Nei primi mesi del suo governo, Matteo Renzi si è impegnato su due
fronti. Il primo, le riforme istituzionali; l’altro, una discussione con
l’Europa sulle regole di bilancio. Evidentemente queste erano, nella
sua strategia, le condizioni necessarie per iniziare l’annunciata «mini
rivoluzione» economica basata su meno tasse, più flessibilità, piu
concorrenza, meno spesa pubblica.
Le due
fondamenta della sua strategia stanno però franando. Nonostante i primi
risultati sul Senato, in tema di riforme l’atmosfera resta tesa e la
strada ancora lunga. E sull’Europa? Da queste colonne si è ripetuto
spesso che quel che l’Italia avrebbe dovuto fare da tempo era
presentarsi a Bruxelles con un piano preciso di riforme economiche che
includessero tagli di imposte sul lavoro con una riforma strutturale del
mercato sempre del lavoro, accompagnato da riduzioni di spesa. L’Europa
avrebbe potuto concedere un po’ più di flessibilità sui vincoli. Invece
di far questo, Renzi ha cercato con la sua simpatia di «ingraziarsi» i
partner del Nord Europa promettendo di rispettare i vincoli. Ma ancora
non ha ottenuto quanto voleva.
Purtroppo
l’economia non aspetta. Il Prodotto interno lordo (Pil) crescerà di
qualche decimale dopo aver perso quasi il 10 per cento negli ultimi anni
e la disoccupazione giovanile sale.
Renzi ha
sbagliato la sequenza delle sue mosse. Doveva partire approfittando
della luna di miele della vittoria elettorale alle Europee per
presentare un coraggioso piano economico, farlo approvare a colpi di
voti di fiducia e poi approdare a Bruxelles forte di questo e, dati alla
mano, discutere di vincoli. Con qualche concessione dall’Europa e
qualche risultato sull’economia, avrebbe poi potuto affrontare le
riforme istituzionali da una posizione di forza.
In
ottobre dovremo presentare i conti all’Unione europea. Sarà difficile
rimanere sotto il 3 per cento nel rapporto deficit/Pil, con la crescita
che è di poco sopra lo zero. Si mormora quindi di un’ulteriore manovra
in autunno. Dato che chi doveva occuparsi di tagli alla spesa (Carlo
Cottarelli) pare stia per dimettersi perché nessuno lo ascolta, questa
manovra, se sarà necessaria, dovrà basarsi su nuove imposte, con effetti
negativi per la crescita.
Renzi può quindi
presentarsi a Bruxelles in queste condizioni e discutere di cifre
decimali del rapporto deficit/Pil (si salveranno i famosi 80 euro?);
oppure sfondare il tetto aprendo le procedure del caso e ottenere uno
«sconto» dall’Europa. Ma per riuscirci senza spaventare i mercati e i
partner Ue, il premier deve far partire qualche riforma. Per esempio
quella del lavoro, dando a tutti il segnale che la politica economica
italiana sta cambiando marcia.
Certo,
tutto ciò è facile a dirsi ma difficile a farsi; anche se, per esempio,
la Spagna si è comportata meglio di noi sulla strada e sui tempi delle
riforme.
Insomma, l’economia procede a ritmi molto più veloci
delle riforme costituzionali e quando un Paese naviga sull’orlo di una
crisi da debito, con mercati nervosi, la velocità degli eventi si impone
all’economia. Bisogna accelerare. Il tempo non è scaduto ma Renzi deve
rivedere l’ordine delle sue priorità.
fonte: Alberto Alesina per il Corriere della Sera del 2 agosto 2014
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