sabato 16 gennaio 2016

Il bis di Nucci

Storico bis, ma non così storico l’altra sera alla Scala alla prima di “Rigoletto” di Giuseppe Verdi diretto da Nicola Luisotti. Il quasi 75enne Leo Nucci, alla 515ma serata nella parte del gobbo, ha bissato il duetto “Sì, vendetta, tremenda vendetta / di quest’anima è solo desio…”, finale del secondo atto. Insieme a lui, a sipario chiuso (prima volta dal Dopoguerra), il 27enne soprano americano – astro in ascesa della lirica – Nadine Sierra.

“E’ successo qualcosa di particolare”, ha commentato Nucci. “Io sono abituato a fare bis ma non alla Scala. Sono consapevole della tradizione, ma era quasi impossibile non farlo”. Quasi. Per questo, Nucci ha chiesto l’ok al soprano, all’orchestra e al sovrintendente che, dal suo palco, stava applaudendo in piedi. “È stato un omaggio al pubblico, non per Toscanini che non era il padre eterno e nell’opera ha imposto cose che non stanno ne in cielo ne in terra”.

Verdi non era contrario ai bis: “Alla prima del Requiem a Venezia concesse tre bis. E in una lettera a Ricordi scrisse che alla prima di Macbeth fu bissato il coro del secondo atto”. Finale: “Toscanini non voleva i bis – ha aggiunto – ma ha anche cacciato Puccini dalla Scala.

L’opera è passione e ieri il pubblico si è commosso”. Ma qualcuno (un critico musicale) ha gridato “vergogna” (un altro critico ha lasciato la sala)? “O c’erano 1600 imbecilli – ha osservato Nucci – o si sbaglia lui”.

Per il sovrintendente Pereira, “Nucci è il più grande Rigoletto del mondo, non ha mai cantato di routine e se l’entusiasmo è grande, il bis è un momento di fusione tra cantanti e pubblico che succede in tutto il mondo, è una festa”.

Ma le modalità con la quali è avvenuto – non irresistibili richieste, sipario chiuso con tecnici al lavoro… – sono destinati a far chiacchierare il micromondo della lirica. Intanto perché i bis si ripetono.

Non è stato il primo nemmeno di Nucci: lo ha già concesso l’estate scorsa con “Largo al factotum” nel Barbiere di Siviglia. Il 20 febbraio 2007 Juan Diego Flórez aveva bissato la cavatina “Ah! mes amis” della Fille du régiment di Donizetti con i cosiddetti nove do di petto.

Si parlò di “profanazione” (i melomani sono sempre esagerati): l’ultimo che aveva bissato risaliva al ‘33, Shaljapin nel “Barbiere di Siviglia” (direttore Marinuzzi). Ma il coro l’aveva fatto due volte: “Va pensiero” dal “Nabucco” con Muti nel ’94 e, primo a violare il sacro diktat, Gavazzeni nell’86 con “Oh signor che dal tetto natio…” dai “Lombardi prima crociata”.

Ma la modalità di ieri rimandano a una fruizione ottocentesca, quando sul proscenio si cantava e ricantava in barba a scena, regia e tutto il resto. Un’aberrazione per i puristi questo ritorno a un consumo emozionale, molto italiano; i loggionisti, invece, parlano di “ragioni del cuore” (blog “Lavocedelloggione”).

Per il pubblico scaligero continua a valere un solo punto di vista: poco importano filologia, scena o innovazione registica… importa che i cantanti cantino, espressivamente, come il Duca di Mantova Vittorio Grigolo e i due bissanti Nucci e Sierra. Per tutto il resto c’è la Germania.

fonte: Pierluigi Panza per il  blog,“fattoadarte.corriere.it”

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