domenica 22 settembre 2013

"Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri"

Francesco d'Assisi è da sempre un santo popolare
Fra Otto e Novecento in particolare, e più che mai in Italia, è stato chiamato a proteggere o ad avallare iniziative e situazioni le più diverse. Il fatto nuovo, mi pare di poter dire, sta altrove: e sta nella particolare attenzione, inedita come fatto di massa per i tempi recenti, con cui si ricorre al suo carisma e si guarda ai caratteri originali e alle implicazioni del suo modo di essere e del suo messaggio. «Lo spirito di Assisi dilaga nel mondo», ha scritto in un eccesso di trionfalismo «Avvenire».
La ragione di questa improvvisa e diffusa forma di coinvolgimento emotivo e di travolgente interesse, che non ha ovviamente nulla a che fare con gli ambiti ristretti della ricerca specialistica, è evidente: il 13 marzo di quest'anno il cardinale Bergoglio, eletto dal conclave nuovo papa alla quinta votazione, primo papa gesuita, ha assunto il nome di Francesco, con esplicito riferimento al santo di Assisi; un nome certamente carismatico e popolare, che però in otto secoli nessun papa si era azzardato di assumere.
Una breve ricostruzione del modo in cui tale scelta è avvenuta e del suo perché papa Bergoglio l'ha offerta a pochi giorni dalla sua elezione, ricevendo il 16 marzo i rappresentanti dei media convenuti a Roma per il conclave. Un racconto semplice, quasi di basso profilo, volutamente sdrammatizzante, non privo di una sottile ironia. Corrisponde allo stile da subito assunto da papa Francesco. Ma i termini essenziali, termini forti, presenti in quella scelta sono chiaramente enunciati.
Di Francesco d'Assisi vengono evidenziati tre aspetti: uomo della povertà, uomo della pace, uomo che ama e custodisce il creato. Sono tre aspetti che, nel discorso, si aprono improvvisamente a una prospettiva inedita per la Chiesa, quasi si trattasse del risultato di ciò che Francesco d'Assisi era stato e avrebbe voluto fare, e che il papa che ne aveva assunto il nome si augurava di poter realizzare: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!».
Una Chiesa povera, non solo dei poveri o per i poveri secondo i comuni modi di essere di numerose iniziative e realtà ecclesiali e secondo quanto voci autorevolissime della gerarchia erano venute variamente suggerendo, in particolare a partire dal concilio Vaticano II. Bergoglio auspica qualcosa di più e di diverso, ossia una Chiesa povera, ciò che la Chiesa, e meno che mai la Chiesa di Roma, oggi chiaramente non è, comunque si intenda la «povertà» che essa dovrebbe assumere. La prospettiva dunque è di radicale riforma.
Nel corso del Vaticano II il lavoro del gruppo informale «Gesù, la Chiesa e i poveri» si era posto la questione della povertà e dei poveri rispetto alla presente realtà della Chiesa, coinvolgendo numerosi autorevoli padri, anche se assai limitate e parziali erano state le sue ricadute nelle discussioni e nei documenti conciliari.
Non fu così in America Latina, dove l'assemblea episcopale di Medellín (agosto-settembre 1968) ne riprese ampiamente le prospettive, segnando profondamente per non pochi anni gli orientamenti di quelle Chiese, prima che gli interventi romani, sotto il pretesto di combattere le infiltrazioni marxiste nella teologia della liberazione, che di quelle prospettive era stata l'espressione principale, ne stroncassero in gran parte lo slancio. Ma già nel corso del concilio uno dei protagonisti di quella assemblea, monsignor Hélder Câmara, si era soffermato lungamente su tali questioni nelle circolari che pressoché quotidianamente egli inviava ai suoi amici e collaboratori in Brasile.
Le circolari furono edite a Recife nel 2004, cinque anni dopo la morte del loro autore. Difficile che Bergoglio non le abbia lette. In ogni caso, senza voler stabilire nessi e relazioni che andrebbero più puntualmente precisati e documentati, non mi pare una forzatura rilevare che il Francesco che si delinea in queste riflessioni di Hélder Câmara presenta molte analogie sia con il quadro offerto da Bergoglio per spiegare la sua decisione di assumerne il nome, sia con atti e gesti che hanno caratterizzato l'inizio del suo pontificato: perché con tutta evidenza anche per lui, al di là dell'opzione preferenziale per i poveri, la questione della povertà della Chiesa sembra configurarsi anche in termini di rinuncia al potere e ai suoi simboli, in una scelta di semplicità e condivisione, con il conseguente abbandono dell'opulenza e del fasto che delle rivendicazioni del potere pontificio sono stati e sono un'espressione primaria.
Al Francesco che ha scelto di «seguire Cristo e servire gli altri», che nel bacio al lebbroso, come Bergoglio sottolinea in alcuni suoi interventi, ha «conosciuto il momento in cui tutto questo è divenuto concreto nella sua vita», al più consueto Francesco povero tra i poveri, che nella secolare devozione dei popoli dell'America Latina per san Francesco delle Piaghe aveva trovato espressioni e rilanci singolari, si associa, nella sua visione, il Francesco riformatore, che nella povertà, nell'abbandono di ogni trionfalismo e autoreferenzialità, indica alla Chiesa la strada per poter parlare agli uomini.
Sembra dunque di poter dire che negli orientamenti pastorali che maturano in America Latina nel post concilio emergono tracce di una riflessione su Francesco d'Assisi che ne legge l'opera soprattutto nei termini di una riforma della Chiesa, con al suo centro, per essa, la scelta della povertà e l'opzione preferenziale per i poveri. Non credo si tratti di un fatto casuale.
Una condizione di estrema miseria, di sfruttamento e oppressione, è largamente diffusa nel continente: coinvolge milioni di uomini. La conferenza di Medellín non aveva mancato di rilevarlo esplicitamente: «Un clamore sordo si leva da milioni di uomini che domandano ai loro pastori una liberazione che non viene loro da nessuna parte». È la consapevolezza che ispira la teologia della liberazione. Il largo affermarsi di regimi autoritari e repressivi aggravava ulteriormente la situazione.
Non è strano che oggi, nel momento stesso in cui quelle Chiese locali prendono sempre più coscienza di tali realtà (e della loro precedente colpevole inadeguatezza), esse guardino a modelli capaci di suggerire loro una piena riattualizzazione del messaggio evangelico originario.

Giovanni Miccoli, La Chiesa povera voluta da San Francesco, Il Sole 24 ore Domenica, 15 settembre 2013

Giovanni Miccoli, Francesco. Il santo di Assisi all'origine dei movimenti francescani, Donzelli

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