giovedì 2 ottobre 2014

Jean D’Ormesson

È convinto che a Dio, se esiste, sarebbe bene gridargli: «Non cambiare niente!». Nei libri di Jean D’Ormesson, tra le star letterarie di Francia, si fondono saggio, romanzo e - come dice lui - «farsa metafisica». Le domande su Dio e la meraviglia di fronte alla vita sono ripetute in ogni modo, spesso sfacciato e divertito. A volte, grato, arreso. Di certo a calamitarlo è il pensiero di essere al centro del più incredibile dei romanzi: «La storia di questo nostro mondo. Innumerevoli volte avrebbe potuto sparire per sempre», e invece, «siamo qui».
Su una terrazza, in riva al lago di Losanna. Jean d'O (come lo chiamano in Francia) si entusiasma del sole che lo bacia seduto al tavolino. La luce è molto forte, ma si leva gli occhiali neri per guardarti negli occhi. Ha 89 anni. A 48 è entrato fra gli Immortali dell’Académie française, già per anni direttore de Le Figaro, presidente dell’Unesco, ambasciatore all’Onu. È a Losanna per presentare il suo ultimo libro: Comme un chant d’espérance. Mentre in Italia è da poco uscito il penultimo (Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto, edito da Clichy): un immaginifico e triplice romanzo sulla sua famiglia, la storia del mondo e Marie, l’amore della vita, che perde e poi ritrova. Un libro pieno di stupore per l’infanzia vissuta a Plessis-lez-Vaudreuil, quando «Dio si incaricava di tutto e ci aveva in simpatia»; pieno di amara sorpresa per come l’uomo è diventato «sempre più potente e sempre più smarrito», e di instancabile fiducia perché «le maledizioni non tardano a trasformarsi in benedizioni». Un libro che si apre con suo nonno e si chiude con le stelle.

Da dove le viene questa meraviglia di cui parla sempre? È che provo ammirazione di fronte agli uomini, di fronte alle cose. Mi piacciono. Sono sempre pronto ad applaudire. Forse è il mio temperamento... Mi ricordo molto bene che a sei, sette anni, ero lì a giocare, e all'improvviso mi fermavo e dicevo: ma cosa sto facendo qui? Perché sono qui? Era un sentimento che avevo molto forte. E che ho, ancora, molto forte. Anche noi adesso, a questo tavolo, cosa ci facciamo? Mi sorprende il mistero di questa vita. Forse, semplicemente, non sono mai uscito dall’adolescenza (ride). Comunque, non conosco altro motore della letteratura e della vita se non la curiosità e l’insoddisfazione, il desiderio.

Perché scrive? Non ho mai creduto che sarei diventato uno scrittore. Ci sono autori che hanno scritto romanzi e grandi classici a quindici, vent’anni. Io a venticinque non avevo la minima idea di mettermi a scrivere. Non perché non conoscessi la letteratura, la conoscevo bene, ho fatto una scuola Normale. È che non vedevo nessuna utilità nell’aggiungere qualcosa a Flaubert, per intenderci. Poi, a trent’anni, ho scritto il primo libro. Solo per piacere ad una ragazza. Piano piano, ho continuato. Gli ultimi tre libri sono dedicati al problema di Dio e dell’avventura straordinaria che è l’universo. Forse anche perché un uomo della mia generazione ha visto il mondo cambiare in cinquanta anni come non è cambiato in mille.

In più occasioni ha detto di considerare la crisi di oggi come una crisi di spiritualità e ha definito il nostro tempo «un Medioevo senza cattedrali». L’epoca in cui viviamo è molto rude e difficile. Il secolo scorso è stato segnato da due cose opposte: le due Guerre Mondiali e il progresso della scienza. Ma, oggi, questi progressi fanno paura: la clonazione, innanzitutto. Non è escluso che in futuro i bambini non nascano più dall’amore tra un uomo e una donna! Che la sessualità scompaia. Questi cambiamenti causano la crisi del mondo moderno e dico che viviamo un Medioevo senza cattedrali perché mancano profondità, altezza. L’uomo è sempre più potente e sempre più smarrito.

Qual è la strada per recuperarle?Io credo che i giovani di oggi non sopportino esattamente ciò che non sopportavo io da giovane: che i vecchi diano lezioni. Ed io non voglio né posso dare lezioni. Non sono fra quelli che dicono: «Prima era meglio». L’anno scorso mi sono ammalato e il medico mi ha detto che c’era una possibilità su cinque di uscirne vivo. Eccomi qui. Trent’anni fa, sarei morto. Allo stesso tempo, è certo che viviamo in un mondo duro, e il peggio è ancora possibile. Ma resta sempre una speranza.

Quale?
Che ci sia qualcosa sopra di noi.

Si definisce un credente «ravagé par le doute», tormentato dal dubbio. Ma al di là delle definizioni, cosa vuol dire nella sua vita che «la domanda su Dio è la sola domanda e mi abita da sempre»?Sono stato educato nella religione cattolica e spero di morire in seno alla Chiesa cattolica, ma non sono mai stato un ragazzo pio. Tutto ciò che posso fare è sperare che esista.

In tutto il libro, c’è questo refrain: «Se Dio esiste». Ma le ultime pagine sono una preghiera, in cui a Dio dà del “tu”: «Ah, se esisti....». E immagina di trovarsi un giorno davanti al Creatore e di ringraziarlo perché gli deve tutto, nella speranza che Lui, chinandosi, le dica: «Ti perdono». Il matematico Bertrand Russel, ateo, di fronte alla domanda di un giornalista («se quando muore, Dio c’è?»), ha risposto: «Non ho prove sufficienti». Non è una buona risposta. Mi ha colpito sentire quello che invece ha detto una suora di fronte alla domanda inversa: «E se alla fine scoprisse che Dio non esiste?». Ha risposto: «Peggio per Lui, io Lo amo comunque». Ecco, io spero che Dio ci sia, ma in ogni caso ho amato molto questa vita e mi sono sempre chiesto chi ringraziare. Nei miei libri c’è la risposta.

Vivere «come se Dio ci fosse», come ha consigliato Benedetto XVI ai non credenti, cambia la sua vita? Se non c’è niente oltre a questo mondo, non ha nessun senso quello che riceviamo, è tutto assurdo. Se c’è Dio, le cose prendono senso. Tutto, di colpo, prende senso. Ma, anche se non ci fosse, la speranza di Lui mi ha fatto vivere sopra me stesso, sopra la mia bassezza.

Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto è anche un romanzo d’amore, del suo amore con Marie. Un amore che porta con sé la storia dell’universo. Perché amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme il mondo.

Ma chi è Marie?Questa è una domanda molto importante. Il personaggio di Marie appare in tutti i miei libri, ma su di lei non posso aggiungere nulla a quel che ho scritto. Vede, ci sono due modi di non parlare della propria vita: o tacere o parlare molto, ma senza dire l’essenziale.

Perché è così importante per lei Marie?Credo che abbiamo un solo modo di comunicare con Dio: passare attraverso gli uomini. Ci sono dei figli di Dio che ci sono più cari degli altri: Marie è il figlio di Dio che mi è più caro. Lei è in qualche modo inseparabile dal mio legame con Dio, è come un’incarnazione.

Marie, alla fine del libro, dopo aver ascoltato tutta la storia dell’universo, le dice: «Quello che volevo sapere continuo a non saperlo. La vita con te è stata meravigliosa. Siamo stati felici insieme. Ma poi ecco: questa vita è un fallimento. Non ha senso. È assurda. Ci siamo incontrati, ci siamo amati e saremo separati per sempre e spariremo nel niente. Sono già morta poiché morirò».Io non ho risposta per lei. So solo che abbiamo il diritto di sperare che ci sia qualcuno che si ricorda di noi per sempre. Se Dio c’è, è la memoria dell’universo, di tutto ciò che è stato e di tutti gli uomini. Delle farfalle dei fiori degli scorpioni. È possibile che non resti nulla di Bach, Mozart, Tiziano, san Giovanni, noi? Io scelgo il mistero piuttosto che l’assurdo.

Qual è la cosa più bella della sua vita? Una delle cose che ho amato di più è la luce. Ho adorato nuotare nel mar Mediterraneo, sotto il sole, sciare e scendere dalla Maurienne verso l’Italia, lasciare Parigi nel mese di aprile, andare fino a Portofino per vedere il sole alzarsi e arrivare per pranzo a Roma, in piazza Navona. La bellezza è un mistero incredibile.

Nel libro la definisce «una promessa di felicità». Lo riprendo da Stendhal. La bellezza, la verità, la giustizia... esistono veramente. Non le possediamo mai, non le raggiungiamo mai, ma esistono. Molti hanno creduto che il comunismo avrebbe dato la giustizia e ha dato Stalin. Allora si potrebbe pensare che la giustizia, il bene e la verità non ci siano. Invece bisogna seguirli, continuare a cercarli. Vede, io ho amato il piacere, ma può essere molto basso. C’è la felicità che è borghese, calma, annoiante. Poi, c’è la cosa più magnifica! La gioia. È quello che ci eleva. La nostalgia di un altrove. Non so dirlo diversamente: noi siamo nostalgia di un altrove. Non è possibile dire chi siamo meglio di così.

Ha sempre detto di non credere alla possibilità della rivelazione.(Fa un cenno con la mano, come a dire: non proprio... E sorride). I miei genitori erano cattolici liberali, di sinistra, e mi hanno insegnato solo due cose: bisogna lavorare e bisogna pensare agli altri. Un giorno, quand’ero bambino, mentre studiavo il catechismo, mio padre ha detto: «Oh, tutto questo... Non è molto sicuro». Bisogna stare attenti a quello che si dice ai bambini. Io credo che la forza del cristianesimo stia proprio in ciò che è più incomprensibile: l’Incarnazione. Dio che si fa uomo! Gesù è veramente figlio di Dio? Sarebbe magnifico. Penso ad altre divinità che si facevano umane, come Zeus, o a cose simili in altre religioni... Ma solo nel cristianesimo Dio si fa uomo per amore.

Perché vorrebbe morire in seno alla Chiesa cattolica?Ho assistito a dei funerali civili e li ho trovati molto tristi. Vorrei che quel giorno qualcuno suonasse Mozart e Bach e che i miei amici, dopo di me, festeggiassero. Perché può essere - può essere - che niente è perduto.

fonte:Tracce.it




 
Chi si aspetta da Jean d’Ormesson il bilancio di una vita (che il 16 giugno prossimo toccherà gli 89 anni), può ancora attendere. Quando scrive Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto, in uscita in Italia per le Edizioni Clichy, c’è nello scrittore, accademico di Francia, ex presidente dell’Unesco, ex ambasciatore ed ex direttore di «le Figaro», la maliziosa consapevolezza di aver spiegato molto di sé, degli altri, del cosmo, del ponderabile e dell’imponderabile, nella sua lunga bibliografia, ma di poter continuare a farlo senza smettere di sorprendere. 
Così «Jean d’O» comincia le sue 256 pagine illustrando al lettore come la scienza e la tecnologia abbiano spodestato il buon Dio. Quel Dio che «si incaricava di tutto e ci aveva in simpatia». Manifestando il suo debole, in particolare, verso la famiglia d’origine del giovane «dandy dallo sguardo azzurro», com’è definito in patria, destinato all’Accademia degli Immortali. Una famiglia, dove «il denaro non ci manca. Cade dal cielo». E i nonni «sparlano di un futuro che tradirà il passato e sarà comunista e anticlericale». Il futuro e il passato (nonché la loro vittima prediletta: il presente) condensano la grande ossessione per il tempo, che d’Ormesson non risolve. Non in questo libro, magari nel prossimo. Ma intanto apre al pubblico il suo stupore di fronte all’onnipotenza della scienza che sconvolge il mondo. Dopo secoli di tran-tran, in cui il domani è somigliato allo ieri «d’un tratto, la storia si è imbizzarrita». 
Eppure, a dispetto di Darwin e dell’evoluzionismo, della cospirazione di astronomi, fisici, matematici e cosmologi, il romanzo di una vita, quella dell’autore e della sua (talvolta) stravagante parentela, si mescola a interrogativi celesti, errori terreni, dubbi filosofici fino a smentire l’affermazione di Einstein, «Dio non gioca a dadi»: «Per l’appunto, ci gioca. Ma vince a ogni lancio». Mancano poche decine di pagine alla fine del libro quando d’Ormesson inizia a recitare il suo Credo», e poi la sua preghiera. A Dio, certo. 
Allora la scienza e il Creatore hanno trovato un compromesso? 
«Inventata, ma verosimile, la conversazione fra Papa Giovanni Paolo II e l’astronomo Stephen Hawking. Intendiamoci bene, signor Hawking — gli disse il Papa —: tutto ciò che c’è dopo il Big Bang è suo, ma tutto ciò che c’è prima è mio. Quanto a me, l’esistenza di Dio è una speranza. Ho due note caratteristiche che non sono troppo moderne. La prima è l’ammirazione. Mentre ora è di moda la derisione, e bisogna ridere o sorridere di tutto e di tutti, specialmente in tivù, io sono ancora capace di ammirazione. E la mia seconda caratteristica è la speranza. Non sono di quelli che pensano che prima tutto fosse meglio. Pur non essendo certamente un uomo di sinistra, poiché sono di destra, ho molte caratteristiche di sinistra. Credo nell’eguaglianza e credo nel progresso. Ultimamente un po’ abbandonato dai progressisti, in nome dell’ecologia. Ma io non mi sarei salvato, l’anno scorso, da una grave malattia, se non fosse per i passi avanti della scienza». 
Ha scritto: «Il cellulare nelle nostre mani prende il posto del rosario. Facebook è una comunione senza Dio, riempita di confessioni». Venga, dunque, il regno del microchip? 
«Al ristorante vedi coppie sedute a tavola senza scambiarsi una parola. Ognuno dei due è preso dal suo telefonino. Chiama, risponde o invia sms. Stai più con gli altri che con chi hai di fronte. La comunione ha perso il suo senso religioso, per diventare comunicazione». 
Anche Papa Francesco usa spesso il telefono. Pochi giorni fa, per convincere Marco Pannella a interrompere lo sciopero della fame 
«Che storia eccezionale! Papa Francesco rappresenta con precisione la carità francescana. Riflettendo, direi che i tre papi hanno incarnato ciascuno una delle grandi virtù teologali. Giovanni Paolo II era la Speranza. Benedetto XVI, insigne teologo, la Fede. Francesco è la Carità. Sono tre Papi complementari». 
Tre Papi, tre virtù teologali: quale preferisce? 
«Ancora la Speranza. Giovanni Paolo II, il rivoluzionario. Si è rivolto direttamente al popolo cristiano. Se c’è un Papa che ha giocato un ruolo nella storia della sua epoca, è stato lui, il Papa polacco, con il suo: “Non abbiate paura”. Ha ringiovanito una Chiesa che era molto invecchiata». 
Si è mai chiesto perché François Mitterand abbia chiesto proprio a lei informazioni sull’aldilà,lasciando l’Eliseo, il 17 maggio del 1995? 
«È un mistero. L’avevo pure attaccato, in passato, e lui aveva commentato: peccato che un così buon scrittore sia tanto stupido politicamente. Andò così: il presidente mi telefonò due giorni prima invitandomi all’Eliseo per il giorno del passaggio di poteri a Jacques Chirac. Obiettai che non avrebbe avuto tempo. Ma la cerimonia era alle 11, mi spiegò, e lui mi avrebbe atteso per la prima colazione, alle 9. Parlammo di tutto, per quasi due ore, di politica e anche della sua infanzia, molto cattolica. Infine mi chiese se immaginassi che cosa c’è dopo la vita. Era molto tormentato». 
Che cosa gli rispose? 
«Che nessuno può saperlo. Ma che io credo nelle forze dello spirito. Tra noi si era instaurata quasi un’amicizia, e le divisioni politiche erano poca cosa. Gli dissi che tra gli scrittori che avevo conosciuto ne ammiravo due appartenenti a fronti opposti: Paul Morand, di estrema destra. E Louis Aragon, di estrema sinistra: non importa che fosse un comunista, mi battei per farlo entrare all’Accademia e fallii. Però ci sono riuscito con Marguerite Yourcenar, e non è stato facile. Quel giorno c’erano 300 giornalisti, uno mi chiese che cosa sarebbe cambiato all’Accademia di Francia con l’ingresso della prima donna». 
Che cosa è cambiato? 
Ride: «Le toilette. Da quel giorno ne abbiamo di maschili e di femminili». 
Perché è tanto affascinato dall’enigma del tempo? 
«Secondo Platone il tempo è la forma mobile dell’eternità, che è assenza di tempo. Con la morte entriamo nell’eternità per andare chissà dove. Io penso che il tempo sia il marchio di fabbrica di Dio. Sono un cattolico agnostico, che non vuol dire ateo». 
Bensì? 
«Molti hanno la fede. Io ho solo la speranza. Spero che Dio esista, perché sennò la vita sarebbe solo una farsa crudele. Ma ammiro gli atei che fanno del bene al prossimo, senza aspettarsi una ricompensa ultraterrena. A destra di Dio, per me, siederà un ateo che non crede a nulla». 
Parlerà di questo il suo prossimo libro? 
«No. Mi sono sempre chiesto che cosa intendesse Flaubert quando diceva di voler scrivere un libro sul niente. Non c’è niente prima del Big Bang e non c’è niente dopo. Ecco sto scrivendo un romanzo su prima del Big Bang. Di pura immaginazione, naturalmente». 

intervista a Jean d'Ormesson a cura di Elisabetta Rosaspina 
tratto da Corriere della sera del 04/05/2014

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