martedì 19 ottobre 2010

800 anni, ma non li dimostra! Dal '900 ai giorni nostri

IL NOVECENTO FRANCESCANO

 
Numerose sono state le figure di francescani che hanno contrassegnato la storia di Jesi e della Vallesina, nel corso del ‘900.

Tra le tante, ne vorremmo ricordare quattro, di cui una, Alda Marasca,  appartenente al laicato e tre al Primo Ordine (rispettivamente  Fra Serafino da Pietrarubbia dei Cappuccini, P. Ugolino Dottori dei  Minori e Padre Oscar Serfilippi dei Conventuali).

Si tratta di rapidi ritratti, le cui pennellate, almeno nei casi di conoscenza diretta, sono “condizionate” (lo confessiamo), dai sentimenti di stima ed amicizia nutriti dall’autore il quale, come avvertito all’inizio, non è uno storico di professione!


FRA SERAFI’, UNO DEI NOSTRI




Fra Serafino da Pietrarubbia (1874 – 1960), può essere considerato una moderna incarnazione del Fra Galdino di manzoniana memoria.

Frate questuante, vissuto nel convento di Jesi dal 1899 al 1956, percorse in lungo e in largo la Vallesina, alla ricerca quotidiana di aiuti per il seminario cappuccino e per la fraternità di S. Pietro Martire.

“Mingherlino, si aggirava per le campagne, spesso a stomaco vuoto, impolverato, carico di legna o di mosto o di grano, con un abito rattoppato, con sandali rotti. E tutto questo non  per sé ma per gli altri: per i suoi confratelli, per i suoi fratini”.

Ma Fra Serafino, oltre all’incarico affidatogli dai superiori, coltivava di proprio una straordinaria vita spirituale che lo poneva in relazione continua con il suo Creatore:

“Quando s’incontrava con Gesù nel sacramento della riconciliazione, piangeva; nel fare la comunione, piangeva; nel baciare le piaghe di Gesù crocifisso, piangeva; se per un momento fissava l’immagine dell’Addolorata, piangeva. Anche quando pensava alla sua vita di cristiano e di religioso, gemeva: “Preghi per me perché il Signore mi aiuti ad essere un vero religioso”.

La fama di santità è testimoniata da innumerevoli episodi, tramandati, in particolare, dai tanti laici che poterono incontrarlo durante la lunga permanenza nella diocesi jesina.

Alcuni episodi, che per la loro semplicità richiamano direttamente “I Fioretti” , sono scolpiti nella tradizione agiografica popolare:

“Un giorno Fra Serafino è in città, nel corso affollato e vanitoso. Piove, ma nessuno sembra accorgersene, intenti tutti a godersi la passeggiata serale fra i palazzi di stile neoclassico o primo ottocento.
Fra Serafino se ne va con il suo rosario quando un frullo improvviso taglia l’aria e il cinguettio che l’accompagna attira gli sguardi di tutti. Sono i due passerotti che hanno visto Fra Serafino e gli si sono infilati nel cappuccio della tonaca lisa e rattoppata.
Il corso si ferma stupito, gli ombrelli si chiudono e molti si avvicinano a Fra Serafino per chiedergli un ricordo nelle sue preghiere”.

Di se stesso e della sua costituzione mingherlina soleva ripetere: “Io non sono altro che un buono a nulla! Io valgo quanto peso!”

Al pari di San Francesco, anche Fra Serafino è stato autorevolmente proclamato ”immagine profetica della Chiesa dei Poveri”.

La gente delle campagne e dei borghi della Vallesina, talvolta aspramente critica verso il clero locale, riconosceva in quel frate l’impronta autentica del Santo di Assisi e non poteva nasconderlo: “Fra Serafì, tu sei dei nostri”.

Nel 1975 ha avuto inizio la causa di beatificazione.

Riconosciute le sue virtù eroiche, il 15 marzo 2008 Fra Serafino è stato dichiarato Venerabile.

Il “Decretum super virtutibus” della Congregazione vaticana delle cause dei Santi inizia con una citazione del Salmo 131: “Signore, non si esalta il mio cuore, né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meravigliose più alte di me. Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato è in me l’anima mia”.
E così prosegue: “Il Servo di Dio Serafino Riminucci di Pietrarubbia, al secolo Pietro, guidato da limpida consapevolezza, visse esattamente l’infanzia spirituale descritta dalle parole del Salmista e proposta dal Signore Gesù come condizione per chiunque voglia conquistare il Regno di Dio”.










UNA PIETRA DOPO L’ALTRA: IL COSTRUTTORE DELLA NUOVA PARROCCHIA




Nell’immediato secondo dopoguerra, la volontà di ricostruire il tessuto sociale ed economico, si unì al desiderio di progettare una nuova espansione urbanistica della città.

L’area prescelta dalla pianificazione comunale, fu quella di Campolungo: ettari di campagna tra il Viale della Vittoria e la Figuretta di Tabano destinati alla costruzione di un nuovo quartiere con abitazioni, scuole, attività commerciali, strade e servizi.

Alla fine degli anni ’50, il Vescovo Pardini intuì l’esigenza di erigere una nuova Parrocchia per una zona chiamata ad accogliere centinaia di giovani famiglie.
Fu, dunque, naturale che si  rivolgesse ai Frati Minori per la sua gestione, ma c’era bisogno di un Parroco in grado di affrontare la sfida.

La scelta ricadde sul trentasettenne Padre Ugolino Dottori  (nato a Cupramontana nel 1923), ben conosciuto dal Vescovo per aver assolto l’incarico di suo primo segretario.

Professore di Teologia Morale e Maestro dei Chierici, incarnazione della mitezza evangelica, Padre Ugolino si dedicò anima e corpo alla costruzione della nuova Comunità parrocchiale di San Francesco d’Assisi;

L’insediamento ufficiale del parroco avvenne il 4 dicembre del 1960. Il quotidiano cattolico “L’Avvenire d’Italia” così registrò l’avvenimento: “Domenica pomeriggio è stata solennemente inaugurata la trentaseiesima parrocchia della Diocesi, intitolata a San Francesco d’Assisi sorta nella chiesa omonima ufficiata dai Padri Minori francescani di Campolungo. Una folla numerosissima gremiva la chiesa mentre Mons. Vescovo dava ordine di leggere la bolla canonica di erezione della parrocchia”.

L’attività pastorale di Padre Ugolino procedette con l’entusiasmo tipico del pioniere e con il sostegno convinto di tanti giovani per i quali volle realizzare strutture adeguate; non disdegnò il lavoro materiale, tant’è che molti lo ricordano ancora alle prese con la carriola per sterrare e livellare l’area destinata alla costruzione del bocciodromo!

P. Ugolino comprese l’importanza della collaborazione delle associazioni laicali, in linea con gli orientamenti del Concilio, allora in corso di svolgimento.A lui di deve la nascita dell’Azione Cattolica parrocchiale e la costituzione del Circolo Acli che raccolse in poco tempo oltre 150 soci.

L’impegno generoso del primo Parroco non conobbe soste, fino a quando il suo corpo - ma non certo il suo spirito - fu aggredito da un male incurabile; nella Cronaca della Parrocchia, redatta da P. Luigi Capoferri, alla data del 6 agosto 1966 leggiamo:
Il Parroco ha un tumore maligno. Questa mattina P. Ugolino è stato operato e, purtroppo, quello che era nelle previsioni dei medici è risultato vero: tumore maligno al pancreas in stadio avanzatissimo.
Quello che ha colpito tutti confratelli e fedeli, è stato il coraggio di voler sapere tutto e la serena accettazione della volontà di Dio.
Il parroco prega di far sapere a tutti i suoi parrocchiani che egli offre per il loro bene la sua sofferenza e la sua vita”.

Il 9 settembre 1966 Padre Ugolino si recò all’incontro con Sorella Morte, ad appena 43 anni di età.

Tra quanti lo conobbero, nessuno ha più dimenticato la francescana letizia che irradiava il suo volto:

“Soffrì non poche incomprensioni e avversioni, ma niente riuscì a spegnere mai quell’afflato di cordialità, accoglienza, giovialità, generosità che scuoteva le coscienze più impenetrabili. Accoglieva tutti, non mancava mai di introdurre furtivamente il seme della promessa e la luce della speranza. Anche nei più disperati, sapeva infondere la voglia di ricominciare! E’ stato l’inventore di un nuovo stile di rapporti fra uomini diversi.
Aggiungo che ho assistito assiduamente P. Ugolino negli ultimi giorni della sua vita! Da allora, non smetto di pregare Dio di insegnarmi a morire. Dopo disumane sofferenze, Dio lo chiamò al suo fianco nella notte del 9 ottobre 1966. Da quel giorno la nostra parrocchia può contare su un santo protettore di prima grandezza” (Vito Savini, tra i primi collaboratori del Parroco)

“Ricordo il suo sorriso, la sua attenzione alle persone a ai loro problemi; soprattutto la capacità squisita di esprimere gratitudine per ogni piccolo servizio svolto in chiesa o nella pastorale.
Ero sacerdote novello e P. Ugolino si trovava in ospedale per vivere il momento decisivo della sua vita. Era giovane, ben voluto da tutti, ricco di energie e risorse per fare il parroco. Eppure era velocemente consumato dal tumore.
La cordialità reciproca si è trasformata in profonda e toccante amicizia. Desiderava che lo assistetti di notte. E delle notti, vegliate insieme, conservo nel cuore la sua serenità, il suo desiderio di voler fare solo la volontà del Signore e la sua sensibilità alla gratitudine. E’ morto, infatti, con il “grazie” sulle labbra. Grazie al Signore, ai medici, agli infermieri, ai parenti e a tutti quelli che lo hanno assistito o visitato. Per un giovane, e un giovane sacerdote, la sua vita e soprattutto la sua morte hanno costituito e costituiscono una delicata “lezione di vita” (P. Luigi Perugini, già Definitore Generale O.F.M.).
















ZIA ALDA: UNA PRESIDE SULLE ORME DI S. FRANCESCO



La Regola dell’Ordine Francescano Secolare chiede ad ogni terziario di impegnarsi in campo lavorativo al fine di contribuire alla crescita della società civile: “Reputino il lavoro come dono e come partecipazione alla creazione, redenzione e servizio della comunità umana” (art. 16).

Alda Marasca (1902 – 1992), per tutti “Zia Alda”, svolse il proprio servizio tra i giovani, nel mondo della Scuola Superiore, in un periodo – quello del ’68 – caratterizzato dal vento della contestazione.

Segnata sin dall’infanzia da un grave handicap motorio, si laureò in Scienze biologiche ed esercitò la professione di docente presso il “Cuppari” di Jesi per diversi decenni.
A partire dal 1960 e fino al 1972 ricoprì ininterrottamente, salvo un breve periodo, l’incarico di  Preside “fondatrice” dell’Istituto Tecnico Femminile di Jesi, divenuto finalmente autonomo dopo un periodo di annessione alla Scuola Statale di Magistero Professionale di Macerata.

Il ricordo che lasciò alle sue studentesse è rimasto indelebile nonostante il trascorrere degli anni. Una sua ex allieva, Gabriella Chiaraluce, così la ricorda: “Di lei non ti colpiva certo l’aspetto esteriore, ma chiunque vi entrava in contatto veniva preso dalla sua forza interiore, dalla sua vivacità, dalla sua fermezza e risolutezza, dalla sua dolcezza! Lei ha voluto fortemente questa “Scuola” ed ha lavorato perché si affermasse, perché da questa uscissero delle brave ragazze con un efficiente formazione scolastica e in grado di saper affrontare a testa alta le difficoltà della vita (…) Ricordo ancora che quando, con un po’ di riserbo, entravo in presidenza e mi bloccavo sulla porta, lei mi diceva: “Distendi quelle pieghe sulla fronte, fai un bel sorriso poi dimmi tutto quello che vuoi” 

Zia Alda, per oltre 25 anni fu Ministra della Fraternità del Terz’Ordine di San Francesco d’Assisi.
Nello stesso Ordine rivestì cariche a livello nazionale e regionale, ovunque distinguendosi  per lo spirito di generosità e di sacrificio,  la letizia, l’intraprendenza e la tenacia .








CHIAMATEMI PADRE OSCAR




Metà anni ’70, a Jesi, in Piazza della Repubblica.
“Un uomo, animato da uno di quegli strascichi anticlericali non tanto difficili da riscontrare nella jesinità, gli si accosta, vedendolo vestito da frate, e gli dice:
“Io i predi non li posso proprio véde!”
Dopo aver osservato meglio il saio del suo interlocutore, l’uomo prosegue:
“Ma lei è frade e se accetta je offro ‘n caffé”.
Il religioso accetta di buon grado, entra con lui in un bar e si fa raccontare cos’è che non gli piace tanto dei preti.
Sul finire i due si salutano e, nel congedarsi, il gentiluomo…:
“Lei è proprio diverso – gli dice – ma qua a Jesi io non l’ho mai vista: è nuovo?”
Il frate, col suo fare pronto e capace di sintetizzare per intero un discorso con una battuta di spirito, gli dice:
“Eh sì: sono il nuovo Vescovo!”
In Padre Oscar Serfilippi, 72^ Vescovo della diocesi di Jesi (dal 1978 al 2006), la straordinaria affabilità di chiara connotazione francescana, si unì a doti di governo pastorale improntate ad una saggezza paterna.

Nato a Mondolfo nel 1929, frate conventuale dal 1950, fu Ministro Provinciale delle Marche fino alla nomina a Vescovo (1975), inizialmente come Ausiliare dell’Arcivescovo di Ancona e, dal 1978, come titolare della diocesi di Jesi.

Con un atteggiamento di vita orientato al dialogo fraterno e alla pace, Padre Oscar visse totalmente immerso nella comunità affidatagli in cura, promuovendo con vigorosa determinazione progetti di vasto respiro in campo ecclesiale (ricordiamo il trentesimo Sinodo, i due Congressi eucaristici, la creazione delle zone pastorali, l’erezione di nuove parrocchie) sociale (la fondazione dell’Oikos e del Consultorio familiare, la riorganizzazione della Caritas) culturale ed artistico (la nascita della Biblioteca Petrucciana, il potenziamento del Museo diocesano,  i grandiosi lavori di restauro e conservazione del patrimonio).
 
Tra i tanti ritratti di Padre Oscar, ci piace ricordare quello disegnato da Mons. Alfredo Santoni, in occasione dell’insediamento ufficiale nella Cattedra di San Settimio: “Vostra Eccellenza Reverendissima è stata riempita da Dio di tanti doni: parola semplice, chiara, che va al cuore, volto sempre sereno, sano ottimismo, buon senso umano e marchigiano, sa compatire, perdonare, essere paziente, accogliente, sempre pronto a dare e a darsi”.

Dal testamento spirituale emerge, con nitidezza, lo stile del Pastore: “La vita, dono del Signore per sempre, è bellissima. Ringrazio e ringrazierò sempre il Signore, lo racconterò e lo insegnerò con una gioiosa testimonianza e con l’esortazione permanente (…)
Saluto, benedico e ringrazio la Chiesa Jesina tutta: quanto mi ha voluto bene e quanto le ho voluto bene!”



LA SPERANZA DEL FUTURO




Sono trascorsi, dunque, otto secoli dall’approvazione della Prima Regola.

Una storia lunghissima (e, talvolta, anche tormentata) che – come abbiamo cercato di raccontare con la massima semplicità – ha segnato in maniera indelebile i lineamenti religiosi e sociali della nostra regione.

Tra i fratelli e le sorelle dei tre Ordini, possiamo onorare oltre 40 tra santi e beati di origine marchigiana; dei nove pontefici piceni , ben 4 sono di estrazione francescana (nel duecento Nicolò IV, nel cinquecento Sisto V, nel settecento Clemente XIV e nell’ottocento il terziario Pio IX)

Dopo tanti anni verrebbe da chiedersi se l’ideale francescano mantenga ancora una sua freschezza, oppure se  sia destinato ad un progressivo declino.

In realtà, l’immagine di quel giovane che, in pieno medioevo, decise di spogliarsi in piazza, conserva perfettamente  intatta l’enorme suggestione di una scommessa di vita giocata sull’Amore. Chiunque, ancora oggi, si accosti alla figura di  Francesco, può forse esprimere un rifiuto, ma non riuscirà a nutrire sentimenti di indifferenza.

Lo stesso può dirsi della grande tradizione della scuola di pensiero di matrice francescana, sviluppatasi nel corso dei secoli.

Appena qualche mese fa, il filosofo Dario Antiseri ha pubblicato, un agile volumetto dal titolo intrigante: “L’attualità del pensiero francescano. Risposte dal passato a domande del presente”.

Il testo contiene preziosi spunti di riflessione su alcune tematiche di stretta attualità, già affrontate, nei secoli passati, da autorevoli esponenti della scuola francescana con una impostazione di intatto valore: la difesa della dignità contro la tentazione collettivista (Ockham), la libertà dell’individuo all’interno dell’orizzonte volontaristico (Scoto) la libertà nelle attività economiche (Pietro di Giovanni Olivi), il rapporto tra fede e ragione (Bonaventura da Bagnoregio).

In un altro testo recente (Bruni e Smerilli ,“Benedetta economia”, 2008), l’autore della prefazione Stefano Zamagni riconosce ai francescani il merito di aver gettato, grazie alla elaborazione del concetto di fraternità, le basi della moderna economia di mercato civile (oggi assurta alla ribalta, quale possibile soluzione rispetto alla tradizionale economia di mercato capitalistica, pesantemente messa in discussione dalla crisi globale in atto).

Mai si dirà abbastanza dell’importanza che il pensiero di Francesco ha avuto nella messa a fuoco del principio di fraternità e, di conseguenza, del principio di reciprocità che ne costituisce la traduzione sul piano pratico”. Una nuova economia “non può non mirare a realizzare la società fraterna. Non si accontenta di assicurare la convivenza civile”.

In occasione del Capitolo Internazionale delle Stuoie tenutosi ad Assisi ad aprile 2009, anche il Papa Benedetto XVI, ha voluto rinnovare il mandato ai francescani del nostro tempo:

Carissimi, l’ultima parola che voglio lasciarvi è la stessa che Gesù risorto consegnò ai suoi discepoli: «Andate!». Andate e conti­nuate a « riparare la casa » del Si­gnore Gesù Cristo, la sua Chiesa. Nei giorni scorsi, il terremoto che ha colpito l’Abruzzo ha danneg­giato gravemente molte chiese, e voi di Assisi sapete bene che cosa questo significhi. Ma c’è un’altra «rovina» che è ben più grave: quel­la delle persone e delle comunità! Come Francesco, cominciate sem­pre da voi stessi. Siamo noi per pri­mi la casa che Dio vuole restaura­re. Se sarete sempre capaci di rin­novarvi nello spirito del Vangelo, continuerete ad aiutare i pastori della Chiesa a rendere sempre più bello il suo volto di sposa di Cristo. Questo il Papa, oggi come alle ori­gini, si aspetta da voi. Grazie di es­sere venuti! Ora andate e portate a tutti la pace e l’amore di Cristo Sal­vatore. Maria Immacolata, «Vergi­ne fatta Chiesa », vi accompagni sempre ( 18 aprile 2009).

Anche a Jesi, pur nelle difficoltà che contrassegnano questo tempo di secolarizzazione, la presenza francescana rimane alquanto significativa. Nella nostra città trovano sede la Provincia Picena di San Giacomo della Marca, due conventi del Primo Ordine (Cappuccini e Minori), una comunità di Clarisse, tre Fraternità dell’Ordine Francescano Secolare, strutture assistenziali e caritative (l’Opera della Nonna), iniziative editoriali (“La terra dei fioretti”).

Diversi jesini, impegnati in realtà locali e internazionali, indossano il saio di Francesco, perpetuando una tradizione antica: nel 2010 verrà consacrato sacerdote frate Enrico Maria Mimmotti , mentre è prossima la professione solenne di frate Michele Massaccio.

Ma non è, certamente, un calcolo quantitativo che può misurare la forza di un carisma e la sua incidenza nella realtà quotidiana!

Dopo otto secoli, per tutti i francescani - di qualunque ordine e latitudine -  vale sempre l’esortazione di Francesco, ormai prossimo all’incontro con Sorella Morte:” "Bisogna cominciare a fare qualcosa, perché fino ad ora non abbiamo fatto niente"!


RIFERIMENTI  BIBLIOGRAFICI


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M.Bartoli, Pater pauperum, Padova, 2009
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Brandozzi, “Fra Serafino testimone evangelico della Vallesina”, 1976
Bruni e Smerilli, Benedetta economia,  Roma, 2008
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