Corrado
Passera apre a Vanity Fair la porta della casa di Sabaudia, dove è in
vacanza con la moglie Giovanna Salza e i figli, e racconta per la prima
volta la sua vita privata, il suo periodo da ministro e la sua nuova
impresa politica, nei giorni in cui, per Rizzoli, è uscito “Io siamo”, il libro che illustra il suo programma per far ripartire il Paese.
Ha scritto il libro da solo?
«Con
molti amici, e soprattutto con Giovanna. La politica non era la scelta
ovvia, sarebbe stato molto più facile tornare a fare il mio lavoro di
prima. Abbiamo deciso insieme di buttarci in quest’avventura, un terzo
inizio per noi».
Perché terzo?
«Il
primo è stato quando abbiamo scelto di condividere la vita, nonostante
le tante difficoltà. Il secondo, quando abbiamo deciso di lasciare la
banca per il ministero. La politica è il terzo. Del resto, quando ho
accettato di fare il ministro non ho mai pensato di farlo solo come
tecnico: volevo cambiare il Paese».
Quel governo però ha fallito.
«Monti
era partito bene con l'opera di salvataggio, ma non ha avuto lo stesso
coraggio nella fase dello sviluppo e delle riforme. Ha ceduto alle
vecchie regole della politica, ha iniziato a incontrare i capi di
partito. Bastava reggere ancora sei mesi, si sarebbero potute fare tante
cose».
Lei era ministro: non ha detto a Monti che stava sbagliando?
«Gli
ho detto molto di più: che mi sentivo tradito. Ma ho ritenuto mio
dovere restare, per fare quello che si poteva: energia, start-up,
minibond, infrastrutture».
Per quel tradimento ha deciso poi di non seguirlo alle elezioni?
«Per
presentarmi con lui gli avevo posto due condizioni: agenda fortissima e
partito del tutto nuovo. Monti mi ha detto sì, ma poi Montezemolo, Fini
e Casini si sono messi di mezzo e lui si è alleato con loro, per
mancanza di coraggio e forse per presunzione: pensava che li avrebbe
gestiti. Secondo tradimento, e me ne sono andato».
Passera
racconta poi di come è iniziato il rapporto con sua moglie.«Quando il
mio matrimonio precedente è entrato in crisi ho vissuto un periodo
tristissimo. L'impegno preso davanti a Dio, la responsabilità verso i
figli, i trent'anni passati insieme a mia moglie: era inaccettabile
l'idea di separarmi. Per dieci anni abbiamo cercato in tutti i modi di
salvare una storia che, però, era finita. Io ero diventato l'ombra di me
stesso. Di quella sofferenza si sono accorti anche i miei figli, e
proprio da loro alla fine è arrivato il gesto di amore: mi hanno detto
che erano grandi, che avrebbero capito. Così ho trovato la forza di
prendere la decisione e iniziare una nuova vita».
Che le ha portato...?
«Una
passione pazzesca per tutto. Un grande amore, reso forte dalle
difficoltà, e poi la condivisione di ogni cosa con la mia donna. Anche
questa scelta della politica non sarebbe stata possibile senza Giovanna.
Lei ha rotto la corazza che negli anni mi ero costruito, anche
funzionale al mestiere che facevo prima, e ha tirato fuori cose di me
che c'erano ma erano intrappolate».
Non è giovane, viene dai poteri forti: che chance pensa di avere in politica, dopo il 41% di Renzi alle Europee?
«Voglio
rappresentare chi in questo Paese vuole un cambiamento vero. Renzi, per
ora, si sta limitando a un restyling. Ha fatto male quello che ha
fatto: la legge elettorale, la riforma del Senato, gli 80 euro ai non
poveri ottenuti aumentando le tasse e poi, cosa più grave, non erano
certo quelle le priorità in un Paese con dieci milioni di disoccupati».
Ha provato a consigliarlo?
«In passato ci sentivamo spesso, ma a un certo punto è sparito. Si vede che condividere la scena non gli piace».
Da “Vanity Fair”
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