Questo incontro dei Movimenti Popolari è un segno, un grande segno:
siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una
realtà molte volte passata sotto silenzio. I poveri non solo subiscono
l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa!
Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno
neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani
assistenziali o soluzioni che non arrivano mai, o che, se arrivano, lo
fanno in modo tale da andare nella direzione o di anestetizzare o di
addomesticare, questo è piuttosto pericoloso. Voi sentite che i poveri
non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano,
studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà
tanto speciale che esiste fra quanti soffrono, tra i poveri, e che la
nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di
dimenticare.
Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte
l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma una
parola è molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e
agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti
sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro
le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di
lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti sociali e
lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del
denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose, la tratta di
persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle realtà che
molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a trasformare. La
solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la
storia ed è questo che fanno i movimenti popolari.
Questo nostro incontro non risponde a un’ideologia. Voi non lavorate
con idee, lavorate con realtà come quelle che ho menzionato e molte
altre che mi avete raccontato. Avete i piedi nel fango e le mani nella
carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si
ascolti la vostra voce che, in generale, si ascolta poco. Forse perché
disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha
paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra presenza,
senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i progetti
che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel regno
dell’idea, è un mio progetto.
Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie
di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri
in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che, dietro a
presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si
nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali: Gesù
le definirebbe ipocrite. Che bello invece quando vediamo in movimento
popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si
sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo
migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è
il mio desiderio.
Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa
che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un
anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo
con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro.
È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si
comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e
lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non
è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa. Mi soffermo un
po’ su ognuno di essi perché li avete scelti come parola d’ordine per
questo incontro.
Terra. All’inizio della creazione, Dio creò l’uomo custode
della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla.
Vedo che qui ci sono decine di contadini e di contadine e voglio
felicitarmi con loro perché custodiscono la terra, la coltivano e lo
fanno in comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di tanti fratelli
contadini che soffrono per questo motivo e non per guerre o disastri
naturali. L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione
dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che strappano
l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è solo
fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione
con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo peculiare
stile di vita in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione.
L’altra dimensione del processo già globale è la fame. Quando la
speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli
come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di
fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò
costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un
diritto inalienabile. So che alcuni di voi chiedono una riforma agraria
per risolvere alcuni di questi problemi e, lasciatemi dire che in certi
paesi, e qui cito il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, “la
riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un
obbligo morale” (CDSC, 300).
Non lo dico solo io, ma sta scritto nel compendio della Dottrina
sociale della Chiesa. Per favore, continuate a lottare per la dignità
della famiglia rurale, per l’acqua, per la vita e affinché tutti possano
beneficiare dei frutti della terra.
Secondo, Casa. L’ho già detto e lo ripeto: una casa per ogni
famiglia. Non bisogna mai dimenticare che Gesù nacque in una stalla
perché negli alloggi non c’era posto, che la sua famiglia dovette
abbandonare la propria casa e fuggire in Egitto, perseguitata da Erode.
Oggi ci sono tante famiglie senza casa, o perché non l’hanno mai avuta o
perché l’hanno persa per diversi motivi. Famiglia e casa vanno di pari
passo! Ma un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione
comunitaria: il quartiere ed è proprio nel quartiere che s’inizia a
costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è
più immediato, dalla convivenza col vicinato. Oggi viviamo in immense
città che si mostrano moderne, orgogliose e addirittura vanitose. Città
che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma
si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino
bambini, e li si chiama, elegantemente, “persone senza fissa dimora”. È
curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi. Non si
dicono le parole con precisione, e la realtà si cerca nell’eufemismo.
Una persona, una persona segregata, una persona accantonata, una persona
che sta soffrendo per la miseria, per la fame, è una persona senza
fissa dimora; espressione elegante, no? Voi cercate sempre; potrei
sbagliarmi in qualche caso, ma in generale dietro un eufemismo c’è un
delitto.
Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno
affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle
periferie. Quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono
emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le
immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche,
immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi.
Sapete che nei quartieri popolari dove molti di voi vivono sussistono
valori ormai dimenticati nei centri arricchiti. Questi insediamenti
sono benedetti da una ricca cultura popolare, lì lo spazio pubblico non è
un mero luogo di transito ma un’estensione della propria casa, un luogo
dove generare vincoli con il vicinato. Quanto sono belle le città che
superano la sfiducia malsana e che integrano i diversi e fanno di questa
integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Quanto sono belle le città
che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che
uniscono, relazionano, favoriscono il riconoscimento dell’altro! Perciò
né sradicamento né emarginazione: bisogna seguire la linea
dell’integrazione urbana! Questa parola deve sostituire completamente la
parola sradicamento, ora, ma anche quei progetti che intendono
riverniciare i quartieri poveri, abbellire le periferie e “truccare” le
ferite sociali invece di curarle promuovendo un’integrazione autentica e
rispettosa. È una sorta di architettura di facciata, no? E va in questa
direzione. Continuiamo a lavorare affinché tutte le famiglie abbiano
una casa e affinché tutti i quartieri abbiano un’infrastruttura adeguata
(fognature, luce, gas, asfalto, e continuo: scuole, ospedali, pronto
soccorso, circoli sportivi e tutte le cose che creano vincoli e
uniscono, accesso alla salute — l’ho già detto — all’educazione e alla
sicurezza della proprietà.
Terzo, Lavoro. Non esiste peggiore povertà materiale — mi
preme sottolinearlo — di quella che non permette di guadagnarsi il pane e
priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile,
l’informalità e la mancanza di diritti lavorativi non sono inevitabili,
sono il risultato di una previa opzione sociale, di un sistema economico
che mette i benefici al di sopra dell’uomo, se il beneficio è
economico, al di sopra dell’umanità o al di sopra dell’uomo, sono
effetti di una cultura dello scarto che considera l’essere umano di per
sé come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare.
Oggi al fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione si somma una
nuova dimensione, una sfumatura grafica e dura dell’ingiustizia sociale;
quelli che non si possono integrare, gli esclusi sono scarti,
“eccedenze”. Questa è la cultura dello scarto, e su questo punto vorrei
aggiungere qualcosa che non ho qui scritto, ma che mi è venuta in mente
ora. Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio
denaro e non l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema
sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata
perché fosse il denominatore dell’universo. Quando la persona viene
spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di
valori.
E per illustrarlo ricordo qui un insegnamento dell’anno 1200 circa.
Un rabbino ebreo spiegava ai suoi fedeli la storia della torre di Babele
e allora raccontava come, per costruire quella torre di Babele,
bisognava fare un grande sforzo, bisognava fabbricare i mattoni, e per
fabbricare i mattoni bisognava fare il fango e portare la paglia, e
mescolare il fango con la paglia, poi tagliarlo in quadrati, poi farlo
seccare, poi cuocerlo, e quando i mattoni erano cotti e freddi, portarli
su per costruire la torre.
Se cadeva un mattone — era costato tanto con tutto quel lavoro —, era
quasi una tragedia nazionale. Colui che l’aveva lasciato cadere veniva
punito o cacciato, o non so che cosa gli facevano, ma se cadeva un
operaio non succedeva nulla. Questo accade quando la persona è al
servizio del dio denaro; e lo raccontava un rabbino ebreo nell’anno
1200, spiegando queste cose orribili.
Per quanto riguarda lo scarto dobbiamo anche essere un po’ attenti a
quanto accade nella nostra società. Sto ripetendo cose che ho detto e
che stanno nella Evangelii gaudium.
Oggi si scartano i bambini perché il tasso di natalità in molti paesi
della terra è diminuito o si scartano i bambini per mancanza di cibo o
perché vengono uccisi prima di nascere; scarto di bambini.
Si scartano gli anziani perché non servono, non producono; né bambini
né anziani producono, allora con sistemi più o meno sofisticati li si
abbandona lentamente, e ora, poiché in questa crisi occorre recuperare
un certo equilibrio, stiamo assistendo a un terzo scarto molto doloroso:
lo scarto dei giovani. Milioni di giovani — non dico la cifra perché
non la conosco esattamente e quella che ho letto mi sembra un po’
esagerata — milioni di giovani sono scartati dal lavoro, disoccupati.
Nei paesi europei, e queste sì sono statistiche molto chiare, qui in
Italia, i giovani disoccupati sono un po’ più del quaranta per cento;
sapete cosa significa quaranta per cento di giovani, un’intera
generazione, annullare un’intera generazione per mantenere l’equilibrio.
In un altro paese europeo sta superando il cinquanta per cento, e in
quello stesso paese del cinquanta per cento, nel sud è il sessanta per
cento. Sono cifre chiare, ossia dello scarto. Scarto di bambini, scarto
di anziani, che non producono, e dobbiamo sacrificare una generazione di
giovani, scarto di giovani, per poter mantenere e riequilibrare un
sistema nel quale al centro c’è il dio denaro e non la persona umana.
Nonostante questa cultura dello scarto, questa cultura delle
eccedenze, molti di voi, lavoratori esclusi, eccedenze per questo
sistema, avete inventato il vostro lavoro con tutto ciò che sembrava non
poter essere più utilizzato ma voi con la vostra abilità artigianale,
che vi ha dato Dio, con la vostra ricerca, con la vostra solidarietà,
con il vostro lavoro comunitario, con la vostra economia popolare, ci
siete riusciti e ci state riuscendo... E, lasciatemelo dire, questo,
oltre che lavoro, è poesia! Grazie.
Già ora, ogni lavoratore, faccia parte o meno del sistema formale del
lavoro stipendiato, ha diritto a una remunerazione degna, alla
sicurezza sociale e a una copertura pensionistica. Qui ci sono cartoneros,
riciclatori, venditori ambulanti, sarti, artigiani, pescatori,
contadini, muratori, minatori, operai di imprese recuperate, membri di
cooperative di ogni tipo e persone che svolgono mestieri più comuni, che
sono esclusi dai diritti dei lavoratori, ai quali viene negata la
possibilità di avere un sindacato, che non hanno un’entrata adeguata e
stabile. Oggi voglio unire la mia voce alla loro e accompagnarli nella
lotta.
In questo incontro avete parlato anche di Pace ed Ecologia. È
logico: non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può
essere lavoro se non abbiamo pace e se distruggiamo il pianeta. Sono
temi così importanti che i popoli e le loro organizzazioni di base non
possono non affrontare. Non possono restare solo nelle mani dei
dirigenti politici. Tutti i popoli della terra, tutti gli uomini e le
donne di buona volontà, tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di
questi due preziosi doni: la pace e la natura. La sorella madre terra,
come la chiamava san Francesco d’Assisi.
Poco fa ho detto, e lo ripeto, che stiamo vivendo la terza guerra
mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici che per sopravvivere
devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i
bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del
denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei
campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle
case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate. Quanta
sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, care sorelle e cari
fratelli, si leva in ogni parte della terra, in ogni popolo, in ogni
cuore e nei movimenti popolari, il grido della pace: Mai più la guerra!
Un sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di
saccheggiare la natura, saccheggiare la natura per sostenere il ritmo
frenetico di consumo che gli è proprio. Il cambiamento climatico, la
perdita della biodiversità, la deforestazione stanno già mostrando i
loro effetti devastanti nelle grandi catastrofi a cui assistiamo, e a
soffrire di più siete voi, gli umili, voi che vivete vicino alle coste
in abitazioni precarie o che siete tanto vulnerabili economicamente da
perdere tutto di fronte a un disastro naturale. Fratelli e sorelle: il
creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere; e
ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi. Il creato è un
dono, è un regalo, un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché ce ne
prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con
rispetto e gratitudine. Forse sapete che sto preparando un’enciclica
sull’Ecologia: siate certi che le vostre preoccupazioni saranno presenti
in essa. Ringrazio, approfitto per ringraziare per la lettera che mi
hanno fatto pervenire i membri della Vía Campesina, la Federazione dei Cartoneros e tanti altri fratelli a riguardo.
Parliamo di terra, di lavoro, di casa. Parliamo di lavorare per la
pace e di prendersi cura della natura. Ma perché allora ci abituiamo a
vedere come si distrugge il lavoro dignitoso, si sfrattano tante
famiglie, si cacciano i contadini, si fa la guerra e si abusa della
natura? Perché in questo sistema l’uomo, la persona umana è stata tolta
dal centro ed è stata sostituita da un’altra cosa. Perché si rende un
culto idolatrico al denaro. Perché si è globalizzata l’indifferenza! Si è
globalizzata l’indifferenza: cosa importa a me di quello che succede
agli altri finché difendo ciò che è mio? Perché il mondo si è dimenticato di Dio, che è Padre; è diventato orfano perché ha accantonato Dio.
Alcuni di voi hanno detto: questo sistema non si sopporta più.
Dobbiamo cambiarlo, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su
quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui
abbiamo bisogno. Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con
tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza. E tutti
insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati, cercando
sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un livello superiore di
unità, di pace e di giustizia. Noi cristiani abbiamo qualcosa di molto
bello, una linea di azione, un programma, potremmo dire, rivoluzionario.
Vi raccomando vivamente di leggerlo, di leggere le beatitudini che sono
contenute nel capitolo 5 di san Matteo e 6 di san Luca (cfr. Matteo, 5, 3 e Luca,
6, 20), e di leggere il passo di Matteo 25. L’ho detto ai giovani a Rio
de Janeiro, in queste due cose hanno il programma di azione.
So che tra di voi ci sono persone di diverse religioni, mestieri,
idee, culture, paesi e continenti. Oggi state praticando qui la cultura
dell’incontro, così diversa dalla xenofobia, dalla discriminazione e
dall’intolleranza che tanto spesso vediamo. Tra gli esclusi si produce
questo incontro di culture dove l’insieme non annulla la particolarità,
l’insieme non annulla la particolarità. Perciò a me piace l’immagine del
poliedro, una figura geometrica con molte facce diverse. Il poliedro
riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso conservano
l’originalità. Nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina,
tutto si integra, tutto si integra. Oggi state anche cercando la sintesi
tra il locale e il globale. So che lavorate ogni giorno in cose vicine,
concrete, nel vostro territorio, nel vostro quartiere, nel vostro posto
di lavoro: vi invito anche a continuare a cercare questa prospettiva
più ampia; che i vostri sogni volino alto e abbraccino il tutto!
Perciò mi sembra importante la proposta, di cui alcuni di voi mi
hanno parlato, che questi movimenti, queste esperienze di solidarietà
che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano
più coordinati, s’incontrino, come avete fatto voi in questi giorni.
Attenzione, non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture
rigide, perciò ho detto incontrarsi, e lo è ancor meno cercare di
assorbirlo, di dirigerlo o di dominarlo; i movimenti liberi hanno una
propria dinamica, ma sì, dobbiamo cercare di camminare insieme. Siamo in
questa sala, che è l’aula del Sinodo vecchio, ora ce n’è una nuova, e
sinodo vuol dire proprio “camminare insieme”: che questo sia un simbolo
del processo che avete iniziato e che state portando avanti!
I movimenti popolari esprimono la necessità urgente di rivitalizzare
le nostre democrazie, tante volte dirottate da innumerevoli fattori. È
impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione
come protagoniste delle grandi maggioranze e questo protagonismo
trascende i procedimenti logici della democrazia formale. La prospettiva
di un mondo di pace e di giustizia durature ci chiede di superare
l’assistenzialismo paternalista, esige da noi che creiamo nuove forme di
partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le
strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel
torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi
nella costruzione del destino comune. E ciò con animo costruttivo, senza
risentimento, con amore.
Vi accompagno di cuore in questo cammino. Diciamo insieme dal cuore:
nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun
lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il
lavoro.
Cari fratelli e sorelle: continuate con la vostra lotta, fate bene a
tutti noi. È come una benedizione di umanità. Vi lascio come ricordo,
come regalo e con la mia benedizione, alcuni rosari che hanno fabbricato
artigiani, cartoneros e lavoratori dell’economia popolare dell’America Latina.
E accompagnandovi prego per voi, prego con voi e
desidero chiedere a Dio Padre di accompagnarvi e di benedirvi, di
colmarvi del suo amore e di accompagnarvi nel cammino, dandovi
abbondantemente quella forza che ci mantiene in piedi: questa forza è la
speranza, la speranza che non delude. Grazie.
28 ottobre 2014 Papa Francesco
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