per l’uomo. Perciò il femminile implica l’affermazione che nella sessualità non c’è solo la vagina, c’è anche l’utero. Nei settimanali patinati c’è tantissimo sul sesso della donna, ma non c’è niente sull’utero. La cosa interessante è questa: quando domina la concezione fallica e anche il femminismo è fallico, la donna è percepita come ridotta alla vagina o al clitoride, ma l’utero scompare. Questo è molto interessante: l’isterectomia è la condizione, per così dire, del femminismo odierno.
Per quanto riguarda il tempo, l’uomo si colloca in un tempo corto
dentro all’atto carnale. Il suo desiderio sorge immediato, mentre nella
donna, si sa, ci vuole più tempo. In seguito, il tempo dell’uomo è
quello dell’eiaculazione, dell’orgasmo. Mentre per quanto riguarda il
tempo della donna, c’è un tempo femminile lungo, che è quello della
gestazione. Nella donna c’è un seguito all’atto sessuale. Che consiste
nel portare in sé un figlio, cosa che l’uomo non può fare. Oggi questo
spazio dell’interiorità, questo tempo della gestazione, è stato spezzato
e anche la donna vuole essere nell’esteriorità, col suo clitoride fra
le gambe che tiene il posto del fallo, e nel tempo breve, che coincide
con l’ossessione dell’orgasmo. Ma l’orgasmo non è essenziale per l’atto
sessuale! Può esserci comunione fra i due anche senza orgasmo. Al
limite, un fallimento rispetto all’orgasmo, addirittura rispetto alla
penetrazione, può essere un momento di comunione più profonda fra gli
sposi all’interno del dramma di quel fallimento.
Si tratta di richiamare l’autentica sessualità femminile per ritrovare un equilibrio
Occorre ritrovare il vero maschile e il vero femminile: il maschile che è rivolto al femminile, il femminile che è rivolto al maschile. In modo che la donna orienti anche l’uomo verso il tempo lungo e l’interiorità. Questo femminismo della femminilità è una necessità. Quel che viene chiamato educazione sessuale in realtà è l’affermazione massiccia del fallico. Non solo è distruttivo, non solo fa della donna una preda dell’uomo, ma ne fa un sotto-maschio. Una specie di maschio difettoso che squilibra tutta la società».
Occorre ritrovare il vero maschile e il vero femminile: il maschile che è rivolto al femminile, il femminile che è rivolto al maschile. In modo che la donna orienti anche l’uomo verso il tempo lungo e l’interiorità. Questo femminismo della femminilità è una necessità. Quel che viene chiamato educazione sessuale in realtà è l’affermazione massiccia del fallico. Non solo è distruttivo, non solo fa della donna una preda dell’uomo, ma ne fa un sotto-maschio. Una specie di maschio difettoso che squilibra tutta la società».
Maternità, l’immagine dell’etica
«C’è stata un’epoca in cui la maternità è stata concepita come qualcosa che non atteneva alla libertà della donna. Ella era colei che portava in sé l’erede dell’uomo, ovvero i futuri cittadini: Marianna madre in affitto, incubatrice dei cittadini. La Francia ha conosciuto un intenso natalismo dopo la sconfitta di Sedan nel 1870. Si diceva: “I tedeschi sono più numerosi di noi, fate più figli per la Francia”. Che è come dire: producete carne da cannone, fate figli per lo Stato, per la gloria della nazione. Questo non è riconoscere la maternità come l’avvenimento radicale di un’accoglienza nei confronti di una nuova persona che entra nel mondo, da accogliere per se stessa. Il natalismo ha confiscato la maternità, dunque per reazione la donna ha voluto emanciparsi. Ma bisognava emanciparsi dalla confisca della maternità da parte dell’uomo e dello Stato, non dalla maternità come tale, come è invece avvenuto. Poiché la maternità è una possibilità propriamente femminile, pensare il femminile in opposizione alla maternità come fanno certe femministe è arrivare alla distruzione della donna. E di conseguenza alla distruzione dell’uomo. Perché appunto noi uomini abbiamo bisogno della donna per aprirci al mistero dell’interiorità, della gestazione, della pazienza, del portare l’altro per metterlo al mondo. Quando cerca di definire che cos’è la responsabilità verso l’altro, Emmanuel Levinas propone un’espressione e un’immagine: portare l’altro. E dice: è il femminile che manifesta questo. L’etica ha la sua immagine più forte nella maternità, che è il luogo concreto della responsabilità.
«C’è stata un’epoca in cui la maternità è stata concepita come qualcosa che non atteneva alla libertà della donna. Ella era colei che portava in sé l’erede dell’uomo, ovvero i futuri cittadini: Marianna madre in affitto, incubatrice dei cittadini. La Francia ha conosciuto un intenso natalismo dopo la sconfitta di Sedan nel 1870. Si diceva: “I tedeschi sono più numerosi di noi, fate più figli per la Francia”. Che è come dire: producete carne da cannone, fate figli per lo Stato, per la gloria della nazione. Questo non è riconoscere la maternità come l’avvenimento radicale di un’accoglienza nei confronti di una nuova persona che entra nel mondo, da accogliere per se stessa. Il natalismo ha confiscato la maternità, dunque per reazione la donna ha voluto emanciparsi. Ma bisognava emanciparsi dalla confisca della maternità da parte dell’uomo e dello Stato, non dalla maternità come tale, come è invece avvenuto. Poiché la maternità è una possibilità propriamente femminile, pensare il femminile in opposizione alla maternità come fanno certe femministe è arrivare alla distruzione della donna. E di conseguenza alla distruzione dell’uomo. Perché appunto noi uomini abbiamo bisogno della donna per aprirci al mistero dell’interiorità, della gestazione, della pazienza, del portare l’altro per metterlo al mondo. Quando cerca di definire che cos’è la responsabilità verso l’altro, Emmanuel Levinas propone un’espressione e un’immagine: portare l’altro. E dice: è il femminile che manifesta questo. L’etica ha la sua immagine più forte nella maternità, che è il luogo concreto della responsabilità.
L’accoglienza del figlio per se stesso equivale all’espressione “fare
dei figli per Dio”. Perché la sessualità in ultima analisi mira a
questo: aumentare il numero degli Eletti; e il desiderio sessuale che ci
trascina fuori da noi stessi è ultimamente un’astuzia di Dio. È Dio che
chiama, questo è il senso profondo della sessualità. Non si fanno figli
per lo Stato, o per noi stessi, o per l’autorealizzazione della donna.
Si fanno figli per la vita eterna».
fonte: Tempi
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