Quattrocento esclusi a Vigevano, 500 a Vercelli, ma è solo la punta dell'iceberg, sono centinaia gli alunni costretti a uscire dal refettorio. Molto spesso è la ditta appaltatrice a chiedere l'intervento delle amministrazioni pubbliche per ottenere il recupero dei crediti. L'allarme di Save the children: "Responsabilità degli adulti scaricate sui più piccoli"
La crisi pagata dai bambini, dagli alunni di asili ed elementari. I genitori non ce la fanno a pagare la quota della mensa e i Comuni bloccano il servizio. 400 a Vigevano, 69 a Fino Mornasco, in provincia di Como, 250 a Mantova. Sono i primi numeri di un fenomeno destinato a espandersi. Bambini di scuole primarie e dell'infanzia esclusi dalle mense dei loro istituti. "Colpevoli" di non aver pagato la retta per la refezione scolastica negli anni precedenti, e perciò "vittime" delle politiche di rigore del proprio Comune. Perché se non paghi il servizio, non puoi mangiare il pasto caldo come i tuoi compagni di classe e si aprono due possibilità: portarti il cibo da casa e consumarlo in un'altra aula , dove i "morosi" vengono collocati, o lasciare la scuola all'ora di pranzo. Come è successo a Vigevano con buona pace dei dirigenti scolastici, spesso in disaccordo con le decisioni della giunta comunale. A Fino Mornasco, per esempio, nonostante l'altolà del sindaco Giuseppe Napoli il preside dell'Istituto comprensivo Clemente Pasquale non ci sta: "Continueremo a fornire i pasti a tutti". La situazione, però, sta tornando alla normalità grazie a un piano di rateizzazione del debito
Bilanci comunali. Pratiche dal sapore discriminatorio che servono a tutelare i bilanci comunali. I sindaci, infatti, con il mancato pagamento delle rette da parte dei genitori si trovano a far fronte a buchi anche consistenti nelle casse comunali: a Vigevano il debito pregresso per le mense scolastiche ammonta a quasi 120mila euro; 43mila euro nel Comune di Fino Mornasco; 200mila euro a Vercelli, per parlare solo dei casi più eclatanti. E se in misura minore il debito contratto dalle famiglie è verso il Comune di appartenenza, se questo gestisce direttamente il servizio, nella maggior parte dei casi chi deve riscuotere sono società che hanno il servizio in appalto.
Colpiti i più piccoli. A volte il mancato pagamento è dovuto a effetiva indigenza delle famiglie, altre volte perché l'accesso alle esenzioni è complicato, altre volte ancora per pratiche scorrette dei genitori. Ma chi in definitiva ne fa le spese sono sempre i più piccoli, ai quali viene tagliato il servizio, con conseguenze educative e psicologiche tutt'altro che trascurabili.
Servizi in appalto. "Quando il Comune non gestisce direttamente la mensa scolastica appalta il servizio a una società privata o pagandoglielo per intero", spiegano dalla Sodexo, una delle aziende leader nei servizi di ristorazione collettiva "oppure lasciando al privato la facoltà di gestire gli introiti". In caso di riscossione diretta da parte della società, dunque, il debito che i genitori contraggono, non è con il Comune, ma con l'azienda privata che svolge il servizio di refezione scolastica.
Solleciti e azioni legali. "Con la riscossione diretta, che avviene attraverso bollettino postale o per mezzo di carte prepagate ricaricabili, si possono, naturalmente, riscontrare episodi di morosità", spiegano alla Sodexo "Sebbene ogni azienda abbia la propria linea di comportamento, nella maggior parte dei casi succede che dopo ripetuti solleciti (minimo 4) inviati alle famiglie, si procede con il recupero del credito: o con una azione legale nei confronti dell'utente, o dialogando e cercando delle soluzioni con il Comune, che rimane cliente principale del servizio".
Poi tocca ai Comuni. E così accade che il Comune per rientrare del credito (o per far fronte agli ammanchi segnalati delle aziende appaltatrici), sempre dopo ripetuti solleciti e invio di cartelle esattoriali, decida di passare alla linea dura per punire i recidivi e garantire gli onesti: chiude le porte della mensa a quei bambini (con età che va orientativamente dai 5 ai 9 anni) che non se la possono permettere e che (per motivi che molte volte, a onor del vero, non hanno niente a che fare con le difficoltà economiche delle loro famiglie) non hanno pagato il buono pasto.
"Giù le mani dai bambini". "In questo modo le eventuali responsabilità degli adulti vengono scaricate sui più piccoli", dice Antonella Inverno, responsabile dell'unità legale di Save The Children, la associazione a tutela dei diritti dell'Infanzia, che si sta occupando in particolare dei casi di Vigevano e Brescia. "È certamente giusto chiedere conto a quei genitori che approfittano di agevolazioni senza averne la necessità, ma la rivalsa nei confronti degli insolventi può essere fatta in altre forme, senza coinvolgere i bambini. Ad esempio, mandando cartelle esattoriali alle famiglie e procedendo ad un recupero coatto, come molti Comuni già fanno".
Ma non ci sono solo i furbetti. A volte si tratta di famiglie indigenti che non possono permettersi di pagare la quota. E spesso riscontrano anche non poche difficoltà per l'accesso alle agevolazioni previste. Nel rapporto pubblicato nel maggio scorso da Save The Children, dove si faceva il punto sulle differenze dei criteri d'accesso alle mense scolastiche italiane, su 36 Comuni presi in esame, veniva segnalato come in alcune città (per esempio a Palermo) l'esenzione dal pagamento della quota di contribuzione al servizio non è prevista in alcun caso. Solo a Verona, Parma, Pisa, Bari, Sassari hanno attivato delle misure di sostegno all'impoverimento delle famiglie legato o alla numerosità dei figli o alla perdita del posto di lavoro. In 11 comuni - Brescia, Adro, Udine, Padova, Verone, Pescara, Perugia, Pisa, L'Aquila, Campobasso, Lecce - si segnalano addirittura alcune cattive prassi, come la richiesta del requisito della residenza per l'accesso all'esenzione o alla riduzione della contribuzione.
Welfare da ripensare. "In un momento di profonda crisi economica e sociale la mensa dovrebbe essere considerata uno strumento educativo e di contrasto alla povertà", continua Antonella Inverno "ci sembra assurdo che si vadano a colpire proprio i servizi per l'infanzia, con interventi politici che per giunta hanno effetti discriminatori. La nostra associazione sta cercando di agire per il momento attraverso una forma di moral suasion nei confronti delle amministrazioni, affinché ripensino il welfare che deve mirare alla tutela delle politiche educative e al benessere infantile ad ogni costo. I bambini non devo essere lesi in alcun modo: allontanarli dalla mensa non significa solo privarli del pasto, ma anche del loro momento di socialità; significa separarli dai loro amici, facendoli sentire diversi".
Ricadute psicologiche. Le ricadute psicologiche di una violenza di questo tipo possono essere "diverse e traumatiche", come conferma la dottoressa Simonetta Gentile, psicologo-psicoterapeuta responsabile dell'unità operativa di Psicologia Clinica dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. "L'allontanamento dalla mensa scolastica non fa che rafforzare il senso di emarginazione e di esclusione che i bambini appartenenti a famiglie bisognose già vivono. Il vedersi separati dai propri compagni sancisce la diversità, dà loro misura di quanto la loro condizione sia distante dagli altri".
Traumi diseducativi. Perché fin dalla più tenera età il bambino è in grado di percepire e farsi carico delle difficoltà familiari. "Avere la consapevolezza di non poter mangiare come tutti perché non è stato pagato il servizio, di non poter partecipare alla mensa scolastica, è diseducativo, una pratica dannosa che incide sulla strutturazione del sé del bambino, che apprende in questo modo il principio di disuguaglianza e non quello della solidarietà", continua Simonetta Gentile. "Può essere un'esperienza traumatica anche nel caso ci si trovi di fronte a una morosità dovuta non all'indigenza dei genitori, bensì a una pratica scorretta. In tal caso il bambino capirà che sua madre o suo padre stanno tradendo i valori della legalità e sarà di rimando educato alla corruzione. Oppure svilupperà un senso di colpa e di vergogna che potrebbe sfociare anche in azioni di rivalsa, simili al bullismo".
Bilanci comunali. Pratiche dal sapore discriminatorio che servono a tutelare i bilanci comunali. I sindaci, infatti, con il mancato pagamento delle rette da parte dei genitori si trovano a far fronte a buchi anche consistenti nelle casse comunali: a Vigevano il debito pregresso per le mense scolastiche ammonta a quasi 120mila euro; 43mila euro nel Comune di Fino Mornasco; 200mila euro a Vercelli, per parlare solo dei casi più eclatanti. E se in misura minore il debito contratto dalle famiglie è verso il Comune di appartenenza, se questo gestisce direttamente il servizio, nella maggior parte dei casi chi deve riscuotere sono società che hanno il servizio in appalto.
Colpiti i più piccoli. A volte il mancato pagamento è dovuto a effetiva indigenza delle famiglie, altre volte perché l'accesso alle esenzioni è complicato, altre volte ancora per pratiche scorrette dei genitori. Ma chi in definitiva ne fa le spese sono sempre i più piccoli, ai quali viene tagliato il servizio, con conseguenze educative e psicologiche tutt'altro che trascurabili.
Servizi in appalto. "Quando il Comune non gestisce direttamente la mensa scolastica appalta il servizio a una società privata o pagandoglielo per intero", spiegano dalla Sodexo, una delle aziende leader nei servizi di ristorazione collettiva "oppure lasciando al privato la facoltà di gestire gli introiti". In caso di riscossione diretta da parte della società, dunque, il debito che i genitori contraggono, non è con il Comune, ma con l'azienda privata che svolge il servizio di refezione scolastica.
Solleciti e azioni legali. "Con la riscossione diretta, che avviene attraverso bollettino postale o per mezzo di carte prepagate ricaricabili, si possono, naturalmente, riscontrare episodi di morosità", spiegano alla Sodexo "Sebbene ogni azienda abbia la propria linea di comportamento, nella maggior parte dei casi succede che dopo ripetuti solleciti (minimo 4) inviati alle famiglie, si procede con il recupero del credito: o con una azione legale nei confronti dell'utente, o dialogando e cercando delle soluzioni con il Comune, che rimane cliente principale del servizio".
Poi tocca ai Comuni. E così accade che il Comune per rientrare del credito (o per far fronte agli ammanchi segnalati delle aziende appaltatrici), sempre dopo ripetuti solleciti e invio di cartelle esattoriali, decida di passare alla linea dura per punire i recidivi e garantire gli onesti: chiude le porte della mensa a quei bambini (con età che va orientativamente dai 5 ai 9 anni) che non se la possono permettere e che (per motivi che molte volte, a onor del vero, non hanno niente a che fare con le difficoltà economiche delle loro famiglie) non hanno pagato il buono pasto.
"Giù le mani dai bambini". "In questo modo le eventuali responsabilità degli adulti vengono scaricate sui più piccoli", dice Antonella Inverno, responsabile dell'unità legale di Save The Children, la associazione a tutela dei diritti dell'Infanzia, che si sta occupando in particolare dei casi di Vigevano e Brescia. "È certamente giusto chiedere conto a quei genitori che approfittano di agevolazioni senza averne la necessità, ma la rivalsa nei confronti degli insolventi può essere fatta in altre forme, senza coinvolgere i bambini. Ad esempio, mandando cartelle esattoriali alle famiglie e procedendo ad un recupero coatto, come molti Comuni già fanno".
Ma non ci sono solo i furbetti. A volte si tratta di famiglie indigenti che non possono permettersi di pagare la quota. E spesso riscontrano anche non poche difficoltà per l'accesso alle agevolazioni previste. Nel rapporto pubblicato nel maggio scorso da Save The Children, dove si faceva il punto sulle differenze dei criteri d'accesso alle mense scolastiche italiane, su 36 Comuni presi in esame, veniva segnalato come in alcune città (per esempio a Palermo) l'esenzione dal pagamento della quota di contribuzione al servizio non è prevista in alcun caso. Solo a Verona, Parma, Pisa, Bari, Sassari hanno attivato delle misure di sostegno all'impoverimento delle famiglie legato o alla numerosità dei figli o alla perdita del posto di lavoro. In 11 comuni - Brescia, Adro, Udine, Padova, Verone, Pescara, Perugia, Pisa, L'Aquila, Campobasso, Lecce - si segnalano addirittura alcune cattive prassi, come la richiesta del requisito della residenza per l'accesso all'esenzione o alla riduzione della contribuzione.
Welfare da ripensare. "In un momento di profonda crisi economica e sociale la mensa dovrebbe essere considerata uno strumento educativo e di contrasto alla povertà", continua Antonella Inverno "ci sembra assurdo che si vadano a colpire proprio i servizi per l'infanzia, con interventi politici che per giunta hanno effetti discriminatori. La nostra associazione sta cercando di agire per il momento attraverso una forma di moral suasion nei confronti delle amministrazioni, affinché ripensino il welfare che deve mirare alla tutela delle politiche educative e al benessere infantile ad ogni costo. I bambini non devo essere lesi in alcun modo: allontanarli dalla mensa non significa solo privarli del pasto, ma anche del loro momento di socialità; significa separarli dai loro amici, facendoli sentire diversi".
Ricadute psicologiche. Le ricadute psicologiche di una violenza di questo tipo possono essere "diverse e traumatiche", come conferma la dottoressa Simonetta Gentile, psicologo-psicoterapeuta responsabile dell'unità operativa di Psicologia Clinica dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. "L'allontanamento dalla mensa scolastica non fa che rafforzare il senso di emarginazione e di esclusione che i bambini appartenenti a famiglie bisognose già vivono. Il vedersi separati dai propri compagni sancisce la diversità, dà loro misura di quanto la loro condizione sia distante dagli altri".
Traumi diseducativi. Perché fin dalla più tenera età il bambino è in grado di percepire e farsi carico delle difficoltà familiari. "Avere la consapevolezza di non poter mangiare come tutti perché non è stato pagato il servizio, di non poter partecipare alla mensa scolastica, è diseducativo, una pratica dannosa che incide sulla strutturazione del sé del bambino, che apprende in questo modo il principio di disuguaglianza e non quello della solidarietà", continua Simonetta Gentile. "Può essere un'esperienza traumatica anche nel caso ci si trovi di fronte a una morosità dovuta non all'indigenza dei genitori, bensì a una pratica scorretta. In tal caso il bambino capirà che sua madre o suo padre stanno tradendo i valori della legalità e sarà di rimando educato alla corruzione. Oppure svilupperà un senso di colpa e di vergogna che potrebbe sfociare anche in azioni di rivalsa, simili al bullismo".
www.repubblica.it 13 settembre 2013
Parla Daniela Ruffino, sindaco di Giaveno e responsabile Scuola dell'Anci. "I diritti dei più piccoli non vanno lesi, ma chi elude senza necessità va colpito". Ogni anno 84 milioni di euro spesi per il servizio ristorazione
Una catena. Una pioggia di responsabilità che ricade in ultima istanza sui Comuni, "vessati e colpiti dalla complessiva recessione economica e dai tagli imposti ai trasferimenti per gli enti". Pressati da rigorose esigenze di bilancio, le amministrazioni locali si trovano a dover fare dei veri e propri "esercizi di equilibrismo per non sforare il patto di stabilità e allo stesso tempo per continuare a garantire i servizi ai propri cittadini". La difesa a spada tratta dell'operato dei sindaci arriva da Daniela Ruffino, primo cittadino di Giaveno, località nel torinese, e responsabile scuola dell'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani.
Le cronache recenti parlano di bambini con età compresa fra i 5 e i 9 anni esclusi dalle mense perché i genitori non pagano la retta. A detta di educatori e psicologi si tratta di una pratica discriminatoria molto pericolosa.
"I diritti dei più piccoli non vanno lesi. Il mio primo mestiere è quello di educatrice, so con quanta attenzione bisogna seguirli. Ma sento di poter dire con certezza che i Comuni italiani osservano buone pratiche in fatto di educazione e tutela dei minori, soprattutto negli istituti scolastici. C'è un gran varietà di regole di accesso alle mense scolastiche. Le rette sono suddivise nella maggior parte dei casi per fasce di reddito e chi ce l'ha basso paga meno o non paga".
Ma in alcune città, come testimonia un recente rapporto di Save The Children, l'esenzione non è addirittura prevista.
"In quei casi ci sono i consorzi di assistenza sociale. In qualunque momento il genitore può rivolgersi a loro e ottenere l'esenzione dal pagamento della retta. I veri bisognosi e gli indigenti riceveranno tutta l'assistenza necessaria. Gli altri invece...".
Si riferisce a chi vuole fare il furbo, a chi elude la retta non per necessità?
"Esattamente. I cittadini morosi non solo sono le famiglie che non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Sono anche i furbetti, quelli che nonostante abbiano ricevuto solleciti su solleciti dal Comune, con inviti alla rateizzazione del debito, continuano a non presentarsi. Questa è una pratica che lede i diritti di tutti ed è dannosa per tutta la popolazione".
Ma a rimetterci in questo caso sono i bambini. Sono loro che pagano per tutti. Non si potrebbe trovare un modo per garantire comunque loro un pasto caldo, magari tagliando da qualche altra parte?
"Questa è una valutazione ingenerosa. Le assicuro che un sindaco è pronto a tutto prima di arrivare a tagliare sulle mense scolastiche o sui servizi socio-assistenziali. Si chiede, ad esempio, se si possono tagliare le indennità dei primi cittadini o degli assessori? È una domanda lecita. La risposta è semplice: certo che si può. Ma non è dignitoso. Il nostro è uno stipendio assolutamente non congruo rispetto all'enorme carico di responsabilità che abbiamo. Il problema sta da un'altra parte".
E dov'è questo problema?
"In una politica che ci obbliga a tagli continui, che non istituisce fondi per garantire i servizi necessari alla popolazione e che in cambio vuole il rispetto del patto di stabilità. Loro riescono a sfuggire alle lamentele dei cittadini, noi no. Noi delle amministrazioni locali i cittadini li incontriamo tutti i giorni, sappiamo quello di cui hanno bisogno, ma ormai sempre più spesso non riusciamo a garantirglielo. Se almeno ogni ente desse i contribuiti che gli sono proprio, anziché far ricadere tutto sui Comuni".
A cosa si riferisce?
"I Comuni, in special modo in materia di istruzione, ma non solo, continuano a sostenere tagli ingenti per garantire servizi essenziali, svolgendo di fatto funzioni che non sono di stretta competenza comunale. Tanto per citare un paio di esempi: i Comuni sostengono praticamente per intero il costo dei libri di testo forniti gratuitamente a tutti gli alunni della scuola primaria, a prescindere dal reddito familiare, compresi quelli delle scuole private. Un costo annuo pari a circa 84 milioni. Altro esempio: le risorse che i Comuni mettono in campo quale contributo per i pasti degli insegnanti e del personale Ata nelle mense comunali, quindi personale dipendente da altra amministrazione. Costo annuo pari a 60 milioni di euro. L'unica possibile soluzione sarebbe un maggior trasferimento di risorse statali e regionali verso i Comuni, per far fronte alle esigenze, in particolare a quelle dei più bisognosi".
Torniamo alle mense negate ai bambini morosi. Non crede che il Comune potrebbe trovare il modo di rivalersi sui genitori, evitando ai minori l'umiliazione di doversi allontanare al momento del pasto perché non l'hanno pagato?
"L'umiliazione al bambino gliela infliggono in primo luogo i suoi genitori che in ogni caso, sia che non abbiano le possibilità, sia che ce l'abbiano e ci marcino, hanno molti modi per risolvere il problema. Chiedere l'esenzione dal pagamento della retta o l'aiuto dei servizi sociali in casi di reale e accertata necessità; rateizzare e saldare il debito nei casi di morosità recidiva e per altra causa. Per il resto il Comune applica la legge. A seguito del trasferimento delle funzioni di 'assistenza scolastica', il finanziamento della spesa viene assicurato in minima parte attraverso un contributo regionale, per un'altra parte con la contribuzione degli utenti e per il resto con fondi ordinari di bilancio dei singoli comuni. Così è anche per quanto riguarda le mense scolastiche: anche i cittadini devono fare la loro parte, usufruendo di tutte le regole e le agevolazioni che ci sono e che tutelano i più bisognosi".
Le cronache recenti parlano di bambini con età compresa fra i 5 e i 9 anni esclusi dalle mense perché i genitori non pagano la retta. A detta di educatori e psicologi si tratta di una pratica discriminatoria molto pericolosa.
"I diritti dei più piccoli non vanno lesi. Il mio primo mestiere è quello di educatrice, so con quanta attenzione bisogna seguirli. Ma sento di poter dire con certezza che i Comuni italiani osservano buone pratiche in fatto di educazione e tutela dei minori, soprattutto negli istituti scolastici. C'è un gran varietà di regole di accesso alle mense scolastiche. Le rette sono suddivise nella maggior parte dei casi per fasce di reddito e chi ce l'ha basso paga meno o non paga".
Ma in alcune città, come testimonia un recente rapporto di Save The Children, l'esenzione non è addirittura prevista.
"In quei casi ci sono i consorzi di assistenza sociale. In qualunque momento il genitore può rivolgersi a loro e ottenere l'esenzione dal pagamento della retta. I veri bisognosi e gli indigenti riceveranno tutta l'assistenza necessaria. Gli altri invece...".
Si riferisce a chi vuole fare il furbo, a chi elude la retta non per necessità?
"Esattamente. I cittadini morosi non solo sono le famiglie che non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Sono anche i furbetti, quelli che nonostante abbiano ricevuto solleciti su solleciti dal Comune, con inviti alla rateizzazione del debito, continuano a non presentarsi. Questa è una pratica che lede i diritti di tutti ed è dannosa per tutta la popolazione".
Ma a rimetterci in questo caso sono i bambini. Sono loro che pagano per tutti. Non si potrebbe trovare un modo per garantire comunque loro un pasto caldo, magari tagliando da qualche altra parte?
"Questa è una valutazione ingenerosa. Le assicuro che un sindaco è pronto a tutto prima di arrivare a tagliare sulle mense scolastiche o sui servizi socio-assistenziali. Si chiede, ad esempio, se si possono tagliare le indennità dei primi cittadini o degli assessori? È una domanda lecita. La risposta è semplice: certo che si può. Ma non è dignitoso. Il nostro è uno stipendio assolutamente non congruo rispetto all'enorme carico di responsabilità che abbiamo. Il problema sta da un'altra parte".
E dov'è questo problema?
"In una politica che ci obbliga a tagli continui, che non istituisce fondi per garantire i servizi necessari alla popolazione e che in cambio vuole il rispetto del patto di stabilità. Loro riescono a sfuggire alle lamentele dei cittadini, noi no. Noi delle amministrazioni locali i cittadini li incontriamo tutti i giorni, sappiamo quello di cui hanno bisogno, ma ormai sempre più spesso non riusciamo a garantirglielo. Se almeno ogni ente desse i contribuiti che gli sono proprio, anziché far ricadere tutto sui Comuni".
A cosa si riferisce?
"I Comuni, in special modo in materia di istruzione, ma non solo, continuano a sostenere tagli ingenti per garantire servizi essenziali, svolgendo di fatto funzioni che non sono di stretta competenza comunale. Tanto per citare un paio di esempi: i Comuni sostengono praticamente per intero il costo dei libri di testo forniti gratuitamente a tutti gli alunni della scuola primaria, a prescindere dal reddito familiare, compresi quelli delle scuole private. Un costo annuo pari a circa 84 milioni. Altro esempio: le risorse che i Comuni mettono in campo quale contributo per i pasti degli insegnanti e del personale Ata nelle mense comunali, quindi personale dipendente da altra amministrazione. Costo annuo pari a 60 milioni di euro. L'unica possibile soluzione sarebbe un maggior trasferimento di risorse statali e regionali verso i Comuni, per far fronte alle esigenze, in particolare a quelle dei più bisognosi".
Torniamo alle mense negate ai bambini morosi. Non crede che il Comune potrebbe trovare il modo di rivalersi sui genitori, evitando ai minori l'umiliazione di doversi allontanare al momento del pasto perché non l'hanno pagato?
"L'umiliazione al bambino gliela infliggono in primo luogo i suoi genitori che in ogni caso, sia che non abbiano le possibilità, sia che ce l'abbiano e ci marcino, hanno molti modi per risolvere il problema. Chiedere l'esenzione dal pagamento della retta o l'aiuto dei servizi sociali in casi di reale e accertata necessità; rateizzare e saldare il debito nei casi di morosità recidiva e per altra causa. Per il resto il Comune applica la legge. A seguito del trasferimento delle funzioni di 'assistenza scolastica', il finanziamento della spesa viene assicurato in minima parte attraverso un contributo regionale, per un'altra parte con la contribuzione degli utenti e per il resto con fondi ordinari di bilancio dei singoli comuni. Così è anche per quanto riguarda le mense scolastiche: anche i cittadini devono fare la loro parte, usufruendo di tutte le regole e le agevolazioni che ci sono e che tutelano i più bisognosi".
www.repubblica.it 13 settembre 2013
VIGEVANO. Sono 403 i bambini delle scuole dell’obbligo che, al momento, sono
sospesi dalla mensa scolastica: più del 2012, quando i refettori partirono con
150 bambini esclusi. La giunta leghista non fa retromarcia rispetto alla linea
intransigente tenuta finora, circa l’esclusione dalle mense dei figli di
famiglie che hanno accumulato debiti pregressi con il Comune per il pagamento
dei pasti. Lo ha ribadito ieri l’assessore alla refezione scolastica, Brunella
Avalle, fornendo i dati aggiornati sulle morosità e, a pochi giorni dall’inizio
del nuovo anno scolastico, sull’esclusione di altri bambini dalle mense. Per
nidi e materne, sempre in caso di morosità, si potrà arrivare anche alla perdita
del posto assegnato.
Le cifre dicono che sono 3.135 gli alunni di elementari e medie iscritti al
servizio mensa (se si considerano anche i pasti forniti agli asili nido comunali
e alle scuole materne, la cifra sale a 4.462). Sui 3.135 bambini per cui le
famiglie hanno richiesto il servizio mensa, spiega l’assessore Avalle, sono
2.601 gli utenti dei refettori e, di fatto, 1.740 è il numero massimo di pasti
forniti in una giornata dal Centro unico di cottura, gestito dalla ditta
Pellegrini.
Prima dell’avvio dell’anno scolastico, il Comune ha fatto i conti, per
stabilire quanti alunni saranno ammessi alla mensa: al momento, sono sospesi dal
servizio 403 bambini, di cui 175 figli di famiglie con morosità pregresse
rispetto al gennaio 2012 (quando è stato cambiato il sistema di pagamento delle
rette, dal bollettino mensile alla ricarica periodica) e 228 sono i bimbi che
non potranno andare a mensa per debiti contratti dalle famiglie dal gennaio 2012
a oggi. La cifra debitoria che fa scattare la sospensione è di 120 euro, ma la
famiglia viene avvertita prima, tramite sms al cellulare, che i conti non
tornano. Sono invece 72 i bambini ammessi alla mensa scolastica delle scuole
vigevanesi, nonostante i mancati pagamenti delle rette da parte delle famiglie:
persone che si sono rivolte ai servizi sociali e il Comune ha appurato la loro
condizione di disagio economico. La retta per questi bambini è versata dal
Comune. Complessivamente, il debito pregresso per le mense scolastiche ammonta a
118.000 euro. Con le iscrizioni alla prima elementare, sono 538 le nuove domande
di adesione alla mensa: 38 sono state cancellate, perché la documentazione era
incompleta; 36 sono state bloccate, perché le famiglie hanno già accumulato
debiti, ad esempio, nel pagamento delle rette di altri figli. «Chi vuole questo
servizio deve pagarlo – afferma l’assessore Avalle –. Non saprei dire tra tutte
queste morosità quante riguardino famiglie straniere o italiane. So che molti
sono stranieri, ma a noi interessa che i conti tornino e chi non paga non può
essere ammesso alla mensa, sarebbe anche ingiusto nei confronti di chi paga».
L’assessore, ieri, ha replicato anche ad alcune associazioni che avevano
preso posizione sulla vicenda delle esclusioni dei bambini dalla mensa. Come
“L’articolo 3 vale anche per me” (nata con riferimento alla Costituzione che
garantisce pari dignità sociale dei cittadini e la rimozione di ostacoli di
ordine economico e sociale) e Save the Children. «Non è vero che non abbiamo
risposto alle loro lettere – sostiene l’assessore Avalle – lo abbiamo fatto
nell’arco di una settimana. E la risposta è che l’amministrazione comunale non
ha mai detto che devono essere formate “aule ghetto” in cui i bambini vanno a
mangiare un panino, mentre gli altri alunni vanno a mensa. Le aule ghetto le
hanno create le scuole. Noi abbiamo invece stabilito che chi non paga la mensa
non ne ha diritto e per noi questo non significa mandare i bambini in un’aula a
parte, ma che gli alunni vengano portati a casa a mangiare alle 12.30 e alle
14.30 ritornino a scuola».
Avalle esclude inoltre che il Comune possa fornire alle associazioni i
nominativi delle famiglie in difficoltà che potrebbero essere aiutate dai
volontari a pagare la mensa: «Noi tuteliamo la privacy delle famiglie. Se
qualche associazione vuole aiutarle a pagare le rette, deve mettersi in contatto
con loro facendosi conoscere. Ma noi non diamo nomi a nessuno».
La Provincia Pavese, 5 settembre 2013
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