Un presidente del consiglio nelle vesti di moderatore. È quanto si è visto ieri alla camera, in una affollata sala della Regina, dove illustri oratori, diversamente ma intensamente impegnati nella contemporaneità – lo stesso Enrico Letta, Eugenio Scalfari e Ignazio Visco – ragionavano come in un cenacolo di saggi, lontano dalle lotte quotidiane.
L’occasione era la presentazione del libro, curato da Alberto Quadrio Curzio e Claudia Rotondi per la collana Arel-Mulino dedicata a Nino Andreatta, Un economista eclettico. Una raccolta di scritti appartenenti soprattutto all’Andreatta meno noto, quando, giovane studioso di economia, si interrogava sulle applicazioni concrete, già quasi “politiche”, di quanto andava elaborando. Testi che, partendo dal 1956 e passando attraverso gli anni sessanta e settanta, mostrano il cammino dello studioso dall’analisi economica all’economia applicata, sperimentata in India nel 1961, quando, insieme al futuro premio Nobel Amarthya Sen, fu inviato dal Massachussetts Institute of Technology come consulente della nuova India di Nehru alle prese con la programmazione del proprio sviluppo.
Una presentazione-cerimonia, quella di ieri mattina, che è stata l’occasione per ricordare una personalità eccezionale, di grande spessore morale prima ancora che politico. Di fronte al capo dello stato e a un pubblico eterogeneo e appartenente a mondi diversi delle istituzioni, della politica, dell’accademia («amici di Andreatta» ha detto Letta) sono stati ricordati momenti chiave della sua vita, comprese le scelte scomode: prima fra tutte, la fermezza con cui, da ministro del tesoro, impose allo Ior la restituzione di cifre ingenti in occasione del crack del Banco Ambrosiano. Una fermezza insolita in un politico democristiano e profondamente cattolico. E poi, la fondazione dell’Arel alla fine degli anni settanta, centro studi mai sostenuto con risorse pubbliche, raccontata dal suo attuale presidente, l’ex ministro Francesco Merloni.
Bello, quasi commovente, il ricordo di Scalfari («mi fa molto piacere essere qui perché è un modo per stare con un vecchio e carissimo amico»), più tecnico, centrato sull’“eclettismo” di Andreatta («nel suo pensiero si fondevano scuole diverse utilizzate con estrema intelligenza»), quello del governatore Visco.
A chiudere l’incontro il premier-moderatore, fino a tre mesi fa alla guida dell’Arel, lasciata nell’andare a palazzo Chigi. Nel giorno in cui dal Pdl salivano annunci di crisi in caso di condanna di Berlusconi, Letta ha richiamato una metafora «che Andreatta utilizzava sempre e che farà piacere al presidente Napolitano, oggi esattamente l’applicazione, nella vita quotidiana delle nostre istituzioni, di questo concetto».
Qual è la metafora? «In questi giorni di vociare, di protagonismi che ricercano l’immediato sguardo, l’immediato consenso, la luce dei riflettori per cose effimere – ha detto il presidente del consiglio – mi viene in mente la straordinaria immagine delle cattedrali medievali, dove gli scalpellini cercavano di fare meglio le guglie più alte, quelle rivolte all’indietro, che nessuno allora poteva vedere. È grazie a loro se oggi in Italia abbiamo queste bellezze. Lo facevano non avere titoli, ma perché era giusto farle e poi si è capito che era importante». La conclusione del premier: «Le cose vanno fatte perché si devono fare, non perché portino un risultato a breve».
Quanti scalpellini ci saranno nel governo e in parlamento disposti ad accogliere la metafora di Andreatta?
fonte: Europaquotidiano
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